I. IL TRAMONTO DELLA SINISTRA ovvero: LE IMPLICAZIONI
POLITICHE E CULTURALI
Indice:
1. La composizione
del governo D'Alema I (21 ottobre 1998)
/ La barca privata di D'Alema
2.
Scognamiglio, Prodi, Cossiga e D'Alema
si litigano il "merito" di aver condotto
l'Italia ad una guerra di aggressione:
- Scognamiglio:
"Il governo D'Alema nacque per
rispettare gli impegni Nato" - Prodi: "Attacco
contro Milosevic: fu il mio governo a
dire sì" - Scognamiglio:
"Prodi diede solo le basi, noi
inviammo gli aerei" - Cossiga: "Prodi
non aveva i voti per rispettare gli
impegni Nato"
3. Onorevole
Prodi, non tolga a D'Alema il "merito"
della guerra!
(comunicato Peacelink - allegati Atti
governo Prodi)
4. La vigilia della
guerra: Come gli Usa hanno operato,
attraverso la Cia, per trascinare
l'Italia nell'aggressione contro la
Jugoslavia (di Domenico Gallo)
5. Veltroni
rivendica; la Melandri non c'era e
se c'era dormiva
# A.
Catone: La guerra
umanitaria 1.
Un modo umano di fare la guerra
2. Diritto Internazionale Umanitario
3. Sinistra guerra umanitaria
4. Bellum iustum
5. Guerra non-guerra
6. La guerra è guerra
7. Anonima guerra-soggetto. Chi fa la
guerra?
8. La “polizia internazionale”
9. Diritto d’ingerenza
10. Intervento militare umanitario
12. L’invenzione di una nuova Auschwitz
13. Effetti della guerra umanitaria
14. Dalla “guerra umanitaria” alla
“guerra al terrorismo”
15. Rimozione della guerra umanitaria:
cala il sipario sul Kosovo
(pubblicato in Umano
troppo disumano, n.
11 di Athanor
Semiotica,
Filosofia, Arte,
Letteratura, n. 11,
2007-2008, a cura di
Fabio De Leonardis e
Augusto Ponzio,
Meltemi, Roma, pp.
309-330)
1. La
composizione del governo D'Alema I (21
ottobre 1998)
Presidente
del
Consiglio: Massimo
D'Alema (Ds) Vice
Presidente:
Sergio
Mattarella (Ppi) Sottosegretario
alla presidenza: Franco Bassanini
(Ds) Bilancio
e Tesoro:
Carlo Azeglio
Ciampi Finanze:
Vincenzo Visco
(Ds) Industria:
Pier Luigi
Bersani (Ds) Esteri:
Lamberto Dini
(Ri) Giustizia:
Oliviero
Diliberto (Pdci) Interno:
Rosa Russo
Jervolino (Ppi) Commercio
estero:
Piero Fassino
(Ds) Riforme
costituzionali:
Giuliano Amato Beni
Culturali Spettacoli e Sport:
Giovanna Melandri (Ds) Sanità:
Rosy Bindi
(Ppi) Ambiente:
Edo Ronchi
(Verdi) Funzione
Pubblica:
Angelo Piazza
(Sdi) Comunicazioni:
Salvatore
Cardinale (Udr) Pubblica
Istruzione:
Luigi
Berlinguer (Ds) Ricerca
Scientifica e Università: Ortensio
Zecchino (Ppi) Trasporti:
Tiziano Treu
(Ri) Difesa:
Carlo
Scognamiglio (Udr) Lavori
Pubblici:
Enrico Micheli
(Ppi) Lavoro
e Mezzogiorno:
Antonio
Bassolino (Ds) Pari
opportunità:
Laura Balbo Solidarietà
sociale:
Livia Turco
(Ds) Politiche
agricole:
Paolo De Castro
(Ulivo) Rapporti
parlamento:
Guido Folloni
(Udr) Politiche
comunitarie:
Enrico Letta
(Ppi) Affari
regionali:
Katia Belillo
(Pdci)
(21
ottobre 1998)
2.
Scognamiglio, Prodi, Cossiga e D'Alema
si litigano il "merito"
di aver condotto l'Italia ad una guerra
di aggressione
Corriere della Sera - http://www.corriere.it
Giovedì 7 Giugno 2001
COMMENTI - LA LETTERA
"Il governo
D'Alema nacque per rispettare gli impegni
Nato"
di CARLO
SCOGNAMIGLIO PASINI*
Nel dibattito
sulla caduta del governo Prodi pubblichiamo
l'intervento di Carlo Scognamiglio Pasini,
ministro della Difesa nel successivo esecutivo
guidato da D'Alema.
Caro Direttore,
forse in conseguenza dell'esito elettorale, la
più autorevole stampa italiana ha pubblicato
numerose interviste a protagonisti ed articoli
autorevoli che qualificano la formazione del
Governo presieduto dall'on. D'Alema (22 ottobre
1998) come la conseguenza dei peggiori vizi del
machiavellismo minore, cioè il complotto, il
tradimento e l'ambizione.
Avendo avuto una parte non secondaria in quella
vicenda desidero testimoniare che una simile
ricostruzione non corrisponde affatto alla
verità storica, e costituisce invece il frutto
di una percezione della politica che vede
soltanto le questioni interne e non conosce, o
non comprende, le ragioni della politica
internazionale che talvolta sono ben più forti e
rilevanti di quelle domestiche.
Il Governo D'Alema non fu formato in conseguenza
di questioni interne, poiché - per quanto io
sappia - il protagonista avrebbe volentieri
differito l'appuntamento, ma da ragioni di
politica internazionale che derivavano dalla più
grave crisi che il Paese si trovò ad affrontare
negli oltre 50 anni della Repubblica.
Questi sono i fatti.
Il Governo presieduto dall'on. Prodi perse il
voto di fiducia alla Camera il 7 ottobre 1998.
Cinque giorni più tardi il Nac (North Atlantic
Council, cioè la Nato) deliberò l'Activation
Order contro il dittatore serbo Milosevic. Si
tratta del terzo e ultimo passo della procedura
di attacco militare in vigore presso l'Alleanza
Atlantica, passo che affida al Segretario
Generale e al comandante militare (Supreme
Allied Commander in Europe - Saucer) il mandato,
irrevocabile senza una nuova procedura di voto,
di premere il grilletto, cioè di scatenare
l'attacco che verrà compiuto dalle forze
alleate, già schierate per questo scopo.
La delibera del 12 ottobre prevedeva una
sospensiva di 96 ore, cioè fino al 16 ottobre,
nell'esecuzione, per dare modo al Governo
jugoslavo di dimostrare la propria disponibilità
a riprendere il negoziato con la comunità
internazionale. Questo fu, infatti, quanto si
percepì, per cui alla scadenza la sospensiva fu
protratta per ulteriori 96 ore, cioè fino al 20
ottobre, data alla quale l'Act Ord fu
definitivamente sospeso, ma non revocato. Alla
data del 20 ottobre 1998, cioè allo spegnersi
dell'allarme rosso, la procedura per la
risoluzione della crisi di governo italiana si
era compiuta, avendo il Presidente della
Repubblica concluso le consultazioni ed affidato
all'on. D'Alema l'incarico di formare il
Governo.
Rammentando questi fatti, è impensabile che
qualcuno ritenga che vi possa essere stato un
solo rappresentante politico o istituzionale che
nel corso delle consultazioni si sia espresso
per un Governo istituzionale, cioè senza
maggioranza parlamentare, oppure per lo
scioglimento anticipato del Parlamento (e per
votare, quando: a Natale?).
In quelle circostanze né il Presidente Scalfaro,
né l'on. D'Alema, avevano altra scelta se non
tentare di formare un governo politico, cioè
sostenuto da una propria maggioranza
parlamentare, ancorché formata da una coalizione
(i governi di coalizione sono la norma non
l'eccezione nelle situazioni di guerra) diversa
da quella formatasi con le elezioni politiche
del 1996, un governo che garantisse alle Forze
Armate italiane la possibilità di assolvere con
dignità i propri compiti nell'Alleanza di fronte
alla imminenza di un conflitto che di necessità
avrebbe visto l'Italia nel ruolo di
protagonista.
Sono testimone all'on. D'Alema di aver mantenuto
i propri impegni con scrupolo e determinazione.
Nel mese di novembre (1998, ndr) acconsentì alla
richiesta di far partecipare l'Italia alla
costituzione dello Kfor in Macedonia, che
sarebbe poi divenuto il corpo di spedizione in
Kosovo, su basi paritetiche con le maggiori
potenze europee, Francia e Inghilterra.
Nel mese di gennaio (1999, ndr) acconsentì al
conferimento di una rilevante forza aerea
italiana di 40 (poi 50) aerei da combattimento
al comando Nato.
Il 24 marzo 1999 si assunse la responsabilità di
acconsentire l'inizio delle ostilità, nel corso
delle quali pur impegnandosi - come era suo
dovere - nella ricerca di una soluzione
diplomatica, non ostacolò l'azione militare
dell'Alleanza.
Verso la fine del conflitto autorizzò
l'eventuale partecipazione dell'Italia alla
formazione di un corpo di invasione, con una
imponente aliquota di forze.
L'Italia uscì da questa drammatica vicenda
avendo conquistato il rispetto e la
considerazione degli Alleati in una misura che
mai si era espressa in passato, e avendo offerto
un contributo insostituibile all'azione
militare.
Queste furono le ragioni della formazione del
Governo D'Alema e della maggioranza che lo
sostenne.
E' possibile che prima e dopo la conclusione
vittoriosa della guerra nel Kosovo si siano
compiuti errori nella politica interna. Ma
questa è questione diversa dalle vicende che si
svolsero nell'ottobre 1998, e sulla quale non
saprei esprimermi per difetto di competenza.
*Ex ministro della Difesa
Corriere della Sera - http://www.corriere.it Venerdi 8 giugno 2001
LA LETTERA
"Attacco contro
Milosevic: fu il mio governo a dire sì"
di ROMANO PRODI*
Nel dibattito
sulla caduta del governo guidato da Romano
Prodi, interviene oggi l'ex presidente del
Consiglio, attuale presidente della
Commissione europea. Prodi replica a
Carlo Scognamiglio Pasini, responsabile del
ministero della Difesa nel governo presieduto
da Massimo D'Alema. Scognamiglio aveva
sostenuto che il gabinetto D'Alema era nato
per rispettare gli impegni Nato, consentendo
così all'Italia di conquistare il rispetto e
la considerazione degli alleati.
