Recensioni e discussioni / 2011 / dal
portale BarlettaLife.it
La memoria comune delle due sponde
dell’Adriatico
Presentato il libro 'I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana'
di Andrea Martocchia
'Storie e memorie di una vicenda ignorata' anche a Barletta
PASQUALE DIROMA - Domenica 5 Giugno 2011
E' stato presentato lo scorso 27 maggio, nei locali dell'Associazione
Marx XXI a Bari, il libro "I partigiani jugoslavi nella Resistenza
italiana. Storie e memorie di una vicenda ignorata", edito da Odradek
Edizioni. Autore del libro Andrea Martocchia, dottore di ricerca in
Astrofisica ma «militante attivo nella demistificazione delle
guerre umanitarie, appassionato di storia» nelle parole di Andrea
Catone, direttore della rivista L'Ernesto e conduttore della serata,
che ha visto oltre la partecipazione dell'autore del libro anche del
Prof. Pasquale Martino, già Assessore alla Pubblica Istruzione
del Comune di Bari; di Gaetano Colantuono, docente e ricercatore
dell'Università di Bari.
L'opera di Martocchia, redatta con la collaborazione del già
citato Dott. Colantuono, coautore col capitolo dedicato alle Puglie,
della Prof.ssa Susanna Angeleri, di Ivan Pavicevac, presidente del
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia onlus, si pone come un vero
battistrada nella ricostruzione storica del preziosissimo contributo
fornito dai partigiani jugoslavi nella guerra di Liberazione dal
nazifascismo in territorio italiano. Un con-tributo di vite umane,
sofferenze e lotte all'insegna di vero spirito di fratellanza tra
popoli, sconosciuto ai più e poco valorizzato dalla
storiografia. Un contributo che ha risentito degli altalenanti rapporti
di vicinato tra l'Italia e l'ex Repubblica Federativa Socialista
Jugoslava, resi infuocati dalla questione della definizione del confine
orientale nel secondo dopoguerra.
L'organicità della ricerca storica di Martocchia – incentrata
soprattutto sull'operato delle brigate partigiane jugoslave nell'Italia
centrale – non poteva non prendere in considerazione il ruolo svolto
dalla Puglia all'indomani dell'8 settembre 1943 e la presenza di questi
combattenti stranieri nella nostra regione, divenuta retrovia delle
operazioni belliche e di guerriglia in accadimento sull'altra sponda
dell'Adriatico. Una presenza resa tangibile anche per la città
di Barletta, che ancora oggi conserva le spoglie di più di
ottocento partigiani jugoslavi nel Sacrario a loro dedicato nel locale
camposanto.
L'autore del libro ha gentilmente rilasciato a Barlettalife
l'intervista qui di seguito riportata.
Dott. Martocchia, il suo libro si pone
come una vera e propria opera omnia sul contributo dei partigiani
jugoslavi nella lotta di liberazione dal nazifascismo in Italia...
Un'opera omnia sarebbe un po' presuntuoso, sicuramente abbiamo
cercato di essere il più possibile completi in quanto ad
intelaiatura generale della problematica, per costruire una griglia di
lettura di questi fatti che possa essere utile agli antifascisti e alle
persone interessate ed eventualmente anche ai testimoni, alle persone a
conoscenza dei fatti che vogliano ritrovare esperienze di cui hanno
sentito parlare ma anche, perché no, agli storici
professionisti. Su questa griglia gli storici professionisti o coloro
che approfondiscono parti specifiche della tematica o esperti di
realtà locali e regionali dovranno andare ad approfondire nei
vari settori.
Riprendendo il titolo del primo
capitolo del suo libro, "che ci facevano in Italia questi jugoslavi?",
appunto che cosa ci facevano?
