Itinerari
Suggerimenti per gli escursionisti...
Lettera inviata a Montagne360,
periodico del Club Alpino Italiano (*)
Gentile Redazione,
L'interessante articolo di Gillian Price apparso su Montagne360
di Luglio 2015, dedicato ai sentieri percorsi dai
prigionieri alleati [POW] in fuga dai campi di prigionia,
opportunamente integrando le recenti iniziative editoriali
dedicate ai sentieri partigiani nel 70.mo della Liberazione,
ci porta a conoscenza di quella che è in effetti solo la punta
di un iceberg. Gli storici hanno iniziato in tempi recenti a
ricostruire quello che fu l' "universo concentrazionario"
italiano: si parla di 876 tra luoghi di internamento,
prigionia, lavori forzati o confino, sul solo territorio
nazionale (cfr. http://www.campifascisti.it/
)... In questi luoghi, i prigionieri anglosassoni erano solo
una delle presenze, e nemmeno maggioritaria: tra i prigionieri
stranieri erano soprattutto numerosi gli jugoslavi. In
Appennino centrale oltre ai campi marchigiani di Servigliano e
Sforzacosta menzionati nell'articolo, se ne contavano numerosi
altri, e al confine con l'Umbria nell'incantevole altipiano di
Colfiorito sorgono tuttora le "Casermette", dove erano
rinchiusi migliaia di montenegrini che in gran parte evasero
da un varco nella recinzione nella notte tra il 22 e il 23
settembre 1943. Erano invece soprattutto sloveni i reclusi del
campo della Motina a Renicci, presso Anghiari, che presero la
fuga il 14 settembre 1943. Ancora in Umbria, oltre alle
numerose destinazioni per i lavori forzati dove gli jugoslavi
erano impiegati in grande numero, vale la pena di ricordare
soprattutto il carcere della Rocca di Spoleto, da cui
centinaia di detenuti evasero in maniera rocambolesca e
romanzesca a più riprese dopo l'8 Settembre. Più a sud, in
Abruzzo, confluirono dai campi di Corropoli, Tossicia,
Civitella ed altri ancora quegli stranieri – tra cui 60
inglesi e 45 jugoslavi – che ebbero un ruolo centrale nei
fatti di Bosco Martese, dove si svolse "la prima battaglia in
campo aperto della Resistenza italiana" (Ferruccio Parri).
Proprio in Abruzzo furono tanti gli antifascisti slavi che,
nel tentativo di passare le linee e recarsi nell'Italia
meridionale sotto controllo alleato, rimasero bloccati sulle
montagne dove spesso trovarono la protezione delle famiglie
locali, ma talvolta – come nel caso di Radusinović e Radonjić
– perirono drammaticamente per assideramento.
Diversamente dagli inglesi, che hanno curato la memoria
creando enti dedicati, gli antifascisti jugoslavi sono stati
vittime di un oblio che trova spiegazione nelle note vicende
politiche passate e presenti. Il ricordo delle loro
imprese è sopravvissuto solo grazie alla passione di alcuni
singoli, tra i quali meritano riconoscenza Vlado Vujović e
Drago Ivanović. Eppure, ripercorrendo i destini di tutti
loro, è possibile tracciare itinerari di grande interesse
escursionistico e storico.
Una direttrice fondamentale è quella del crinale
appenninico tra Umbria e Marche: in particolare, da
Colfiorito lungo il versante ovest dei Sibillini fino ai Monti
della Laga e al Gran Sasso; con una possibile variante,
storicamente importante, sul versante opposto dei Sibillini,
fino a Sarnano.
Da Spoleto si possono invece idealmente seguire le sorti
degli evasi della Rocca salendo alla Forca di Cerro per poi
attraversare la Valnerina e risalire sul Monte Coscerno,
teatro della prima grande strage nazifascista in quel
comprensorio (Mucciafora 29/11/1943), per eventualmente
proseguire verso gli altri luoghi che videro protagonista la
locale Brigata Gramsci, in cui gli slavi confluirono: Norcia,
Cascia, Monteleone, Leonessa, Polino.
