Attacco alla
Resistenza, riscrittura della storia
È in atto ormai da
diversi anni un'operazione di riscrittura della storia delle
vicende della Seconda Guerra Mondiale, operazione non solo
italiana ma europea, il cui scopo finale è l'equiparazione
delle due cosiddette "ideologie" del Ventesimo secolo,
fascismo e comunismo (gli artefici di questa rilettura storica
evidentemente non considerano che esistono anche altre
"ideologie" nè che non è possibile semplificare così
categoricamente i due fenomeni), classificate ambedue come
"totalitarismi" che hanno causato lutti e sofferenze in eguale
maniera e per questo devono venire condannate e rimosse dalla
società cosiddetta "democratica", all'interno della quale
dovrebbe avere quindi diritto di cittadinanza soltanto quella
"ideologia" (che però, chissà perchè, non viene mai
considerata tale), cioè il liberismo capitalista, che governa
ormai quasi uniformemente tutti i paesi del cosiddetto blocco
occidentale.
Per la riuscita di questo obiettivo di condanna del
"comunismo" è fondamentale l'operazione alla quale stiamo
assistendo da tempo, e che ha avuto una recrudescenza a
livello nazionale negli ultimi mesi, l'operazione di
criminalizzazione della Resistenza di classe, cioè quella che
si ispirava a valori di sinistra e non accettava il
riciclaggio nei Comitati di Liberazione di "vecchi arnesi" del
fascismo o di militari che comunque avevano operato
perfettamente inquadrati sotto il regime fascista. In questo
contesto di criminalizzazione della Resistenza si inserisce
anche la riabilitazione dei combattenti repubblichini di Salò,
dove il risultato finale è la parificazione delle due
componenti in una logica di "opposti estremismi".
Rientra in questa logica di equiparazione anche l'istituzione
della "Giornata del ricordo delle foibe e dell'esodo", da
celebrare il 10 febbraio, richiesta a gran voce dalle
organizzazioni della destra nostalgica e nazionalista (ma poi
approvata acriticamente da quasi tutto il centrosinistra)
subito dopo l'istituzione della "Giornata della memoria" del
27 gennaio, dedicata questa alle vittime del genocidio
nazista.
Quest'anno, nell'ambito delle celebrazioni della "Giornata del
ricordo delle foibe e dell'esodo", si è scatenata a livello
politico e mediatico una potente campagna di denigrazione
della Resistenza, soprattutto di quella jugoslava per i
presunti "crimini delle foibe" (ricordiamo l'orribile fiction
falsificatrice della storia prodotta dalla televisione di
stato su suggerimento del ministro Gasparri, nella quale i
partigiani "slavi" sono rappresentati come barbari animati
unicamente da feroce livore antiitaliano), ma che si è poi
allargata anche alla Resistenza italiana, con la ripresa della
propaganda sul cosiddetto "triangolo rosso" e delle altre
esecuzioni sommarie che sono avvenute alla fine del conflitto,
senza considerare che, pur deprecabili a livello morale, tali
avvenimenti non rappresentano altro che una fatale conseguenza
del comportamento criminale dei regimi nazifascisti che
gettarono l'Europa in un baratro di violenza e devastazione.
Nel mio intervento vorrei stigmatizzare la cosiddetta
"questione delle foibe", che è stata un po' il punto di
partenza di questa campagna di denigrazione della Resistenza
nel suo insieme. Mentre a Trieste ed in genere nelle regioni
del Nordest la destra nazionalfascista ha sempre tirato fuori
le "foibe" come uno dei propri cavalli di battaglia per
propagandare l'anticomunisno e l'odio etnico e politico contro
la Jugoslavia, è solo negli ultimi anni che il fenomeno è
esploso a livello nazionale, coinvolgendo nella non
comprensione del fenomeno, anche esponenti della sinistra,
arrivando addirittura alle posizioni estreme della dirigenza
di Rifondazione comunista, che, pur non conoscendo
assolutamente l'entità dei fatti, si è arrogata il diritto di
condannare senza appellola Resistenzajugoslava ed i partigiani
italiani che con essa hanno collaborato, per dei presunti
"crimini" dei quali non solo non vi è prova, ma che dalle
risultanze storiche risultano addirittura non avvenuti.
