Abbiamo a lungo esitato prima di predisporre questa denuncia.
I drammatici avvenimenti che si succedono con ritmi incalzanti in questi giorni, la portata biblica di trasmigrazioni forzate di intere popolazioni, la micidiale aggressione con armi che ha cagionato vere e proprie stragi di vittime civili tra le popolazioni serbe e kosovare, lo spettro di un'estensione senza limiti della conflagrazione bellica, ci hanno fatto considerare l'inadeguatezza di un'istanza destinata a percorrere gli itinerari della giustizia ordinaria dello Stato.
Ci siamo tuttavia convinti che queste considerazioni ci portavano a ritenere perduta ogni illusione che le regole più elementari di una qualsiasi società fossero già state spazzate via dall'esclusivo e micidiale ricorso alle armi. Volgiamo e forse dobbiamo credere che quest'evento per adesso non si sia verificato e che ci sia la possibilità di opporre alla violenza pura e diffusa la richiesta di applicazione del diritto ancora non cancellato.
Siamo in ogni caso convinti che tutto quello che è successo e che ci ha portati ad una guerra, è stato preceduto da ideazioni e fattualità caratterizzate da vistose violazioni di norme costituzionali e penali.
Non è nostro compito valutare gli elementi che costituiscono i presupposti giuridici e di fatto di queste violazioni, ma riteniamo di dover proporre agli Organi Istituzionali cui ci rivolgiamo una schematica elencazione dei motivi che ci hanno convinto di ricorrere alla Magistratura dello Stato Italiano.
Il "potere politico di deliberare lo stato di guerra" è assegnato congiuntamente alle due Camere. Queste conferiscono al Governo i poteri necessari. (art. 78 della Costituzione). Il presidente della Repubblica "dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere" (art. 87 della Costituzione).
Dal coordinamento di queste norme costituzionali si deduce che le Camere debbono compiere una prima valutazione di legittimità costituzionale e successivamente di convenienza politica per pervenire ad una deliberazione dello stato di guerra. Tale delibera non avrà alcuna attuazione fino alla dichiarazione dello stato di guerra ad opera del Presidente della Repubblica.
Al termine di questo complesso procedimento, il Governo potrà eseguire i compiti che gli saranno stati delegati dalle Camere, rimanendo nei limiti da queste fissati.
Questa procedura non ha avuto neanche un inizio di attuazione da parte delle Camere e non vi è stata alcuna dichiarazione di stato di guerra da parte del Presidente della Repubblica.
Le due Camere hanno solo ratificato prima l'intenzione del Governo di attivarsi per la cessazione del conflitto della NATO e, successivamente hanno approvato un programma di "aiuti umanitari" ai profughi del Kosovo.
Nessun atto è stato compiuto dal Presidente della Repubblica.
Il Governo Italiano, per voce dei suoi rappresentanti e, segnatamente, il Presidente del Consiglio ha reiteratamente dichiarato che l'intervento italiano era un intervento umanitario.
Con il comunicato n. 157 del 12/10/98, la Presidenza del Consiglio dei Ministri dell'epoca, Presidente Romano Prodi, dopo aver auspicato un esito positivo della trattativa (all'epoca in corso a Belgrado ed a Pristina), e dopo aver udito le relazioni del ministro degli Affari Esteri, Dini, nonché della Difesa, Andreatta: "ha unanimemente ritenuto di autorizzare il rappresentate permanente dell'Italia presso la N.A.T.O. ad aderire al c.d. Ordine di Attivazione (Activation Order) … (…), di conseguenza l'Italia metterà a disposizione le proprie basi qualora dovesse risultare necessario l'intervento militare (…) per fronteggiare la crisi del Kosovo".
Il comunicato della Presidenza del Consiglio si concludeva con la testuale seguente affermazione: "Nell'attuale situazione costituzionale il contributo delle Forze Armate Italiane sarà limitato alle attività di difesa integrata del territorio nazionale. Ogni eventuale impiego delle Forze Armate dovrà essere autorizzato dal Parlamento".
Nella seduta del 26/03/1999, come risulta dal relativo resoconto stenografico, il Presidente del Consiglio ribadiva che: "… il contributo delle Forze Armate italiane (…) è limitato alle attività di difesa integrata del territorio nazionale, come peraltro previsto dalla deliberazione assunta dal Governo italiano a fine settembre dell'anno scorso (in realtà si tratta di quella già menzionata del 12/10/98 n.d.r.) e successivamente confermata in merito all'adesione italiana al c.d. Act Order, a suo tempo deliberato dalla N.A.T.O.".