Caro Direttore,
ho letto con interesse sul Corriere della Sera
di ieri l'articolo che l'ex ministro della
Difesa Carlo Scognamiglio ha dedicato al
passaggio tra il governo da me presieduto e
quello guidato dall'on. Massimo D'Alema.
Carlo Scognamiglio si sofferma, in particolare,
sugli avvenimenti di politica internazionale
(erano i giorni del drammatico confronto con la
Serbia di Milosevic) che fecero da sfondo al
passaggio di governo. Avvenimenti che lo
inducono a concludere che il nuovo esecutivo fu
formato per "ragioni di politica internazionale
che derivarono dalla più grave crisi che il
Paese si trovò ad affrontare negli oltre
cinquanta anni della Repubblica".
Fondamentale - secondo Scognamiglio - fu, in
questa prospettiva, la necessità di dare vita ad
un governo "che garantisse alle Forze Armate
italiane la possibilità di assolvere con dignità
i propri compiti nell'Alleanza di fronte alla
imminenza di un conflitto che di necessità
avrebbe visto l'Italia nel ruolo di
protagonista".
"Il governo presieduto dall'on. Prodi perse il
voto di fiducia alla Camera il 7 ottobre 1998.
Cinque giorni più tardi il Nac (North Atlantic
Council, cioè la Nato) deliberò l'Activation
Order contro il dittatore serbo Milosevic. Si
tratta del terzo e ultimo passo della procedura
di attacco militare in vigore presso l'Alleanza
Atlantica, passo che affida al Segretario
Generale e al comandante militare il mandato,
irrevocabile senza una nuova procedura di voto,
di premere il grilletto. Alla data del 20
ottobre, cioè allo spegnersi dell'allarme rosso,
la procedura per la risoluzione della crisi di
governo italiana si era compiuta, avendo il
Presidente della Repubblica concluso le
consultazioni ed affidato all'on. D'Alema
l'incarico di formare il nuovo governo".
Questi sono "i fatti" ricordati da Carlo
Scognamiglio. "Fatti" a proposito dei quali non
ho nulla da aggiungere. Se non un piccolo
particolare.
Questo: ancorché dimissionario, fu il mio
governo ad assumersi la responsabilità di
decidere a favore dell'Activation Order. E fui
io stesso, come Presidente del Consiglio, a
firmare il relativo provvedimento.
*Presidente della Commissione europea
Corriere della Sera - http://www.corriere.it
Sabato 9 Giugno 2001
POLITICA
Scognamiglio
replica al presidente Ue: l'ex premier DS
decise l'azione offensiva
"Prodi diede
solo le basi, noi inviammo gli aerei"
di CARLO SCOGNAMIGLIO*
Caro direttore,
la precisazione del presidente Prodi sulla mia
ricostruzione, pubblicata dal Corriere, delle
vicende che diedero l'avvio alla guerra del
Kosovo e alla formazione del governo D'Alema,
ovvero che fu pur sempre il suo governo,
ancorché dimissionario, ad 'assumersi la
responsabilità di decidere a favore
dell'Activation Order (ossia dell'ordine di
attacco a Milosevic)' è del tutto pertinente, e
d'altra parte implicita nell'elenco di 'fatti'
che avevo elencato.
Mentre va dato atto al governo dimissionario di
avere superato non poche difficoltà e resistenze
istituzionali per non bloccare la decisione
della Nato [SIC], va però ricordato un altro
'fatto', ossia che l'assenso dell'Italia si
limitava all'uso delle basi e non anche alla
costituzione di una forza d'attacco aereo con
mezzi italiani, secondo la formula della 'difesa
integrata'. In altre parole, l'Italia non
avrebbe partecipato ad azioni offensive. La
questione fu superata [SIC] successivamente,
come ho ricordato, dal conferimento deciso dal
governo D'Alema di una cospicua forza aerea,
inclusi i mezzi d'attacco, al comando Nato.
P. S. Per quanto mi sia già dichiarato
incompetente in questioni di politica interna,
posso tuttavia ritenere che la ragione per cui
il presidente Prodi non riuscì a ricostituire il
governo, dopo il voto di sfiducia, consistette
nella sua indisponibilità, motivata da ragioni
di coerenza politica, ad accettare una
coalizione diversa da quella uscita dalle
elezioni del '96. Per cui un secondo governo
Prodi sarebbe stato minoritario in Parlamento, e
ciò in contrasto con la regola universale delle
democrazie parlamentari che, in caso di guerra
[SIC], prevede la formazione di governi di
coalizione e non di governi minoritari.
* ex ministro della Difesa
Corriere della Sera - http://www.corriere.it
Domenica 10 giugno 2001
LA LETTERA
Il presidente
Cossiga* interviene nel dibattito sulla
caduta del governo dell'Ulivo
´Prodi non
aveva i voti per rispettare gli impegni
Nato'
Caro Direttore,
ho letto con molta attenzione le lettere scritte
al Suo giornale dall' on. Prodi, presidente
della Commissione Europea, e dall'ex ministro
della Difesa del governo D' Alema I, l'amico
Carlo Scognamiglio.
Solo per precisare i fatti da un punto di vista
tecnico e politico, e quindi non per sollevare
polemiche - per carita' di patria - ma per amore
della verita', debbo dire che a coloro i quali,
come certamente Carlo Scognamiglio ed io, anche
contattati con preoccupazione e premura dai
rappresentanti dei governi alleati, seguivano
con apprensione l'avvicinarsi dell'inizio
dell'intervento umanitario nel Kosovo e quindi
le operazioni militari contro la Serbia, era ben
noto che il governo Prodi non aveva nel suo
complesso ne' la volonta' politica ne' la forza
parlamentare per poter prendere decisioni
all'altezza del nostro ruolo nella Nato. E
questo anche per la presenza, in esso e nella
sua base parlamentare, di forti componenti
pacifiste comuniste e cattoliche. La
prudenza di tutti stese in quel momento un
pietoso velo sui profondi dissensi affiorati nel
governo a proposito della nostra disponibilita'
ad affrontare le nostre responsabilita'.
La decisione, la cui responsabilita' l'on. Prodi
rivendica al suo governo, fu quella di mettere
le basi nazionali e Nato a disposizione delle
forze aeree dei Paesi alleati per le operazioni
aeree contro obiettivi jugoslavi, la cui
partecipazione noi peraltro avevamo declinato.
Ci sarebbe mancato altro di non dichiarare la
disponibilita' dell' Italia all' uso delle basi
nazionali Nato per le operazioni militari da
altri Paesi - e non da noi - condotte escludendo
un nostro diretto intervento!
Non fu facile per il governo D' Alema passare
dalla sola messa a disposizione delle basi al
trasferimento sotto comando Nato delle nostre
forze aeree, che anche solo sulla base del
concetto di difesa integrata, intervennero con
missioni di attacco contro obiettivi militari
jugoslavi nel Kosovo. Questa e' la verita'.
* Senatore a vita
3.
Onorevole Prodi, non tolga a D'Alema il
"merito" della guerra!
COMUNICATO STAMPA -
ASSOCIAZIONE PEACELINK
COMUNICATO
STAMPA - ASSOCIAZIONE PEACELINK - TELEMATICA
PER LA PACE
Onorevole
Prodi, non tolga a D'Alema il "merito" della
guerra!
In un articolo apparso sul Corriere della Sera
del 7 giugno 2001 l'ex Ministro della Difesa
Carlo Scognamiglio ha sostenuto che la nascita
del governo D'Alema e' stata in buona sostanza
un "parto pilotato" per creare un governo
politico in grado di affrontare l'imminente
emergenza militare dei Balcani.
Scognamiglio ha affermato testualmente che, dopo
la caduta del governo Prodi, "né il Presidente
Scalfaro, né l'on. D'Alema, avevano altra
scelta se non tentare di formare un governo
politico, (...) un governo che garantisse alle
Forze Armate italiane la possibilità di
assolvere con dignità i propri compiti
nell'Alleanza di fronte alla imminenza di un
conflitto che di necessità avrebbe visto
l'Italia nel ruolo di protagonista".
Il 9 giugno L'Onorevole Romano Prodi si e'
affrettato a replicare alle affermazioni di
Scognamiglio, e sempre dalle pagine del Corriere
della Sera ha sostenuto che "ancorché
dimissionario, fu il mio governo ad assumersi
la responsabilità di decidere a favore
dell'"Activation Order". E fui io stesso, come
Presidente del Consiglio, a firmare il relativo
provvedimento".
Per dovere di correttezza e di completezza
dell'informazione, invitiamo gli organi di
stampa a riportare l'esatto contenuto delle
disposizioni impartite dal Governo presieduto da
Romano Prodi nei giorni precedenti al suo
scioglimento.
I dati che stiamo
per citare sono liberamente consultabili
all'indirizzo
Dalla consultazione di questi dati emerge quanto
segue:
1) Le decisioni del governo Prodi, pur avendo
aderito all' "Activation Order" della Nato,
avevano esplicitamente limitato l'azione delle
Forze Armate al territorio nazionale, ne'
avevano autorizzato i bombardamenti che sono
stati successivamente effettuati ANCHE DA AEREI
DELL'AVIAZIONE ITALIANA, come risulta da
numerose fonti dirette.
2) Il governo Prodi ha unicamente autorizzato
attivita' di "DIFESA INTEGRATA" del territorio
nazionale, e non azioni militari al di fuori dei
confini della repubblica, affermando
esplicitamente che "Nell'attuale
situazione costituzionale il contributo delle
Forze Armate italiane sarà LIMITATO ALLE
ATTIVITA' DI DIFESA INTEGRATA del territorio
nazionale."
Con il termine "difesa integrata" si indicano
tutte quelle azioni di supporto e di
facilitazione delle operazioni militari condotte
dalle forze Nato nel territorio nazionale, e non
certo i bombardamenti autorizzati in seguito dal
governo D'Alema.
In questa circostanza il governo Prodi, parlando
dell'"attuale situazione costituzionale", ha
dimostrato di essere ben consapevole dei vincoli
imposti dall'articolo 11 della Costituzione:
"L'Italia ripudia la guerra come strumento di
offesa alla libertà degli altri popoli e come
mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali".
3) Il governo Prodi ha riconosciuto al
Parlamento la facolta' di deliberare l'azione
militare, affermando in un comunicato che, per
tutte le attivita' che esulano dalla Difesa
Integrata, "Ogni eventuale ulteriore impiego
delle Forze Armate dovrà essere autorizzato dal
Parlamento".
