Per un 2005 travolgente. Il
nostro augurio a tutti i Resistenti
IL MANIFESTO
DEI RESISTENTI
Noi
Resistenti abbiamo cominciato presto a guardare in faccia il
nostro vero nemico. Eravamo già attivi nella resistenza spagnola
che mise in
fuga i mamelucchi di Murat e fece impazzire i generali di
Napoleone. Ci
riconoscerete dipinti da Goya ne "La fucilazione alla montagna
del Principe
Pio" e nella urla di gioia che accompagnarono la fuga dei
francesi nel 1813.
Nasce da qui l'onda lunga che ha portato alla Repubblica del '36
e alla
resistenza antifranchista fino ai nostri giorni.
Ci siamo aperti la strada con le armi in pugno insieme a
Garibaldi, mentre cadeva la Repubblica romana ed Antonio
Brunetti -
Ciceruacchio per il suo popolo- insieme al figlio Lorenzo cadeva
sotto il
plotone di esecuzione. Ma, come fece Gasparazzo contadino
indomito, non ci
siamo fidati dei garibaldini di Nino Bixio che in Sicilia
fucilarono la
nostra gente a Bronte, ed insieme a Gasparazzo ci siamo dati
alla macchia
rendendo per anni la vita difficile ai piemontesi, ai nuovi
padroni e ai
proprietari terrieri.
A metà dell'ottocento ebbero tanto paura delle nostre barricate
che il prefetto Haussman dovette rifare Parigi da capo a piedi.
Sventrarono
i vicoli e costruirono i grandi boulevard come "strade di una
caserma
opportunamente ampliata" perché i padroni temevano di incontrare
in strade
troppo strette i Resistenti come Charles Delescluze o Flourens.
Venti anni
dopo le barricate infiammarono di nuovo la Parigi della Comune e
noi
Resistenti fummo conosciuti come "Communards". I soldati del
gen. Lacombe
furono mandati contro di noi a Montmartre, ma si rifiutarono di
sparare sul
popolo ed alla fine rivolsero i fucili contro il generale
stesso, sono
formidabili Resistenti coloro che sanno comprendere chi è il
vero nemico.
Ci scatenarono contro altri soldati e i cannoni messi a
disposizione dai prussiani, ci fucilarono a migliaia o ci
deportarono alla
Cayenna. Eppure, come disse l'uomo di Treviri - la testa
migliore degli
ultimi due secoli - "dopo la Pentecoste del 1871 non ci può
essere né pace
né tregua tra gli operai francesi e gli appropriatori del
prodotto del loro
lavoro". Capite adesso perchè lo sciopero dei lavoratori in
Francia andò
così bene anche nel 1995?
Ma noi Resistenti non siamo e non eravamo solo sulle barricate e
nelle officine delle grandi metropoli. Nascevamo e crescevamo
anche nelle
nuove colonie di quello che diventerà l'imperialismo moderno.
Eravamo nel
deserto algerino e sui Monti dell'Atlante con Abd el Kader che
tenne alla
larga i turchi e umiliò per anni i legionari del generale
francese Bugeaud.
Eravamo
nascosti nel pubblico e ci tormentavamo le mani,
impotenti in quella occasione, quando gli invasori italiani,
nell'ottobre
del 1912, fucilarono a Tripoli l'arabo Husein. Ci vollero tre
scariche della
fucileria del plotone d'esecuzione per vederlo cadere a terra.
Husein e i
suoi Resistenti avevano fatto impazzire i militari italiani
nelle uadi o
sulle strade carovaniere. Per rabbia e per rappresaglia gli
italiani
fucilarono centinaia di persone e ne deportarono 3.053 nelle
isole Tremiti,
a Ustica, a Favignana, a Ponza e a Gaeta.
"Non ci inganna che si dica un'epoca di progresso. Quel che
dicono è invero la peggiore delle menzogne" tuonavano i versi
del poeta
arabo Macruf ar Rusufi " Non li vedi tra l'Egitto e la Tunisia
violare con
stragi e massacri il sacro suolo dell'Islam? E non sia addossata
la colpa ai
soli italiani ma tutto l'occidente sia considerato colpevole".
Nelle
colonie pensavano di aver vinto, legando i sepoys alle
bocche dei cannoni e facendo fuoco come fecero gli inglesi in
India o
fucilando e impiccandoci a decine come fecero gli italiani in
Libia. Ma gli
arabi hanno un cuore indomito e venti anni dopo il Leone del
deserto, Omar
Al Muktar tornò a seminare il panico tra i soldati e le camicie
nere che
occupavano la Libia. Il generale fascista Graziani, quello che
aveva
massacrato con i gas gli etiopi, fece impiccare Omar Al Muktar.
