Roma
febbraio 2009
SETTIMANA ANTIREVISIONISTA
|
REVISIONISMO DI STATO E ROVESCISMO:
USO POLITICO DELLA STORIA, AMNESIE DELLA REPUBBLICA
Una volta ho
partecipato a una trasmissione televisiva con Pisanò,
uno dei fondatori del Movimento Sociale, che allora era senatore.
Pisanò mi si è rivolto dicendo: “Lei sa quanto me
che avevamo degli ideali tutti e due. Diversi, certo.
Ma la patria era un valore per lei e per me”.
Io gli ho risposto “Senta, sarà pure come dice Lei.
Però se vinceva Lei io sarei ancora in prigione.
Avendo vinto io, Lei è senatore della Repubblica e parla qui con
me”.
Vittorio Foa, Il paradigma
antifascista
Il 12 novembre è
iniziata, nella Commissione Difesa, la discussione dei ddl 628 (Disposizioni
per il riconoscimento della qualifica di ex combattente agli
appartenenti alla Guardia Civica di Trieste) e 1360
(Istituzione
dell'Ordine del Tricolore e adeguamento dei trattamenti pensionistici
di guerra), che rappresentano un
ulteriore, e forse definitivo, passo verso la totale equiparazione tra partigiani
e repubblichini, tra coloro che combatterono per la libertà e
coloro
che scelsero di sostenere gli invasori nazisti. Il ddl 628 si propone
di riconoscere come “ex combattenti” i membri della Guardia civica di
Trieste, corpo collaborazionista che giurava fedeltà ad Hitler
con
giuramento bilingue. Il ddl 1360, invece, propone la creazione di una
nuova onorificenza, l’Ordine del Tricolore, riservato a tutti coloro
che hanno prestato servizio militare nelle Forze armate italiane
durante la guerra 1940-1945 e che siano invalidi, a tutti coloro che
hanno fatto parte delle formazioni armate partigiane o gappiste,
regolarmente inquadrate nelle formazioni dipendenti dal Corpo volontari
della libertà, oppure delle
formazioni che facevano riferimento alla Repubblica sociale italiana:
agli insigniti dell’Ordine del Tricolore dovrebbe infine essere
riconosciuto un assegno vitalizio di 200 euro annui. Come si legge
nella presentazione del ddl 1360, “l’istituzione dell’«Ordine
del Tricolore» deve essere considerata un atto dovuto, da parte
del nostro Paese, verso tutti coloro
che, oltre sessanta anni fa, impugnarono le armi e operarono una scelta
di schieramento convinti della bontà
della loro lotta per la rinascita della Patria.
Non s’intende proponendo l’istituzione di questo Ordine sacrificare la
verità storica di una feroce guerra civile sull’altare della
memoria
comune, ma riconoscere, con animo
oramai pacificato, la pari dignità di una partecipazione al
conflitto
avvenuta in uno dei momenti più drammatici e difficili da
interpretare
della storia d’Italia; nello smarrimento generale, anche per omissioni
di responsabilità ad ogni livello istituzionale, molti
combattenti,
giovani o meno giovani, cresciuti nella temperie culturale guerriera e
«imperiale» del ventennio, ritennero onorevole la scelta a
difesa del
regime, ferito e languente; altri, maturati dalla tragedia in atto o
culturalmente consapevoli dello scontro in atto a livello planetario,
si schierarono con la parte avversa, «liberatrice»,
pensando di
contribuire a una rinascita democratica, non lontana, della loro
Patria. Solo partendo da considerazioni contingenti e realistiche è
finalmente possibile quella rimozione collettiva della memoria ingrata
di uno scontro che fu militare e ideale, oramai lontano, eredità
amara
di un passato doloroso, consegnato per sempre alla storia patria”.
Le intenzioni dei proponenti non potrebbero essere più
esplicite.
Questi due ddl si inseriscono in quel processo di pacificazione
e di
creazione di una innaturale memoria condivisa che
ha lo scopo di minare le fondamenta antifasciste della Repubblica
Italiana per poter cambiare la Costituzione che ne è alla base.
Costituzione che, con il suo portato sociale, rappresenta un ostacolo
per quella riorganizzazione dei rapporti economici e sociali in chiave
sempre più selvaggiamente capitalista e liberista, se non
autoritaria,
che è in atto in Italia da oltre venti anni. E, come il
capitalismo
italiano ha sempre dimostrato anche nel passato, non esita a ricorrere
al fascismo (nella sua forma originale, “neo” o “post”), o ad una
riabilitazione di esso, per raggiungere i suoi scopi.