Questa è una questione molto importante perché
capire che cosa ci facevano gli jugoslavi in Italia l'8 settembre 1943,
momento simbolico dell'inizio della Resistenza sul nostro territorio,
consente immediatamente di capire perché erano così
determinati a combattere il nemico nazifascista anche sul nostro
territorio. Che cosa ci facevano: erano prigionieri, erano stati
deportati in Italia nei circa duecento campi di internamento che furono
istituiti sul territorio dell'allora Regno d'Italia. La gran parte di
questi campi era proprio nell'Italia centrale, in particolare in
Umbria, Marche, Abruzzo, e dai campi di quelle regioni che fuoriescono
dopo l'8 settembre la maggioranza degli antifascisti jugoslavi di cui
ci occupiamo nel libro, in quanto protagonisti della lotta armata di
liberazione, di resistenza, lungo la dorsale appenninica. Poi c'erano
tantissimi altri campi anche molto più a sud, fino addirittura
in Calabria – Ferramonti di Tarsia era un campo estremamente importante
e oggetto degli studi di Carlo Spartaco Capogreco, che è il
principale storico dell'internamento degli jugoslavi in Italia. Poi
anche molto più a nord, ma questo era abbastanza ovvio, per
esempio vicino al confine nordorientale c'erano campi importanti come
quello di Gonars, in provincia di Udine ma noi per la nostra ricerca ce
ne siamo occupati di meno perché abbiamo pensato fosse
più importante approfondire proprio le vicende meno note del
contributo jugoslavo alla Resistenza italiana sulla penisola, non al
Nordest in particolare, ma proprio sulla penisola.
La Puglia come si sa svolse un ruolo
di retroguardia per l'esercito di liberazione slavo meridionale...
Molto importante è poi la Puglia, non tanto per
l'internamento ma per i campi istituiti anche successivamente – c'erano
anche campi di internamento, soprattutto di trasferimento di questi
prigionieri dal Montenegro e dall'Albania verso il Centro Italia e
verso altri campi. Altrettanto e ancor più importanti sono stati
i campi dove questi combattenti confluirono dai territori liberati, si
riorganizzarono per partire e andare al di là dell'Adriatico,
continuare e terminare vittoriosamente la Resistenza contro gli
occupanti nella loro patria. In Puglia oltre ad essere riconcentrati e
riorganizzati venivano anche a curarsi, in particolare in base agli
accordi intercorsi tra Tito e Churchill nel 1944, venivano in Puglia a
curarsi negli ospedali i partigiani jugoslavi feriti proprio nei
Balcani.
Il sacrario della città di
Barletta contiene circa 800 sepolture di combattenti jugoslavi. Quale
ruolo ha svolto tale struttura?
Questo è uno dei sacrari che vengono realizzati nel corso
degli anni Settanta, sostanzialmente, in Italia, grazie al clima di
distensione e di fratellanza che si era instaurato tra l'Italia e la
Repubblica federativa socialista jugoslava. D'altronde quello fu il
periodo degli Accordi di Osimo, il periodo più felice nei
rapporti tra le due sponde dell'Adriatico. Il sacrario è a
Barletta perché a Barletta in un ospedale militare si
ricoverarono in tantissimi, molti purtroppo perirono per le ferite
subite nel corso dei combattimenti nella loro patria generalmente.
Quindi venivano da oltre Adriatico a Barletta come in altri ospedali
delle Puglie, a curarsi e chi non ce la faceva e moriva è stato
poi tumulato nel sacrario di Barletta.
Il contributo dei partigiani jugoslavi
nella lotta di liberazione dal nazifascismo in Italia è stato
oscurato diciamo dalle tensioni tra i due Paesi in seguito alla
definizione del confine orientale?
Come dicevo prima c'è stato anche un momento felice nel
quale quel contributo non è stato oscurato anzi sono cominciate
alcune ricerche soprattutto a livello locale, sono stati realizzati
questi sacrari e si erano poste le basi per una ricostruzione anche
storiografica. Purtroppo, invece, velocemente, le cose sono degenerate,
in particolare come sappiamo dall'altra parte dell'Adriatico e quindi
non c'è stato il tempo di fare questa ricostruzione
storiografica, comunque già abbastanza tardiva negli anni
Settanta. In generale, fatta eccezione per questa felice parentesi
degli anni Settanta, effettivamente è mancata una storiografia
di queste vicende e del contributo degli jugoslavi nella Resistenza
italiana. Nel libro di questo problema se ne discute ampiamente e se ne
ritrovano le ragioni storiografiche che però sono
pressoché tutte riconducibili a ragioni politiche, di politica
internazionale e interna in qualche maniera. In Italia, durante la
Guerra Fredda ma in gran parte anche oggi, è stato politicamente
più semplice, più opportuno se vogliamo, presentare una
narrazione della Resistenza tutta piegata sulla questione della
liberazione dall'occupante tedesco e dei rapporti internazionali con
gli Alleati anglo-americani. Allora in questa scrittura, narrazione
della Resistenza come moto di liberazione quasi secondo Risorgimento
per l'Italia, trovarono posto tanti partiti politici che avevano
partecipato alla Resistenza ma trovarono molto meno posto gli
stranieri. Purtroppo con la fine della Guerra Fredda questa
insufficienza della storiografia non si è risolta, noi speriamo
di dare un contributo anche abbastanza sorprendente. Sicuramente
pensiamo di smuovere le acque in maniera inaspettata per molti e
crediamo che questo avrà effetto negli anni a seguire.
