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Sarajevo 1994: La
strage di Markale
5 febbraio 1994: prima strage di
Markale, la principale piazza del mercato di Sarajevo. Il 6 giugno
successivo Jasushi Akashi, delegato speciale ONU per la Bosnia,
dichiara alla Deutsche Presse Agentur che un rapporto segreto ONU aveva
attribuito da subito ai musulmani la paternita' della strage, ma che il
Segretario Generale Boutros Ghali non ne aveva parlato per ragioni di
opportunita' politica. Poco tempo dopo Akashi viene rimosso
dall'incarico...
28 agosto 1995: la
seconda strage a Markale suscita fortissima emozione nell'opinione
pubblica. All'inizio di settembre la NATO attacca i serbi della
Bosnia... Solo successivamente (Cfr. il dispaccio ITAR-TASS 6/9/1995
che fa riferimento alle operazioni segrete "Ciclone Uno" e "Ciclone
Due", coordinate dal capo dell'esercito musulmano Rasim Delic. Vedansi
anche Michele Gambino su "Avvenimenti" del 20/9/1995 e Tommaso Di
Francesco sul "Manifesto" del 3/10/1995) emergera' che pure la strage
del 28/8 ha ben altri responsabili: si parla di strutture segrete,
appoggiate dai servizi occidentali, impegnate nella strategia della
tensione contro la popolazione della Bosnia...
[https://www.cnj.it/CHICOMEPERCHE/sfrj_01.htm]
pagina a cura di Ivan e
Andrea per CNJ-onlus
Guerra dei media
“Srpsko Jedinstvo” (novembre 1994)
La risposta definitiva su ciò che è successo sulla Piazza
Markale a
Sarajevo
Hanno
fotografato il proprio crimine
di Ivan Veljkov
Come i giornalisti e
redattori del “Sandzak” di Novi Pazar sbadatamente pubblicarono la
foto, prova-chiave che nella piazza Markale è scoppiata una mina
musulmana
e non un proiettile serbo.
Članak na
srpskohrvatskom:
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foto 1
Materiale probatorio:
“Sandzak” del 15.3.1994
“Time”, 14.2.1994
“Time”, 21.2. 1994
“The times magazine”, 23.4.1994
“Vreme”, 14.2.1994
All’inizio di luglio i media britannici commentando il piano del
“Gruppo di contatto” per una pacifica soluzione della “questione
bosniaca”, sono tornati un'altra volta sull’accaduto all’inizio di
febbraio [5 febbraio 1994]
sulla piazza “Merkale” di Sarajevo. (Conoscitori della storia
dell’ex capitale dell’ex Bosnia ed Erzegovina, dicono che “Merkale”
è
il nome esatto della piazza). Le loro conclusioni sono praticamente
unanimi; la verità su chi ha sparato il proiettile sulla piazza
è
incerta, aggiungendo però - anche in questa occasione dell’
“instant decision” [decisione immediata] - che la responsabilità
è serba, naturalmente
di colpevolezza, il che ha influenzato anche l’ “instant politics”
[politica immediata]
verso questo popolo. Quale esempio dell’ “instant decision” e la stessa
conclusione, si cita quello di “Markale” e le storie dei lager di
"terrore e atrocità" serbi.
Dunque, neanche 6 mesi dopo la tragica esplosione sulla piazza di
Sarajevo, nemmeno i freddi e sostenuti inglesi possono dire con
sicurezza chi è il colpevole, menzionando però con sempre
più
convinzione la probabile responsabilità degli stessi
musulmani che hanno inscenato tutto l’accaduto. I fattori rilevanti
mondiali si sono già espressi – le unità serbe si
dovevano
ritirare dai dintorni di Sarajevo – il che non potrà avere
altro che un importante significato strategico. In altre parole, i
serbi con la decisione dei potenti probabilmente perderanno per sempre
questa città.
L’evento stesso sulla piazza “Markale” è stato usato per alcuni
giorni per
“agitare” l’opinione pubblica e infondere nella gente che i
serbi sono incorreggibili barbari, criminali e assassini, dopo di che -
l’oblio sull’accaduto. Il tentativo di una TV francese per far
rivedere la storia dall’inizio e dimostrare che le N.U. e il Consiglio
di Sicurezza hanno le prove della verità sull’esplosione e che
dietro
di essa stanno i musulmani – è finito con una sorta di
decreto di
censura stampa.
Lontano dagli occhi del pubblico mondiale, subito dopo il delitto sulla
piazza, a Belgrado iniziava un’insolita amicizia ed ancor più
insolite relazioni. Un’esperto militare aero-balistico in pensione ed
un cameraman americano, sono stati per ore, giorni e mesi ad esaminare
la
completa documentazione sul caso “Markale” analizzando “passo dopo
passo” tutto, dalle fotografie e testate di giornali ai filmati delle
TV
mondiali.