Il problema è che di "foibe" si è parlato finora molto, ma a
livello di mera propaganda. Per decenni si è parlato di
"migliaia di infoibati sol perchè italiani", senza che i
propagandisti esibissero le prove di questo loro dire. Per
decenni i propagandisti hanno scritto e riscritto sempre le
stesse cose, citandosi l'un l'altro e non producendo alcun
documento ad avvalorare quanto da loro asserito: e si è
giunti, nel corso degli ultimi cinque anni, al fatto che
questo "si dice" senza alcun valore storico sia stato
avvalorato anche da storici considerati "seri" e
"professionali", in quanto facenti parte degli Istituti
storici della Resistenza.
Qui vorrei aprire una parentesi per citare i triestini Raoul
Pupo e Roberto Spazzali, che hanno dato alle stampe nel 2003
un libretto dal titolo "Foibe" edito da Bruno Mondadori,
redatto, stando a quanto sostenuto dagli stessi autori, in
previsione di un suo uso negli istituti scolastici, nel quale
vengono riproposte acriticamente le stesse affermazioni che
per decenni erano state patrimonio della propaganda
nazionalfascista, avallando testimonianze che non hanno
fondamento di verità e dando addirittura interpretazioni del
tutto personali e fuorvianti a documenti d'archivio che in
realtà asseriscono l'esatto contrario di quanto sostengono i
due storici. Ma su questo particolare tornerò più avanti.
In seguito a questa escalation mediatica, abbiamo deciso di
riproporre, in forma ampliata e corretta delle precedenti
imprecisioni, lo studio che avevo pubblicato nel 1997,
"Operazione foibe a Trieste", che metteva in luce gli aspetti
più eclatanti della propaganda sulle foibe nel dopoguerra,
rispetto agli avvenimenti triestini del maggio 1945:
innanzitutto in merito alla quantificazione dei presunti
"infoibati" (che a Trieste non furono "migliaia", ma
cinquecento e per la maggior parte non furono uccisi nelle
"foibe", ma morirono in campi di prigionia per militari oppure
furono condannati a morte dopo essere stati processati per
crimini di guerra), ma anche sulle "qualifiche" di questi,
stante che le vittime delle esecuzioni sommarie e gli
arrestati e giustiziati erano in gran parte appartenenti a
forze armate collaborazioniste oppure collaborazionisti
"civili". Un capitolo a parte era stato dedicato al monumento
nazionale noto come "foiba di Basovizza" (un vecchio pozzo di
miniera abbandonato), dove sia la propaganda, sia la
motivazione ufficiale per dichiararlo monumento asseriscono
che vi siano state gettate "migliaia" o "centinaia" di
vittime. In realtà, stando ai documenti che avevo pubblicato
già all'epoca e che sono poi stati integrati con altri nella
nuova edizione del libro, appare chiaramente che non solo non
vi sono testimoni oculari delle presunte esecuzioni sul posto,
ma che il pozzo era stato esplorato e svuotato più volte nel
dopoguerra, dopo essere stato usato spesso come discarica, e
che nel corso di tutte queste esplorazioni erano stati
recuperati pochi corpi, presumibilmente di militari germanici
e quindi non di "infoibati sol perchè italiani".
Per comprendere a quale punto sia arrivato il livello di
disinformazione sull'argomento, va detto che, per quanto
concerne le testimonianze su questi mai avvenuti
"infoibamenti", viene spesso citato un rapporto redatto da un
anonimo "informatore" angloamericano che si firma "Source", il
quale avrebbe intervistato due sacerdoti che avrebbero
"assistito" alle esecuzioni. Il commento introduttivo a questo
documento che appare nel libro "Foibe" di Pupo e Spazzali è il
seguente:
< Va sottolineato che dal testo si può evincere sia che
alcuni degli infoibati erano ancora vivi quando vennero
gettati nel pozzo, sia che a Basovizza vennero fucilati anche
coloro che non erano stati condannati a morte >.
Però se leggiamo il rapporto, non comprendiamo assolutamente
come i due storici arrivino ad "evincere" un tanto:
< Il 2 maggio egli (don Scek, n.d.a.) andò a Basovizza
(...) mentre era lí aveva visto in un campo nelle vicinanze
circa 150 civili "che erano riconoscibili dalle loro facce
quali membri della Questura". La gente del luogo voleva far
giustizia in modo sommario ma gli ufficiali della IV Armata
erano contrari. Queste persone furono interrogate e processate
alla presenza di tutta la popolazione che le accusò (...)
Quasi tutti furono condannati a morte. (...) Tutti i 150
civili furono fucilati in massa da un gruppo di partigiani, e
poi, poichè non c'erano bare, i corpi furono gettati nella
foiba di Basovizza >. A questo punto vogliamo evidenziare
una successiva affermazione attribuita al sacerdote, che viene
invece regolarmente omessa da coloro (storici e no) che citano
il rapporto: < quando Source chiese a don Scek se era stato
presente all'esecuzione o aveva sentito gli spari questi
rispose che non era stato presente nè aveva sentito gli spari
>.