Il governo D'Alema, d'altro canto, non ha
riconosciuto al Parlamento la prerogativa di
essere l'unica autorita' in grado di deliberare
lo stato di guerra, e ha deciso unilateralmente
di dare il via all'azione
militare. Il dibattito parlamentare
sull'opportunita' e le modalita' di questa
azione militare e' avvenuto quando i
bombardamenti e i conseguenti "effetti
collaterali" erano gia' in atto da diverso
tempo.
Riteniamo pertanto che l'azione del governo
Prodi, ancorche' discutibile dal punto di vista
politico, sia comunque rimasta all'interno dei
limiti imposti dal dettato costituzionale,
limiti abbondantemente superati dalle successive
disposizioni impartite dal governo D'Alema.
Invitiamo i mezzi di informazione a documentare
nel modo piu' completo possibile gli avvenimenti
politici che hanno preceduto l'azione militare
della primavera del 1999, consultando anche e
soprattutto gli atti parlamentari e non
solamente le "lettere al direttore" con cui
ognuno espone la sua parziale versione dei
fatti.
Contemporaneamente esortiamo tutti i
rappresentanti politici che hanno preso parte a
vario titolo al governo D'Alema ad assumersi le
loro responsabilita' di fronte alla storia, di
fronte alla loro coscienza, e di fronte alle
vittime civili dell'azione militare contro la
Repubblica Federale di Yugoslavia.
Carlo Gubitosa
Segretario Associazione Peacelink
Volontariato dell'informazione
www.peacelink.it
info@ peacelink.it
ALLEGATO:
I comunicati relativi alla questione del Kossovo
emanati dal Governo
Prodi nei giorni immediatamente precedenti al
suo scioglimento.
Fonte: http://www.parlamento.it/att/uip/kosovo.htm
Comunicato n.
157 del 12 ottobre 1998 (Governo Prodi)
In apertura di seduta il Consiglio ha auspicato
che la trattativa in
corso a Belgrado e a Pristina abbia esito
positivo in modo da garantire
completa attuazione della delibera del Consiglio
di Sicurezza delle
Nazioni Unite a protezione dei cittadini del
Kosovo. Udite poi le
relazioni del Ministro degli Affari Esteri,
Lamberto Dini e del Ministro
della Difesa Beniamino Andreatta ha unanimemente
ritenuto di autorizzare
il Rappresentante permanente d'Italia presso la
Nato ad aderire al
cosiddetto Ordine di Attivazione (Act Ord).
Questa decisione si colloca
nel quadro delle delibere adottate in ambito
Onu. Di conseguenza
l'Italia metterà a disposizione le proprie basi
qualora dovesse
risultare necessario l'intervento militare da
parte dell'Alleanza
Atlantica per fronteggiare la crisi nel Kosovo.
Il Governo ribadisce che
l'obiettivo della Nato e dell'Italia é quello di
contribuire ad una
soluzione durevole per consentire di
fronteggiare l'imminenza di una
catastrofe umanitaria che minaccia la
sopravvivenza di circa 300.000
rifugiati in un'area così vicina al nostro
Paese. Nell'attuale
situazione costituzionale il contributo delle
Forze Armate italiane sarà
limitato alle attività di difesa integrata del
territorio nazionale.
Ogni eventuale ulteriore impiego delle Forze
Armate dovrà essere
autorizzato dal Parlamento.
Comunicato n.
158 del 16 ottobre 1998 (Governo Prodi)
Il Ministro degli Affari Esteri, Dini, ha svolto
una relazione sulle
tematiche di politica internazionale,
illustrando in particolare gli
svilupppi della crisi in Kosovo, anche alla luce
della riunione
ministeriale di ieri a Parigi del Gruppo di
Contatto. Il Ministro Dini
ha espresso soddisfazione per gli accordi
raggiunti a Belgrado nel
quadro del processo negoziale condotto
dall'Ambasciatore Holbrooke, con
l'appoggio del Gruppo di Contatto, in
particolare per l'intesa sulla
missione di verifica dell'Osce che verrà firmata
oggi e per quella sulla
sorveglianza aerea da parte della NATO già
firmata ieri a Belgrado. Tali
accordi sono il frutto del coordinamento fra la
pressione diplomatica e
quella militare e della coesione dimostrata dai
Paesi membri del Gruppo
di Contatto e dell'Alleanza Atlantica. Essi
devono tradursi al piu'
presto in una nuova Risoluzione del Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni
Unite, che conferisca loro definitiva autorità.
In merito alla missione
di verifica dell'Osce in Kosovo, cui l'Italia
contribuirà in maniera
significativa al pari degli altri Paesi europei
del Gruppo di Contatto,
Dini ha indicato che essa dovrà essere
dispiegata sul terreno nei tempi
piu' rapidi possibili, per monitorare il ritiro
delle forze speciali
dalla regione, consentire alle organizzazioni
umanitarie di tornare
nella regione e facilitare gli interventi a
favore dei profughi. In tale
contesto, ha ricordato che la Cooperazione
italiana ha già inviato una
missione a Belgrado e a Pristina per valutare la
possibilità di creare
in tempi brevi un sistema di centri di
accoglienza per gli sfollati. Il
Ministro ha infine ribadito che occorre portare
avanti l'azione di
pressione sulle parti in causa per l'avvio di
negoziati seri e
costruttivi sul futuro Statuto di autonomia che
consenta l'autogoverno
della regione, sulla base della piattaforma
presentata dall'Ambasciatore
Hill, col sostegno del Gruppo di Contatto.
La vigilia
della guerra
Come gli Usa
hanno operato, attraverso la Cia, per
trascinare l'Italia nell'aggressione contro
la Jugoslavia
La sera del 24
marzo 1999, quando si sono levati in volo i
bombardieri della Nato e sono partiti i primi
missili Cruise dalle navi militari americane
schierate nell'Adriatico, si è consumato un
evento che ha segnato una drammatica rottura
dell'ordine internazionale, come delineato dalla
Carta delle Nazioni Unite. Un gruppo di
potenze, unite sotto la "leadership" degli Stati
Uniti, attraverso una avventura bellica, ha
aperto una nuova avventura nelle relazioni
internazionali, rivendicando, manu militari, il
"diritto" della cosiddetta ingerenza umanitaria.
In realtà il diritto di regolare unilateralmente
le situazioni di crisi internazionale attraverso
la coercizione fondata sulla geometrica potenza
delle armi occidentali.
Quando il pomeriggio del 24 marzo il Parlamento
italiano è stato informato dal Governo che
l'azione della Nato era iniziata, i bombardieri
erano già in volo, la macchina da guerra si era
messa in moto secondo un progetto predisposto e
reso operativo da tempo, e la politica non
avrebbe potuto fare niente per arrestarla: ormai
si era consumato un evento (anche politicamente)
irreversibile. In quel frangente, nessuna forza
di maggioranza o di opposizione contraria alla
guerra, nessun sindacato, nessuna mobilitazione
popolare, nessuno sciopero generale (che non c'è
stato), avrebbe potuto fermare i bombardieri in
volo ed impedire che oltrepassassero quella
soglia, destinata a produrre quegli eventi
disastrosi per il Kosovo e la Serbia che si sono
sviluppati come vicende ineluttabili.
Se il 24 marzo la macchina bellica della Nato
non poteva più essere arrestata dalla politica,
allora v'è da chiedersi quando è maturata questa
irreparabilità, quando e da chi sono stati fatti
i passi, sono state compiute le scelte politiche
che hanno reso, prima, il ricorso alla guerra
possibile e, poi, ineluttabile?
Sebbene, a quella data, ormai irreversibile,
l'evento della guerra è stato frutto di un
processo politico il cui esito, per niente
scontato, è stato costruito tenacemente, dai
soggetti interessati, giorno per giorno,
manovrando diversi tasselli sullo scacchiere
internazionale, compreso quello della crisi di
governo in Italia e del rimpasto del governo in
Germania con l'allontanamento di La Fontaine. Se
tutti noi conosciamo la data di inizio della
guerra e possiamo collocarla in uno spazio
temporale e in una dimensione politica,
altrettanto non può dirsi per la vigilia della
guerra.
La vigilia
della guerra: il punto di svolta
Crista Wolf in Cassandra ricostruisce il
passaggio della società di Troia da uno stato di
pace ad uno stato di guerra ed il conseguente
degrado delle istituzioni, della politica, del
linguaggio di fronte all'avanzata dell'immagine
del nemico e si pone appassionatamente questa
domanda: quando è iniziata la vigilia della
guerra? Parafrasando Crista Wolf vogliamo
chiederci anche noi: quando è iniziata la
vigilia della guerra del Kosovo? Dove, e quando,
e da chi, sono state fatte le scelte politiche
che hanno spianato la strada alle armi e che
hanno fatto fallire ogni tentativo di soluzione
politica del conflitto, a cui tanto la
Jugoslavia, quanto la leadership albanese non
UCK, erano seriamente interessate?
Orbene, per quanto si tratti di un processo
politico, nel quale gli avvenimenti sono
concatenati fra di loro, un punto di svolta c'è
ed è possibile risalire ad esso. È la decisione
assunta dal Consiglio dei Ministri del Governo
Prodi, dopo la sfiducia, (votata dalla Camera il
9 ottobre), qualche ora prima di fare le valigie
e di sloggiare da Palazzo Chigi, relativa
adesione dell'Italia all'activation order.
Un comunicato di Palazzo Chigi del 12 ottobre
1998 informa che il Consiglio dei Ministri ha
deciso di autorizzare il rappresentante
permanente dell'Italia presso il Consiglio
Atlantico ad aderire al c.d. Activation
order. "Di conseguenza - recita il comunicato -
l'Italia metterà a disposizione le proprie basi
qualora risulterà necessario l'intervento
militare da parte dell'Alleanza atlantica per
fronteggiare la crisi del Kosovo? Nell'attuale
situazione costituzionale - conclude il
comunicato - il contributo delle forze armate
italiane sarà limitato alle attività di difesa
integrata del territorio nazionale. Ogni
eventuale ulteriore impiego delle Forze armate
italiane dovrà essere autorizzato dal
Parlamento."
