D. Com’è la situazione fra le diverse entità
costitutive della Bosnia-Erzegovina vent’anni
dopo l’inizio della guerra civile?
R.K. Mi sembra che le entità abbiano la
capacità di cooperare, sono i governi che
devono trovare le soluzioni a così tanti
problemi. Comunque, le comunità etniche sono
a disagio fra di loro. Più precisamente, le
due comunità cristiane, i Serbi e i Croati
hanno un certo grado di mutua comprensione,
perché si trovano in una situazione
similare rispetto alle ambizioni della terza
parte. Vale a dire, né i Serbi né i Croati
reclamano il controllo dell’intera B-E, e,
mentre i Serbi possono vivere con il grado
di autonomia ottenuto a Dayton, i Croati non
sono soddisfatti all’interno della
Federazione e la loro posizione non è ancora
risolta. D’altra parte la dirigenza
musulmana è ancora concentrata su un
obbiettivo irragionevole e
irraggiungibile: dominare le altre due
comunità che sono la maggioranza cristiana
dell’intera B-E.
La dirigenza musulmana è responsabile al
più alto grado dell’intera crisi,
perché hanno messo la loro
popolazione a confronto con Serbi,
Croati e con le tradizioni europee di
democrazia e secolarità. Ciononostante
continuano a dire alla loro gente che hanno
difeso la B-E. Questo genere di
Bosnia-Erzegovina non è mai stato contestato
dai Serbi o dai Croati. Un’attitudine
permanente di questa dirigenza di
approfittare di ogni opportunità degli
avvenimenti politici per raggiungere i loro
obiettivi di guerra, ai quali hanno
rinunciato a Dayton. Questo aumenta il
disagio nel funzionamento quotidiano dello
Stato e crea permanente instabilità nel
paese e condurrà alla sua dissoluzione
finale.
D. La guerra civile poteva essere evitata?
Poteva lei fare qualcosa per fermarla?
RK. La guerra civile poteva essere
evitata se la comunità internazionale,
qualsiasi cosa questo significa, fosse
stata unita nell’interesse di una pacifica
soluzione.
Vale a dire, c’erano altre
opzioni politiche fra i Musulmani, che
erano maggiormente orientati verso l’Europa,
come Adil Zulfikarpašić, Muhamed Filipović
del MBO (Muslim-Bosniak Organisation) che
aveva organizzato l’elite musulmana, o
Fikret Abdić. Anche il Signor Izetbegović
sembrava pronto a un compromesso, se era
sincero. L’idea di tre repubbliche in
Bosnia-Erzegovina era sua all’origine. Lui
era stato il primo a proporlo nell’interesse
dell’indipendenza. Dato che i Serbi si
opponevano a qualsiasi secessione illegale,
il Signor Izetbegović offerse l’autonomia, e
anche l’indipendenza della Republika Srpska
(dichiarazione del 16 settembre 1993) per
aver il loro consenso alla secessione dalla
Jugoslavia.
Per quanto concerne fermare la
guerra, io personalmente e tutti i leader
serbi facemmo enormi sforzi per fermarla dal
primo giorno. Chiamai il Signor Izetbegović
per denunciare la mobilitazione generale
proclamata il 4 aprile 1992 contro il veto
dei membri serbi della Presidenza.
Ho passato l’intero anno 1992 a
fare molte concessioni unilaterali ai
Musulmani nell’interesse del processo di
pace. Molte volte ho fermato la fortunata
avanzata dell’esercito della R.S. per
salvare le Conferenze di pace. I miei
generali avevano molte ragioni di essere
arrabbiati con me per quello, perché la loro
logica era giusta: se c’è una guerra, che
era stata dichiarata contro di noi dalla
Presidenza croato-musulmana, l’esercito
attaccato aveva il diritto di vincere. In
ogni modo, volevamo una specie di pareggio,
come in una partita di scacchi, perché
eravamo la stessa gente e non avrebbe dovuto
esserci una parte sconfitta.
D. Perché ha deciso di vivere in segreto dopo
Dayton?
RK. Come lei può aver saputo, io ho fatto
un accordo fra gentiluomini con
l’ambasciatore Holbrooke, nella sua funzione
di Mediatore americano e delle Nazioni
Unite, che le accuse sarebbero state
ritirate qualora avessi lasciato i miei
incarichi pubblici. Lui non l’avrebbe mai
fatto se non avesse avuto delle prove serie
che non ero responsabile di alcun crimine.
Neanche gli Stati Uniti e le Nazioni Unite
avrebbero negoziato con una persona che
avesse la tendenza per quel genere di
crimini. Il loro obbiettivo era di
impedirmi dal partecipare ai colloqui di
Dayton, come pure rimuovermi dalla carica
presidenziale finché l’Accordo non fosse
completato.
L’ambasciatore Holbrooke disse
che ci sarebbe stata un’aspra retorica
contro di me, ma non un processo. In ogni
modo la retorica è sembrata piacere a molte
orecchie ed è continuata senza fine. A quel
punto decisi di scegliere il processo, ma i
nostri servizi segreti stabilirono che
qualcuno era più interessato a eliminarmi
che a processarmi. Anche la Signora Carla
del Ponte disse ai miei colleghi e
successori che la NATO pianificava di
uccidermi, e le sono grato per questo
avvertimento tempestivo. E’ difficile da
credere, ma forse Holbrooke non ha potuto
consegnare la sua parte dell’accordo, e noi
abbiamo ricevuto questa informazione
dell’eliminazione. Vero o falso, era troppo
rischioso per me consegnarmi.
D. Si sente responsabile per Srebrenica?
RK: Quello che sento per Srebrenica, come
per tutto ciò che è successo dal primo
giorno di guerra fino a quei giorni, è
dolore e rabbia. In primo luogo queste
nostre due comunità, ambedue di etnia serba
pur di religioni diverse, hanno subito il
fatto che i Serbi musulmani hanno iniziato
per primi e sono stati più spietati dei
Serbi cristiani.
E’ completamente ignorato dal
pubblico occidentale che i Serbi cristiani
intorno a Srebrenica hanno perduto quasi
quattromila persone, principalmente donne e
bambini, mentre i Serbi musulmani, grazie a
Dio, non hanno perduto minori, donne e
anziani.
Esiste un altro crimine
permanente dopo la guerra, che insulta i
morti e mette in pericolo le future
generazioni, quello di inimicare senza fine
le due tipologie di Serbi. Esagerazioni di
ogni genere come se le cifre reali delle
vittime e il grado di sofferenza non fossero
abbastanza terribili. Dato che tutto questo
è ancora materia di un processo di fronte a
diversi tribunali non direi di più su questo
argomento, tranne che sono sicuro che alla
fine della storia sarà chiaro che non
c’erano piani, coinvolgimento dello Stato in
qualsiasi cosa illegale e che i civili sono
stati trattati secondo il loro stesso
volere. E’ ancora da chiarire cosa è
successo fra i combattenti.
D. Hanno interferito servizi segreti stranieri
nell’affare Srebrenica?
RK. Ci sono molti dettagli poco chiari.
E’ indiscutibile che il Signor Izetbegović
voleva che succedesse qualcosa di terribile
a Srebrenica anche nel 1993, quando ha
chiesto ai suoi ufficiali in Srebrenica di
facilitare una strage di almeno cinquemila
civili, che avrebbe trascinato la NATO in
guerra. Sono stati coinvolti anche una
dozzina di chili d’oro di sconosciuta
provenienza, come pure alcuni soldati in
congedo che erano coinvolti in certe
attività.
Ma, non volendo speculare, una
cosa può essere sicuramente affermata: la
sola parte che non aveva bisogno di una cosa
simile era quella serba. E si potrebbe
trarre una conclusione da questo fatto. La
leadership serba non era composta da
idioti, era forse il governo più colto
d’Europa a quel tempo, con molti professori
universitari, membri delle Accademie delle
Arti e delle Scienze, medici, scrittori,
umanisti.
D. Cosa pensa dell’iniziativa del 2014 a
Sarajevo e come vede Gavrilo Princip dopo cento
anni?
RK. Sono recentemente venuto a conoscenza
di questo argomento che contribuirà alle
nostre dispute domestiche. All’epoca Mladi
Bosna (Giovane Bosnia) era un’organizzazione
rivoluzionaria multietnica che comprendeva
alcuni dei più prominenti intellettuali in
B-E. Il vincitore del Premio Nobel, Ivo
Andrić era un membro, come molti Musulmani,
Serbi e Cattolici di etnia Serba e Croata.
Negli anni sessanta, insieme al
movimento studentesco europeo, noi, allora
giovani poeti, scrittori e studenti,
seguivamo la tradizione. Ci incontravamo
senza fine e avevamo l’abitudine di
organizzare letture di poesie sulle tombe
dei membri della Giovane Bosnia. Molti di
noi di ogni origine etnica scrissero
poemi dedicati all’eroico gesto di Gavrilo
Princip. Per noi non era un terrorista, ma
un eroe nazionale, non un despota assassino.
Come ha detto recentemente il
grande regista serbo Kusturica, Gavrilo
Princip non andò a Vienna ad ammazzare
l’arciduca, ma viceversa, l’arciduca venne
in Bosnia a dimostrare le sue violente
intenzioni verso il resto dei paesi degli
Slavi del Sud.