Il Presidente del Consiglio dei Ministri si è dapprima preoccupato di rassicurare che la partecipazione militare italiana fosse solo di supporto alle operazioni messe in atto da altri paesi ed ha categoricamente escluso che vi fossero degli interventi attivi, ed in particolare dei bombardamenti da parte delle forze armate italiane.
Lo stato di guerra non deliberato né dichiarato è stato viceversa messo in atto prima con immissioni di velivoli militari nello spazio aereo della Repubblica Federale di Jugoslavia direttamente da aerei italiani su obiettivi non meglio precisati.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri in più occasioni ha assunto la "responsabilità politica" dell'intervento armato, definito con termini eufemistici "difesa integrata", " difesa attiva", "operazione umanitaria", espressioni che appaiono solo un tentativo di coprire la drammatica realtà di uno stato di guerra in ingravescente evoluzione distruttiva. Termini che sono serviti a giustificare una catastrofe umana, costituzionale ed hanno provocato una vera e propria "catastrofe semantica".
Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha dichiarato più volte che la fedeltà agli impegni derivanti dall'adesione alla N.A.T.O. non consentivano una scelta diversa da quella compiuta.
Queste affermazioni non possono costituire alcuna giustificazione per due ordini di motivi: innanzitutto, come è stato affermato da fonti autorevoli, l'iniziativa bellica assunta dalla N.A.T.O. ha violato in modo eclatante il regolamento della stessa Organizzazione che non prevede alcun autonomo potere di ingerenza in uno stato terzo fino a che non abbia compiuto atti di aggressione contro un membro della N.A.T.O..
D'altra parte anche se si ritenesse per assurdo che i compiti della N.A.T.O. siano illimitatamente e contraddittoriamente ampliati, tanto da comprendere la possibilità di qualsiasi intervento armato in ogni parte del mondo, non ci sarebbe alcuna modificazione a quanto previsto dalle singole Costituzioni, restando intatti i criteri di intervento e le competenze di ciascuno degli stati membri. Noi riteniamo che i gravissimi accadimenti sopra narrati implichino non solo una responsabilità politica, ma anche una responsabilità penale. Le azioni sono state poste in essere con consapevole e intenzionale volontà di mettere in atto una illegittima ingerenza nell'ambito del potere di un diverso organo Costituzionale, configurando l'ipotesi di reato prevista dall'art. 287 c.p..
Il legislatore ha attribuito un alto livello di pericolosità a questo crimine, catalogato tra i delitti contro la personalità dello Stato, stabilendo pene particolarmente severe e prevedendo per il suo intrinseco significato politico un meccanismo di controllo che si concretizza con una prima valutazione di un organo politico che dovrà decidere se concedere l'autorizzazione a procedere.
Tutti gli atti di guerra compiuti dalle Forze Armate italiane nei confronti della Repubblica Federale di Jugoslavia, dal 24 marzo di quest'anno ed ancora in corso, sono atti illeciti perché non preceduti da alcuna dichiarazione di guerra, né conseguenza di atti di aggressione da parte della Repubblica Italiana, contro le sue Forze Armate, contro cittadini Italiani o contro uno degli stati aderenti all'Alleanza Atlantica.
L'usurpazione di un potere di una materia così delicata appare un atto che sconvolge in modo drammatico e probabilmente irreparabile l'equilibrio che la Carta Costituzionale ha voluto sancire tra gli organi del potere istituzionale.
Il Governo si è appropriato, arbitrariamente, di poteri politici che la nostra Costituzione non gli attribuisce. L'Ordine Costituzionale è stato stravolto, in quanto sono state lese funzioni essenziali del nostro ordinamento costituzionale; in particolare sono state usurpate, illegittimamente, le funzioni ed i poteri politici del Parlamento e del Presidente della Repubblica.
Un'usurpazione di potere in una materia dove siano in pericolo la vita ed i beni dei cittadini del nostro Paese e dei Paesi contro cui si rivolgono i nostri mezzi di distruzione, porterà alla tolleranza di ogni altro abuso, sicuramente di portata minore di una guerra, e comunque depotenzierà l'esistenza stessa delle istituzioni democratiche.