Quindi secondo il rapporto di "Source" don Scek fu testimone
oculare sí, ma dei processi e non degli infoibamenti. Inoltre,
nonostante questo rapporto venga costantemente presentato come
la prova degli infoibamenti a Basovizza, se andiamo a
verificare quanti "membri della Questura" sono scomparsi nel
corso dei "quaranta giorni" di amministrazione jugoslava,
arriviamo ad un totale di circa 150 nomi, della maggior parte
dei quali si sa come e dove sono morti (fucilati a Lubiana,
recuperati da altre foibe, morti in prigionia).
Questo è un chiaro esempio di come i documenti storici possono
venire manipolati a seconda della teoria che si vuole
dimostrare: quello che a mio parere risulta inaccettabile in
questo caso, è che questa operazione sia fatta non tanto da
propagandisti quanto da due storici considerati "seri" e
preparati e che vengono spesso intervistati ed invitati a
tenere conferenze sull'argomento.
Nella seconda edizione del libro, che si intitola "Operazione
foibe tra storia e mito", ho ampliato lo studio anche agli
avvenimenti dell'Istria del settembre '43, dove la vulgata
parla di "migliaia di infoibati sol perchè italiani". Nel
periodo, dopo che l'armistizio dell'8 settembre aveva lasciato
allo sbando l'esercito italiano e le sue stesse istituzioni,
in alcune zone dell'Istria, nel corso di una rivolta popolare
furono uccise sommariamente circa quattrocento persone, per lo
più dirigenti ed esponenti del Fascio, squadristi, possidenti,
alcuni carabinieri e poliziotti. La cifra risulta sia dai
recuperi effettuati alcuni mesi dopo (dopo che l'esercito
nazifascista ebbe ripreso il controllo dell'intera zona, al
prezzo del massacro di tredicimila - dicono le cronache
dell'epoca, che forse riportano cifre esagerate - istriani: ma
forse, visto che questi erano per lo più di etnia slovena e
croata, non hanno diritto di cittadinanza tra le vittime
dell'Istria, secondo propagandisti e storici di regime?), sia
dai diversi necrologi apparsi sui giornali dell'epoca, nei
quali vengono inoltre evidenziati i ruoli rivestiti dalle
varie vittime di questa jacquerie.
Quanto agli "infoibati" del 1945, bisogna dire che anche qui
le cifre sono sempre state esagerate: da Trieste scomparvero,
nel corso dei quaranta giorni di amministrazione jugoslava,
meno di cinquecento persone; da Gorizia circa 550,
considerando in questo contesto tutti coloro che furono
arrestati da forze armate jugoslave (quindi militari, che
essendo prigionieri di guerra dovevano venire internati in
campi lontani dal posto dove erano stati catturati, ma anche
collaborazionisti che furono poi inviati per lo più a Lubiana
per essere processati) e non fecero ritorno, sia perchè morti
nei campi, sia perchè processati e condannati a morte; ma
anche le vittime di vendette personali e di esecuzioni
sommarie, per le quali furono celebrati diversi processi nel
dopoguerra. E dei recuperi dalle "foibe" triestine e goriziane
effettuati tra il 1945 ed il 1948 risultano riesumati circa
450 corpi, la maggior parte dei quali erano militari (per lo
più germanici, ma anche partigiani) morti nel corso della
guerra, e soltanto per cinque di queste "foibe", per un totale
di una quarantina di vittime, si può parlare di esecuzioni
sommarie, compiute nel maggio 1945 o da singoli per vendetta
personale, oppure, nel caso della "foiba Plutone", da un
gruppo di criminali comuni che si erano infiltrati nelle
formazioni partigiane e che derubarono ed uccisero 18 persone.
Come si può in questo contesto parlare di un unico "fenomeno
foibe", come pretendono oggi i propagandisti anche di
sinistra? Come abbiamo potuto vedere, si trattò di una serie
di "fenomeni", il cui minimo comune denominatore può essere
soltanto la guerra: perchè queste esecuzioni si svolsero
durante o subito dopo la guerra, una guerra che non era stata
iniziata certamente dai partigiani, nè dal popolo jugoslavo, e
che era stata preceduta, nella Venezia Giulia, da vent'anni di
fascismo che aveva negato ogni diritto ai popoli sloveno e
croato, che pure vivevano in quelle zone da sempre, persino il
diritto di parlare e pregare e nella propria lingua, e che
aveva ferocemente represso gli oppositori politici ed aveva
commesso crimini orribili nel corso dell'occupazione della
"provincia di Lubiana", aggredita senza alcuna dichiarazione
di guerra.