Ma il suo
fantasma inquieta così tanto gli eredi di Graziani da impedire
che in Italia
si possa vedere il film che parla della sua storia. Fanno paura
anche da
morti i Resistenti!!!
Mentre
il capitalismo si annunciava con i mercanti, noi
Resistenti eravamo già dovunque e da tempo. Avevamo viaggiato
sulle loro
navi con le catene ai piedi e ai polsi. A cominciare la
resistenza furono
proprio gli schiavi neri deportati in Brasile che fondarono la
loro
repubblica a Quilombo e resistettero fino al 1697 contro i
colonialisti
portoghesi. Cento anni dopo, i nipoti di quegli schiavi,
diventati creoli o
rimasti neri come i loro antenati, si ribellarono a Bahia, la
disinibita
città degli incanti e del candomblé cantata dalle pagine di
Jorge Amado. Ma
eravamo anche più a Nord, eravamo nella selva e sulle Ande con
la resistenza
di Tupac Amaru. Gli spagnoli lo hanno squartato con i cavalli
per smembrarne
il corpo ma duecento anni dopo il suo nome ha fatto tremare i
governanti
corrotti di Lima e Montevideo chiamando alla lotta nella selva e
nelle
città.
Eravamo
a cavalcare al fianco di Artigas nelle grandi pianure
della Banda Oriental ed eravamo al fianco del creolo Simon
Bolivàr tra selve
e paludi per gridare a schiavi, creoli, indigeni e popoli che
volevamo una
sola nazione, "la Nuestra America. E potevate vederci insieme a
José,
Antonio e Felipe, senza scarpe e senza saper leggere quando a
Morelos
Emiliano Zapata lesse il programma che scosse le montagne e mise
i brividi
ai latifondisti. Tante volte abbiamo resistito, accerchiati dai
rurales e
dai federales, tante volte li abbiamo umiliati trasformando le
sconfitte in
vittorie. E ci avete visto anche sessanta anni dopo. Eravamo di
nuovo là,
nel Guerrero, a Oaxaca, nei Loxichas a fare scudo a Lucio
Gutierrez,
vendicando con la coerenza tra parole e fatti gli studenti
massacrati a
Città del Messico o il lento genocidio di indios e campesinos. E
venti anni
più tardi eravamo tra quelli che dopo il massacro di Aguas
Blancas giurarono
di fargliela pagare agli assassini.
Eravamo
in Bolivia con l'acqua fino alla cintura al guado del
Yeso quando l'imboscata dei militari uccise sette di noi tra cui
Tamara
Burke "Tania". Diciotto giorni dopo nel canalone di "El Yuro"
veniva ferito
e poi assassinato Ernesto Guevara detto "Il Che" insieme al
Chino e a Willy.
Quando due anni fa ci siamo rivoltati a Cochabamba contro la
privatizzazione
dell'acqua, avevano la sua immagine sulle nostre bandiere, la
stessa
immagine e le stesse bandiere che sventolano sulle terre
occupate del
Brasile dei Sem Terra, nelle zone liberate dalla FARC in
Colombia tra i
piqueteros in Argentina. I militari, gli jacuncos o quei perros
degli
"aucisti", sentono un brivido lungo la schiena quando invece di
indios e
campesinos impauriti si trovano di fronte i Resistenti.
Ci avrete visto anche più a Nord, ma non ci avete riconosciuto.
Eravamo sulle sponde del Rosebud ed avevamo il viso pitturato
con i colori
di guerra quando insieme al capo Gall abbiamo difeso i teepee
degli Hunkpapa
e dei Santee dai soldati in giacca blu del colonnello Reno. Li
abbiamo
battuti e messi in fuga nel giugno del 1876 permettendo così
alle altre
tribù di sconfiggere il generale Custer a Little Big Horn. Nelle
riserve o
nella cella di Leonard Peltier ancora si racconta della nostra
resistenza.
Ed eravamo ben presenti tra i siderugici dello sciopero di
Homestead quando furono messi in fuga gli agenti assoldati
dall'agenzia
Pinkerton e i padroni dell'acciaio scoprirono che gli immigrati,
diventati
operai, sapevano unirsi e tenere duro.
E quasi settanta anni dopo i poliziotti bianchi impallidirono
quando i nostri fratelli neri opposero resistenza nel ghetto di
Wyatt o
misero a soqquadro il tribunale di Soledad e le celle di Attica
e S.
Quintino. George, Dramgo e Jonathan Jackson sono stati un incubo
per
l'America dei Wasp, bianchi, anglosassoni e protestanti, di
conseguenza....razzisti. Mumia Abu Jamal é ancora vivo perchè i
Resistenti
non mollano tanto facilmente, hanno la pelle dura e sanno
guardare ben oltre
le sbarre della loro cella.