Se i miei antichi amici hanno
cambiato idea riguardo alla libertà delle
loro rispettive nazioni, dobbiamo tutti
accettare il fatto e rimpiangere i mutui
sforzi sprecati, e io non vedo moltissime
cose condivise in futuro.
(Estratto
dal
Capitolo 5: Pale)
(...)
Lo scoppio delle ostilità fra serbi ortodossi
e musulmani nell'aprile 1992 era stato
preceduto da reciproche provocazioni.
Particolarmente nota quella avvenuta durante
il matrimonio fra una musulmana e un serbo, il
1 marzo, quando il padre dello sposo fu ucciso
da una squadraccia musulmana. Il culmine fu
raggiunto con l'attacco alla caserma
dell'esercito federale di Nuova Sarajevo il 7
aprile seguente. A quel punto, considerata
l’inevitabilità dello scontro, la leadership
serba si era trasferita d'urgenza in quella
che era la località più prossima alla città,
dietro le linee del fronte che passavano nei
quartieri serbi della città stessa, per
difendere la popolazione. Improvvisarono
ministeri, stazioni radio e TV. Da località
montana Pale era stata trasformata in capitale
e con il passare degli anni aveva acquisito
nuove costruzioni e strutture, senza però mai
riuscire a perdere l'aspetto villaggesco
originale.
Inizialmente il governo si era
installato all’ Hotel Panorama, un piccolo
albergo, a mezza costa con una vista superba
sulla vallata. In quel luogo erano state
prese le maggiori decisioni fino al 1995,
finchè venne terminata la costruzione del
Palazzo del Governo in città. Era una bassa
costruzione quadrata con una corte nel
mezzo, bianca e semplice. Davanti
all'entrata, due aiuole verdi frequentate da
grosse mucche pezzate, assolutamente
indifferenti al traffico di macchine e di
personaggi in arrivo e in partenza. Nel 1996
l'Hotel Panorama fu adibito ad altri
servizi.
Si arrivava alla Presidenza
percorrendo cento metri, obliquamente alla
statale che costeggiava la cittadina,
controllati meticolosamente da miliziani
armati. Dalla portineria, dopo ulteriori
severi esami, si accedeva ad un vasto spazio
cintato. Grandi prati circondavano le
costruzioni per permettere un'ampia visione,
bunker coperti d'erba si intravedevano agli
angoli della recinzione. A destra si trovava
la Presidenza, un edificio bianco, intorno
altre costruzioni e di fronte una casa per i
militari. Numerosi soldati all'entrata del
palazzo presidenziale controllavano
personalmente e a distanza i visitatori. Pur
cortesi, avevano un atteggiamento molto
determinato ed erano particolarmente
impressionanti per la gigantesca statura. Le
mucche in compenso passavano indisturbate e
brucavano a loro agio i prati anteriori la
Presidenza.
(...) Per
quanto ricordo, almeno nel periodo
precedente gli accordi di Dayton, ogni
volta che ho incontrato Radovan Karadžić
per un'intervistarlo egli era occupato a
studiare o misurare delle mappe della
Bosnia.
Avevo fatto la sua conoscenza
nell'autunno del '92 a Ginevra. Allora non
era ancora il personaggio noto che sarebbe
diventato, nel bene o nel male. Il problema
bosniaco non era molto chiaro e il
Presidente della Repubblica Srpska, da poco
separatasi dal resto della Bosnia, non
impressionava. Alto di statura, una testa
leonina, tratti slavi, era un uomo misurato,
osservatore, non sprecava parole. Nel corso
degli anni l'avrei incontrato più volte ed
avrei osservato la sua calma anche in
situazioni estremamente difficili. La
attribuivo alla sua professione di
psicanalista.
Nel maggio 1993 intervistai per
la prima volta Radovan Karadžić alla vigilia
di un cruciale appuntamento con il
Parlamento della piccola repubblica. Si
trattava di fare accettare il piano di
divisione Vance/Owen, che Karadžić aveva
firmato - sotto la pressione internazionale,
del Presidente Federale Jugoslavo, Dobrica
Ćosić, e del Presidente della Serbia
Slobodan Milošević - durante una riunione ad
Atene. L'incontro in terreno neutro,
organizzato dal governo greco, aveva avuto
lo scopo di convincere Karadžić a
sottoscrivere il piano per evitare un
intervento armato, e con la speranza di
ottenere un alleggerimento delle sanzioni.
Naturalmente il progetto di dividere la
Bosnia in dieci province con corridoi di
congiunzione sotto controllo dei caschi blu
era ritenuto dai serbi ingiusto, visto che
avevano il 70% del territorio. Sotto il peso
delle minacce internazionali Karadžić aveva
dovuto firmare l’accordo, rimettendo la
decisione finale al Parlamento della
Repubblica Srpska e ad un eventuale
referendum popolare.
La scelta di Karadžić aveva
scatenato l'ira dei gruppi più estremisti e
del Partito Radicale di Seselj, che avevano
lanciato gravi minacce. La riunione
parlamentare si sarebbe tenuta il mercoledi
5 maggio a Bijeljina con la partecipazione
del Presidente Federale della Jugoslavia e
dei due Presidenti della Serbia e del
Montenegro, oltre al Premier Greco Costantin
Mitsotakis, promotore dell'azione
pacificatrice.
Questa
l'intervista (pubblicata su Il
Manifesto di mercoledì 5 maggio 1993):
D. Oggi il Parlamento
serbo-bosniaco si dovrà pronunciare
sull'accettazione o meno del piano di pace
da lei firmato domenica scorsa. Quante
possibilità ci sono che venga approvato?
Karadžić: Il
50%. Ma spero per il bene del popolo
serbo che la risposta sia
positiva per uscire dalla morsa delle
sanzioni che rendono la vita dei civili
impossibile.
D. Perchè ha accettato di
firmare il piano di pace Vance-Owen solo ad
Atene?
Karadžić: Sono stato
obbligato dall'enorme pressione
internazionale e dalla prospettiva di
ottenere dopo la guerra il
raggiungimento di obiettivi molto
importanti per noi. Comunque il piano di
pace non è stato firmato. La mia
approvazione è stata condizionata, con
l'inserimento di una clausola da me
imposta: l'avallo del nostro Parlamento.
D. Nonostante la firma del
cessate il fuoco e l'accordo di Atene, i
serbi bombardano ancora Sarajevo ed altre
città della Bosnia, perchè?
Karadžić: I serbi si
difendono se sono attaccati. Dal 18
dicembre 1992 abbiamo dichiarato la
nostra volontà di pace, quindi non siamo
più in guerra, rispondiamo solo se
aggrediti. Non sono i serbi a bombardare
Sarajevo, ma i musulmani. Lo fanno
sempre durante il periodo delle
conferenze. E' una loro tipica abitudine
bombardare le loro zone per far ricadere
la colpa sui serbi. Una classica
operazione mediatica!
D. E' vero che i serbi
intendono occupare tutta la Bosnia
orientale?
Karadžić: I serbi
vogliono solo i loro territori. Quelli che
a loro appartengono, dove sono in
maggioranza.
D. Se il Parlamento
serbo-bosniaco rifiutasse l'accordo e gli
Stati Uniti intervenissero militarmente,
cosa contate di fare?
Karadžić: E' probabile
che se il Parlamento rifiuta l'accordo
verremo bombardati. Migliaia di civili,
donne e bambini serbi moriranno. Penso
che, se attaccati, avremo il diritto di
difenderci. Allora non saremmo più gli
aggressori, ma gli aggrediti. Anche se
siamo stati costretti a batterci per i
nostri diritti. Quello che la comunità
internazionale ha sempre rifiutato di
capire.
D. Come giudica la posizione di
Belgrado che ha operato una forte pressione
per farle accettare il piano Vance-Owen? E
che influenza ha avuto sulla sua decisione?
Karadžić: Molta. E'
comprensibile. I serbi della Federazione
Jugoslava soffrono duramente a causa
dell'embargo e per la guerra in Bosnia.
Sono arrivati alla catastrofe economica.
Desiderano la pace per mettere fine a
questa situazione impossibile.
D. E’ credibile la voce che
prevede lo scoppio di una guerra civile tra
serbi jugoslavi e serbi bosniaci?
Karadžić: Non
credo. Ci hanno sempre sostenuto. Se
firmiamo sarà un grande sollievo per
loro. Ma se non viene accettato il piano
sarà un terribile disastro per tutti.
D. E' possibile che una delle
ragioni che hanno spinto Belgrado a fare
pressione su di lei sia il fatto che
prevedono di dover affrontare quanto prima
un problema in Kosovo?
Karadžić: Effettivamente
hanno dei problemi in Kosovo. E sappiamo
che appena la pace avverrà, gli Stati
Uniti inizieranno a creare fastidi in
Kosovo. Stiamo cooperando con Belgrado,
vorrebbero che firmassimo la pace, ma
nessuno può forzare il nostro
Parlamento.
D. Abbiamo sentito in
televisione che corrono delle voci di un
complotto per assassinarla. E' realistico?
Karadžić: Molti
radicali sono contro la mia decisione
di aver accettato il piano Vance-Owen.
Il numero degli estremisti sta
aumentando, per loro, noi siamo troppo
moderati. I serbi non riescono a
capire perchè tutto il mondo ci
condanna solo per il fatto che
vogliamo vivere pacificamente,
autonomamente nei nostri territori e
per la nostra volontà di evitare che
si ripetano le stragi di cui siamo
stati vittime in passato.