Se
da un lato si cerca di sfumare l’incommensurabile differenza tra le
scelte degli uni e quelle degli altri per indebolire la base
antifascista della Repubblica, dall’altro la parte politica che a
queste basi si è sempre mostrata avversa cerca di
autolegittimarsi,
concentrando l’attenzione pubblica sul lato umano dei repubblichini e
sui crimini (veri o presunti) commessi dai partigiani comunisti, le cui
azioni vengono descritte con toni sempre più truculenti.
Non
si tratta di un’operazione recente. Già alla fine degli anni
‘80,
infatti, Renzo De Felice e Giuliano Ferrara si confrontarono in due
interviste su quella che consideravano la fine dell’antifascismo
mentre, in pieno “craxismo”, si faceva un gran rumore parlando di
“Grande Riforma”, “Seconda Repubblica”, “Nuova Costituzione”. Le
reazioni che queste interviste scatenarono travalicarono ben presto il
campo del dibattito storiografico per entrare in quello della polemica
politica: si è così
oltrepassato il confine che
separa un giusto, ed auspicabile, “uso pubblico della storia”, che non
deve assolutamente rimanere confinata nelle aule accademiche, dal suo
“uso politico”, che consiste in un’operazione di
sistematica “riscrittura”, in modo più o meno mistificatorio e
decontestualizzato, per screditare una forza (o un’area) politica o
accreditarne un’altra.
La
“storia”, e in specie il ciclo fascismo/antifascismo/guerra
mondiale/resistenze, è sfuggita dalle mani degli storici ed
è diventa
una prateria dove ciascuno può compiere impunemente le proprie
scorrerie, senza cautela alcuna, senza serietà, né
onestà intellettuale.
Questa
operazione “culturale” portata avanti dal mondo politico è a
tutti gli
effetti “bipartisan”, come dimostrato dal fatto che il ddl 1360
è stato
firmata anche da tre deputati del Pd. Nel 1996 fu il diessino Violante,
presidente della Camera, ad esprimersi sulla necessità di
comprendere “i
motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando
tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salò e non
dalla parte
dei diritti e delle libertà”, pronunciandosi comunque
contro quella che definiva un’“inaccettabile parificazione tra le
parti”.
La tendenza verso la parificazione è stata, invece, rafforzata
da un
discorso tenuto dal presidente della Repubblica Ciampi nel 2001, in cui
ha affermato: “Abbiamo sempre presente, nel nostro operare
quotidiano, l’importanza del valore dell’unità dell’Italia.
Questa
unità che sentiamo essenziale per noi, quell’unità che,
in fondo oggi,
a mezzo secolo di distanza, dobbiamo pur dirlo, era il sentimento che
animò molti dei giovani che allora fecero scelte diverse; che le fecero
credendo di servire ugualmente l’onore della propria Patria”.
Si tratta esattamente degli stessi concetti espressi dal ddl 1360,
legittimati dalla più alta carica dello Stato.
In
questa temperie politica e culturale si è generata una gara a
relativizzare il fascismo, a concentrare l’attenzione su “zone buie”
della Resistenza e “triangoli rossi”, a insistere sulle Foibe (dando
numeri ridicoli, moltiplicando per fattore 100 o 1000 i morti),
dimenticando genesi e contesto di quei fatti: un esempio su tutti sono
i romanzi storici di Giampaolo Pansa, letti da migliaia di italiani che
li hanno considerati come unici saggi “finalmente” attendibili
sull’argomento, oppure l’istituzione del Giorno del Ricordo delle foibe
o, ancora, la fiction “Il cuore nel pozzo”. Si tratta
di quella che lo storico Angelo D’Orsi ha definito come una chiara
operazione di “«rovescismo», che può essere definito come la fase suprema del
revisionismo stesso», laddove con
“revisionismo” intende «l’ideologia e la pratica della
revisione programmatica»: «basta
prendere un fatto noto, almeno nelle sue grandi linee, un personaggio
importante, un episodio che ha costituito un momento variamente
epocale... Poi si afferma che tutto quello che sappiamo in merito
è una
menzogna, o perché fondata sulla falsità, o perché
basata
sull’occultamento; di solito, responsabili delle menzogne e dei
nascondimenti della verità, sono “i comunisti”. […] E più
si spara in
alto più si allarga il bacino d’utenza».