Ma le pagine più belle della nostra storia di Resistenti le
abbiamo scritte nel cuore dell'Europa messa a ferro e fuoco dal
nazifascismo. Le abbiamo scritte tra le macerie della fabbrica
di Trattori a
Stalingrado. "I nazisti, non potendo prenderci vivi volevano
ridurci in
cenere" ha scritto Aleksej Ockin il più giovane di noi. Insieme
a lui ed a
noi c'erano Stepan Kukhta e il vecchio Pivoravov veterano
cinquantenne. Li
abbiamo tenuti in scacco per mesi e mesi e alla fine li abbiamo
battuti. La
nostra resistenza diede coraggio a tutti gli altri e accese il
fuoco che
portò le nostre bandiere a sventolare fin sopra il tetto del
Reichstag di
Berlino. Eravamo invincibili, eravamo gli eredi di Kamo, che
fece impazzire
la polizia zarista e fornì quanto serviva alla rivoluzione
dell'Ottobre. "Il
mio insostituibile Kamo" diceva Ulianov preparando il primo
assalto al
cielo.
Ma eravamo anche a Varsavia, nascosti dopo aver esaurito le
munizioni nelle fogne e nelle cantine del ghetto. Eravamo anche
lì, insieme
a Emmanuel Ringelbaum e a Mordechai Anielewicz che si suicidò
per non
arrendersi ai nazisti che stavano rastrellando il ghetto in
rivolta.
Resistenti per sopravvivere alla deportazione e ai campi di
concentramento
ma anche per riscattare la vergogna dei collaborazionisti dello
Judenrat.
Ma eravamo anche nel cuore della Jugoslavia quando sulla Neretva
abbiamo umiliato le armate dei nazisti, dei fascisti e degli
ustascia croati
mandate ad annientarci. Ivo Lola Ribar hanno dovuto ucciderlo e
così Joakim
Rakovac, ma i Resistenti jugoslavi dimostrarono ai nemici e agli
amici che
sapevano farcela da soli.
Per anni serbi, croati, sloveni, bosniaci hanno saputo
combattere fianco a fianco, per anni abbiamo sfidato la storia
tenendo
insieme un paese che volevano lacerato. Eravamo pronti anche
alla fine del
secolo scorso a resistere contro i contingenti inviati dalla
NATO ma i
dirigenti scelsero altre strade, scelsero la strada che porta in
occidente,
la stessa che ha mandato in frantumi il nostro paese.
"Banditi"
così ci chiamavano in Italia i nazisti e i fascisti ma
la gente era con noi Resistenti. Erano con noi i ferrovieri e
gli operai di
Milano, Genova e Torino, erano con noi i popolani della
periferia romana e i
contadini emiliani o dell'Oltrepò pavese. C'è una canzone che
narra di come
ancora oggi i fascisti temano il fantasma del partigiano Dante
Di Nanni che
gira fischiettando per Milano. "Cammina frut" scriveva Amerigo
che fu
Resistente sul fronte difficile della frontiera con l'Est. E
piano piano
eravamo ovunque: Maquis in Francia, partigiani nella pianura
belga e
olandese o sulle montagne greche.
Tanti
di noi si erano "fatti le ossa" nella guerra di Spagna,
affrontando le armate franchiste, i legionari fascisti e i
bombardamenti
tedeschi. Con l'immagine delle rovine di Guernica negli occhi,
abbiamo
resistito oltre ogni limite, lasciati soli dalle democrazie
europee che
temevano il nazifascismo ma temevano ancora di più la
rivoluzione popolare e
l'onda lunga dell'ottobre sovietico. Quando finì la guerra non
eravamo tutti
convinti che fosse finita veramente. In Emilia-Romagna - come
dice Vitaliano
che fu partigiano e vietcong- non consentimmo ai fascisti di
cavaresela a
buon mercato e in Grecia resistemmo con le armi in pugno contro
gli inglesi
e gli americani che ci volevano, noi che avevamo combattuto
contro i
tedeschi e gli italiani, servi di un nuovo padrone. I Resistenti
di Euskadi
non considerano ancora chiusa la partita con gli eredi del
franchismo in
Spagna. Vi meravigliate ancora perchè in Italia, in Spagna e in
Grecia ci
sono ancora i movimenti di lotta più forti e decisi d'Europa?
Ma noi Resistenti ci siamo diffusi in tutto il mondo. Eravamo
Umkomto We Sizwe, la Lancia della Nazione che i negri
sudafricani hanno
impugnato per decenni contro il regime razzista, siamo stati i
Mau Mau e i
fratelli di Lumumba, abbiamo saputo essere poeti come Amilcare
Cabral,
colpendo, subendo e vincendo il dominio coloniale degli inglesi,
dei
portoghesi e dei belgi. Ce l'hanno fatta pagare lasciandoci un
continente
devastato dalle epidemie, dalla fame, dai saccheggi delle nostre
risorse, ma
nelle terre dell'Africa siamo arrivati dopo, ci prenderemo tutto
il tempo
che ci serve e poi ci riprenderemo tutto ciò che é nostro, a
cominciare
dalla dignità.