Anche Barletta ricorda i partigiani
jugoslavi
Accurata ricostruzione storica di Francesco Morelli
Risale al 1970 la costruzione del
Sacrario per i caduti slavi
REDAZIONE BARLETTALIFE - Lunedì 6 Giugno 2011
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
un'attenta e precisa osservazione di Francesco Morelli, avvocato e
affezionato lettore di Barlettalife.it, che in seguito all'intervista
rilasciata alla nostra testata dal dott. Martocchia sui partigiani
jugoslavi, ha redatto un'approfondita ricostruzione sul ruolo svolto
dalla nostra città e sulla costruzione del Sacrario per i caduti
slavi costruito nella città di Barletta.
Come molti sapranno, i militari sepolti a Barletta appartenevano alla
NLAY, la formazione partigiana di liberazione nazionale jugoslava.
Feriti durante la lotta di liberazione, vennero trasportati dagli
inglesi negli ospedali militari dell'Italia meridionale, presso il
campo militare slavo da loro stessi organizzato nel 1944 nella parte a
nord-ovest del cimitero di Barletta; un ufficiale provvedeva
personalmente alla sepoltura dei soldati, registrandone poi l'avvenuta
inumazione su apposito registro nel quale vi riportava le
generalità del Caduto. Nel 1967 il Ministero degli Esteri chiese
al Comune di Barletta di concedere al Governo slavo un'area di 2.100 mq
per la costruzione nel cimitero cittadino dell'ossario commemorativo
dei Caduti slavi sepolti a Barletta e per quelli che si trovavano nei
cimiteri delle città vicine.
L'amministrazione comunale, interprete anche dei sentimenti della
cittadinanza, non esitò ad acconsentire alla richiesta: l'atto
di concessione in uso della superficie si perfezionò a Roma il
10 gennaio 1968 presso il Ministero degli Affari Esteri. Nell'occasione
il Sindaco avv. Morelli si dimostrò particolarmente favorevole
all'iniziativa, «auspicando che i rapporti di sincera
collaborazione e di amicizia fra il popolo italiano e quello jugoslavo
si rinsaldino sempre più anche nel culto di coloro che per la
Patria hanno sacrificato la vita e la giovinezza».
Il successivo 13 gennaio 1968, il Presidente del Consiglio federale
jugoslavo, Mika Spiljak, si recò a Barletta per rendere omaggio
alle 174 salme dei caduti slavi già sepolti presso il locale
cimitero. All'incontro, particolarmente toccante, presero parte le
più alte autorità politiche e militari, tra le quali il
Presidente del comitato dei Ministri per il Mezzogiorno, on. Giulio
Pastore, gli ambasciatori jugoslavi a Roma e Belgrado, il prefetto
dott. Novello, il questore dott. Lacquaviti, il col. Basso del
Commissariato Generale per le onoranze ai Caduti in guerra, il
Comandante del Presidio militare ten. col. Cursio, nonché i
massimi rappresentanti delle forze dell'ordine e la Giunta municipale
al completo, presieduta dal primo cittadino avv. Michele Morelli.
Dopo aver rivolto al Presidente Spiljak il saluto della città,
il sindaco Michele Morelli dichiarò: «Barletta custodisce
gelosamente i resti mortali di una parte dei figli minori del popolo
jugoslavo; e sono questi Eroi che, pur nel sonno della morte, vegliano
dall'opposta sponda adriatica sulla loro terra natia, sui loro cari,
invocando fratellanza amorosa e pace fra tutti gli uomini. Esse ci
ammoniscono di continuare il cammino già intrapreso per una
leale ed amichevole collaborazione sempre più stretta fra il
popolo jugoslavo e quello italiano nel settore economico, culturale,
tecnico e scientifico». Ricordata la soddisfazione con la quale
la cittadinanza accolse la notizia del costruendo Sacrario per i Caduti
Jugoslavi, il Sindaco Morelli pregò poi il Presidente Mika
Spiljuak di « farsi messaggero del saluto di Barletta al nobile
popolo jugoslavo ed interprete della nostra profonda devozione alle
famiglie dei Caduti qui sepolti: dica, signor Presidente, a quelle
famiglie, con quanto amore noi custodiamo le spoglie mortali di coloro
che per la Patria hanno sacrificato la giovinezza e la vita».