Sulla
scena pubblica, intanto, alcuni amministratori locali si sono dati da
fare con la toponomastica per recuperare alle glorie patrie vecchi
arnesi del Fascio, fino al punto di togliere la titolazione
dell’aeroporto di Comiso a Pio La Torre, parlamentare comunista ucciso
dalla mafia, per riattribuirla a Vincenzo Magliocco, generale nella
guerra fascista di Etiopia. E così, giungiamo agli eventi
più recenti: “il fascismo non è un male assoluto”
sostiene l’ormai
sindaco post(?)-fascista di Roma Gianni Alemanno. E il suo compagno di
partito Ignazio La Russa, Ministro della Difesa, afferma con nonchalance
che farebbe un torto alla sua coscienza se non ricordasse «che altri militari
in divisa, come quelli della Nembo [reparto militarmente organizzato della
Repubblica di Salò, inserito organicamente nei quadri della
Wehrmacht, ndR]
dell'esercito della Rsi, soggettivamente, dal loro punto di vista,
combatterono credendo nella difesa della patria, opponendosi nei mesi
successivi allo sbarco degli anglo-americani e meritando quindi il
rispetto, pur nella differenza di posizioni, di tutti coloro che
guardano con obiettività alla storia d'Italia».
Sono
questi i motivi per cui oggi è sempre più difficile
ricordare ed
affermare che, parafrasando Calvino, il repubblichino più
onesto, più
in buona fede, più idealista, si batteva per una causa
sbagliata,
mentre anche il partigiano più ignaro, più ladro,
più spietato,
combatteva per una società più giusta. Ed
è tenendo ben salda questa considerazione, ormai scomparsa
dall’orizzonte culturale dell’opinione pubblica, che abbiamo deciso di
organizzare un’iniziativa in cui poter discutere e riaffermare
l’antifascismo e l’opposizione più netta verso ogni forma di
revisionismo che miri a sovvertire i valori fondanti della
consapevolezza storica e sociale, che miri a pacificare e confondere in
una differenza indifferente oppressi ed oppressori.
Resistenza
Universitaria (La Sapienza) - Militant
-
Collettivi Universitari Roma3 - Collettivo
Lavori in Corso (Tor Vergata)
Fonte: http://blog.libero.it/ResistUnivers/
Roma 9-10-11/2:
NOI RICORDIAMO TUTTO
E' riuscita benissimo,
con la partecipazione di moltissimi giovani, l'iniziativa antifascista
promossa dagli studenti dell'Università di Roma.
Di seguito riportiamo il
testo dell'introduzione della serata alla Facolta'
di Lettere (Convegno storico "Noi ricordiamo tutto", 11 febbraio),
fattoci pervenire dagli organizzatori, ed un articolo
sulle polemiche sollevate dalla destra nazista in merito
all'omaggio ai partigiani jugoslavi, ex internati nei lager italiani,
caduti per la Liberazione del nostro paese.
Cogliamo l'occasione per
trasmettere le nostre congratulazioni ed esprimere la nostra
gratitudine ai vari collettivi universitari romani che hanno saputo
mettere a fuoco nel modo più corretto le tematiche-chiave della
polemica in corso.
CNJ-onlus
---
11 febbraio 2009:
ore 16
- Aula grande di Storia, facoltà di Lettere (Sapienza)
Convegno storico: Noi ricordiamo tutto
INTRODUZIONE DEGLI ORGANIZZATORI:
Siamo giunti all’ultimo appuntamento di quella che abbiamo chiamato
“Settimana antirevisionista”, settimana iniziata lo scorso 3 febbraio
con la contestazione dell’iniziativa intitolata “Profumo d’Italia”
organizzata in occasione del Giorno del Ricordo dalla Consulta degli
studenti, organismo retto da una maggioranza di destra che pochi giorni
prima aveva ignorato la Giornata della Memoria. L’iniziativa “Profumo
d’Italia”, che non ha visto la partecipazione di storici ma solo di
politici legati al Pdl, è stata finanziata con denaro pubblico:
denaro pubblico, quindi, speso per fare propaganda elettorale ad
esponenti della maggioranza, interessati a parlare “sulle foibe”,
più che “delle foibe”. Riteniamo che questo modo di parlare di
storia affidato a politici, privi di qualsiasi conoscenza sugli
argomenti trattati, sia sempre più diffuso e che sia un elemento
cardine della cortina revisionista che sta comprendo sempre di
più l’Italia.