(...) Quando scoppiò la prima
bomba al mercato di via Markale a Sarajevo,
il 5 febbraio del 1994, l'imperturbabilità
di Radovan Karadžić si incrinò per la prima
volta, ed egli si mostrò sconvolto.
Avevo intervistato il
Presidente serbo-bosniaco il 1 febbraio
1994 a villa Bosanka, rappresentanza della
Repubblica Srpska nell’elegante quartiere
di Dedinje sulle colline di Belgrado.
Radovan Karadžić aveva appena terminato di
cenare con Yasuchi Akashi, rappresentante
del Segretario Generale dell’ONU, e con il
Generale britannico Michael Rose, nuovo
capo delle forze UNPROFOR in Bosnia.
L'incontro era stato positivo, come mi
avevano confermato, uscendo dalla sala da
pranzo, il giapponese Akashi e il
Generale. Erano stati raggiunti accordi su
tutti i punti discussi. Scopo
dell'incontro: la riapertura
dell'aeroporto di Tuzla, e l'entrata del
nuovo contingente olandese a Srebrenica in
sostituzione di quello canadese.
Questo è il testo
dell'intervista (Il Manifesto, giovedì 3
febbraio 1994, intervista di JTMV):
D. Quali sono i risultati
dell'incontro?
Karadžić: Ci siamo
accordati sulla sostituzione delle
truppe canadesi. Avremmo preferito
fossero ancora canadesi, ma anche gli
olandesi andranno bene. Ci saranno
approssimativamente lo stesso numero
di uomini e la stessa tipologia
d'armi. Eravamo molto preoccupati che,
se un giorno i soldati dell'ONU si
ritirassero, i musulmani potessero
impossessarsi delle loro armi pesanti
ed usarle contro di noi. Ma speriamo
non succeda: il problema di Srebrenica
è risolto; per quanto riguarda
l'aeroporto di Tuzla (dopo il
1948, con il distacco dalla sfera
d’influenza degli URSS, il maresciallo
Tito in previsione di un possibile
attacco sovietico aveva creato a Tuzla
un enorme aeroporto sotterraneo per la
difesa e l’attacco. Questo aeroporto è
oggi sotto il controllo degli USA.
NdA) dobbiamo considerare tutte le
possibilità. Abbiamo offerto alla
signora Ogata di duplicare o
triplicare i convogli umanitari.
Temiamo che l'aeroporto possa essere
usato impropriamente dalla NATO o dai
musulmani. Se riceveremo assicurazioni
che questo non avvenga e con un
controllo da parte delle forze serbe
insieme a quelle dell'ONU, allora
potremo prendere in considerazione la
proposta.
D. Ha proclamato la
mobilitazione generale di uomini e donne,
intende mantenerla?
Karadžić: E' una nuova
misura di sicurezza. Molte volte siamo
stati sorpresi dal comportamento degli
americani. Prima di tutto, quando hanno
riconosciuto la dissoluzione della
Jugoslavia e hanno sostenuto la
secessione unilaterale di Slovenia e
Croazia. Avevamo sperato che gli Stati
Uniti rispondessero negativamente alle
secessioni unilaterali. Ora Washington
sta aiutando i musulmani a continuare la
guerra con la promessa che i risultati
saranno riconosciuti. Anche i serbi
hanno diritto agli stessi
riconoscimenti. Siamo con le spalle al
muro, non abbiamo altra scelta che
difenderci.
D. Perchè ogni volta che la
pace sembra prossima avviene qualche fatto
che porta a un passo indietro?
Karadžić: Qualcuno
consiglia i musulmani di non accettare.
La stessa cosa avvenne durante la
Conferenza di Lisbona prima della guerra
(1991). C'eravamo accordati su una
confederazione in Bosnia-Erzegovina.
Tutte le tre parti avevano accettato.
Poi l'Ambasciatore statunitense
Zimmermann consigliò Alija Izetbegović
di rifiutare. Ecco perchè abbiamo avuto
la guerra. Due anni di tragico conflitto
per ritrovarci nella stessa condizione:
tre repubbliche. Tutto poteva essere
raggiunto senza guerra, ma i musulmani
sono stati consigliati di rifiutare la
soluzione politica. L'Ambasciatore
Zimmermann ne ha tutta la
responsabilità. Come anche i Signori
Genscher e Mock, insieme ad altri
politici europei.
D. Quali sono le sue previsioni
sul processo di pace?
Karadžić: Ci sarà una
battuta d'arresto perchè i musulmani
stanno cercando di riguadagnare terreno
con la forza. Credo che esauriranno le
loro forze, a quel punto qualcuno dirà
"basta" e allora inizieremo di nuovo i
negoziati. Se la comunità internazionale
levasse le sanzioni alla Serbia, i
musulmani firmerebbero subito. Questo
non succede e li incoraggia a
continuare. Si direbbe che qualcuno
spinga i musulmani verso l'auto
annientamento. Le nazioni europee non
vorrebbero alcuno Stato musulmano. Penso
che certi paesi vorrebbero vedere serbi
e croati sconfiggere i musulmani e
dividere la Bosnia in due parti: una
serba ed una croata, dove i musulmani
potrebbero vivere in autonomia. Così non
ci sarebbe uno stato islamico in Europa.
D. Non è contraddittorio?
<>Karadžić: Quelli che
invitano i musulmani alla guerra non
sono loro amici. Incoraggiare i
musulmani alla lotta ad oltranza è
ingiusto verso di loro. Credo che i
migliori amici dei musulmani siano
ancora i serbi che hanno offerto un 3,3%
di territorio in più.
<>Spingerli a battersi per un
territorio che siamo già disposti a
concedere è assurdo! Ora ritireremo ogni
concessione. I risultati sul campo devono
essere riconosciuti a musulmani e serbi.
Due giorni dopo la pubblicazione
di questo dialogo, un proiettile di mortaio
scoppiava sul mercato della Via Marcale, a
Sarajevo, uccidendo 28 persone e ferendone
decine.
Yossef
Bodansky (Direttore di Ricerca
dell’Associazione di Studi Strategici
Internazionali, consulente nel 1980 per il
Dipartimento della Difesa e per il
Dipartimento di Stato USA., collabora oggi
con importanti riviste quali “Global
Affairs”, “Defence and Foreign Affairs
Strategic Policy” e “Business Week”. E’
direttore della “Task Force on Terrorism
& Unconventional Warfare” del Congresso
Americano. NdA) scrive nel primo
capitolo di “Offensive in the Balkans” a
pagina 54:
“Fin dall’estate 1992,
c’erano state delle marcate provocazioni
messe in atto dalle forze musulmane per
istigare un maggiore intervento militare
occidentale contro i serbi e, in misura
minore contro i croati. Inizialmente queste
provocazioni erano costituite principalmente
da attacchi senza senso alla stessa
popolazione musulmana, ma ben presto
inclusero attacchi ad obiettivi occidentali
e delle Nazioni Unite. Un’investigazione
delle Nazioni Unite concluse che diversi
eventi chiave che avevano indotto l’opinione
pubblica e i governi in Occidente a
intraprendere un’azione più coraggiosa in
Bosnia-Erzegovina, erano stati messi in
scena di fatto dai musulmani-bosniaci stessi
per drammatizzare la condizione di Sarajevo.
Investigazioni da parte delle Nazioni Unite
e di altri esperti militari includevano fra
queste azioni auto-inflitte la bomba della
fila del pane (27 maggio 1992), la
sparatoria alla visita di Douglas Hurd (17
luglio 1992), il tiro dei cecchini nel
cimitero (4 agosto 1992), l’uccisione del
presentatore e produttore televisivo
americano della ABC, David Kaplan ( 13
agosto 1992) e l’abbattimento di un velivolo
da trasporto dell’Aviazione Italiana G.222
in avvicinamento a Sarajevo (3 settembre
1992). In tutti questi casi le forze serbe
erano fuori portata, e le armi usate contro
le vittime non erano quelle lamentate dalle
autorità musulmano-bosniache e dai
ripetitivi media occidentali.”
Dal 1992 si erano verificati
molti altri incidenti di minore importanza
sempre sulla pelle dei cittadini di
Sarajevo. La bomba al mercato era la seconda
strage importante di questo tipo.
Il governo della Repubblica
Srpska di Bosnia aveva negato con veemenza
qualsiasi responsabilità. I risultati dei
primi accertamenti in luogo, da parte degli
esperti dell'UNPROFOR, non venivano
comunicati e rimanevano nebulosi. Le solite
fonti internazionali, ben informate,
sostenevano che, da rilievi fatti, fosse
impossibile che il colpo di mortaio fosse
stato sparato dalle linee serbe, ma
piuttosto dal tetto di una delle case
vicine. I media occidentali, nel frattempo,
si erano scatenati accusando i serbi
dell’atroce carnaio.
Nell'ottobre
1994,
Pale sembrava, come non mai, un ameno paese di
montagna fra le colline ricoperte dai
suggestivi colori autunnali. Il brusio
convulso del traffico di auto e mezzi militari
di altre volte era drasticamente ridotto dal
razionamento severo della benzina dovuto alle
doppie sanzioni, quelle internazionali e
quelle jugoslave. L'elettricità e l'acqua
mancavano diverse ore al giorno. La piccola
capitale sembrava immobilizzata, quasi sospesa
in un'altra dimensione temporale. Le
comunicazioni erano interrotte, poche le
informazioni per la stampa, scarsi i contatti
con i protagonisti della politica
internazionale che sembravano ignorare Pale a
favore di Belgrado.