Il giorno successivo, il 13 ottobre, il
Segretario Generale della Nato, Solana, emana
l'activation order e conferisce al Comandante
militare (SACEUR), generale Clark, il potere di
ordinare attacchi armati contro la Repubblica
federale Jugoslava. È il 13 ottobre del 1998 che
la macchina da guerra della Nato accende (non
solo in senso simbolico) i suoi motori. Non li
spegnerà più, malgrado l'accordo fra Milosevic
ed Hoolbroke del 14 ottobre, ed il conseguente
dispiegamento dell'OSCE nel Kosovo e malgrado i
negoziati intavolati a Rambouillet. Inizia così
la vigilia della guerra.
Come e attraverso quali percorsi politici si è
arrivati a questa svolta?
Il nuovo ruolo
strategico della NATO
Il retroterra è costituito dal conflitto nato
dalla dissoluzione della ex Jugoslavia, ed in
particolare dalla guerra nella Bosnia e dal
nuovo ruolo strategico militare che gli Stati
Uniti hanno concepito per la Nato dopo la fine
della guerra fredda e che è stato ufficialmente
proclamato a Washington il 24 aprile, proprio
mentre veniva sperimentato in vivo.
Pochi ricordano che nell'estate del 1993,
durante una delle fasi più oscure del conflitto
in Bosnia, si verificò un durissimo braccio di
ferro fra la Nato (che minacciava di intervenire
in Bosnia con bombardamenti contro le forze
serbo-bosniache) e l'Unprofor (i caschi blu
dell'Onu) che si opponeva con tutte le sue
forze. Il braccio di ferro si concluse con la
stipula di un memorandum d'intesa, siglato
nell'agosto dall'ammiraglio americano Jeremy
Borda (Comandante delle operazioni Nato) e dal
generale francese Jean Cot (Comandante delle
forze Unprofor) con quale fu stabilito il
principio che la Nato non poteva bombardare
senza il consenso della missione dell'Onu,
sebbene astrattamente autorizzata all'intervento
dalle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che
avevano stabilito alcune misure interdittive
della guerra e coercitive per i belligeranti. E
quando la Nato finalmente intervenne nella fase
finale della guerra in Bosnia, nella notte fra
il 29 ed il 30 agosto del 1995, ciò accadde
soltanto per effetto di una legittima (ma
inopportuna) richiesta di intervento dell'Onu,
che faceva seguito allo sconcerto ed
all'indignazione provocata dalla strage del
mercato di Sarajevo occorsa il giorno precedente
(28 agosto).
Furono proprio le vicende della guerra di Bosnia
e la possibilità - e per un limitato verso anche
l'esigenza - che la Nato giocasse un ruolo nel
contesto delle garanzie della sicurezza
internazionale a far si che venisse messa a
punto nell'ambito della Nato una strategia
operativa di intervento per la gestione delle
crisi, includendovi dentro tanto le tradizionali
(per l'Onu) missioni di peacekeeping
(mantenimento della pace), quanto le missioni di
peacebuilding (ricostruzione della pace), di cui
la missione militare dispiegata in Bosnia, a
seguito degli accordi di Dayton costituisce un
esempio classico, che le missioni di
peaceenforcing (per esempio, sorveglianza degli
embarghi delle armi) e le missioni di
peacemaking (costruire la pace attraverso un
vero e proprio intervento bellico).
La posizione
dell'Italia
In questo contesto, per la decisa posizione
assunta dall'Italia, durante il Governo Dini, fu
stabilito che la Nato non aveva legittimità a
ricorrere a misure comportanti l'uso della forza
senza la preventiva autorizzazione del Consiglio
di Sicurezza, come del resto prevede la Carta
delle Nazioni Unite. Addirittura in questo
periodo il ministro degli esteri del Governo
Dini, Susanna Agnelli, diede platealmente uno
schiaffo agli Stati Uniti, vietando - per
qualche tempo - che fossero dislocati ad Aviano
i cacciabombardieri invisibili Stealth, (che
saranno i principali protagonisti della guerra
del 99), fino a quando l'Italia non fu inclusa
nel Gruppo di contatto, da cui l'amministrazione
americana voleva tenerla fuori.
Questa posizione assunta dal Governo Dini fu
ereditata dal Governo Prodi e lo stesso Dini,
come ministro degli esteri la mantenne in piedi,
come posizione ufficiale della Farnesina, in
dichiarazioni pubbliche e comunicati stampa,
fino al settembre del 1998.
Nel frattempo la crisi della convivenza
interetnica fra serbi ed albanesi nel Kosovo si
aggravò in quanto qualcuno decise di soffiare
sul fuoco del conflitto armato, appoggiando una
banda armata (l'Uck) che aveva avuto oscure
origini e che fino a quel momento non aveva
giocato un ruolo effettivo.
È il 1° marzo 1998 la data che segnò l'inizio
della guerriglia dell'Uck, con l'uccisione di
due poliziotti serbi a Drenica, a cui fece
seguito una reazione inconsulta che provocò la
morte di venti albanesi. Nella primavera del
1998 si accesero i fuochi di sporadiche azioni
di guerriglia a cui fecero seguito drastiche
azioni di repressione.
A questo punto la Nato, sotto la spinta
dell'amministrazione americana, decise di
intervenire "politicamente" nel conflitto
lanciando, con un comunicato del Consiglio
atlantico del 28 maggio, un duro monito a
Belgrado, in cui lasciava intravedere la
possibilità di un intervento militare. Questa
posizione, in realtà, più che favorire un self
restraint da parte dell'apparato militare
jugoslavo, non poteva che incoraggiare l'Uck
sulla strada della guerriglia che, seppure
perdente sul terreno, in prospettiva diventava
vincente, potendo giocare un ruolo di detonatore
per l'intervento militare occidentale. I
furiosi combattimenti che ne sono seguiti
durante l'estate del 98 e la durissima
repressione scatenata dalle forze di sicurezza
serbe (peraltro ingigantita dalla stampa
internazionale con la fabbricazione di notizie
false) hanno sollecitato lo sdegno dell'opinione
pubblica internazionale, creando l'humus
politico favorevole per l'intervento della Nato.
Un problema da
risolvere
C'era, però, un problema da risolvere. La carta
delle Nazioni Unite non consente che gruppi di
Stati possano
ricorrere all'uso della forza per regolare le
crisi internazionali e, conseguentemente, la
Nato non aveva alcuna legittimità per effettuare
un intervento militare per regolare la crisi del
Kosovo, aggredendo una delle parti in conflitto
ed alleandosi con l'altra.
Nel corso della primavera, dell'estate e del
mese di settembre del 1998 si sviluppò un
dibattito sulla possibilità che la Nato
intervenisse militarmente nel Kosovo, anche in
assenza di una formale autorizzazione da parte
del Consiglio di Sicurezza. Tale dibattito
nascondeva un conflitto politico durissimo fra
Stati Uniti e Gran Bretagna (che sostenevano la
tesi della legittimità del ricorso alla forza) e
l'Italia che continuava ad opporsi.
Tale posizione, peraltro, non era affatto
scontata all'interno del Governo italiano, in
quanto il Ministro della difesa Beniamino
Andreatta, propugnava l'allineamento totale
dell'Italia alle esigenze degli Stati Uniti,
secondo la tradizionale politica di "fedeltà
atlantica"; tuttavia gli equilibri politici di
maggioranza escludevano che il Governo Prodi
potesse assumere una posizione differente senza
rischiare una crisi.
È sorta a questo punto per l'Alleato americano
l'esigenza di provocare un mutamento di Governo
in Italia per ottenere una maggioranza più
omogenea alle esigenze belliche della Nato.
Poiché non si poteva correre il rischio di nuove
elezioni, il cui esito non sarebbe stato
prevedibile, è sorta l'esigenza di trovare una
maggioranza di ricambio che potesse fare
accrescere il tasso di "fedeltà atlantica"
dell'Italia, sostituendo Rifondazione comunista
con forze più omogenee alla Nato.
Il ruolo di
Cossiga
A questo punto è stato attivato il più
autorevole dei terminali della Cia nel sistema
politico italiano, l'ex Presidente della
Repubblica Francesco Cossiga, l'uomo di Gladio.
Cossiga, fino all'inizio del 1998, aveva svolto
un ruolo di tutore del centro destra e sembrava
che volesse contendere a Berlusconi la
leadership della destra. Nella primavera
del 1998 Cossiga ha fatto un revirement e,
utilizzando la sua influenza politica occulta ma
reale sul sistema politico italiano, è riuscito
a staccare una frazione di deputati e senatori
dal centro destra, fondando l'Udeur, con il
dichiarato scopo di far nascere una nuova
maggioranza politica che sostituisse quella
basata sull'alleanza dell'Ulivo più Rifondazione
e guidata da Prodi.
Quasi tutti hanno commentato l'operazione Udeur
guidata da Cossiga come una manifestazione del
peggiore costume trasformistico italiano. Ed
invece tale operazione, che si avvaleva si della
tendenza al trasformismo esistente nel sistema
politico italiano, aveva uno specifico
significato ed un preciso obiettivo di natura
internazionale: quello di provocare un mutamento
della posizione internazionale dell'Italia e di
ottenere la legittimazione della Nato al ricorso
alla guerra, come strumento della politica di
potenza americana. Operazione
perfettamente riuscita.
Perso il condizionamento di Rifondazione
comunista, indeboliti i Verdi, indebolita la
posizione autonomistica di Dini, il 12 ottobre
1998 il Governo Prodi, sebbene sfiduciato, ha
compiuto l'atto politicamente più rilevante
dalla sua nascita, e più gravido di conseguenze
per il futuro, accettando l'adesione dell'Italia
all'activation order.
La svolta
In sede politica la svolta dell'Italia sulla
liceità del ricorso all'uso della forza da parte
della Nato era stata propugnata dall'allora
segretario del partito dei DS - l'on. D'Alema -
e dal sottosegretario alla Difesa, Brutti, i
quali si erano affrettati a dichiarare che la
concessione dell'uso delle basi italiane (nella
imminente guerra contro la Jugoslavia)
costituiva un "atto dovuto" ed un effetto
"automatico" della partecipazione italiana alla
Nato.
Era ormai alle porte un Governo D'Alema, con la
benedizione di Cossiga e con l'uomo giusto,
Carlo Scognamillo, al posto giusto, il Ministero
della Difesa.
