Recensioni e discussioni / 2011
/ Intervento di A. Kersevan
Intervento scritto per la
presentazione tenuta a Milano il 14 ottobre 2011
di Alessandra Kersevan
Impossibilitata, per ragioni
di salute, ad intervenire personalmente alla presentazione
del libro
svoltasi alla
Libreria Odradek di Milano il 14 ottobre 2011, A.
Kersevan ha inviato il seguente testo
che è stato letto nel corso dell'iniziativa:
Il libro di Andrea Martocchia, con contributi di Susanna
Angeleri, Gaetano Colantuono e Ivan Pavicevac, sui partigiani
jugoslavi in Italia mi ha particolarmente emozionato,
perché, anche se conoscevo a grandi linee l'argomento -
e nella mia ricerca sui campi di concentramento fascisti avevo
accennato agli internati di Colfiorito e di Renicci che dopo
l'8 settembre erano rimasti a combattere nella Resistenza in
Italia - la lettura della narrazione delle vicende, il loro
inserimento nella “grande” storia, la ricchezza degli ideali e
l'intreccio di sentimenti che ne emergono sono di una forza
tale, che non si può non rimanerne anche emotivamente
colpiti.
Come ha messo in evidenza Giacomo Scotti nella sua
introduzione, è un libro da cui emerge, in maniera
storicamente documentata e non solo come affermazione
retorica, quella che un tempo si chiamava “fratellanza” fra i
popoli nella lotta. È un aspetto particolarmente
importante, nell'Italia di questi anni, in cui siamo stati e
siamo immersi nella menzogna della cosiddetta Giornata del
Ricordo, con il veleno seminato a grandi mani nelle menti
degli italiani contro gli “slavi”. Di questa “fratellanza”
conoscevamo finora qualcosa della partecipazione dei
partigiani italiani alla Lotta di liberazione jugoslava” (alla
cui conoscenza ha dato un grande contributo proprio Giacomo
Scotti), ci mancava completamente invece questa parte della
Storia.
Come mette in evidenza Davide Conti nella sua prefazione, non
è un caso se in Italia non si è parlato del
contributo di partigiani jugoslavi alla Resistenza italiana.
Infatti, si sarebbe dovuto spiegare anche che cosa ci
facevano, sloveni, croati, montenegrini, serbi, sul nostro
territorio. Per quanto ne sanno oggi, gli italiani potrebbero
pensare che si trattasse della famosa “invasione slava”, non
quindi solo fino al Tagliamento, o fino a Milano, come si
è letto da qualche parte, ma le truppe di Tito
addirittura fino al centro e al sud dell'Italia. Può
sembrare uno scherzo, il mio, ma non credo di andare troppo
lontano dalla realtà, per quanto riguardo il livello di
inconsapevolezza degli italiani riguardo a questo pezzo della
nostra storia.
Invece, leggendo il libro di Martocchia, gli italiani possono
scoprire che i partigiani jugoslavi erano qui perché
qui erano stati deportati dall'esercito e dalle
autorità italiane che stavano occupando la Jugoslavia,
avendone anche annesso numerosi territori. I lettori italiani
possono scoprire che in Italia c'erano numerosi campi di
concentramento appositamente per “slavi”, che in questi campi
di concentramento le condizioni di vita erano disumane, che
molte migliaia di persone, uomini, donne, vecchi e bambini,
furono deportati in questi campi, e vi morirono, di fame e di
malattie conseguenti alla fame. Andando indietro nella catena
delle responsabilità, scopriranno che l'Italia ebbe in
preciso progetto imperialistico nei confronti dei Balcani
già da prima dell 1915 – realizzatosi poi praticamente
con l'appoggio di Mussolini agli ustascia di Pavelić, che
quindi l'Italia non invase la Jugoslavia semplicemente al
“carro” dei nazisti, ma che contribuì in maniera
diretta alla sua aggressione e allo smembramento, e che in
questo modo è responsabile di tutta la repressione e
delle distruzioni che avvennero in Jugoslavia durante la
seconda guerra mondiale. Si scoprirà anche che non fu
solo il fascismo, responsabile di questa politica aggressiva,
che la repressione venne attuata non solo dalle camicie nere
da dallo stesso esercito italiano.
È insomma un libro che va letto in tutta la sua
complessità, perché riesce molto bene a
intrecciare le storie personali nel contesto più ampio,
ed è fornito anche di un apparato documentale che
consente ad ogni lettore di cimentarsi, in qualche modo, con
la storiografia, permettendogli di riflettere su come si
ricostruiscano le vicende storiche. Insegnamento e approccio
particolarmente importante, in un'Italia in cui ormai hanno
abituato la gente a pensare che la storia siano le
semplificazioni e le mistificazioni dei vari Pansa di turno.