La famiglia dell’esperto vive a Sarajevo, l’operatore Tv, americano,
vive filmando gli eventi di Sarajevo. Perciò i loro nomi per ora
rimangono conosciuti soltanto alla redazione.
La piazza verde dove è avvenuta l’esplosione si trova
vicinissima
alla via Maresciallo Tito. Sulla via passa il tram, linea
Bascarsija - quartiere Ilidza. Ad una quarantina di metri in
diagonale si trova il mercato, costruito ancora nel periodo
austro-ungarico, che prese il nome “Merkale”. Qui si vende
prevalentemente il formaggio, il kajmak, le uova. (Nel periodo in cui
funzionava
ancora il piccolo treno, il cosiddetto “Ciro”, arrivavano in questo
mercato
i contadini dalla Serbia). Dietro a questo mercato si trova un piccolo
“square” dove passa la Via Vaso Miskin. Quella stessa dove è
avvenuto
il primo massacro a Sarajevo, per il quale il giorno dopo sono state
emanate le sanzioni contro la Serbia e il Montenegro. Tra la piazza e
la piazzetta in Vaso Miskin – luoghi dove si sono svolte due stragi
sui civili rimaste senza colpevoli - la distanza è di 150 metri.
Di fronte al vecchio mercato e alla via Miskin si trova il parco con la
vecchia chiesa ortodossa.
La prima logica domanda che sorge è perchè i serbi
avrebbero scelto di
lanciare il proiettile su questi due luoghi – il 25
maggio 1992 e il 5 febbraio 1994 – nelle vicinanze dei
quali si trova la loro vecchia chiesa, rischiando di colpire uno dei
più antichi loro templi sacri, visto che nemmeno un
professionista
specialista nello sparare a lunga distanza potrebbe garantire la
sicurezza di non colpire anche questo monumento serbo. (...)
Il vecchio detto in criminologia: "il colpevole torna sempre sul luogo
del delitto", per cancellare le impronte che solo lui conosce ,
tradendo così se stesso, ha funzionato anche in questo caso.
L’equipe
di “Sky news” ha sorpreso due persone che stavano misurando qualcosa a
“Markale” il giorno dopo l’esplosione. Quando il reporter gli si
avvicinò e domandò cosa stavano facendo – in fretta
e panico
sono scappati dal luogo della tragedia. Questo filmato ha girato tutto
il mondo ed alcuni giorni più tardi, un sarajevese ha
riconosciuto
tutti e due. Erano Fahrudin Orucevic, quello con gli occhiali,
elettro-ingegnere, esperto in esplosioni a distanza, e Berko Zecevic,
esperto in esplosivi. La loro presenza sul luogo dell’esplosione
impone la questione se si sia trattato di una mina o di una bomba
sparata
dall'artiglieria, perciò le autorità musulmane
avrebbero dovuto
mandare sul luogo qualche perito di artiglieria balistica, che
avrebbe subito misurato la profondità del cratere, di che
tipo
di proiettile si tratta, e da quale tipo di armamento d’artiglieria
è
stato sparato. Cosa ci fanno due uomini, grandi esperti in tutt'altri
settori e che tra l’altro scappano di fronte alle
macchine da presa TV. Questo è già un primo sospetto che
si tratta di
qualcos’altro e non di un classico proiettile. Come dal rapporto
dell’UNPROFOR e dal rapporto ufficiale delle autorità musulmane.
I
testimoni, tutti quanti musulmani, nella trasmissione “Hajat” che si
trasmette a Sarajevo, hanno detto di non avere inteso il fischio
della granata. Uno dei testimoni addirittura ha detto testualmente: “Ma
che dici, (bolan) è stata una ben strana granata. E' stato un
lampo
soltanto ed è esplosa. E' arrivata senza un fischio”!
La sequenza di un proiettile che vola sotto la velocità del
suono è la
seguente: fischio – lampo – esplosione.
In questo caso a “Merkale” il fischio non c'è stato il che
è soltanto
un altro tassello di questo mosaico che sulla strada verde il 5
febbraio di quest’anno non è caduto nessun proiettile o
mortaio.
Il mistero di cosa sia veramente accaduto sulla piazza verde sarebbe
rimasto per sempre tale se il nostro perito militare non fosse passato
all’ex libreria del “Komunist” nell’edificio del quotidiano
“Borba” in piazza Nikola Pasic a Belgrado, notando lì la rivista
indipendente per la politica e cultura “Sandzak” che viene edita dalla
"Matica muslimanska" di Novi Pazar. All’ultima pagina del n. 42 del
15 marzo di quest’anno, è stata pubblicata la foto (indicata come
F-2) di “Merkale”.