Si tratta di un "vulnus" gravissimo portato al cuore del nostro Ordinamento democratico-costituzionale, atteso che una democrazia si fonda anche e soprattutto sulla difesa dei metodi e delle procedure attraverso le quali i poteri possono essere legittimamente acquisiti ed esercitati. Diversamente opinando si dovrebbe pervenire all'assurda conclusione di dover accettare un sovvertimento di fatto della nostra Democrazia Parlamentare, così come delineata dalla nostra Carta Costituzionale vigente.
Infine riteniamo di non dover dubitare che coloro che hanno deciso di intraprendere un conflitto armato abbiano la piena consapevolezza ed intenzionalità di agire in violazione dei limiti imposti all'esercizio delle loro funzioni.
I confini tra i poteri istituzionali, il reciproco ambito di attribuzione sono espressi in modo così evidente e inconfutato dalla Costituzione che anche una cognizione elementare dei principi di uno stato di diritto è sufficiente per poterli riconoscere.
Del resto che gli uomini del Governo Italiano (sia pure con una compagine parzialmente diversa) ben conoscessero i limiti delle loro attribuzioni, è provato dal documento proveniente dal Consiglio dei Ministri del 12/10/98, sopra indicato e dalle successive dichiarazioni.
Il suddetto documento è stato più volte richiamato negli interventi in Parlamento sia dal Presidente de Consiglio sia dal Ministro della Difesa, (intervento D'Alema - Senato della Repubblica 26 marzo 1999), i limiti di operatività del Governo erano ben chiari all'Esecutivo, ma dal resoconto stenografico della seduta del 31/03/1999 del Senato, risulta (contrariamente alle decisioni del Consiglio dei Ministri ed alle dichiarazioni del Presidente D'Alema di cinque giorni prima sopra riportate), che il Ministro della Difesa Scognamiglio, rispondendo ad un'interrogazione parlamentare sulle operazioni militari in corso, ha testualmente dichiarato: "Sui Balcani si svolgono operazioni militari; è quindi implicito che i nostri velivoli possano trovarsi e si siano coinvolti in operazioni di combattimento".
Non pare azzardato ritenere che, la decisione di non percorrere le chiare vie istituzionali, sia stata dettata dal timore di incontrare nelle due Camere una forte resistenza di vasti settori politici, che non avrebbero facilmente accettato la responsabilità di dichiarare una guerra non giustificata da alcuna necessità difensiva (e quindi vietata dalla Costituzione) e dalla ancora più fondata opinione che il Capo dello Stato, che più volte ha espresso perplessità sul ricorso alle armi, non ritenesse di dover arrivare alla formale dichiarazione di guerra.
I membri dell'esecutivo hanno scelto la più facile via di aggirare gli ostacoli, usurpando poteri a loro non demandati, privilegiando la fedeltà ai paesi aderenti all'Alleanza Atlantica, all'impegno dovuto alla Carta Costituzionale ed agli stessi principi N.A.T.O. ed O.N.U..
L'Italia aderisce al "North Atlantic Treaty (Patto Atlantico), Patto nato nell'aprile del 1949 al fine di tutelare i paesi contraenti contro qualsiasi aggressione bellica e che si propone quale fine di "vivere in pace con tutti i popoli e tutti i governi", in conformità dei propositi e dei principi della "Carta delle Nazioni Unite". (art. 1).
Il "Patto Atlantico", all'art. 5, specifica che, in caso di necessità di intervento armato, imposto per la difesa di uno dei paesi firmatari, qualora aggredito militarmente, impone il rispetto dell'art. 51 della Carta dell'O.N.U., che prevede la decisione del Consiglio di Sicurezza dell'O.N.U., che attuerà tutte le misure necessarie, delineate dalla Carta stessa, prima di determinare un intervento armato.
In assonanza con i fini sopra indicati, la Carta Costituzionale all'art. 11 recita: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali".
Le operazioni militari iniziate dall'aviazione della N.A.T.O. hanno cagionato reiterate stragi civili, che si ripetono ogni giorno, ed appare inutile elencarle avendo avuto adeguata rilevanza sugli organi di informazione nazionali ed esteri.
Gli attacchi condotti dagli aerei della N.A.T.O., hanno utilizzato come basi di partenza aeroporti italiani con supporto organizzativo e logistico nelle basi medesime, così come i missili che reiteratamente hanno colpito il territorio della Repubblica Federale Jugoslava sono partiti da navi dislocate nel Mare Adriatico, navi collegate a basi e porti italiani, così come in territorio italiano sono dislocati numerosi comandi N.A.T.O. che dirigono e coordinano le operazioni militari contro il territorio della Repubblica Federale di Jugoslavia.