Ne abbiamo avuto una prova proprio ieri, quando la nostra iniziativa di
deporre dei fiori al monumento-sacrario
dedicato ai partigiani jugoslavi morti nel centro Italia nella lotta di
liberazione del nostro paese è stata condannata da molti
esponenti politici, fascisti o post-fascisti, che ci hanno accusato di
omaggiare degli infoibatori e che hanno addirittura chiesto al Comune
di rimuovere il monumento in questione. Premettendo che abbiamo deciso
di omaggiare questi caduti per contrastare quel “mito”, proprio
dell’Italia fascista e tornato in auge negli ultimi anni, che vede gli
italiani sempre come “brava gente” e gli slavi – o, come spesso si
sente dire, gli “slavo-comunisti” - come delle belve assetate di
sangue, non capiamo davvero come si possano definire “infoibatori”
degli uomini che, dopo essere stati prigionieri nei campi di
concentramento fascisti, dopo l’8 settembre sono rimasti in Italia e
sono morti – nell’Italia centrale, e dunque a centinaia di kilometri di
distanza dal confine orientale - per la liberazione del nostro paese
ancora prima che il fenomeno delle foibe si verificasse. Le accuse
mosse da questi personaggi dimostrano ancora una volta come il
revisionismo legato a celebrazioni come quella del Giorno del Ricordo
abbiano comportato un appiattimento della memoria storica al punto che,
in modo sempre più palesamene razzista, tutti gli jugoslavi
possono essere definiti tout court come “infoibatori”. Si tratta di una
vera e propria operazione politica di oblio e di cancellazione, non
solo della memoria storica, ma proprio della storia stessa. Basti
pensare che il Sottosegretario per la
Difesa Mazzola, democristiano, quando nel 1978 inaugurò il
monumento, a nome del governo italiano, parlò di “giovani jugoslavi che con spirito di
abnegazione e di sacrificio diedero la loro vita per un ideale di
libertà e di giustizia che li accomunava con i partigiani e il
popolo italiano nella lotta alla dittatura fascista e ad i suoi alleati
nazisti” e, ancora, “possa il
loro sacrificio servire di esempio a tutti noi, alle giovani
generazioni soprattutto, perché imparino sempre più ad
apprezzare il valore supremo della libertà”.
Davanti a queste parole, risultano evidenti i cambiamenti che, negli
ultimi trent’anni, sono avvenuti nel sentire comune degli italiani se
oggi esponenti politici, dal dubbio passato (e spesso dal dubbio
presente), possono permettersi di dire che sarebbe necessario eliminare
questo presunto monumento agli “infoibatori” senza che nessuno, o
quasi, gli faccia notare l’assurdità della loro posizione.
E, venendo all’argomento della nostra iniziativa di oggi, che abbiamo
intitolato dal titolo “ No ai ddl 1360 e 628,
no all’uso politico della storia: noi ricordiamo tutto”,
possiamo certamente affermare che questo cambiamento nel sentire comune
degli italiani sia perfettamente espresso nei disegni di legge 628 (Disposizioni per il
riconoscimento della qualifica di ex combattente agli appartenenti alla
Guardia Civica di Trieste) e 1360 (Istituzione dell'Ordine del
Tricolore e adeguamento dei trattamenti pensionistici di guerra)
che sono stati presentanti da alcuni deputati (della maggioranza, ma
anche del Partito democratico, anche se questi ultimi hanno in seguito
ritirato la loro firma) e di cui è iniziata la discussione nella
Commissione Difesa. Questi due disegni di legge che rappresentano un
ulteriore, e forse definitivo, passo verso la totale equiparazione
tra partigiani e repubblichini, tra coloro che combatterono per
la libertà e coloro che scelsero di sostenere gli invasori
nazisti. Il ddl 628 si propone di riconoscere come “ex combattenti” i
membri della Guardia civica di Trieste, corpo collaborazionista che
giurava fedeltà ad Hitler con giuramento bilingue. Il ddl 1360,
invece, propone la creazione di una nuova onorificenza, l’Ordine del
Tricolore, con cui sarebbero decorati tutti coloro che combatterono
durante la Seconda guerra mondiale, compresi gli aderenti alla
Repubblica sociale italiana: questo disegno di legge si pone sulla
stessa linea di tendenza del ddl 2244, presentato nel 2006, due
legislature fa, e fortunatamente mai approvato, sul “Riconoscimento
della qualifica di belligeranti a quanti prestarono servizio nella
Repubblica sociale italiana (RSI)”.
Questi due ddl si inseriscono in quel processo di pacificazione e di creazione di una
innaturale memoria condivisa
che ha lo scopo di minare le fondamenta antifasciste della Repubblica
Italiana per poter cambiare la Costituzione che ne è alla base.