Però accomunare le vendette dei singoli o le condanne a morte
eseguite in Jugoslavia dopo la fine della guerra a tutti i
crimini commessi dall'esercito fascista occupante non è
assolutamente accettabile, nè da un punto di vista
storiografico nè da un punto di vista politico: nè è
accettabile, a mio parere, trinciare giudizi di tipo
moralistico, perchè se è vero che oggidí è giusto essere
contrari alla guerra ed alla violenza e condannare tutti
questi fenomeni di violenza, tale giudizio nostro dovrebbe
essere sospeso per quanto riguarda i combattenti del movimento
di liberazione dell'epoca, perchè noi siamo vissuti in
un'epoca di relativa pace e non abbiamo mai dovuto patire
quello che hanno patito i resistenti, i morti come i
sopravvissuti. Non possiamo noi oggi ergerci a giudici del
comportamento di questi combattenti: avranno anche sbagliato
coloro che alla fine si sono fatta giustizia da soli, però non
sta a noi giudicarli.
Nè è possibile liquidare come "violenza di stato" e quindi
condannare per questo l'allora costituendo stato jugoslavo, il
fatto che delle persone siano state arrestate, giudicate e
condannate a morte, senza entrare nel merito dei processi che
furono celebrati e del ruolo che avevano svolto questi
condannati, perchè ricordiamo che nel dopoguerra la pena di
morte non esistette soltanto in Jugoslavia.
Ed in ogni caso non è accettabile che carnefici e vittime
vengano giudicati con gli stessi pesi e misure, per cui oggi
si vogliono parificare i combattenti di Salò ai combattenti
partigiani ed erigere monumenti alle vittime di tutti i
totalitarismi.
È inoltre inaccettabile la manovra che si sta svolgendo a
Trieste che vuole delegittimare tutti coloro che combatterono
con l'Esercito di Liberazione Jugoslavo, compresi i partigiani
triestini (italiani e sloveni) che facevano riferimento alla
Osvobodilna Fronta - Fronte di Liberazione ed ai nuclei di
Unità Operaia - Delavska Enotnost ed ai GAP, asserendo che il
1. maggio 1945, quando l'Esercito di Liberazione arrivò a
Trieste coadiuvato dallo sforzo insurrezionale delle altre
forze collegate presenti in città, questa non fu una vera
liberazione, perchè portò alla "occupazione titina" della
città, mentre la "vera" insurrezione sarebbe stata quella
(subito rientrata per carenza di forze) del CLN triestino
collegato alla Osoppo e non aderente al CLNAI, che aveva
cercato all'ultimo momento di riciclare formazioni
collaborazioniste per scongiurare l'annessione di Trieste alla
Jugoslavia ed in previsione dell'arrivo degli angloamericani.
Quel CLN che, secondo le parole di uno dei suoi attuali
esponenti, sarebbe rimasto in clandestinità fino al 1954 per
lottare per l'italianità di Trieste (ricordiamo che Trieste fu
amministrata dagli angloamericani fino al 1954); e che avrebbe
lottato con le armi che venivano segretamente passate
dall'Italia tramite la struttura Gladio (questo almeno è
quanto risulta da incartamenti dell'inchiesta di Carlo
Mastelloni su Argo 16): ed è questo lo stesso CLN nel quale
operato si identifica uno storico come Raoul Pupo.
Questi sono fatti molto gravi, forse ancora più gravi
dell'equiparazione tra fascisti e comunisti, tra repubblichini
e partigiani, tra carnefici e vittime. Sono più gravi perchè
legittimano un sistema che si dice democratico ma ha basato la
propria continuità su strutture occulte armate che al momento
giusto hanno operato violentemente, senza voltarsi indietro se
rimanevano sul terreno delle vittime innocenti. E sono questi
i fatti che bisogna mettere in evidenza ed ai quali opporci,
se vogliamo che democrazia sia una cosa concreta e non solo
una parola che legittima il capitalismo e non la libertà di
opinione.
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P A R T I
G I A N I !
Una iniziativa
internazionale ed internazionalista
nel 60.esimo anniversario
della Liberazione dal nazifascismo
https://www.cnj.it/PARTIGIANI/index.htm
Per contatti: PARTIGIANI! c/o
CNJ,
C.P. 252 Bologna Centro,
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