Sul Foglio del 4 ottobre 2000 proprio Carlo
Scognamiglio, polemizzando con James Rubin, l'ex
portavoce di Madeleine Albright, si lascia
sfuggire: A Rubin sfugge
che in Italia avevamo dovuto cambiare governo
proprio per fronteggiare gli impegni
politici-militari che si delineavano in
Kosovo? Prodi ad ottobre aveva espresso una
disponibilità di massima all'uso delle basi
italiane, ma per la presenza di Rifondazione
nella sua maggioranza non avrebbe mai potuto
impegnarsi in azioni militari. Per questo il
senatore Cossiga ed io ritenemmo che occorreva
un accordo chiaro con l'on. D'Alema.
In che cosa consisteva questo accordo? Due
parti. La prima era il rispetto dell'impegno per
l'euro... la seconda era il vincolo di lealtà
alla Nato: l'Italia avrebbe dovuto fare
esattamente ciò che la Nato avrebbe deciso di
fare. Questo è esattamente ciò che l'Italia ha
fatto.
Adesso che la missione è compiuta Cossiga può
rientrare nel centro destra. D'Alema è già
tornato a casa.
Veltroni
rivendica; la Melandri non c'era e se
c'era dormiva
Date: Wed, 9 Apr
2003 13:55:01 +0200 From: "Gian"
"Dovere della
sinistra far guerra a un dittatore"
Intervista a Walter Veltroni
su La Repubblica 1 aprile '99
"Da mesi parlo
della Birmania, del Ruanda, di Cuba e dei
dissidenti sbattuti in galera da Castro, o
ricordavo a Jang Zemin in visita in Italia
le esecuzioni degli oppositori in Cina.
Adesso si vede qual è il filo conduttore di
questa politica: il tentativo di costruire
una Sinistra che faccia dei diritti umani il
suo nuovo 'internazionalismo', come ha detto
Tony Blair alla convention dei socialisti
europei a Milano. Una nuova coscienza dei
disastri umanitari, del dolore, della
catastrofe che c'è in tante parti del mondo.
Il Kosovo, per colpa di Milosevic, è oggi la
parte più devastata da questo flagello. Per
farlo finire, purtroppo, la comunità
internazionale è costretta ad usare lo
strumento estremo, i bombardamenti"
Walter Veltroni
http://www.democraticidisinistra.it/interviste/veltroni010499.htm
"La sinistra
italiana che sosteneva il principio della
non ingerenza e della sovranità nazionale
sta facendo un grande salto di maturità. Una
sinistra nuova che capisce che ci sono
valori, principi e diritti che non possono
essere cancellati. Tra i giovani, tra gli
studenti c'è la consapevolezza che quando ci
sono centinaia di migliaia di persone che
scappano può essere necessario usare la
forza per aiutare i deboli. Si parla della
guerra giusta ma io vorrei introdurre il
concetto della pace giusta. Finché ci sono
la diaspora, la pulizia etnica, gli stupri,
le decapitazioni, non c'è pace, anche se i
bombardieri tacciono"
Walter Veltroni
http://www.democraticidisinistra.it/interviste/intervista_veltroni1004.htm
"Stavano
avvenendo cose di fronte alle quali non ci
si può più limitare alla compassione e alla
condanna: le decapitazioni, le fosse comuni,
lo sterminio. Vedi, a quelli che l'altro
giorno sono venuti davanti a Montecitorio
con gli ulivi insanguinati, io potrei dire:
dov'eravate, amici, dov'erano i vostri fiori
quando i serbi compivano atrocità e
uccidevano 300 mila esseri umani in Bosnia?"
Intervista a Walter Veltroni su l'Unità 29
marzo '99
http://www.democraticidisinistra.it/interviste/veltroni290399.htm
Giovanna Melandri dichiara a Ballarò dell'8
aprile 2003 che la guerra alla Jugoslavia era da
considerarsi legittima per tre motivi:
- La guerra era autorizzata dalla Nato (sic)
- La guerra era motivata dal massacro di
Srebrenica avvenuto "poco prima" (sic)
- La guerra avveniva dopo l'uccisione di 300.000
kosovari (sic)
Soffermiamoci sull'ultima menzogna
auto-assolutoria di Giovanna Melandri. Il
segretario
alla difesa americana William Cohen affermò
che in Kosovo erano stati uccisi dai serbi
100.000 Kosovari. D'Alema alzò la cifra nei
giorni del conflitto e parlò di 200.000 vittime,
non distinguendo i profughi dagli assassinati.
Oggi la Melandri integra un numero già
spaventoso di vittime al rialzo per giustificare
quella guerra ormai persa nella memoria, e parla
di 300.000 morti. Questa operazione rialzista è
una operazione sporca, da democrazia americana.
Ma, e la cosa è ancor più grave in questi giorni
di eccidi giustificati da fumo ideologico,
l'onorevole Melandri nega il riconoscimento
storico della infondatezza di queste cifre. Al
pari delle vittime delle torri gemelle -che son
passate da 50.000 (200.000 per la
Fallaci) a 3.000 vittime- anche le vittime della
"pulizia etnica" nel Kosovo sono state
ampiamente ridimensionate e anche questa parte
della conquista del continente europeo
probabilmente dovrà essere riscritta. Ad oggi il
tribunale penale internazionale accusa il
"regime di Milosevic" di alcune centinaia di
morti (670 vittime secondo i servizi segreti
croati non certo vicini ai serbi, 187 secondo
il
rapporto dei medici del Tribunale dell'Aja
per i crimini di guerra in Jugoslavia.
Val la pena di
ricordare alcuni degli episodi della guerra
umanitaria alla Jugoslavia nel 1999
31 Maggio Colpito l'ospedale di Surdulica, il
bilancio parla di venti morti.
19 Maggio Colpito l'ospedale di Belgrado, tre
morti.
14 Maggio Colpito villaggio Kosovaro 100 morti.
7 Maggio Colpito ospedale e mercato di Nis 20
morti.
7 Maggio Colpita l'ambasciata cinese 3
giornalisti morti e 20 diplomatici feriti.
1 Maggio Colpita corriera a Luzane 40 morti.
27 Aprile Surdulica: decine di case distrutte e
diversi morti civili per missili fuori rotta.
23 Aprile Belgrado: 16 dipendenti della TV serba
uccisi; obiettivo legittimo per la Nato.
14 Aprile Djakovica: 75 kosovari uccisi,
addebitati inizialmente ai serbi, in realtà per
missili alleati.
12 Aprile Aleksinac: edifici civili abbattuti
per errore.
Dal 16 marzo 1999, 23.000 missili e bombe furono
sganciate su un Paese di 11 milioni di abitanti.
35.000 cluster bombs (a frammentazione, armi di
distruzione di massa contrarie alla convenzione
di Ginevra) ed a grafite; furono usati 31.000
proiettili ad uranio impoverito, con rilascio di
materiale contaminante su tutta la Jugoslavia.
In 78 giorni di bombardamenti furono colpite
scuole, ospedali, fattorie, ponti, strade e vie
acquatiche.
http://www.romacivica.net/forumdac/Usawarcrimes.htm
D'Alema ha
detto / Hanno detto di D'Alema
... E' difficile definire
le regole di appartenenza al giro nobile dei grandi,
non esiste uno statuto. Di fatto ti rendi conto di
essere entrato
in una certa agenda di telefonate del presidente degli
Stati Uniti...
(da: Massimo D'Alema
"Gli italiani e la guerra", Mondadori)
---
Italia/Luttwak: "per gli Usa D'Alema fu più
affidabile di Berlusconi"
''Nel 1999 il governo di
Massimo D'Alema ha combattuto nel Kosovo ed e'
rimasto lealmente al fianco degli americani dal
principio fino alla fine della guerra. Nel 2003 il
governo di Silvio Berlusconi non ha partecipato
all'intervento in Iraq. Questa e' l'unica vera
differenza che Washington ha notato fra il
centrosinistra ed il centrodestra, sul piano della
strategia militare''. Lo afferma a ''La
Stampa'' Edward Luttwak, Senior fellow del Center for
Strategical and International Studies.
E, riguardo le affermazioni del presidente del
Consiglio, Silvio Berlusconi, secondo cui il capo
della Casa Bianca, George Bush, avrebbe lasciato
intendere di non volere il ritorno del centrosinistra
a Palazzo Chigi, Luttwak afferma ancora: ''In generale, per
principio, il governo americano non dichiarerebbe
mai di non poter lavorare con l'opposizione di un
Paese democratico, quando andasse al potere vincendo
regolari elezioni''.
''Non lo facciamo
-aggiunge l'esperto statunitense- neanche quando gli
oppositori sono i nostri peggiori nemici. Nel caso
dell'Italia, poi, gli Stati Uniti hanno gia'
lavorato col centrosinistra, e si sono trovati
meglio che con gli altri governi ostentatamente
filoamericani''.
FONTE:
http://www.contropiano.org/doc_europa&russia.asp
02.11.05 - Italia/Luttwak: "per gli Usa D'Alema fu più
affidabile di Berlusconi"
---
...Vorrei ricordare
che quanto a impegno nelle operazioni militari noi siamo stati, nei
78 giorni del conflitto, il terzo Paese, dopo gli
USA e la Francia, e
prima della Gran Bretagna. In quanto ai tedeschi,
hanno fatto molta
politica ma il loro sforzo militare non è
paragonabile al nostro: parlo non
solo delle basi che ovviamente abbiamo messo a disposizione, ma
anche dei nostri 52 aerei, delle nostre navi.
L'Italia si trovava
veramente in prima linea...
"D'Alema al Quirinale? Candidabile a
prescindere da me alla Camera". Lo ha
affermato il segretario di Rifondazione comunista
Fausto Bertinotti, nel corso di "Controcorrente",
l'approfondimento di SKY TG24 condotto da Corrado
Formigli precisando che l'ideale successore di Ciampi
"dovrebbe essere un
uomo o una donna che
per prima cosa si ispiri all'art 11 della
Costituzione".
Se le barzellette di Berlusconi non fanno più ridere
neppure al bar e quelle su Berlusconi sono banali più
di una dichiarazione di Rutelli, per fortuna ci sono
quelle di Bertinotti.
"D'Alema è candidabile al Quirinale". Bella scoperta:
ha l'età, i diritti politici ed un certo numero di
grandi elettori. Ma fantastica è la precisazione: il
nuovo presidente "dovrebbe essere un uomo o una donna
che per prima cosa si ispiri all'art. 11 della
Costituzione". Perfetto! L''uomo giusto (il
bombardatore della Jugoslavia) al posto giusto. Del
resto, c'è una regola che ha funzionato quasi sempre:
ogni presidente della Repubblica riesce sempre a far
rimpiangere il suo predecessore. Col Ciampi tanto
amato da Fini si tratta di un'impresa davvero
titanica, ma ci riusciranno anche questa volta grazie
anche al contributo del signore di cui sopra.