Costituzione che, con il suo portato sociale, rappresenta un ostacolo
per quella riorganizzazione dei rapporti economici, politici,
istituzionali e sociali in chiave sempre più selvaggiamente
capitalista e liberista, se non autoritaria, che è in atto in
Italia da oltre venti anni. E, come il capitalismo italiano ha sempre
dimostrato anche nel passato, non esita a ricorrere al fascismo (nella
sua forma originale, “neo” o “post”), o ad una riabilitazione di esso,
per raggiungere i suoi scopi.
Se da un lato si cerca di sfumare l’incommensurabile differenza tra le
scelte degli uni e quelle degli altri per indebolire la base
antifascista della Repubblica, dall’altro la parte politica che a
queste basi si è sempre mostrata avversa cerca di
autolegittimarsi, concentrando l’attenzione pubblica sul lato umano dei
repubblichini e sui crimini (veri o presunti) commessi dai partigiani
comunisti, le cui azioni vengono descritte con toni sempre più
truculenti. Non è un caso, quindi, se dopo anni in cui è
stato orientato il sentire comunque degli italiani in questa direzione,
il presidente del Consiglio può giungere a dire che la
Costituzione italiana va cambiata in quanto scritta sotto l’influsso
della Costituzione sovietica senza che l’opinione pubblica, spinta
ormai ad un cieco odio “anticomunista”, si sollevi in difesa di essa.
In questa temperie politica e culturale si è generata una gara a
relativizzare il fascismo, a concentrare l’attenzione su “zone buie”
della Resistenza e “triangoli rossi”, a insistere sulle foibe (dando
numeri ridicoli, moltiplicando per fattore 100 o 1000 i morti),
dimenticando genesi e contesto di quei fatti: un esempio su tutti sono
i romanzi storici di Giampaolo Pansa, letti da migliaia di italiani che
li hanno considerati come unici saggi “finalmente” attendibili
sull’argomento, oppure l’istituzione del Giorno del Ricordo delle foibe
o, ancora, la fiction “Il cuore nel pozzo”. Si tratta di quella che lo
storico Angelo D’Orsi ha definito come una chiara operazione di «rovescismo»:
«basta prendere un fatto noto, almeno nelle sue grandi linee, un
personaggio importante, [...] Poi si afferma che tutto quello che
sappiamo in merito è una menzogna, o perché fondata sulla
falsità, o perché basata sull’occultamento; di solito,
responsabili delle menzogne e dei nascondimenti della verità,
sono “i comunisti”». Le colpe del fascismo, invece,
vengono sempre più sminuite e le ricerche sul colonialismo
fascista e sui suoi crimini, come quelle di Angelo Del Boca o di Davide
Conti, rimangono relegate in un circuito ristretto e mai portate
all’attenzione dell’opinione pubblica. Documentari come “Fascist
Legacy” e film come “Il leone del deserto” vengono censurati e non
mandati in onda sulle reti italiani.
Sulla scena pubblica, intanto, alcuni amministratori locali si sono
dati da fare con la toponomastica per recuperare alle glorie patrie
vecchi arnesi del Fascio, fino al punto di togliere la titolazione
dell’aeroporto di Comiso a Pio La Torre, parlamentare comunista ucciso
dalla mafia, per riattribuirla a Vincenzo Magliocco, generale nella
guerra fascista di Etiopia. E così, giungiamo agli eventi
più recenti: “il fascismo non
è un male assoluto” sostiene l’ormai sindaco
post(?)-fascista di Roma Gianni Alemanno. E il suo compagno di partito
Ignazio La Russa, Ministro della Difesa, afferma con nonchalance che farebbe un torto
alla sua coscienza se non ricordasse «che altri militari in divisa, come quelli
della Nembo [reparto militarmente organizzato della Repubblica
di Salò, inserito organicamente nei quadri della Wehrmacht, ndR]
dell'esercito della Rsi,
soggettivamente, dal loro punto di vista, combatterono credendo nella
difesa della patria, opponendosi nei mesi successivi allo sbarco degli
anglo-americani e meritando quindi il rispetto, pur nella differenza di
posizioni, di tutti coloro che guardano con obiettività alla
storia d'Italia».