“Ho notato, appena l’ho vista, che il tavolo colpito è
ribaltato.
Conosco benissimo questo mercato e conosco l’aspetto [...
illeggibile parte della pagina fotocopiata ...] a 60 gradi. Il
triangolo superiore è più grande ed è di supporto
alla tettoia, mentre quello inferiore serve a sostenere la
tavolata. Osservando
le foto uscite nel “Sandzak” e sul “Time” si può vedere che la
tavolaccia sta in una posizione anomala e la posizione dovrebbe
simulare la riprova che la mina o il mortaio è
arrivato dal di sopra e attraversando la tettoia ha formato un buco in
essa. Dunque secondo questa fotografia il mortaio è arrivato dal
di
sopra, facendo il buco alla tettoia annerendola, ed esplodendo le sue
schegge hanno ucciso e ferito della gente. Seguendo questa logica
l’esplosione doveva verificarsi ad una altezza più alta ed in
questo caso le schegge dovevano disperdersi sopra le
teste della gente. Il dottor Sevekt Karduman, newyorkese di origine
turca, che in quel giorno lavorava al Soccorso dell’ospedale di
Sarajevo ha confermato al giornale israelita “Lavar” che l’ 80% delle
ferite si trovavano sotto la cintura [nelle parti inferiori del corpo
umano].
Perciò nessun dubbio che nella notte precedente del massacro ad
uno
dei tavoli sia stata fissata la bomba con attivazione a distanza o ad
orologeria. E' probabile che si tratti di una bomba speciale sulla
quale ha lavorato il colonnello Milan Rundic per ben tre anni e che poi
su
ordine delle più alte cariche militari ha dovuto consegnare i
risultati e i disegni ai periti della fabbrica militare a Bugojno.
Questa
bomba [mina?] contiene nell’interno del bossolo esplosivo aggiuntivo
che
ha il compito di sollevare la bomba per circa mezzo metro
verticalmente per aria, per poi esplodere, e l’onda
dell’esplosivo sparge orizzontalmente 2.900 schegge, ad altezza d’uomo,
ammazzando tutto nel raggio di 35 m. Questa bomba contiene due
detonatori uguali che reagiscono contemporaneamente. Siccome questa
mina non c'era bisogno di farla saltare in aria per mezzo metro visto
che era
fissata alla tavolata, l’onda superiore esplosiva ha portato via una
parte della tavolata e la tettoia, mentre quella inferiore ha formato
un piccolissimo cratere che l’ equipe dell’ UNPROFOR ha usato come
prova che la bomba è caduta sulla piazza perchè sparata
dall’artiglieria [?, iz minobacaca].
"Ci sono state bruciature e profonde ferite aperte. Quelli che potevano
arrivare da soli a piedi all’ospedale avevano bruciature alle gambe.
Le ferite erano bruciate e disseccate. Alcuni con fratture aperte
sanguinavano molto. Una cosa incredibile. Non ho visto mai una cosa
simile. Nelle ferite interne non si trovavano elementi estranei,
nemmeno pezzettini di scheggia", ha raccontato il dottor Karduman ai
giornalisti israeliani del “Lavar”.
Analizzando i filmati si possono vedere inoltre una quantità di
bruciacchiato sulla tavolaccia capovolta e su quella vicina.
Nessun mortaio può causare della fuliggine. In questo
caso si tratta di plastica bruciata, plastica elemento
componente di questa mina speciale ad uomo, progettata dal colonnello
Milan Rundic.
Un altro dettaglio che si può vedere sulle fotografie è
di grande
importanza per la ricostruzione dell’accaduto. Sul davanti delle
tavolacce non si vede della fuliggine ma grandi macchie di sangue.
Significa che dove si trovavano delle persone la fiamma dalla plastica
della mina è non arrivata ai successivi tavoloni.
Con una pignola disamina dei filmati, i nostri esaminatori,
l'operatore americano e il perito militare in pensione, hanno
confermato
che i chioschi che si trovano alla parte frontale del mercato ed il
magazzino, sono crivellati da molti piccoli buchi tutti analoghi. Anche
questo è una dimostrazione che non si può trattare di un
proiettile o
granata (srapnel), ma di una bomba, perchè non esiste una
granata che faccia schegge della stessa grandezza.
La presenza dei due dei massimi periti nel settore dell'accensione a
distanza... (...)