Fonte: Notiziario del
Campo Antimperialista ... 4 dicembre 2005 ...
http://www.antiimperialista.org
---
A D'Alema va conferito un “altissimo
ruolo istituzionale”
Rina Gagliardi su
“Liberazione” del 23 dicembre 2005
pag. 12, ultime due colonne, 13sima riga
L'avvocato Vilardo
sulla candidatura di D'Alema
D'ALEMA
NO.
Aprile-maggio 2006
- Dall'avvocato Pasquale Vilardo riceviamo queste
importanti note, riportate di seguito, che ci trovano
assolutamente d'accordo.
Il ripudio della guerra come strumento di risoluzione
delle controversie internazionali rimane un criterio
guida dell'agire politico di tutti i cittadini
democratici. Principi così fondamentali non si barattano
per un piatto di lenticchie. I rappresentanti politici
devono rispettare i sentimenti ed i valori pacifisti dei
loro elettori oltrechè, naturalmente, le leggi
fondamentali della Repubblica.
La guerra di aggressione contro la RF di Jugoslavia, nel
1999, non è stata solo illegale, ma anche criminale,
avendo causato centinaia di morti civili innocenti sul
colpo e molte decine di migliaia di morti ammazzati in
seguito alle conseguenze ambientali dei bombardamenti.
Essa è stata condotta usando armi vietate, ed ha avuto
come conseguenza diretta la "pulizia etnica" delle
comunità non albanofone dalla provincia serba del
Kosmet, con veri e propri pogrom ed atti vandalici anche
contro beni culturali sulla carta tutelati dall'UNESCO.
Il Kosmet, dal giugno 1999 in poi, pur militarmente
occupato dagli aggressori del paese sotto ipocrita
copertura ONU, è diventato il paradiso della criminalità
organizzata che gestisce il traffico di droga,
prostituzione ed armi in Europa: non è azzardato dire
che la guerra di aggressione del 1999 sia stata
scatenata da certi poteri in seno alla NATO anche per
tutelare gli interessi criminali di queste bande mafiose
delle quali l'UCK ha rappresentato la mera
infrastruttura militare. Dal punto di vista strettamente
politico, tra gli obiettivi in gran parte conseguiti di
quei bombardamenti del 1999 vanno annoverati: 1) una
nuova secessione su base razziale nel già massacrato
contesto balcanico 2) il furto giuridico ed economico ai
danni della RF di Jugoslavia, fino allo scioglimento
formale di questo Stato 3) la delegittimazione dell'ONU
e dei principi fondamentali del diritto nazionale ed
internazionale.
Per tutti questi motivi - giuridici, etici e politici -
la proposta di assegnare qualsivoglia incarico
istituzionale a Massimo D'Alema è irricevibile e ci vede
come strenui oppositori.
A. Martocchia
(resp.
politico,
Coord. Naz. per la Jugoslavia)
----- Original
Message -----
From: Avv.Vilardo Pasquale
To: lettere@liberazione.it
Sent: Thursday, April 20, 2006 8:18 AM
Subject: D'ALEMA , L'OPPOSIZIONE ALLA GUERRA, LA
NONVIOLENZA.
D'ALEMA, L'OPPOSIZIONE ALLA
GUERRA, LA NONVIOLENZA.
Caro direttore,
in questi giorni impazza il "D'Alema for
President" - dal toto-Quirinale al toto-Camera -,
ma voglio ricordare, per il popolo
dell'opposizione alla guerra e della nonviolenza
che ha eletto il 9 aprile numerosi suoi
rappresentantti alla Camera e al Senato, che
D'Alema e' stato denunciato per l'illegalita' e la
disumanita' della guerra del 1999 di aggressione
alla ex Jugoslavia, nella sua qualita' di
Presidente del Consiglio, per la violazione degli
art.11 e 78 della Costituzione e di svariati
articoli del codice penale.
All'epoca le denunce vennero archiviate, sulla
base del presupposto che le Camere avessero
dichiarato formalmente lo stato di guerra ai sensi
dell'art.78 della Costituzione. Ma non e' stato
cosi', tanto e' vero che Nichi Vendola scrisse un
articolo su Liberazione per ribadire che le Camere
vennero messe di fronte al fatto compiuto e che
numerosi parlamentari - finanche di centrodestra -
hanno confermato la versione di Vendola, del resto
suffragata dai resoconti parlamentari,
scrupolosamente letti e riletti da un valente
magistrato incaricato a cio'.
Ci sono tutti i presupposti dunque perche'
l'istanza redatta da tempo dai giuristi del PRC ai
sensi dell'art. 2 comma 2 della legge del 5 giugno
1989 n.219 perche' venga revocato il decreto di
archiviazione e si proceda nei confronti di
D'Alema sia depositata alla Procura della
Repubblica presso il Tribunale di Roma.
Ma a parte l'aspetto giuridico, c'e' una domanda
etico-politica cui rispondere: e' possibile votare
D'Alema sulla base di principi quali la non
violenza e l'opposizione alla guerra? Possibile
che in tutta l'Unione non ci siano altri candidati
per cariche cosi' importanti e impegnative sotto
il profilo politico, giuridico ed etico?
Avv. Pasquale Vilardo,
portavoce dell'Associazione Giuristi Democratici
di Roma.
Prevod sa
italijanskog na srpsko-hrvatski (olga daric)
Pismo direktoru dnevnika Liberazione (organ PRC)
lettere @ liberazione.it
20. aprila 2006.
Advakat Paskuale Vilardo u ime Rimskog Saveza
Demokratskih Pravnika.
Pismo ocito zasluzuje paznju najsire medjunarodne
miroljubive javnosti, zato je prevedeno.
<< Dragi druze,
U poslednje vreme u najvisim organima
vlasti sve bruji od poklica "D'Alemu za
predsednika." U ime mira i naroda koji se
aktivno bori protiv politike rata, te je shodno
tome 9. aprila izglasao prilican broj poslanika,
svojih predstavnika, u Poslanicki Dom i Senat,
podsecam da je protiv D'Aleme podignuta
optuznica zbog proizvoljne i zverske agresije na
Jugoslaviju. U svojstvu predsednika Ministarskog
Saveta D'Alema je pogazio clan 11 i clan 78
Ustava kao i citav niz drugih iz Krivicnog
prava. Sve tuzbe koje su protiv D'Aleme tada
podnete arhivisane su uz obrazlozenje da su oba
Poslanicka doma zvanicno proglasila rat u smislu
clana 78 Ustava. To, medjutim, nije istina.
Utoloko pre sto je Liberazione objavio clanak iz
pera Niki Vendole gde se jasno kaze da su
oba Doma bila stavljena pred svrsen cin, sto su
potvrdili mnogi poslanici, pa i oni iz redova
desnog centra. Uostalom nadlezni sudija je do
istog zakljucka dosao posle iscrpnog i pomnog
proucavanja skupstinskih zapisnika. Dakle, zadovoljeni su svi uslovi da
tuzbe protiv D'Aleme svojevremeno podnete od
pravnika Partije Rifondacione Komunista (PRC)
shodno clanu 2, stav 2 zakona n° 219 iz 5. juna
1989. budu uzete u razmatranje i prosledjene
nadleznom sudu u Rimu kako bi krivicni postupak
gonjenja mogao poceti. Napomenucu jos da pored tog pravnog
naboja,D'Alemin slucaj ima i svoju
moralno-politicku konotaciju pa je neumitno
pitanje : je li moguce glasati za D'Alemu sa
stanovista miroljubive koegzistencije i aktivne
borbe protiv politike rata i nasilja? Zar je
moguce da u vasceloj vladajucoj koaliciji ne
postoji niko podobniji od D'Alema sa politicke,
eticke i pravne tacke gledista?
Advokat Pasquale Vilardo, predstavnik Rimskog Saveza Demokratskih
Pravnika >>
----- Original Message -----
From: Avv.Vilardo Pasquale
Sent: Monday, May 01, 2006 6:16 PM
Subject: All'attenzione di Rina Gagliardi e del direttore
Piero Sansonetti. INOLTRO.
Inoltro gli interrogativi posti a Rina
Gagliardi e al direttore di Liberazione
sull'eventuale candidatura di D'Alema a capo dello
stato sia per conoscenza che per richiedere lumi a coloro
che a suo tempo proposero le denunce - e sono
numerosi tra PRC e GD, ad esempio - e ancora
oggi fanno il discorso del diritto e della guerra,
ma anche della difesa della Costituzione e sulla
nonviolenza, perche' francamente sono perplesso a fronte
di questa reiterata proposta, tanto piu' perche' l'Unione
ha in Parlamento i numeri per non cedere a nessun ricatto
bipartisan e quindi per agire in positivo.
Mi pare che i principi giuridici, politici ed etici in
ballo siano evidenti: o abbiamo sbagliato noi ad opporci
alle guerre anche in quanto illegali e dopo i "ragazzi di
Salo' " vedremo la riabilitazione dei "bombardieri
umanitari", dei mercenari e peggio ancora?
E poi, preparandoci alla battaglia sul referendum
costituzionale, come difendiamo articoli e principi come
quelli che scaturiscono dagli articoli 11, 78, 87 della
stessa con un capo dello stato che da capo del governo li
ha bellamente violati senza che si abbia notizia
pubblica di un'autocritica?
O dobbiamo liberarci dei nostri studi giuridici e dei
nostri principi politici di decenni e decenni - a
sinistra e nell'area comunista - in quanto vecchi
arnesi obsoleti e ormai di impaccio alla
governabilita'?
Pasquale Vilardo
----- Original Message -----
From: Avv.Vilardo Pasquale
Sent: Monday, May 01, 2006 3:46 PM
Subject: All'attenzione di Rina Gagliardi e del direttore
Piero Sansonetti.
ALL'ATTENZIONE DI RINA GAGLIARDI E DEL DIRETTORE PIERO
SANSONETTI.
Cara Rina Gagliardi,
ho letto il tuo articolo su Liberazione di oggi - 1.5.06
- dal titolo " La corsa al Quirinale ..." nel quale
riproponi la candidatura di D'Alema per il Quirinale
e pertanto reinvio per conoscenza la mia lettera al
giornale in proposito, non pubblicata, con le seguenti
precisazioni.