Il Presidente del Consiglio federale jugoslavo, rispondendo
all'accorato appello, si disse «sinceramente emozionato per le
calorose accoglienze riservategli» ed espresse profonda
gratitudine per l'amorevole cura con la quale gli abitanti di Barletta
custodivano i resti dei Caduti slavi, proseguendo: «non è
senza un profondo significato la decisione di costruire, mercé
la sollecita, graditissima collaborazione della città di
Barletta, proprio qui sulla sponda dell'Adriatico, il Sacrario per i
Caduti jugoslavi: l'Adriatico non divide, ma collega i nostri due
popoli, ed al sempre più completo raggiungimento di questo
obiettivo sono tesi gli sforzi dei Governi italiano e jugoslavo».
A testimonianza dell'impegno profuso e dei rapporti di collaborazione
in atto, il 20 maggio dello stesso anno, nella sede diplomatica
dell'Ambasciata di Roma, il Sindaco Morelli fu insignito dell'Ordine
della bandiera jugoslava con corona d'oro, la più alta
onorificenza dello Stato dei Balcani, conferita «per gli alti
meriti ottenuti nella collaborazione per lo sviluppo dei buoni rapporti
tra l'Italia e la Jugoslavia». Il 7 aprile del 1969 una
delegazione di amministratori comunali di Barletta, composta dal
sindaco avv. Michele Morelli, dal vice sindaco avv. Francesco Capurso e
dall'assessore alle finanza cav. Uff. Aldo Bernardini, si recò a
Belgrado su invito del Governo jugoslavo, rivolto dal Presidente del
Consiglio federale della sanità e politica sociale dott. Nikolo
Georgievski per il tramite del Ministero degli Esteri italiano.
La folta delegazione fu ricevuta dal Presidente Spilijak che
rinnovò i sentimenti di gratitudine della popolazione jugoslava
per Barletta, per la cura ed il rispetto con cui custodì e
continuava a custodire le spoglie dei suoi caduti e per la generosa
offerta che avrebbe consentito, a distanza di anni, alla Jugoslavia di
raccogliere in un unico posto le salme dei soldati, rimarcando lo
spirito di collaborazione e di fraternità tra i due popoli ed
auspicando che questo clima di reciproca simpatia potesse costituire la
premessa per scambi sempre più proficui. Il sindaco Morelli a
sua volta confermò il rispetto di Barletta per tutti i Caduti in
guerra, sottolineando "l'anelito di pace, di benessere e di progresso
che guida le popolazioni pugliesi nel processo di miglioramento civile,
sociale ed economico".
Il successivo 27 settembre del 1968 si venne a concretizzare quello che
i giornali dell'epoca definirono "un «ponte» sull'Adriatico
fra Barletta e Herceg Novi". In ottemperanza a quanto stabilito dai
Sindaci e dai consigli comunali delle due città sin dal maggio
dello stesso anno, venne siglato il gemellaggio tra Barletta e la
città montenegrina di Herceg Novi, con l'intento di promuovere
fra i due paesi una più concreta collaborazione. Durante la
cerimonia del gemellaggio, il sindaco Vlaovic, dopo aver rivolto il
saluto augurale a tutta la delegazione barlettana ed ai numerosissimi
presenti, pose in risalto come il gemellaggio non fosse scaturito per
caso, ma si poté realizzare anche per la disponibilità
offerta dalla città di Barletta nella costruzione del sacrario
commemorativo dei caduti jugoslavi caduti nell'Italia meridionale e
insulare durante l'ultima guerra.
Il sindaco di Barletta avv. Morelli rivolse il saluto e le
felicitazioni dell'intera città di Barletta, fiera di stringere
con la città di Herceg Novi un patto di gemellaggio «che
sarà il simbolo dell'unione e della pace tra i due popoli,
alimentato dall'amore e dal vincolo dei morti che riposeranno nel
sacrario nel cimitero di Barletta», aggiungendo che «il
gemellaggio, oltre ad essere un fatto simbolico, vuole essere sul piano
della vita pratica la realizzazione di rapporti economico-commerciali,
culturali e spirituali fra i due popoli, attraverso uno scambio di
notizie e di aiuti, preludio alla unione non soltanto delle due Nazioni
vicine, ma di quelle delle Nazioni europee e del mondo, se simili
iniziative venissero da tutti realizzate e coltivate».