Tutto ciò premesso i sottoscritti denunciano i fatti sopra
narrati posti in essere dal Presidente del Consiglio dei Ministri On.
Massimo D'Alema e da alcuni Ministri affinché l'Autorità
Giudiziaria ricevente valuti:
1. Se nei comportamenti narrati siano ravvisati gli estremi di
usurpazione di potere;
2. Se nelle condotte narrate siano ravvisabili altre ipotesi di reato,
tenuto conto delle reiterate stragi di civili, del fatto che intere
porzioni del territorio Jugoslavo sono rimaste prive di acqua e di
energia elettrica, a seguito del bombardamento degli acquedotti e delle
centrali elettriche, tenuto conto del danno all'ambiente, con la
diffusione nell'atmosfera di sostanze chimiche inquinanti, con effetti
fortemente dannosi per l'uomo anche a livello genetico, determinati
dalla presenza di uranio impoverito nelle testate dei missili e degli
altri ordigni bellici, utilizzati dalla N.A.T.O. nei quotidiani
attacchi aerei contro la Repubblica Federale di Jugoslavia.
Roma, 08/05/1999
I sottoscritti:
Dott. Gabriele Cerminara - Magistrato - nato in Nicastro il
07/12/1932, residente in Roma, Via degli Ombrellari n. 53;
Dott. Giuseppe Di Lello Finuoli, nato in Villa S. Maria (CHIETI) il
22/11/1940, residente in Palermo, Via delle Magnolie n. 5;
Onorevole Giovanni Russo Spena, nato in Acerra (NA) il 10/11/1945,
residente in Torre del Greco (NA), Via Monte d'Oro s.n.c.;
Prof. Aldo Bernardini - Ord. di Diritto Internazionale, nato in Roma il
20/05/1935, ivi residente, Via San Calepodio n. 19;
Avv. Pasquale Vilardo,, nato in Rota Greca (CS) il 24/10/1947,
residente in Roma, P.za Gracia n. 41;
Avv. Salvatore Amatore, nato in Roma il 22/10/1965, ivi residente, Via
E. Celesia n. 22;
Avv. Riccardo Faranda, nato in Palermo il 13/04/1954, residente in
Roma, Via G. B. Gandino n. 43;
Avv. Pasquale Maria Crupi, nato in Taurianova (RC) il 13/10/1960,
residente in Roma, Via Ettore Giovenale n. 60;
Avv. Francesco Romeo, nato in Melito Porto Salvo (RC) il 29/03/1964,
con studio in Roma, V.le delle Milizie n. 9;
Avv. Roberto De Angelis, nato a Roma l'11/06/1959, con studio in Roma,
Via Cunfida n. 27;
Avv. Giovanna Lombardi, nata in Morcone (BN) il 27/05/1941, residente
in Roma, Via Filippo Meda n. 43;
Avv. Leopoldo Muratori, nato in Massafra il 05/04/1957, con studio in
Roma, Via Giovanni Animuccia n. 6;
Avv. Simonetta Crisci, nata a Roma il 09/01/1946, con studio in Via
Giuseppe Palumbo n. 12;
Avv. Marco Inches, nato in Milano il 27/05/1963, con studio in Roma ,
Via Ennio Quirino Visconti n. 103;
Avv. Antonella Schirripa, nata in Martone (RC) il 03/06/1956, residente
in Roma, Via Motebruno n. 12;
Avv. Teresa Santulli, nata a Roma il 27/08/1966, con studio in Roma,
V.le Parioli n. 63;
Piero Bernocchi, portavoce della Confederazione Cobas Scuola, nato in
Foligno il 13/09/1947, residente in Roma, Via Accumoli n. 31;
Vincenzo Miliucci, nato in Roma l'01/08/1943, ivi residente in Largo
Bacone n. 11, Confederazione Nazionale Cobas;
primi firmatari della presente denuncia, quali persone offese dal reato
nominano loro difensore l'avv. Giuseppe Mattina, del Foro di Roma, che
delegano alla presentazione della suestesa denuncia ed eleggono
domicilio presso il suo studio in Roma, Viale delle Milizie n. 9 e
chiedono di essere avvisati, ai sensi dell'art. 408 c.p.p. in caso di
richiesta di archiviazione della presente denuncia; chiedono
altresì di essere informati dell'eventuale richiesta di proroga
del termine per le indagini preliminari.