1. Nel 1999 la guerra dei governi della Nato all'ex
Jugoslavia provoco' un imponente movimento internazionale
di giuristi contro l'illegalita' e la disumanita'
della stessa.
In Italia i giuristi del PRC furono protagonisti di quel
movimento, che sfocio' in 14 procedimenti dinanzi a 14
diverse Procure della Repubblica firmate da centinaia di
cittadini, con in prima fila numerosi parlamentari e
dirigenti nazionali e locali del PRC.
Ne scaturi' un procedimernto penale a carico di
D'Alema in qualita' di Presidente del Consiglio per
violazione degli articoli 11, 78, 87 della Costituzione e
di articoli del codice penale quali quelli ex art. 283,
287 e 422.
Il Tribunale dei Ministri archivio' perche' ritenne che il
Parlamento aveva formalmente dichiarato la guerra ex
art.78 Cost. Ma non era cosi', il Parlamento era stato
messo di fronte al fatto compiuto: infatti, Nichi Vendola
scrisse un articolo su Liberazione in proposito, vari
parlamentari assentirono (tra loro il sottosegretario di
D'Alema ed esponenti del centrodestra, oltre quelli
della sinistra radicale), un magistrato
incaricato all'uopo lesse i resoconti parlamentari e
confermo' il tutto.
Nel frattempo, in conseguenza di quella guerra illegale,
veniva approvato informalmente dai governi in carica -
senza alcun passaggio parlamentare - il nuovo trattato
della NATO, esplodeva la vicenda dell'uranio impoverito e
la tragedia jugoslava si aggravava a dismisura, ad
indicare altre conseguenze nefaste.
A questo punto - a norma di legge - il decreto di
archiviazione su D'Alema puo' essere revocato e infatti
tra giuristi del PRC vi e' stata anche una deliberazione
in tal senso, anche se non posta in essere.
2. Dopo il 1999 lo spettro delle guerre imperiali si e'
aggravato a dismisura, il PRC ha adottato la linea della
non violenza, la nostra Costituzione rischia ormai di
essere stravolta e sostituita con un'altra, di
impianto autoritario e liberista.
3. Alla luce di quanto sopra non ti pare che:
- la candidatura di D'Alema al Quirinale e' in stridente
contrasto con la lotta del movimento per la pace contro
l'illegalita' della guerra alla ex Jugoslavia del 1999 e -
piu' in generale - con lotta per la difesa
della Costituzione e la linea della nonviolenza del PRC?
- non si rischia cosi' di deludere il movimento, sociale
politico e giuridico, contro la guerra, e di infilare il
PRC in un tunnel di terribili contraddizioni, a mio avviso
indifendibili?
Alcuni dei protagonisti del movimento politico e giuridico
contro la guerra hanno gia' approvato la mia lettera
non pubblicata, formulando esplicite richieste al PRC, tra
i cui parlamentari numerosi sono coloro che pure hanno
denunciato D'Alema.
Di piu': il Presidente della Repubblica puo' anche essere
un non parlamentare, perche' dunque insistere con questa
mono-richiesta cosi' discutibile, inopportuna e
contraddittoria con la stessa storia e gli stessi principi
del PRC?
E comunque pensa anche al prossimo futuro: con
comportamenti del genere ritieni che il PRC reggera' poi
alle critiche, in campo sociale politico giuridico etico?
E - di grazia - con quali argomentazioni serie?
Non so se sono il Don Chisciotte della situazione, scrivo
anche per dirimere i miei stessi dubbi, che sono tanti,
pero' ammetterai che gli interrogativi sono seri,
inquietanti, ineludibili. Non a caso vorremmo ri-fondare
il movimento comunista, in discontinuita' netta con gli
errori e le tragedie del passato. E il vizio di dire una
cosa prima di essere eletti e di farne poi un'altra "una
volta in sella politico-istituzionale", lasciamolo ai
politici del pensiero unico, capitalista e borghese: noi
siamo diversi, siamo comunisti e vogliamo cambiare (in
meglio) le cose.
A tale proposito trascrivo le parole di Nichi Vendola su
"Liberazione" del 30.12.99, a commento del
decreto di archiviazione su D'Alema:
<< ... "c'e' un
giudice a Berlino!" A Roma quel giudice e' in vacanza o,
se c'e', e' assai distratto, non conosce bene neppure le
norme scritte nella carta costituzionale, non legge
neppure i giornali: infatti l'alta magistratura
capitolina ha archiviato le trenta denunce, presentate
da illustri giuristi e da alcune migliaia di italiani,
contro il governo D'Alema per la guerra d' aggressione
alla Repubblica jugoslava: dicono questi Soloni (potremo
chiamarli "toghe nere") che non vi e' stata
illegittimita' ne' reato, perche' l'intervento militare
fu preventivamente avallato dal Parlamento: una menzogna
evidente, per chiunque sappia leggere e scrivere:
Signori della corte, a me parlamentare fu negato per
svariati giorni persino uno straccio di dibattito, le
parole e un truffaldino voto vennero dopo, a guerra
avviata. Davvero non lo sapevate? Le guerre sono sempre,
fra l'altro, strage di verita'... >>
E del resto finanche il Sottosegretario alla
Presidenza del Consiglio on. Minniti sul " Corriere della Sera " del 30.6.99
ammette:
<< Eravamo in
aula con i parlamentari che si interrogavano
sull'opportunita' di un intervento aereo mentre gli
aerei erano gia' in volo. Il Parlamento discuteva e
intanto tutto stava gia' accadendo. >>
Avv. Pasquale Vilardo
P.S.
Per sottolineare l' "internita'" politica e giuridica
della mia critica faccio presente che sono dirigente del
circolo PRC di Ponte Milvio e faccio parte degli organismi
giuridici del PRC, dei Giuristi Democratici e del comitato
per la difesa della Costituzione.
Il più tranchant è stato il drammaturgo inglese Harold
Pinter: "La politica estera americana si può definire
nel modo seguente: baciami il culo o ti rompo la faccia.
Milosevic si è rifiutato di baciare il culo dell'
America e allora Clinton rompe la faccia al popolo
serbo". La più sorprendente senza dubbio Vanessa
Redgrave: grande attrice, grande figura della sinistra
britannica, pacifista di lungo corso, non ha esitato un
minuto e si è schierata a favore dei bombardamenti della
Nato sulla Serbia. Due esempi a puro titolo di
campionatura: sono molti in tutta Europa e fuori gli
intellettuali che si sono schierati, chi rispondendo
alle angosce che dettava il proprio animo, chi agitando
le proprie competenze, chi rincorrendo una propria
verità per intuizione, con slancio poetico, chi aderendo
ad un appello, chi sgambettando sul teatrino delle
vanità. Accanto a quelli che hanno fatto prevalere le
ragioni di un "sì" o di un "no" all' intervento dell'
Alleanza contro Milosevic, ci sono i tanti che hanno
squadernato dubbi. Gli intellettuali del Vecchio
Continente parlano senza frontiere. Le loro parole
rimbalzano da un quotidiano all' altro. Nessuna sorpresa
dunque se uno dei più acuti scontri si sia acceso fra l'
americana Susan Sontag e l' austriaco Peter Handke, da
tempo apologeta di Milosevic. La scrittrice de L' amante
del vulcano, che durante i bombardamenti mise in scena a
Sarajevo un Aspettando Godot, ha accusato senza
perifrasi il suo collega di essere, al pari di
Louis-Ferdinand Céline, geniale come scrittore, ma
pessimo come uomo, assimilando la smaccata propaganda
filoserba di Handke all' antisemitismo e al filonazismo
dell' autore di Viaggio al centro della notte. Contro
Handke si è scagliato anche Salman Rushdie, che gli ha
addebitato molte "idiozie", e lo ha immaginato a
rivaleggiare "in scemenze di classe mondiale con l'
attore Charlton Heston". Un altro elemento di rilievo è
quell' effetto di sparigliamento che molti interventi
suscitano. Chi avrebbe mai pensato di trovare Jurgen
Habermas su posizioni così critiche nei confronti del
pacifismo? Eppure il filosofo tedesco ha trovato molti
punti deboli in chi accusa gli Stati Uniti di voler
garantire e approfondire la propria sfera di influenza
colpendo la Serbia. In Inghilterra prevale anche fra gli
intellettuali la linea di Tony Blair, il più impegnato
nel conflitto a fianco degli Stati Uniti. "La Serbia di
Milosevic", scrive il Guardian, "è assimilata alla
Spagna di Franco durante la guerra civile". E questa
sovrapposizione ha più forza dell' antica attitudine
pacifista e di certo radicato antiamericanismo della
sinistra britannica. Fa eccezione, oltre Pinter, lo
storico Eric Hobsbawm, critico del New Labour, che in
un' intervista a l' Unità, bolla la posizione americana
come megalomane, "un pasticcio". Non era del tutto
prevedibile neanche la posizione assunta da Gunter
Grass, il cui appoggio ai bombardamenti della Nato era
mitigato da una sola obiezione: l' intervento in Kosovo
arriva troppo tardi. E una tesi analoga ha sostenuto un
altro scrittore tedesco, Peter Schneider: "Dobbiamo
domandarci se un impegno militare più precoce non
avrebbe impedito l' attuale catastrofe". Anche in
Germania le scelte di Schroder sembra raccolgano
consensi in vasti settori intellettuali. Lo storico
Daniel Goldhagen, che ha studiato quanto intensa fu nel
popolo tedesco l' adesione ai progetti di sterminio
hitleriani, ha esteso questo criterio alla Serbia di
Milosevic. Molti più dubbi animano invece Christa Wolf,
la scrittrice maggiormente rappresentativa dell' ex Ddr,
che alla solidarietà verso chi soffre accompagna la
convinzione che "per quanto grande possa essere il
disprezzo nei confronti della soldataglia serba", in
nessun modo si può pensare che le bombe aiutino i
kosovari. In Francia gli schieramenti paiono più netti.