L'Ossario Commemorativo dei Caduti Slavi venne inaugurato il 4 luglio
del 1970, alla presenza delle più alte cariche italiane ed una
folta delegazione jugoslava, compreso i parenti dei combattenti
deceduti. Particolarmente commovente fu l'intervento della madre di una
vittima della Resistenza, che nel silenzio profondo, pronunciò
un discorso colmo di emozioni e di lacrime mai sopite: «Figlioli
miei e tu, figlio mio! A questo triste raduno tua madre è
orgogliosa di aver dato la vita a chi questa vita ha offerto alla
Patria. Sono fiera ed orgogliosa anche se, invece di te, ho questo
grandioso monumento. Siete caduti per una nuova vita, una generazione
nuova, un nuovo fronte che mi fa sopportare il dolore di madre. Figlio
mio, tua madre è ora, qui orgogliosa di te; anche se sola, ella
non è sola; è insieme alle nuove generazioni di questa
nostra libertà per la quale tu sei caduto».
A nome del Governo italiano, il sottosegretario agli Esteri on.
Salizzoni rilevò che «la nostra presenza qui a Barletta
simbolizza altamente la comune volontà dei nostri due popoli di
onorare la memoria di chi ha dato la vita per la difesa della propria
Patria. L'Adriatico oggi più che mai non separa ma unisce le
sponde dei nostri due Paesi uniti dalla comune aspirazione alla pace,
alla libertà al progresso». Segui poi la deposizione delle
sei cassette nella cripta e la cerimonia di deposizione delle corone:
quella della città di Barletta, del Ministro della Difesa
italiano, del Governo italiano, del Governo jugoslavo, dei Partigiani
di Puglia, del presidente Tito.
Il capo della delegazione jugoslava, dopo aver chiuso la cripta, ne
consegnò le chiavi al sindaco di Barletta avv. Morelli che, dopo
aver ribadito l'orgoglio e l'affetto con cui Barletta accoglieva le
spoglie di tanti valorosi soldati, sottolineò i sentimenti di
amicizia che legavano le due popolazioni: «Le spoglie di questi
giovani vanno ad arricchire l'ondata di sentimenti che suscita nei
nostri animi il ricordo di migliaia di Caduti di questa gloriosa
città che riposano lontani dalla nostra terra. I vostri Caduti
sono i nostri caduti. Il loro sacrificio, come quello dei nostri eroi,
appartiene all'umanità; è patrimonio inalienabile dei
sentimenti di libertà, di attaccamento alla Patria che hanno
costituito la componente fondamentale e la spinta ideale della loro
azione».
L'intera struttura si sviluppa su due piani e ricopre una superficie
che descrive un rettangolo avente lati pari a 70 e 20 metri, ergendosi
per un'altezza di 11 metri. Custodisce i resti di 825 morti e di altri
463 combattenti dei quali non erano state reperite le spoglie, per un
totale di 1.288 caduti. I nomi dei partigiani slavi sono scolpiti su
due grandi portali di bronzo, posti l'uno di fronte all'altro, in
un'ampia sala circolare ed ordinati rispettivamente nei due elenchi dei
"Caduti e morti nell'Italia meridionale" (Pali i umrli u južnoj
Italiji) e dei "Dispersi sul territorio dell'Italia meridionale"
(Nestali na teritoriji južne Italije). Di grande impatto e significato
è l'apertura circolare nel pavimento della sala principale,
rivestito da un mosaico di colore rosso vivo per simboleggiare il
sangue versato dai combattenti jugoslavi in occasione della Resistenza
antifascista e antinazista italiana.
A giudizio del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia e secondo
quanto riportato nei libri di storia, il Sacrario di Barletta
rappresenta uno dei tre più importanti esistenti in Italia,
unitamente a quello di Roma (Prima Porta) e Sansepolcro (Arezzo), ed
è ancora meta di cittadini stranieri che ricordano con
ammirazione e devozione questi eroi.
Avv. Francesco
Morelli
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aggiornamento di questa pagina: 9
agosto 2011
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