Questa è la
trascrizione della conversazione avuta con
Radovan Karadžić all’Hotel Panorama (registrazione
su cassetta di JTMV):
D. Signor Presidente, al di là
delle sanzioni in atto fra la Serbia e la
Repubblica Srpska, come spiega il silenzio
mediatico?
Karadžić: La mancanza di
notizie vuol far credere che noi non
esistiamo per niente. Questo è quello
che desiderano ottenere. Il silenzio
mediatico vuole impedire al pubblico di
simpatizzare con noi e di conoscere
quanto sta succedendo. Sperano in un
nostro collasso. Questo è umiliante,
inaccettabile. Sfortunatamente la
Jugoslavia ha operato questo taglio nei
sistemi di telecomunicazione anche al di
là dei suggerimenti del Consiglio di
Sicurezza. Ha fatto molto più di quanto
fosse stato richiesto. L'istanza era di
non sostenerci politicamente e
militarmente. La Jugoslavia ci ha
imposto delle sanzioni non solo a
livello militare e politico, ma anche
economico e telematico. Loro vogliono
oscurare questa zona per finire il
"lavoro" nell'interesse degli Stati
Uniti, certamente non dell'Europa.
Sarebbe un grande disastro per
quest'ultima se i musulmani avessero
successo. Con l'oscuramento mediatico i
serbi di Bosnia vengono lasciati soli in
questa drammatica situazione.
D. Quando menziona "loro" a chi
si riferisce?
Karadžić: Alla Comunità.
Europea. Più precisamente a quella parte
sotto influenza americana.
Sfortunatamente anche la Jugoslavia non
da segno di sapere quanto sta succedendo
qui. La comunità internazionale e l'ONU
subiscono il diktat degli Stati Uniti.
Esattamente come la Lega delle Nazioni
negli anni precedenti la Seconda Guerra
Mondiale: allora era il totale dominio
della Germania, oggi quello americano.
Si riscontrano molte altre somiglianze.
Gli Stati Uniti sostengono la Germania,
perchè diventi dominante in Europa, in
modo che i paesi a disagio richiedano
l'aiuto americano. Cercano, alla stessa
maniera, di instaurare i vecchi poteri,
Germania e Turchia, per bloccare la
Russia e qualsiasi sua futura influenza
sull'Europa Meridionale. E' una grande
partita, è la ragione per la quale
cercano di annullarci e di ottenere
quello che vogliono. Questo è il nuovo
ordine mondiale: l'America e poche
nazioni avranno il potere, le altre
saranno paesi di seconda classe, fra
questi l'Italia, la Francia e anche
l'Inghilterra.
D. Si sta avvicinando
l'inverno, siete sotto severe sanzioni, non
vengono ascoltate le vostre proposte
territoriali, come pensa di risolvere il
futuro prossimo?
Karadžić: Abbiamo
informato il nostro popolo che se
rifiutavano il piano Vance-Owen avremmo
subito delle gravi conseguenze e
sofferto molto per sopravvivere nel
periodo davanti a noi. Siamo a corto di
tutto. Per questa ragione abbiamo
indetto il referendum, per permettere
una libera scelta e abbiamo invitato
liberamente tutti i media per costatare
che non vi era alcuna manipolazione. Il
popolo ha deciso di soffrire, ma di
raggiungere un obiettivo realistico, non
in contraddizione con la Comunità
Internazionale. Oggi abbiamo un paese
compatto. Siamo disponibili ad accettare
una proposta per una percentuale
inferiore al 64% del nostro territorio
in nome della pace, ma siamo costretti a
rifiutare questa mappa che corrisponde
al 20% delle terre sotto nostro
controllo. Ci hanno offerto zone
montagnose e un territorio diviso in tre
parti. Il piano propone di tagliare la
città di Brčko, lungo il "corridoio", in
quel caso la gente abbandonerebbe la
zona e non scommetterebbe in un futuro.
Non si fiderebbero di dipendere da un
ponte di passaggio alla mercè dei
musulmani. Questo è esattamente quello a
cui mira Alija Izetbegović: che due
milioni di serbi si rifugino in Serbia.
Questi due milioni di abitanti in più
creerebbero gravi problemi sociali per
la differenza di abitudini, mentalità e
per la loro rabbia e povertà. Sarebbe
una catastrofe per la Serbia. E'
stupefacente che la dirigenza jugoslava
non realizzi che è la Jugoslavia che
vogliono distruggere, non la Repubblica
Srpska o la Krajina.
D. Come pensa di risolvere
questo problema?
Karadžić: Dobbiamo
batterci per la nostra libertà. Negli
ultimi quattro mesi abbiamo subito
numerosi attacchi da parte delle forze
musulmane. Hanno avuto qualche successo.
Ma non grave. Possiamo sostenere il
confronto. Dovrebbero però capire
l'utilità di offrire delle proposte
accettabili, qualcosa che permetta al
nostro Stato di essere sicuro e
riconosciuto al di fuori della
Federazione Croato-Musulmana. La Bosnia
deve essere trasformata in due Stati
indipendenti. Noi accettiamo la
religione e il sistema musulmano,
chiediamo la reciprocità.
D. Come intende risolvere il
problema della città di Sarajevo?
Karadžić: Il problema
deve essere risolto. La gente non può
vivere in questo modo. Se i musulmani
desiderano avere una capitale e delle
buone connessioni fra la città e la
Bosnia centrale, devono accettarne la
divisione in due parti. Non desideriamo
prendere Sarajevo, l'avremmo già
conquistata da tempo. Saremo molto
generosi rispetto alla partizione, a
patto che correggano le mappe. Siamo
disposti a cedere ampie parti della
città in cambio di Brčko, Sanski Most,
Posavina. Sarajevo si potrà trasformare
in due capitali autonome che
sopravviveranno con o senza la reciproca
collaborazione. Dopo qualche tempo sono
certo che si instaurerà una cooperazione
a livello economico e sanitario. Non
rinunceremo mai alla nostra parte di
Sarajevo. Diventerà il centro
commerciale, universitario ed
amministrativo per tutta una vasta area
serba della Bosnia orientale.
D. In quanto tempo questo
processo potrebbe venire completato?
Karadžić: Se
gli Stati Uniti fossero favorevoli alla
pace, potrebbe realizzarsi in poche
settimane. Siamo stati spesso molto vicini
alla soluzione, poi qualcuno suggeriva ai
musulmani di abbandonare le trattative.
Tutto dipende dall'America. Spero che dopo
le loro elezioni, l'otto novembre, gli
americani saranno pronti a considerare la
situazione più realisticamente. Non era
necessaria una guerra per dividere la
Bosnia. Eravamo divisi anche prima della
guerra. I musulmani hanno voluto un
conflitto per unificare il paese. Ma la
maggioranza cristiana, i serbi ed i
croati, non voleva vivere nello stesso
sistema politico, giuridico dei musulmani,
solo perchè questi erano in maggior
numero. I musulmani intendono ancora
gestire il potere politico come hanno
fatto per centinaia di anni. La Bosnia
poteva sussistere solo come parte della
Federazione Jugoslava.
D. Durante un'intervista, mesi
or sono, il Presidente Milan Martić aveva
affermato che se la Croazia avesse attaccato
la Krajina, il giorno stesso avrebbe avuto
luogo una fusione con la Repubblica Srpska.
E' sempre attendibile?
Karadžić: Potrebbe
succedere. Sarebbe assolutamente
naturale, siamo lo stesso popolo con la
medesima religione, lingua e cultura.
L'unificazione non avviene per evitare
che la Croazia attacchi la Krajina,
giustificherebbero l'aggressione con la
necessità di impedire l'unificazione. Di
fatto, questa esiste già attraverso
comuni sistemi di educazione,
informazione e comunicazione anche se
non è ancora uno Stato. Ma se la Croazia
attaccasse la Krajina ci sarebbe una
valida ragione per creare un'unica
repubblica.
D. La Russia le ha conferito il
premio letterario Michail Sholohov per la
poesia. E' un augurio di pace?
Karadžić: Non so se ho
ottenuto il premio per meriti o per
influenze politiche. Ma io ed i miei
amici, qui in Bosnia, siamo felici di
sapere che in Russia qualcuno si occupa
della poesia serba. Esiste molta poesia
nella Repubblica Srpska. Forse non può
aiutare nella guerra, ma senz'altro
aiuta a trovare la pace dell'anima.
Poche ore dopo questa
intervista Radovan Karadžić avrebbe
proclamato nuovamente la mobilitazione
generale. In divisa militare si sarebbe
recato a Bosanski Petrovac dove si erano
concentrati migliaia di serbi fuggiti
dall'enclave musulmana di Bihać.
La federazione croato-musulmana
aveva dato i suoi frutti, l’offensiva
musulmano-croata si era scatenata, nel mese
di agosto, nell'enclave musulmana di Bihać.
Correva voce che si stesse preparando lo
scontro finale. (...)
Nel maggio 1995, a Pale si
percepiva una forte tensione fra gli
esponenti del governo. (...)
Un nuovo incontro con il
Presidente avvenne all’Hotel Panorama. Erano
presenti la moglie Liliana, che ci aveva
raggiunto, e un fotoreporter italiano.