Usano la grancassa per sostenere la Nato Bernard-Henry
Lévy o André Glucksmann, che si è prodigato in un
plateale elogio ai piloti dell' Alleanza ("rischiano la
loro vita per colpire con la maggiore precisione
possibile e proteggere i civili") che oggi stride di
fronte alle macerie dell' ospedale di Nis e ai brandelli
dell' Ambasciata cinese di Belgrado. L' abitudine a
riflettere non abbandona invece Edgar Morin, che ricorda
i vani sforzi per favorire a Parigi un incontro fra
Rugova, leader moderato dei kosovari, e le autorità
francesi. Non fu mai possibile, ha raccontato il
filosofo in un' intervista all' Unità, con ciò favorendo
l' isolamento dell' autonomista Rugova a favore dei
militanti dell' Uck. I più rappresentativi intellettuali
sudamericani hanno posizioni altrettanto definite. Mario
Vargas Llosa sostiene le ragioni della Nato: a suo
avviso il problema non è il Kosovo, il problema è
Milosevic. Sulla banda opposta sia Luis Sepulveda che
Gabriel Garcia Marquez (che ha scelto di condire la sua
avversione con un ritratto del segretario della Nato
Javier Solana, "uomo rasato male a causa dell'
insonnia", prodigo di sorrisi e abbracci al punto da
stringere a sé un palo della luce). Contrario all'
intervento militare anche lo spagnolo Manuel Vazquez
Montalban, mentre sono dalla parte dell' Alleanza
militano Juan Goytisolo e Jorge Semprun. Due grandi
figure come Noam Chomsky e Michael Walzer si dividono il
campo negli Stati Uniti, mentre un grande vecchio dell'
America liberal John Kenneth Galbraith, manifesta un
amaro scetticismo sull' utilità dell' azione militare,
alla quale preferisce l' antica pazienza diplomatica. Il
celebre linguista, ha sfoderato il pacifismo degli anni
del Vietnam e della guerra nel Golfo ed ha argomentato
la sua opposizione ai bombardamenti elencando tutti gli
altri focolai di pulizia etnica che bruciano nel mondo e
che si consumano lontano dall' attenzione occidentale.
Walzer, autore di un libro che si intitola Guerre giuste
e guerre ingiuste, è invece favorevole a un intervento
che blocchi la criminale azione contro i kosovari, e che
usi, se necessari, tutti gli strumenti, compreso lo
sbarco di truppe terrestri. In Italia la temperatura è
rimasta, finora, tiepida. Di appelli ne sono circolati
un paio: uno patrocinato da Inge Feltrinelli (e
sottoscritto originariamente da un centinaio e più di
scrittori, critici, accademici, registi, professionisti,
uomini di scienza, artisti e musicisti), e un altro che
recava come prima firma quella di Mario Luzi (seguito da
Carlo Bo, Liliana Cavani, Carlo Lizzani, Giovanni
Raboni, Rita Levi Montalcini, Lalla Romano, Vincenzo
Consolo e altri ancora). Sia Gianni Vattimo che Claudio
Magris hanno sollevato dubbi e questioni, esercitando
quel diritto a capire meglio le cose del mondo che è
tipico della funzione intellettuale. Ha però agitato le
acque una intervista di Giancarlo Bosetti a Norberto
Bobbio, che insieme a tante perplessità manifestava
consenso all' uso delle maniere forti per bloccare il
dittatore Milosevic. Alcuni degli argomenti usati dal
filosofo torinese, in particolare sul ruolo degli Stati
Uniti, non hanno convinto né due suoi allievi come il
giurista Luigi Ferrajoli e il politologo Danilo Zolo, né
un altro grande protagonista del pensiero novecentesco
come Eugenio Garin, che al pari di Bobbio, parlava all'
altezza giusta per leggere in profondità cosa si agita
nel ventre di questo secolo che muore.
Nobel laureate
Harold Pinter opposes NATO
action
US foreign
policy can be defined as follows: 'Kiss my arse
or I'll kick your head in.' Milosevic refused to
kiss America's arse so Clinton is kicking in the
head of the Serbian people (not Milosevic
himself) with catastrophic consequences for the
Kosovans. Nato's action is ill thought out, ill
considered, misjudged, miscalculated,
disastrous. It is also totally illegal and
probably represents the last nail in the coffin
of the UN. The justification for the action -
'humanitarian considerations' - is clearly a
very bad joke. It also demonstrates a profound
hypocrisy on the part of the US and UK.
Sanctions on Iraq - led by those countries -
have killed nearly one million Iraqi children.
That's genocide for you - in no uncertain terms. Milosevic is
undoubtedly ruthless and savage. So is Clinton.
Clinton continues the vicious Reagan/Bush
tradition with no trouble at all. But he
combines that tradition with a shy grin and a
beguiling southern drawl. He can really be so
sweet on television. Blair is the one who kisses
Clinton's arse fervently and dreams that he is
Mrs Thatcher. The level of intelligence employed
in this whole enterprise is pathetic if not
infantile. The US is now a highly dangerous
force, totally out of control.
Harold Pinter, London
(in: The Guardian, Thursday April 8, 1999 – source)
Counterblast
May 4 1999 - Television programme (also HERE)
Sergio Mattarella
e la aggressione alla Jugoslavia
Ha detto Sergio Mattarella
...
... nel corso della
Informativa urgente alla Camera sulla partecipazione
dell'Italia alla aggressione armata contro la Repubblica
federale di Jugoslavia, 24 marzo 1999:
<< Sappiamo tutti che l'ONU
(...) non ha espressamente autorizzato un intervento
armato in Kosovo. È anche a tutti nota la
ragione per cui ciò non avviene: la ferma
opposizione dei paesi con diritto di veto nel
Consiglio di sicurezza. Come è noto, l'Italia si
batte da anni per una riforma del Consiglio di
sicurezza che lo renda più democratico e
rappresentativo, ponendo le premesse per un
superamento del diritto di veto... >>
... intervistato dal
Corriere della Sera, 5 giugno 1999:
<< La fine della
guerra poteva essere raggiunta solo puntando
su una pace giusta... Non vogliamo l'
indipendenza di quella regione, ne' cambiare l'
assetto territoriale della Jugoslavia. >>
[In merito si veda la
dichiarazione alla stampa di Massimo D'Alema, che nel
febbraio 2008 annuncia il riconoscimento dello "Stato"
del Kosovo da parte dell'Italia:
... esprimendosi in merito
al colpo di Stato dei nazionalisti serbi contro il
governo delle sinistre, Ottobre 2000:
<< Scompare, nel
nostro continente, l'ultimo regime fondato su una
visione nazionalistica ed espansionistica a
discriminante etnica e su principi ed ideologie
ereditati dal totalitarismo' >>
Conferenza stampa di
Solana e Clark, a Bruxelles (25 marzo 1999)
... Anche il vicepresidente del Consiglio italiano
Sergio Mattarella, intervendo brevemente, questa
mattina, al Senato, ha confermato che la Nato va
avanti ...
www.ilmanifesto.it
riprodotto su:
http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=18094
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6433 en francais: Comment
l’Italie a conquis le « statut de grand pays » http://www.mondialisation.ca/index.php?context=va&aid=12866
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6433
Decimo anniversario della
guerra contro la Iugoslavia
Come l’Italia
conquistò lo «status di grande paese»
Manlio Dinucci
Il 24 marzo 1999, la seduta del senato riprende alle 20,35
con una comunicazione dell’on. Mattarella, vice-presidente
del governo D’Alema: «Onorevoli senatori, come le agenzie
hanno informato, alle ore 18,45 sono iniziate le
operazioni della Nato». In quel momento, le bombe degli
F-16 del 31° stormo Usa, decollati dalla base di Aviano,
già hanno colpito Pristina e Belgrado. E stanno arrivando
nuove ondate di cacciabombardieri Usa e alleati, partiti
da altre basi italiane. Come testimonia lo stesso Massimo
D’Alema nel libro-intervista Kosovo / Gli Italiani e la
guerra (Mondadori, agosto 1999), i capi di governo della
Ue, prima di partire per il vertice di Berlino, avevano
fatto un «giro di telefonate», dando «pieni poteri al
comandante generale della Nato» (il generale Usa Wesley
Clark).
In tal modo, violando la Costituzione (artt. 11, 78 e 87),
l’Italia viene trascinata in una guerra, di cui il governo
informa il parlamento dopo le agenzie di stampa, quando
ormai è iniziata.
Fondamentale è il ruolo svolto dai comandi e dalle basi
Usa/Nato in Italia. Le operazioni navali e aeree sono
dirette dai comandi alleati di Napoli e Vicenza, agli
ordini di ufficiali Usa e quindi inseriti nella catena di
comando del Pentagono. E dalle basi in Italia decolla la
maggior parte dei mille aerei che, in 78 giorni,
effettuano 38mila sortite, sganciando 23 mila bombe e
missili sulla Serbia e il Kosovo.
In tal modo viene attivato e testato, nelle
condizioni di una guerra reale, l’intero sistema delle
basi Usa/Nato in Italia, preparando il suo potenziamento
per le guerre future.
Non solo. Contrariamente a quanto affermato da Mattarella
al senato, che «nelle operazioni non sono impegnati aerei
italiani», ai bombardamenti partecipano anche 54 aerei
italiani, che compiono 1.378 sortite, attaccando gli
obiettivi indicati dal comando Usa. «Per numero di aerei
siamo stati secondi solo agli Usa. L’Italia è un grande
paese e non ci si deve stupire dell’impegno dimostrato in
questa guerra», dichiara il 10 giugno 1999 il presidente
del consiglio D’Alema durante la visita alla base di
Amendola, sottolineando che, per i piloti, è stata «una
grande esperienza umana e professionale».
Si rende in tal modo operativo, per la prima volta, il
«nuovo modello di difesa», che attribuisce alle nostre
forze armate il compito di «proiettarsi» ovunque per
difendere gli «interessi vitali».
E il 23-25 aprile 1999, mentre è ancora in corso la
guerra, il governo D’Alema partecipa, a Washington,
al vertice Nato che ufficializza il «nuovo concetto
strategico»: da alleanza che, in base all’articolo 5 del
trattato del 4 aprile 1949, impegna i paesi membri ad
assistere anche con la forza armata il paese membro che
sia attaccato nell’area nord-atlantica, essa viene
trasformata in alleanza che impegna i paesi membri anche a
«condurre operazioni di risposta alle crisi non previste
dall’articolo 5, al di fuori del territorio
dell’Alleanza». Alla domanda di quale sia l’area
geografica in cui la Nato è pronta a intervenire, il
presidente democratico Clinton risponde che «non è
questione di geografia».
Da qui inizia l’espansione della Nato verso est, fin
dentro il territorio dell’ex Urss e oltre. Oggi l’«area
atlantica» si estende fin sulle montagne afghane. E i
soldati italiani sono là, confermando quello che D’Alema
definisce con orgoglio «il nuovo status di grande paese»,
conquistato dall’Italia sul campo di battaglia dieci anni
fa.