Molto importante da questo punto di vista, anche le appendici,
con l'elenco aggiornato dei campi di concentramento, le
fotografie, che chiariscono ulteriori aspetti dei rapporti
italo-jugoslavi e una disamina dei luoghi della memoria che si
trovano oggi in Italia.
Come è specificato anche nella Premessa, manca in
questo libro una parte importante della storia dei rapporti
fra partigiani jugoslavi e italiani, per quanto riguarda la
zona del confine orientale. Ma credo che sia stata una scelta
corretta, in quanto le problematiche di questo territorio sono
così particolari, che avrebbero in qualche modo
condizionato tutta la trattazione.
La lettura poi delle storie, delle motivazioni, delle vicende
che videro protagonisti questi partigiani jugoslavi, dà
anche al pubblico italiano la dimensione dei sentimenti, delle
idealità, delle speranze di giustizia e libertà
che li animavano, e che riuscivano ad andare oltre alla cruda
storia dei rapporti fra gli Stati e alle trame dei governi per
costruire un'unità d'intenti e di lotta fra persone di
diversa nazionalità. In particolare è molto
opportuno ed importante il riferimento che si fa nel libro
all'attualità storica, con la disgregazione della
Jugoslavia, sotto la spinta degli interessi dell'imperialismo
mondiale, che ha usato come un'arma micidiale il principio
della “differenza etnica”. Si mette così in evidenza
anche la funzione che ha avuto il revisionismo storico, quello
cioè di creare una base “teorica” di sostegno al
ribaltamento degli esiti della seconda guerra mondiale e della
lotta antifascista. Nel libro si ricorda come purtroppo nel
monumento di S. Sepolcro si sia affiancata alla vecchia lapide
jugoslava, altre lapidi che dividono “etnicamente” i
partigiani e i morti nei campi. Purtroppo la stessa cosa
è stata fatta per esempio anche nel monumento esistente
a Gonars, dove oltre alle lapidi separate fra sloveni e
croati, ogni anno arrivano anche delegazioni separate. Voglio
anche raccontare un piccolo aneddoto, a questo proposito:
nelle cripte del monumento di Gonars ci sono oggi 473 piccole
urne che contengono le ossa di altrettanti deceduti nel campo.
Le piccole urne sono decorate con una stella rossa. Un
rappresentante non ricordo se sloveno o croato, alcuni anni
fa, aveva proposto di sostituire queste urne con altre senza
stella rossa, con la motivazione che non tutti i morti erano
aderenti alla lotta di liberazione. Poi la cosa non è
stata riproposta, ma non è detto che qualcuno in
Slovenia o Croazia, prima o dopo non la riproponga.
Per concludere questa mia breve disamina, vorrei mettere in
evidenza come non sia un caso se anche questo importante
libro, come anche tutti quelli sui campi di concentramento
fascisti siano frutto di ricerche avvenute fuori dalla rete
degli istituti storici della Resistenza. Purtroppo anche su
questi istituti e sull'ANPI nazionale (molte positive
eccezioni sono costituite dalle ANPI locali) ha funzionato e
continua a funzionare il ricatto nazionalistico, per cui
quando ormai una ventina di anni fa è iniziato, prima
di tutto nel Friuli-Venezia Giulia, l'opera sistematica di
revisionismo storico da parte della destra neofascista, non
c'è stata la necessaria reazione da parte di ANPI e
Istituti, e si lasciò che i partigiani jugoslavi e Tito
venissero descritti come un gruppo di violenti criminali
infoibatori degli italiani, “tanto” la Resistenza italiana non
veniva toccata. Oggi, le cose sono andate così avanti,
che il revisionismo storico è penetrato abbondantemente
anche in ambienti teoricamente antifascisti, e le
organizzazioni che si rifanno alla Resistenza sono ampiamente
in mano agli eredi di coloro che avevano condotto una
Resistenza moderata e attesista, mentre il contributo dei
comunisti e dei garibaldini viene ridimensionato se non
addirittura nascosto.
Se teniamo conto di questa situazione, che tutti possiamo
toccare con mano, possiamo capire ancor di più
l'importanza di questo libro, che diventa uno strumento
particolarmente importante proprio nella lotta contro quello
che viene chiamato “revisionismo storico”, ovvero la
riscrittura della storia della Resistenza in chiave moderata e
neofascista - in sostanza, una riscrittura di classe, della
classe dominante oggi in Italia, che si sente, dopo la fine
dei paesi socialisti, la fine della Jugoslavia, la fine del
partito comunista, in grado di imporre completamente la sua
visione della storia. Contro tutto questo, come io dico
sempre, è necessaria la nostra “guerriglia culturale”,
e questo libro penso ne possa costituire uno strumento
importante.
Ultimo aggiornamento di
questa pagina: 15
ottobre 2011
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