Durante il colloquio gli avevo domandato
notizie di un giornalista italiano, Pinton,
che era scomparso da un mese a Sarajevo in
condizioni misteriose ed ambigue,
prigioniero dei musulmani si diceva.
Karadžić conosceva vagamente l’episodio, se
lo fece spiegare, poi andò al telefono
dicendo che chiamava il suo servizio
segreto. Parlò brevemente, poi disse che
avrebbe avuto presto una risposta. Era il 16
maggio. Il giorno dopo, esattamente a 24 ore
da quella telefonata, il giornalista fu
ritrovato. I musulmani lo avevano
rilasciato. I giornali italiani diedero la
notizia, poi tutto venne velocemente
insabbiato. Sembrava fossero coinvolti
alcuni servizi stranieri e si parlava di
traffico d’armi.
Anche in quella occasione
Radovan Karadžić consultava le mappe della
Bosnia-Erzegovina. Questo il succo della
conversazione:
“Oggi, i serbi sono una
nazione compatta. Finora controlliamo il
70% del territorio, anche se musulmani e
croati dovessero guadagnare altro
terreno rimarremmo sempre con il 58%. In
caso di un accordo sarebbe possibile la
formula del 50%. Credo che scambiando
quantità per qualità, i serbi potrebbero
essere soddisfatti con il 53-54%, purchè
si possa discutere la tipologia dei
territori. Ma se i nostri ragazzi devono
ancora morire per queste terre, non le
cederemo certo ai musulmani. Questo è un
mio grande problema. Se dobbiamo
mostrare che siamo i più forti,
guadagneremmo altro territorio e questo
allontanerebbe una soluzione politica.
Se li sconfiggiamo e tentiamo una vita
comune nello stesso Stato, dopo cinque
anni scoppierebbe un'altra guerra
civile. La soluzione migliore è di
dividere la Bosnia in due Stati, purchè
i musulmani si mostrino affidabili nel
rispetto degli accordi. In questo caso
la percentuale del territorio sarebbe
ininfluente. Tenendo conto della qualità
contro quantità, i serbi potrebbero
anche accettare un 53%. Il criterio da
seguire è quello di due nazioni separate
ed indipendenti, ipotizzando il 54% per
i serbi, 16% per i croati e 30% per i
musulmani. Qualora ci riconoscessero
come Stato libero con un'apertura sul
mare a Neum o anche accanto al
Montenegro, non ci sarebbero più ragioni
di conflitto. Ci stanno attaccando in
molte zone, hanno guadagnato in alcune
aree, ma le nostre difese tengono bene.
Stiamo subendo la maggior pressione a
Brčko lungo il corridoio. Desiderano
tagliarci la strada per Banja Luka. Non
lo permetteremo mai. Sono molto esitante
a reagire militarmente con troppa forza,
perchè ciò potrebbe compromettere una
soluzione politico – diplomatica. Ma se
la ripresa dei colloqui non venisse
accettata, dovremo continuare a batterci.”
(estratto
dal Capitolo 6: Dopo Dayton)
Ritornai in
Bosnia il 27 maggio del ’96, dopo un
viaggio fortunoso attraverso una strada
impervia che il mio autista temeva ci
portasse nel corridoio di Goražde. In
quella zona spesso operavano dei gruppi
armati di terroristi musulmani. Proprio
quella mattina erano stati trovati i resti
torturati di tre serbi a Milici. L’IFOR
statunitense aveva arrestato 10 musulmani,
trovati con armi a dispetto degli accordi,
non lontano dal luogo dell’eccidio. Gli
uomini dopo un breve esame erano stati
consegnati, secondo la prassi, alla
Milicija di Pale. I serbi dopo un accurato
controllo e schedatura furono obbligati a
lasciarli andare, poichè non esistevano
prove evidenti che fossero gli autori
dell’eccidio. Da un esame più approfondito
delle generalità, emerse che i dieci
appartenevano ad un gruppo terroristico
musulmano chiamato “laste” (rondine
annunciatrice di rinascita) e otto di loro
risultavano fra gli scomparsi nelle fosse
comuni di Srebrenica secondo le liste
della Croce Rossa Internazionale
depositate al Tribunale Militare di
Zvornik.
Arrivai a Pale
verso le 11.30 di sera, Radovan Karadžić
mi aspettava nella nuova Presidenza in
città. Entravo per la prima volta nella
nuova sede: un palazzo bianco, semplice.
L’ufficio di Karadžić era vasto,
ammobiliato sobriamente, alle mura le
bandiere con le aquile e tutti i simboli e
le icone ortodosse. Nel corso degli anni
erano progressivamente aumentate, rispetto
alla prima volta che l’avevo incontrato,
quando il suo ufficio ne era privo. Questo
poteva significare un ritorno alla
religione e al misticismo o semplicemente
“ragion di Stato“. Il Presidente sembrava
psicologicamente prostrato. Doveva aver
perduto venti chili, era vestito di beige
chiaro e pareva ancora più alto. Era ormai
ufficialmente un criminale di guerra
ricercato. Durante la nostra conversazione
(la conversazione si è svolta in
inglese e l'intervista è stata
registrata su cassetta. Nessun giornale
ha voluto pubblicarla. NdA), il tono
della sua voce sfumava fra la stanchezza,
la disillusione e il dolore.
D. Dopo gli
accordi di Dayton, come considera la
situazione attuale?
Karadžić: La situazione non è
buona, perchè i musulmani non hanno
un atteggiamento chiaro rispetto
alla pace. I loro leader continuano
a dichiarare negli incontri pubblici
che prenderanno l’intera Bosnia. La
lotta non è finita. I musulmani
tentano di entrare nelle nostre
cittadine per spaventare la
popolazione lungo le linee di
frontiera fra loro e la Repubblica
Srpska. Lo fanno per creare paura e
disagio e spingerli ad andarsene.
Qualcuno dovrebbe fermarli. E’
scritto nel Corano: “Niente pace”.
D. Le forze
della NATO non intervengono per
proteggervi?
Karadžić: No. C’è chi vorrebbe
mantenere la tensione in questa
area. Prevedo la presenza della NATO
per molto tempo. Noi siamo le
vittime di questo tipo di gioco
politico. La guerra nella ex
Jugoslavia, non è scoppiata contro
la volontà della Comunità
Internazionale, ma per sua
decisione. Questo è molto grave per
noi. Comunque posso affermare che,
durante i quattro, cinque anni di
guerra, i generali delle Nazioni
Unite arrivavano con pesanti
pregiudizi nei nostri confronti, ma
nel giro di un mese comprendevano
chi è chi in questa guerra. Molti di
loro sono stati rimpiazzati, perchè
acquisivano troppe informazioni e
diventavano favorevoli alla nostra
causa.
D. Pensa che ci sia un legame
tra quanto succede qui e gli attuali
avvenimenti in Israele?
Karadžić: Ci sono sempre dei
legami. Comprendo quanto succede in
Israele oggi. Non giustifico i
bombardamenti di civili in Libano,
ma qualsiasi generale ONU può
raccontare quanto è stato fatto a
noi dai musulmani di Sarajevo. Anche
il Generale Rose, sempre molto
cauto, imparziale e favorevole alla
Federazione Croato-musulmana,
rispose pubblicamente a chi si
lamentava che i serbi tiravano sulla
città: “Perchè signori piazzate la
vostra artiglieria accanto ad
obiettivi civili, provocate la
rappresaglia dei serbi e poi
spostate le postazioni”. E’
un’abitudine dei musulmani di
Sarajevo mettere l’artiglieria su
camion, tirare e partire. Quando ci
causano vittime siamo costretti a
rispondere. A quel punto spostano i
camion con le batterie e chiamano le
troupe televisive per mostrare cosa
hanno fatto i cattivi serbi. Questo
è quanto avviene anche nel sud del
Libano con gli Hezbollah. Stessa
politica, stessi trucchi, stessa
logica, la medesima morale.
D. Ritiene siano
presenti anche in Bosnia-Erzegovina?
Karadžić: Sono
qui,
diverse centinaia.
D. La zona di
Banja Luka è sotto l’ala del comando NATO
britannico, esiste però un’area musulmana,
nella regione, che avrebbe dovuto essere
sotto il loro controllo, invece è sotto
quello statunitense. Esiste qualche
ragione per la quale gli americani tengano
tutte le zone musulmane? Come se
seguissero un disegno speciale?
Karadžić: Non
capisco gli americani, si comportano
in modo totalmente irrazionale. Gli
USA hanno rovinato i loro stessi
interessi in Europa e nei Balcani, non
tanto a causa di questa guerra, ma per
il loro aiuto, volente o nolente, alla
Germania e all’Iran in Bosnia,
indebolendo l’Europa. Locus minoris
resistentiae. Hanno creato un danno
cronico armando l’esercito musulmano e
sostenendo la comunità musulmana qui.
Molto presto la Germania prenderà il
potere e gli americani si renderanno
conto di aver perso dei buoni amici, i
serbi, alleati in due guerre mondiali.
Ora la Russia sta facendo la pace con
la Cina. Molto presto la Germania
allaccerà degli ottimi rapporti con la
Russia.
D. Secondo la
logica territoriale anche la città di
Tuzla avrebbe dovuto essere nel territorio
protetto dagli Inglesi. Cosa stanno
facendo gli Americani a Tuzla?