Fahrudin Orucevic, elettroingegnere, ha lavorato per molti anni alla
“Famos”, poi è stato un anno in Turchia a specializzarsi nei
comandi
di accensione a distanza. Al ritorno dalla Turchia diventa
direttore dell’Istituto UNIS per lo sviluppo dell’armamento ed
esplosivo.
Il direttore dell’Istituto fino all’arrivo di Orucevic non era
altro che il sottosegretario della presidenza di Alija Izetbegovic,
Ejup Ganic.
E' soltanto una coincidenza che in un articolo, apparso un mese
prima del caso “Merkale”, il giornale turco annunciava che a
Sarajevo sarebbe successo qualcosa che avrebbe “bruciato” il mondo?
Non è meno importante, in questo caso, sapere qualcosa anche
sulla vita di Ejup
Ganic. Ganic si è laureato alla Facoltà d’Ingegneria
(Tecnica)
a Belgrado. Si dichiarava uno sfegatato jugoslavo. Si occupava di
termodinamica e per tre anni è stato a specializzarsi negli USA,
a
spese dello Stato jugoslavo. Dopo i tre anni passati negli USA ne
trascorre altri 5 per conto proprio. Ritorna a Sarajevo e diventa
direttore dell’Istituto dell’UNIS nel settore per lo sviluppo
dell’armamento.
Ganic incoraggia l’equipe che lavorava sui proiettili missilistici
“Fuoco” e “Fiamma” a lavorare su di un missile di un raggio maggiore di
50
km. L’inizio della guerra fortunatamente ha fermato la produzione di
questo missile.
La presenza di Orucevic e Zecevic sulla piazza verde può
soltanto
chiudere il cerchio alle supposizioni. Loro due si sono recati sul
luogo appena si è minacciato che sul luogo dell’esplosione
sarebbe stata
inviata un’equipe internazionale ad esaminare. Sono venuti nient’altro
che per eliminare alcuni elementi in base ai quali si potrebbe
accertare che la bomba a uomo è stata fissata a un banco da
loro. La
vicinanza politica tra Ganic e Orucevic, la loro relazione affaristica,
la loro professione speciale e la conoscenza in materia ci dice che chi
ha organizzato questo crimine è vicino alla Presidenza di Alija
e all’Istituto UNIS.
L’implicazione delle autorità musulmane in questo crimine
è stata
piccola. Una decina o ventina di morti al mercato non è niente
in
confronto a quello che hanno ottenuto: le forze serbe si sono dovute
ritirare a venti km da Sarajevo. Questa vittoria l’esercito musulmano
non l’avrebbe ottenuta nemmeno con migliaia di morti.
[Il resto è storia nota: al ritiro dell’esercito serbo le
postazioni
che avrebbero dovuto occupare le forze UNPROFOR vengono lasciate
a quelle di Izetbegovic... (N.d.t.)]
Schizzo ricostruito dell’evento:
I tavoli sono allineati in file segnate con le lettere A, B, C, D...
Con K-1 e K-2 sono contrassegnati i chioschi che si trovano nella parte
posteriore della piazza. F-1 ed F-2 sono i luoghi da
dove sono scattate le due foto chiave per tutta l’analisi. L’esplosione
è accaduta sotto il tavolo D-1.
Il grande palcoscenico della guerra mediatica:
Il 27 maggio del 1992, nella via Vaso Miskin, i musulmani bosniaci
hanno per la prima volta sacrificato la propria gente. Il crimine si
è svolto a
neanche 150 metri dal mercato “Markale” dove si ripeterà, il 5
febbraio 1994, lo scenario del crimine “da fotografare”. Dopo il primo
crimine, contro la Jugoslavia sono emanate le sanzioni. Dopo il
secondo,
i serbi sono stati costretti a ritirare l’artiglieria pesante dai
dintorni di Sarajevo. Sullo schizzo con E-1 è segnato il luogo
della
prima esplosione, mentre con E-2 il luogo del secondo atto
criminale. In tutti e due i casi oltrechè la coincidenza
spaziale è
interessante anche un’altra: alla vigilia dei delitti era notevole la
presenza di equipe della TV americana. Perchè potessero
trovarsi “per caso” nel momento giusto sul luogo.
Peter Genings è arrivato a Sarajevo “per caso”, il giorno prima
dell’
esplosione a “Markale”
Sulla seguente foto (2), sul suolo è visibile il "craterino"
formato
dalla mina, mentre il muro vicino alcuni
giorni dopo l'esplosione è stato coperto di blocchi,
affinchè coprissero i segni
delle
schegge:
foto 2
sopra e sotto: dalla rivista militare "Vojska" 10.3.1994
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