Sono questi i motivi per cui oggi è sempre più difficile
ricordare ed affermare che, parafrasando Calvino, il repubblichino
più onesto, più in buona fede, più idealista, si
batteva per una causa sbagliata, mentre anche il partigiano più
ignaro, più ladro, più spietato, combatteva per una
società più giusta. Ed è tenendo ben salda questa
considerazione, ormai scomparsa dall’orizzonte culturale dell’opinione
pubblica, che abbiamo deciso di organizzare un’iniziativa in cui poter
discutere e riaffermare l’antifascismo e l’opposizione più netta
verso ogni forma di revisionismo che miri a sovvertire i valori
fondanti della consapevolezza storica e sociale, che miri a pacificare
e confondere in una differenza indifferente oppressi ed oppressori.
Perché, come ha ricordato ieri il Presidente della Repubblica, “la memoria che
coltiviamo innanzitutto è quella della dura esperienza del
fascismo e delle responsabilità storiche del regime fascista,
delle sue avventure di aggressione e di guerra”.
Resistenza Universitaria
(La Sapienza) – Militant – Collettivo Lavori in corso (Tor Vergata) –
Collettivi universitari Roma3
---
http://www.ilmanifesto.it/
Il Manifesto 11.02.2009
UNIVERSITÀ Tensione tra studenti. E oggi nuove polemiche per un
dibattito alla Sapienza con Tranfaglia
I collettivi omaggiano i
partigiani jugoslavi, la destra insorge
di Stefano Milani - ROMA
La polemica arriva anche quest'anno. Puntuale, allo scoccare di ogni
anniversario delle foibe. Così capita che a Roma alcuni studenti
dei collettivi universitari - ragazzi dell'Onda, altri della sigla
Militant e il collettivo Senza Tregua - si rechino pacificamente al cimitero di Prima
Porta a rendere omaggio al monumento che ricorda i partigiani jugoslavi,
portandosi dietro le ire funeste degli studenti di destra. Che
considerano il gesto come un «affronto alla memoria».
Due bandiere rosse, poste ai lati del mausoleo, alcuni garofani e una
fascia che recita: «Cosa conta se si muore, partigiano
vincerà». E una spiegazione: «Siamo andati a rendere
omaggio ai partigiani jugoslavi che, come tanti altri combattenti
stranieri, hanno lottato per la liberazione in Italia del nazifascismo.
Con la vicenda delle foibe non c'entra niente, tutta la canea mediatica
che si è scatenata contro questo gesto è fuori
luogo». La «canea mediatica» è scatenata dal
tris d'assi della destra studentesca (e non) italiana, Azione
universitaria, Blocco studentesco e Casapound. Lo fanno in ordine
sparso ma il concetto rimane uno: è una vergogna.
Il dissidio, però, nasce ventiquattrore prima.
«Lunedì mattina c'è stata una vera e propria
aggressione ai danni di uno studente», denunciano i collettivi.
Il pretesto è un manifesto, affisso e sottoscritto dai
collettivi stessi, in cui venivano pubblicizzate una serie di
iniziative di carattere storico sulle foibe, in occasione della
concomitanza della giornata del ricordo delle foibe istriane. «Al
tentativo di difendere i manifesti, - continuano gli studenti - i
fascisti hanno risposto aggredendo in sette lo studente. Non ci sono
state conseguenze fisiche gravi, ma l'aggressione è andata molto
oltre il livello verbale». Ma questo è solo l'ultimo di
una serie di episodi che, dai famosi fatti di piazza Navona ad oggi,
alimenta la tensione nel mondo universitario romano. «Stiamo
assistendo a un'operazione politica precisa da parte del Blocco
Studentesco - si legge su una nota degli studenti di RomaTre - che
guarda ora al nostro ateneo come possibile terreno di aggregazione e
propaganda. I loro tentativi di insinuarsi nel movimento studentesco e
nella vita politica delle facoltà, è stato ripetutamente
respinto in maniera determinata e pacifica dai collettivi e dagli
studenti dell'ateneo, nonostante le numerose intimidazioni e minacce
che si ripetono di continuo».
E oggi lo scontro potrebbe acutizzarsi ancora di più. Alle ore
16, nell'aula grande di storia della facoltà di Lettere de La
Sapienza è in programma infatti un dibattito, a cui
parteciperanno, insieme a una rappresentante dell'Anpi Nicola
Tranfaglia, professore emerito di storia dell'Europa e del giornalismo
nell'università di Torino, Davide Conti, storico, e Sandi Volk,
membro della commissione consultiva del Comune di Trieste per il museo
della Risiera di San Sabba. Dibattito che alla destra non va giù
e che vorrebbe impedire con tanto di appello al rettore.
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