Karadžić: Non credo stiano
aiutando la pace in questa regione.
Ci impediscono di controllare il
passaggio di terroristi. Siamo
riusciti comunque a catturarne
qualcuno. Nessun dubbio sulla loro
appartenenza, perchè hanno
confessato. Ci impediscono di
controllare le merci in transito per
scoprire l’arrivo d’armi. Questo
significa che applichiamo seri
controlli. Dobbiamo stare anche
attenti alle “mucche pazze”, c’è il
rischio che vengano introdotte fra i
nostri armenti. Nessuno ha il
permesso di trasportare merci senza
pagare un dazio ai musulmani e
quindi lo chiediamo anche noi. La
Comunità Internazionale e i soldati
NATO non ci permettono di
proteggerci. Si comportano come una
forza di occupazione. Cerchiamo di
sviluppare nella nostra gente un
sentimento amichevole e di
collaborazione verso questi giovani
soldati che non sono i responsabili
di questa politica, ma è sempre più
difficile. Impediscono anche alla
mia polizia di fare il suo lavoro
regolare. Le nostre finanze
soffrono. Temo un incremento di
terrorismo, un aumento di malattie,
perchè non possiamo controllare
quanto entra nel nostro territorio.
I musulmani adesso chiedono di
visitare i cimiteri nelle nostre
zone. Questa richiesta è anomala,
perchè non fa parte delle tradizioni
islamiche andare al cimitero. E' un
altro modo per creare tensione.
Allenano il loro esercito e io non
penso che questo voglia dire nulla
di buono. Applicano una politica di
pressione, sempre maggiore.
D. Vi aspettate
ancora problemi da parte musulmana?
Karadžić: Ogni
giorno. Cercheranno d’irrompere nei
nostri villaggi e arrestare la gente.
D. Come possono
arrestare la popolazione di un’altra
nazione?
Karadžić: Semplicemente con la
protezione dell’IFOR considerandolo
“freedom of movement”. Nell’accordo
di Dayton è stato stabilito che
anche solo 10 persone possono
appellarsi a questa clausola.
Cinquemila musulmani, soldati
smobilitati, cercano e creano
incidenti.
D. Dove si
aspetta opereranno in questo senso?
Karadžić: A Prijedor, Doboj,
Tuzla, Brčko. Hanno tentato in molte
cittadine. Sappiamo tutto, abbiamo
la nostra gente fra i musulmani. Non
saranno mai inclini alla pace!
D. Da quanto mi
racconta sembrerebbe che la situazione non
si stabilizzi.
Karadžić: Credo
che
la NATO starà per un periodo molto
lungo. Nell’ambito del Parlamento con
la Federazione Croato-musulmana, la
nostra Assemblea non ha approvato in
nessun modo l’insediamento della NATO
altro che per un periodo temporaneo
con eccezione delle zone lungo le
linee di demarcazione. Adesso
intendono spostare il loro Quartiere
Generale da Gornji Vakuf a Banja Luka,
una sede universitaria. Soldati
stranieri in una città del genere fra
i giovani sono inconcepibili. Abbiamo
fatto sapere che è contro il nostro
volere. Se vengono, i serbi non
faranno nulla contro di loro
naturalmente, però si produrrà un
grave scontento. Sono veramente una
forza d’occupazione. Se si trattasse
dell’esercito inglese e non della
NATO, forse lo considereremmo
diversamente, perchè abbiamo una
grande stima della Gran Bretagna, sono
europei, ma questa è la NATO.
D. Laure
Adler, giornalista francese, nel
libro “L’annèe des adieus”, che
parla dell’ultimo anno del
Presidente François Mitterand,
riporta a pagina 162 un commento del
Presidente in cui egli sostiene che
“i musulmani tentano di
internazionalizzare il conflitto,
ma sfortunatamente non siamo nel
1914 e non abbiamo un arciduca da
offrire loro” e racconta una
telefonata del Segretario Generale
dell’ONU, nell’agosto 1995, nella
quale Boutros Boutros Ghali
affermava che la bomba al mercato di
Via Markale era una provocazione dei
musulmani.
Karadžić: E hanno tutti
taciuto! Oggi, possono constatare
che la parte serba di Sarajevo si
trova nelle zone intorno alla città.
Le posso mostrare la mappa etnica
della città. L’“assedio“ consisteva
nella semplice protezione ai
sobborghi serbi che si trovano
intorno a Sarajevo.
D. Oggi forse è
meglio che non ci siano più serbi nelle
periferie di Sarajevo. Con qualsiasi scusa
avrebbero cercato di attraversare le
vostre linee se fossero rimaste dove
erano.
Karadžić: Ha
ragione. Ma i serbi di Sarajevo hanno
pagato un prezzo altissimo. Le voglio
dire che inizialmente ero molto
tentato di farli rimanere nei
quartieri serbi ed evitare altri
cinquantamila nuovi rifugiati, ma,
come vede, accetto i desideri della
mia gente, non abbandono il mio
popolo. Non si può convincere la
nostra popolazione a battersi a meno
che non si trovino davanti ad un gran
pericolo, allo stesso tempo nessuno
può dissuaderli dal battersi o
persuaderli a restare laggiù o
imporgli di partire. La gente semplice
conosce queste cose sulla sua pelle.
Non sono un mago, nè un dittatore, ho
delle istituzioni democratiche,
un’opinione pubblica, radio e giornali
indipendenti, un Parlamento. Non posso
fare quanto la mia gente non vuole io
faccia. La nostra gente non vuole
rimanere sotto la dominazione
musulmana. Ha visto cosa è successo in
Krajina! Vedrà cosa avverrà nella
Slavonia orientale. Anche senza
pericolo di guerra, la popolazione
serba l’abbandonerà. Nessuno può dire
che il signor Milošević li spinge a
partire. Questa è la grande disfatta
della nazione serba, in particolare
dopo quanto è avvenuto in Krajina e
nella Slavonia occidentale.
D. Ha sentito
cosa sta succedendo in Kosovo in questi
giorni?
Karadžić: Non
ho sufficienti informazioni, mi hanno
detto però che sono stati uccisi otto
serbi e stanno procedendo ad arresti
in diverse città.
D. La
gente vive un po’ meglio adesso e
sembra voler dimenticare la guerra,
ma è preoccupata dalla notizia dei
morti in Kosovo. E ci sono voci
secondo cui le sanzioni non saranno
tolte, ma piuttosto applicate
nuovamente, perchè a Slobodan
Milošević è stato chiesto di
consegnare i criminali di guerra.
Karadžić: Il Signor Milošević
non può consegnarci perchè non siamo
cittadini jugoslavi. Possono solo
condizionare il Signor Milošević per
il Kosovo. Durante il regime
comunista numerosi serbi hanno
abbandonato la regione, molti
albanesi sono filtrati illegalmente
a migliaia dall’Albania ed hanno
occupato il Kosovo, oggi richiedono
i loro diritti sulla base della loro
predominanza etnica. Il fatto che
siano una maggioranza in Kosovo è
assolutamente artificiale e
innaturale. La guerra è una specie
di meccanismo a tempo che può essere
attivato in qualsiasi momento.
Chiunque abbia interesse a
destabilizzare i Balcani e l’Europa
inizierà con il Kosovo.
D. Cosa pensa
delle prossime elezioni?
<>Karadžić:
Hanno creato
il più incredibilmente complicato
dei sistemi. Hanno anche concesso il
permesso di votare all’estero, in
Germania per esempio. Con quale
controllo? Nessuno può aver fiducia
in queste elezioni. Il Partito
Democratico Serbo (partito
di cui Radovan Karadžić era il
presidente. NdA) dovrebbe
raggiungere i due terzi dei voti, se
non ci sono impedimenti, perchè non
ha reali oppositori. I comunisti, i
socialisti ed i partiti minori
tenteranno di unirsi contro di noi
con l’accusa che siamo nazionalisti.
Non lo siamo! Vogliamo solo
proteggere la nostra gente. Il
partito socialista serbo non è molto
amato in Bosnia, solo alcuni
dirigenti ed altri ex comunisti lo
voteranno. Non possono ottenere la
leadership, l’avremo noi del Partito
Democratico. La gente ha fiducia in
noi, sa cosa facciamo e quello che
abbiamo fatto. Quasi tutti gli altri
partiti nella Repubblica Srpska
vengono dalla Serbia. Se vogliono
governare qui, mostrino le loro
capacità in Serbia e ne facciano un
paradiso, a quel punto li voteremo
anche noi. I socialisti (si
riferisce alla sezione bosniaca del
partito di Milošević. NdA) avranno circa il
15% dei voti, la popolazione non li
ama, perchè si è abituata alla
libertà. Parlando di democrazia, le
ricordo che nelle nostre prigioni
non c’è stato nemmeno un prigioniero
politico nei quattro anni di guerra.
La gente lo sente.
<>Un
giorno, quando otterremo la libertà
e l’indipendenza, a quel punto,
suppongo, ci saranno due grandi
partiti, centro destra e centro
sinistra. Noi oggi siamo il centro.
Mi piace disegnare curve
statistiche, dalle stime
approssimative, l’ estrema sinistra
e l’ estrema destra serbe
toccheranno all’incirca il 5%. Tutti
questi movimenti si uniranno in un
grande partito, il centro sparirà,
ma ci vorranno almeno 15 o 20 anni.