Da Anghiari possiamo "seguire" gli sloveni verso nord, in
montagna, o verso sud, lungo la valle del Tevere.
In tutti i casi, ripercorrere quelle direttrici ci riporta ad
un mondo sul quale non solo le vicende storiche del secondo
dopoguerra, o i devastanti terremoti, ma soprattutto i
cambiamenti socio-economici (urbanizzazione in primis) hanno
infierito come vere schiacciasassi. L'escursionista attento
può comunque riconoscere su quei sentieri non solo i segni
oramai labili dei valori di un tempo, tra giustizia sociale e
pietas rurale, ma anche l'opera super-storica della Natura,
che si è trionfalmente riconquistata ampie porzioni del nostro
Appennino.
Andrea Martocchia, 6 agosto 2015
(*) pubblicata sul
numero di ottobre 2015 di Montagne360
Itinerari partigiani sulla
montagna abruzzese
A L'Aquila, "l’assessorato alla Cultura del Comune ha
sposato in pieno il progetto, ideato dalla sezione
dell’Aquila dell’ANPI e realizzato grazie alla
collaborazione del CAI, dell’Istituto Abruzzese per la
Storia della Resistenza e dell’Italia Contemporanea e del
Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga. Il
percorso, di circa 60 chilometri, si articola in sei
tratti:
1. L’Aquila–San Sisto–Collebrincioni,
inaugurato l’anno scorso con il cippo in memoria dei 9
Martiri,
2. Collebrincioni–Fonte Nera–Arischia, zona
operativa del gruppo partigiano di Antonio D’Ascenzo e luogo
di fucilazione dei pescaresi Vermondo Di Federico e Renato
Berardinucci, medaglie d’oro al valor militare,
3. Arischia–Casale Cappelli, luogo di scontro
armato tra il gruppo di Giovanni Ricottilli e i tedeschi, in
cui perse la vita il partigiano Giovanni Vincenzo,
4. Casale Cappelli–Assergi–Filetto, luogo
d’azione dei partigiani del gruppo Aldo Rasero e della
strage dei civili del 7 giugno ’44, quando Filetto fu dato
alle fiamme,
5. Filetto–Monte Archetto, luogo di insediamento
del gruppo di Aldo Rasero nella primavera del ’44,
6. Monte Archetto–Onna, luogo della strage
nazista dell’11 giugno ’44."
All'interno del percorso, denominato Percorso Memoria
Natura, è possibile rintracciare la presenza della
compagine slava sulle montagne abruzzesi.
Nella tappa n.1 il 23 settembre 1943 le truppe
tedesche, alla ricerca dei POWs fuggiti dalle casermette,
alleati e slavi, dettero luogo a Collebrincioni ad uno dei
primi scontri a fuoco della Resistenza nel corso del quale
morirono due prigionieri inglesi e "9 martiri giovinetti"
aquilani furono catturati e giustiziati.
Nella tappa n.2 ad Arischia operava, all'interno della
banda partigiana locale, Blagoje Popović,che i locali
ricordano ancora col nickname italianizzato di Biagio,
ardimentoso studente universitario di diciannove anni, figlio
dell’ambasciatore jugoslavo a Londra, ricordato dal suo
comandante come «ragazzo coraggioso e battagliero che cadrà
vittima dei tedeschi per la sua eccessiva temerarietà»,
catturato ed impiccato il 17 maggio 1944 ad un pilone della
teleferica.
Nella tappa n.4 a Casale Cappelli truppe naziste
attaccano il casale dove si era asserragliato il gruppo
composto da sei partigiani, uccidendone uno e catturandone
altri quattro, fra i quali gli slavi Badonic (recte:
Radonjić, Dušan) e Basevic (recte: Basekić,
Nikola), quest’ultimo ferito.
(a cura di Riccardo Lolli, 2015–2016. Per maggiori
informazioni si vedano il sito
IASRIC e la ricerca
dedicata ai partigiani jugoslavi in Abruzzo)
Ultimo aggiornamento di
questa pagina: 13
giugno 2016
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