E poi avete cominciati a vederci ovunque, noi Resistenti.
L'arrivo della televisione ci ha mostrato come "barbudos" a
Cuba, con la
kefija dei feddayn in Palestina e in Libano, piccoli e veloci
contro i
giganteschi marines, il loro napalm e i loro B 52 nelle giungle
del Vietnam.
L'immagine del piccolo Truong che scorta prigioniero un marines
grande come
una montagna ha tormentato i sonni degli uomini della Casa
Bianca per
decenni. I Resistenti non hanno mai molte cose a loro
disposizione, ma per
noi, come dice Truong Son "il poco diviene molto, la debolezza
si trasforma
in forza e un vantaggio si moltiplica per dieci".
Per cancellare questa immagine sono quindici anni che gli
americani scatenano guerre contro avversari immensamente più
deboli e
vincono guerre facili.
Ad Al Karameh, nel 1965, eravamo molti di meno e peggio armati
dei soldati israeliani ma li abbiamo sconfitti perchè noi
Resistenti siamo
fortemente motivati e loro non lo erano. Non lo erano neanche
gli eserciti
arabi messi in piedi da governi indecisi e spesso corrotti che
riuscirono
perdere due guerre in sette anni.
A Beirut, ad esempio, nonostante le cannonate della corazzata
americana New Jersey abbiamo resistito e abbiamo cacciato via
prima gli
israeliani e poi gli americani, i francesi e gli italiani e poi
lo hanno
fatto quelli di noi che erano a Mogadiscio. In Nicaragua eravamo
giovanissimi e stavamo mangiando carne di scimmia quando
abbattemmo un
elicottero e prendemmo prigioniero il consigliere della CIA
Hasenfus
rivelando al mondo l'aggressione statunitense contro un piccolo
e coraggioso
paese.
E poi sono arrivate le nuove generazioni di Resistenti, come
quelli che hanno cacciato dal Libano del sud gli israeliani o
che hanno
animato la prima e la seconda Intifada. Le loro pietre pesano
come macigni
sull'occupazione israeliana e sulla cattiva coscienza
dell'occidente.
C'erano dei giovani e giovanissimi Resistenti nelle giornate di
Napoli e di
Genova, uno di essi, Carlo Giuliani, è caduto ma il suo volto da
ragazzo si
è moltiplicato su quelli di migliaia di ragazzi come lui, nuovi
Resistenti
che hanno bisogno di sapere, di conoscere, di mettere fine agli
inganni e
alle rimozioni che li circondano, che sfidano i potenti con la
determinazione di Rachel Corrie.
Infine,
ed è straordinario, sono sorti dei Resistenti anche in
Iraq. Hanno sorpreso molti, soprattutto i loro nemici. Il
vecchio Pietro ha
riscattato in dieci righe la sua vita di tentennamenti scrivendo
che la
"Resistenza contro l'invasione è la prima condizione per la
pace". I
Resistenti sono ormai dovunque, sono diffusi in questo mondo
reso più
piccolo dalla globalizzazione e più insicuro dall'imperialismo e
dalla
guerra. E' arrivato il momento di unirli, di dargli una identità
comune e
condivisa, di riconoscerli e farli riconoscere a chi - da Bogotà
a Manila,
da Nablus a Salonicco, da Seattle a Durban - si è rimesso in
marcia per
rendere possibile un altro mondo. Fin quando ha agito la
legalità formale
delle democrazie è stato possibile disobbedire, ma alla guerra e
all'imperialismo occorre resistere, improvvisare e disobbedire
non basta
più, oltre ai corpi serve la testa e una visione aggiornata
della nostra
storia. Alla democrazia fondata sulle bombe noi opponiamo il
regno della
libertà, all'idea di libertà fondata sull'homo economicus noi
proponiamo all
'umanità il passo avanti della liberazione. Per noi, il poco sta
diventando
molto, la debolezza si sta trasformando in forza, un vantaggio
si sta
moltiplicando per dieci. L'epoca delle Resistenze è cominciata.
Buon 2005 a tutti i
Resistenti !
Radio Città Aperta - http://www.radiocittaperta.it
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P A R T I G I
A N I !
Una iniziativa internazionale
ed internazionalista
nel 60.esimo anniversario della
Liberazione dal nazifascismo
https://www.cnj.it/PARTIGIANI/index.htm
Per contatti: PARTIGIANI! c/o
CNJ,
C.P. 252 Bologna Centro,
I-40124 BOLOGNA (BO) - ITALIA
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