D. Come spiega
che la Comunità Internazionale favorisca
in un certo modo il Presidente Tudjman e
il Presidente Izetbegović, che dirigono
due governi di estrema destra e non siano
invece dalla sua parte, quale Presidente
di una repubblica che è governata da un
partito democratico?
Karadžić: Da qualche parte nel
Dipartimento di Stato Americano
tentano di rovinare la politica
estera come se lavorassero per la
Germania. Non lo capisco, anche se
so che molti funzionari USA la
pensano diversamente e discutono
duramente durante le riunioni del
Consiglio di Sicurezza. Abbiamo i
nostri nemici al Dipartimento di
Stato Americano.
D. Cosa pensa
avverrà nel futuro prossimo?
Karadžić: (Con
un profondo sospiro) Credo che ci
stiamo avvicinando agli anni in cui
una guerra mondiale è possibile. Il
conflitto non era prevedibile nel 1991
- 92 fino al ’95, ma lo vedo possibile
nel 1998 o 1999.
D. Quale pensa
potrebbe essere la causa scatenante?
Karadžić: Le potenze
occidentali cercheranno di mantenere
la situazione senza risoluzione nel
caso serva una scusa per una guerra
mondiale. La guerra mondiale è
procacciatrice di affari come ogni
guerra locale. Dopo la Seconda
Guerra Mondiale si è verificata una
grossa crescita finanziaria. Credo
che gli USA, che sono la maggiore
potenza, stiano perdendo nel voler
perseguitare la Russia e la Cina. E
credo che qualcuno stia rovinando
l’America stessa all’interno del
Dipartimento di Stato. Il mondo
occidentale è in pericolo. Ci sarà
una grave crisi. Sento di
appartenere all’Europa e sono molto
preoccupato in proposito. La
Germania tenterà di comandare
l’Europa e sarà brutale come sempre.
Molto presto ci accorgeremo che non
esiste Europa senza la Germania e i
suoi satelliti germanici. Non sono
germanofobo. Molta nostra tecnologia
è tedesca e sono pronto a lasciar
entrare nel nostro paese le loro
compagnie, anche se preferirei
quelle americane, inglesi o
italiane. Vorrei mostrarle alcune
delle nostre lettere d’intenti. La
Germania guiderà l’Europa, ma non so
cosa farà l’America. Vorrebbe essere
leader in Asia, ma anche essere
presente in Europa e tenere il
continente sotto pressione. Questa
non è la migliore politica.
L’Inghilterra, purtroppo, è
diventata una nazione di seconda
classe. Mi piacerebbe se l’Italia
prendesse posizione. Gli italiani
non ci sono mai stati ostili in
generale. Devono diventare sempre di
più uno di quei paesi di media
potenza per trovare il sistema, con
altri, di opporsi a quanto si
prospetta. Penso che si debba
verificare un bilanciamento di forze
o tutto sarà perduto. Alla fine si
verificherà un bilanciamento di
forze, ma tutto dipende da cosa le
altre potenze diventeranno. Ci sarà
un’Europa unita o la Cina, la Russia
e la Germania insieme? O sarà la
Germania da sola che governerà
l’Europa e ne trarrà profitto? Oggi,
nei Balcani assistiamo ad un
incrocio di poteri fra la Germania e
la Turchia che tentano di essere le
forze principali. Queste sono
alleanze pericolose, perchè la
Germania ha sempre voluto essere
presente nel Medio Oriente. La via
diretta per i campi di petrolio è
sempre stata pensata attraverso i
Balcani. Questo è il nostro destino,
essere sul cammino della Germania
verso il Medio Oriente. Il Danubio
costituisce il grande problema della
Serbia. Se non si trovasse in
territorio serbo, tutti noi saremmo
al sicuro. La Germania ha scavato
una serie di canali che portano al
Danubio ed ha bisogno del fiume e
del Medio Oriente e cerca di
arrivare allo scopo con qualsiasi
mezzo, compresa la corruzione. Se
dovesse riuscire, gli USA sarebbero
fuori dall’area. Mi piacerebbe
vedere una politica europea
indipendente, ma temo sarà un’Europa
germanizzata.
D. Ha mai
provato ad aprire un dialogo con il
governo tedesco?
Karadžić: Alcuni
dei miei ministri, quelli che hanno
studiato in Germania e sono amanti
della letteratura e filosofia
tedesche, hanno provato alcune volte,
ma senza risultati promettenti. La
Germania non sarà mai nostra amica, se
dovesse scegliere fra noi e i croati e
i musulmani. Durante ambedue le guerre
mondiali in questo secolo, croati e
musulmani sono stati filo germanici,
non filo americani.
D. Come sono i
vostri contatti con la Russia?
Karadžić: Abbiamo
ottime relazioni con le istituzioni
culturali russe, con alcuni
funzionari, ma la Russia non si
impegnerà per noi.
D. Se Boris
Eltsin vincesse le elezioni, pensa che le
cose potrebbero andare meglio per voi?
Karadžić: Non
so. (Una breve risata) Vorrei che qualcuno
mi suggerisse chi sostenere. La
Russia non ci ha aiutato al
Congresso di Berlino nel 1878. Tanto
meno dopo la guerra russo-giapponese
nel 1905. Questo significa che non
può farlo quando ha seri problemi. I
nostri nemici croati e tedeschi sono
in una migliore posizione. Per la
prima volta il nazismo croato ha
avuto più alleati di noi. Noi serbi,
non la mia gente o il mio partito,
noi serbi in generale siamo stati
accusati di essere un paese
bolscevico, comunista, nazionalista,
le etichette sono state cambiate
continuamente. La verità è che ci
troviamo sul cammino della Germania
verso l’Est. Abbiamo protetto
l’Europa dall’Islam come nel
Medioevo e proteggiamo i paesi
dell’Est dalla Germania. Il nostro
destino è quello di trovarci in una
posizione geopolitica molto
difficile. Un altro contributo ai
nostri guai è probabilmente dato
dalla nostra appartenenza alla
chiesa cristiana ortodossa. Il
problema maggiore dei serbi, oltre a
quello geopolitico, è costituito
dalla caratteristica nazionale di
rifiutare il patrocinio di altre
potenze. Nella Prima Guerra Mondiale
i bulgari hanno cambiato alleati per
perseguire la pace e così pure nella
Seconda Guerra Mondiale, anche se
erano cristiano - ortodossi. Hanno
una componente caratteriale che li
ha aiutati. I serbi non sopportano
di sottostare alla dominazione di un
“padrone”. Noi siamo in una
situazione peggiore, perchè siamo
circondati da nemici storici, i
croati ed i musulmani che si sono
macchiati nei nostri confronti di
qualsiasi atrocità. Deve essere
chiaro! Questa è la continuazione
della Prima e della Seconda Guerra
Mondiale ed è combattuta per le
stesse ragioni.
D. Mi sono resa
conto che la gente è molto preoccupata per
la sorte della città di Brčko, punto di
congiunzione fra le due parti della vostra
repubblica.
Karadžić: Questo è un
problema che la Comunità
Internazionale non riesce a
controllare, come il terrorismo.
Brčko è stata fondata dai serbi ed è
stata sempre una cittadina serba.
D’altra parte si sono verificate nel
tempo delle deliberate infiltrazioni
musulmane dal Sandzak
(regione prevalentemente musulmana sita
nel sud della Serbia lungo il confine
con il Montenegro, trait d‘union tra il
Kosovo e la Bosnia , dalla quale è
separata dal fiume Drina. NdA). Ora,
secondo gli accordi di Dayton ci
deve essere un consenso, rispetto
alla proporzione degli abitanti,
nella porzione di frontiera
interetnica nell’area di Brčko, non
nella città stessa. Se i musulmani
dicono che Brčko è la zona di
maggior contesa per il discorso
degli abitanti, noi rispondiamo che
lo è soltanto il corridoio per una
lunghezza da sei a dieci chilometri.
Quindi tuttora non c’è alcun accordo
sul problema degli abitanti e noi
sosteniamo che non possono esserci
due sistemi di ripopolamento, in
base alle regole USA. Si deve
applicare soltanto un sistema, ma
poichè ci sono due istanze, a questo
punto, non ci sarà nessun
ripopolamento. Non accetteremo mai
una discussione su Brčko e sui sei
chilometri di corridoio. Perchè
dovremmo? I musulmani hanno una
piccola enclave a Goražde e circa
sei chilometri di corridoio, noi
all’ovest di Brčko abbiamo quasi
metà della nazione, non permetteremo
a nessuno di tagliare in due la
nostra terra.
D. Pensa che ci
sia il rischio della nascita del
fondamentalismo?
Karadžić: Ogni
singolo stato musulmano rischia il
fondamentalismo. E’ nella natura
dell’Islam. E’ la sola religione che
invita i fedeli ad uccidere gli altri,
gli infedeli. Quindi cosa ci si può
aspettare?
D. Una domanda
importante. Come si sente nei panni di un
criminale di guerra?
Karadžić: Nel mio cuore
conoscevo già la sua domanda. Non
sono un criminale di guerra. So di
aver fatto solo quello che dovevo
fare. Ci sono forti prove che
l’accusa sia stata avanzata per
compiacere i musulmani e per
prevenire la scoperta delle loro
atrocità. Lei è la prima giornalista
alla quale mi confesso in un certo
modo. Io non accetto questa
qualifica! Se ci sono criminali di
guerra, questi sono coloro che hanno
commesso un crimine contro la pace,
quei poteri politici che hanno
favorito questa guerra. All’inizio
del conflitto per quarantacinque
giorni noi serbi non avevamo un
esercito costituito, però esisteva
già l’esercito segreto musulmano, i
berretti verdi. L’armata regolare
croata operava normalmente in Bosnia
uccidendo la popolazione e
buttandola in fosse comuni a
Bosanski Brod ed a Kupres.
L’esercito jugoslavo doveva
proteggere le diverse parti dagli
attacchi, alle volte proteggeva noi,
altre i musulmani. Hanno cercato di
fare un buon lavoro. Noi serbi di
Bosnia non avevamo ragazzi
nell’esercito jugoslavo (dopo il
riconoscimento di Slovenia, Croazia e
Bosnia-Erzegovina nel 1992, l'esercito
federale JNA era formato solamente da
jugoslavi della nuova Federazione di
Jugoslavia, formata da Serbia e
Montenegro. NdA), solo i
cittadini della Serbia ne facevano
parte, i musulmani non si univano
all’esercito federale e avevano un
enorme numero di uomini nell’armata
irregolare. Noi abbiamo opposto una
resistenza formata da civili contro
degli eserciti armati e organizzati.
Allo scoppio del conflitto, nel
1992, ho dato disposizioni precise
sul comportamento dei nostri
ufficiali e della nostra gente. Le
posso fornire le copie dei miei
ordini. Avevo formalmente proibito
le azioni di qualsiasi gruppo
individuale che non fosse riunito
sotto il comando dell’esercito o
della polizia. Avevo anche
minacciato gravi sanzioni a chi non
si fosse aggregato ad un comando
militare nel tempo di tre giorni.
Tutte queste precise ordinanze alla
mia gente non sono mai stati
ritirate e sono tuttora in essere.
Costituiscono giuridicamente
validissimi documenti. Pubblicati
ufficialmente dai media nei giorni
seguenti. Nessun mio ufficiale ha
emesso mai ordini che permettessero
lo svolgersi di atti criminali.
Abbiamo giudicato alla Corte
Marziale 5000 persone accusate di
crimini e sono state emessi 5000
giudizi durante la guerra. Alcuni
serbi sono stati condannati a dieci,
quindici anni di prigione per atti
contro i musulmani o contro altri
serbi. Tutta la documentazione è
disponibile per essere visionata.
Nell’estate 1992 abbiamo dovuto
creare ex novo le strutture statali
ed è stato fatto quanto necessario
legittimamente con il nostro
Parlamento nel rispetto delle leggi.
Tutti erano sotto controllo salvo
individui singoli che di loro
volontà si sono battuti contro
altri, come nel conflitto passato e
con la memoria di quanto successe
durante la Seconda Guerra Mondiale.
Io ed i miei colleghi al governo
siamo tutti altamente professionali
e non ci saremmo mai fatti
coinvolgere in simili tragiche
mostruosità, allo stesso modo
abbiamo riconosciuto e rifiutato il
fascismo dei croati e dei musulmani.
Il signor Izetbegović vestiva
l’uniforme nazi-tedesca durante la
Seconda Guerra Mondiale. Esistono
delle foto, articoli di giornali e
sappiamo che è stato giudicato
colpevole da un tribunale per aver
fatto parte del gruppo dei giovani
nazisti musulmani, Handžar, il cui
modello spirituale era il Muftì di
Gerusalemme, Mohamed Amin
al-Husseini. Nel 1991 ha pubblicato
a Sarajevo una “Dichiarazione
Islamica“ nella quale auspicava che
l’Islam si estendesse dall’Indonesia
all’Europa. Noi serbi conoscevamo
anche il signor Tudjman e le sue
insegne ustascia e la stessa
retorica della Seconda Guerra
Mondiale. Oggi, noi proteggiamo la
democrazia dal nazismo croato e
l’Europa dal fondamentalismo
islamico incombente, ma siamo i
“criminali”.
D. Non ha mai
pensato di denunciare ad una corte
internazionale chi sta attaccando la sua
immagine?
Karadžić: Se avessi fiducia
nelle istituzioni internazionali
presenterei delle prove, ma non ho
alcuna fiducia. Nessuno può credere
in loro. Ho proibito a tutti di
difendermi, perchè questa non è una
Corte di Giustizia. Hanno rapito
l’ufficiale preposto alla logistica
con l’accusa di crimini di guerra.
Adesso l’hanno rilasciato perchè sta
morendo E’ una vergogna! Questo
Tribunale è un'istituzione assurda
ed illegale. Ho proibito di
difendermi in caso di arresto. Non
presenterò nessuna prova, perchè non
lo riconosco. Quale sarebbe lo scopo
di difendere qualcuno da
un'istituzione violenta che si
comporta come se fosse legale?
Volete agire contro la mia gente?
Siete più forti, andate avanti, ma
non chiedetemi di cooperare. No!
D. Se i soldati
dell’ IFOR venissero a bussare alla sua
porta per arrestarla con l’accusa di
crimini di guerra come si comporterebbe la
Repubblica Srpska?
Karadžić: Io sono molto ben
protetto non solo dall’esercito e
dalla polizia, ma anche dalla
popolazione civile. Comunque non
intendo trattare con questo
tribunale, perchè non lo riconosco
nè politicamente nè giuridicamente.
E’ stato fondato su basi illegali
dal Consiglio di Sicurezza e non
dall’Assemblea Generale dell’ONU.
Non sarebbe dovuto nascere su un
principio discriminatorio, ma
piuttosto occuparsi dei crimini di
tutte le guerre. I crimini dei
nazisti e dei croati nella Seconda
Guerra Mondiale, quelli degli
americani in Corea, in Vietnam e in
Cambogia, di tutti i conflitti
internazionali degli ultimi
cinquant’anni. In quel caso avrei
accettato di presentarmi e portare
le prove a mia difesa. (con
tono deciso) Io non rispetto
questa istituzione. Come possono dei
rispettabili avvocati e giudici
sedere in quella corte e omettere i
crimini che croati e musulmani hanno
perpetrato sui serbi? (Poco si è parlato delle
fosse comuni di Bratunac dove centinaia
di civili serbi erano stati seppelliti
nel 1992. Tommaso Di Francesco – capo
servizi esteri de Il Manifesto – aveva
pubblicato un documento in proposito nel
1992. Ancora meno si conoscono le fosse
comuni vicino a Sarajevo. NdA). Loro
conoscono esattamente i fatti,
eppure servono la politica dettata
dagli Stati Uniti e dai loro stretti
alleati. Non sono meritevoli di
rispetto! Lei è la prima giornalista
cui affermo che ci sono prove
evidenti per le quali non sono un
criminale di guerra, non penso
minimamente a difendermi. Sono
andati troppo lontano. Non indagano
su chi ha veramente iniziato la
guerra. Le ricordo che la Repubblica
Srpska non è il risultato dei nostri
atti. Ci era stato offerto di
costituire la nostra unità etnica in
Bosnia tre settimane prima dello
scoppio della guerra. Il 18 marzo
1991, durante la Conferenza di
Lisbona avevamo accettato di firmare
l’accordo sulla Bosnia composta da
tre Stati etnici. Il trattato era
stato accettato dai musulmani, dai
croati e dai serbi. Poco più tardi i
musulmani rinunciarono all’accordo e
iniziarono la guerra, la sera del 4
aprile, qui a Sarajevo. Sebbene
prima avessimo subito alcuni arresti
a Bijeljina e attacchi da parte
dell’esercito musulmano regolare a
Kupres e Bosanski Brod, loro diedero
inizio al conflitto in Sarajevo
nella notte fra il quattro e il
cinque, alla fine del Ramadam, il
mese sacro.
D. Ma cosa farà
specificamente se arrivassero alla sua
porta?
Karadžić: Non possono
assolutamente arrivare, dovrebbero
uccidere molta gente prima. Ma se
ipoteticamente bussassero alla mia
porta direi loro: “Non vengo con
voi. Dovete uccidermi o catturarmi a
tradimento. E se per caso mi doveste
prendere, non cavereste una parola
da me.” Un giorno qualcuno si
vergognerà di questo tribunale.
Questo non è certamente la fine
della Storia o del tempo e qualcuno
un giorno riconoscerà l’ingiustizia
e la vergogna, l‘insulto alla legge
e alla cultura occidentali di questa
corte organizzata per giudicare i
serbi, non i criminali.
D. Lei non ritiene che
questa guerra è prima di tutto una
guerra mediatica e il tribunale è uno
strumento di appoggio a questa tecnica?
Karadžić: Non
importa. (tono duro) I
serbi non amano la propaganda.
Propaganda significa menzogne.
Pubblicazione di bugie.
[D.
Quindi qual’è la sua posizione di fronte ad un
possibile arresto?
Karadžić: Direi
no! Non coopererei. In nessun caso.
Proibirei anche qualsiasi difesa. Quale
sarebbe lo scopo di difendere qualcuno da
un’istituzione violenta che si comporta
come fosse legale. No!”.]
Non avrei più
incontrato Radovan Karadžić. Su di lui
corsero molte voci in seguito, che si
fosse rifugiato in Russia, poi in un
convento greco ortodosso, infine entrò
nella mitologia popolare come la primula
rossa: era ovunque, da nessuna parte.
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