LE FOIBE ISTRIANE
testo di Giacomo
Scotti,
consegnato ai margini del convegno PARTIGIANI! (Roma 7-8
maggio 2005)
Il periodo delle cosiddette
"foibe" istriane va dall'inizio della seconda metà di
settembre al 4 ottobre 1943, coincidendo con l'insurrezione
generale del popolo dell'Istria. Quell'insurrezione vide uniti
croati, sloveni e italiani senza distinzione. Un primo
tentativo di rivolta c'era già stato il 25 luglio, ma le forze
di polizia lo impedirono ovunque, richiamandosi allo stato di
guerra. All'indomani dell'8 settembre, invece, nulla poté
fermare il popolo; il movimento assunse il carattere di una
"jaquerie" contadina nell'interno prevalentemente abitato da
slavi e di una rivoluzione antifascista sulla fascia costiera
occidentale prevalentemente abitata da italiani. Il popolo, ma
soprattutto croati e sloveni che erano stati oppressi per un
ventennio, privati d'ogni diritto, perfino della lingua,
esultò per la fine di una lunga tirannide e per la fine -
almeno così si sperava - della guerra; al tempo stesso
fu reclamata la punizione dei fascisti e il loro
allontanamento dal potere. Le autorità italiane, purtroppo,
furono sorde alle richieste ed in molti casi reagirono
ordinando di aprire il fuoco contro la folla, come avvenne a
Pola. In quel capoluogo istriano stazionavano più di 15.000
soldati e marinai, ma questa enorme forza militare fu usata
non per far fronte alla calata dei tedeschi che era stata
preannunciata, ma per sbaragliare i dimostranti riunitisi nel
centro città la mattina del 9 settembre: tre operai furono
uccisi, numerosi altri feriti, altri ancora arrestati. Dopo di
che, alcuni giorni dopo, l'intero potere militare venne ceduto
a un battaglione di poco più di 350 tedeschi presenti in città
da prima.
A fine mese, con l'arrivo di alcuni reggimenti corazzati
germanici che occuperanno l'intera penisola, i gerarchi
fascisti usciranno dall'ombra in cui si erano nascosti per una
settimana, accompagnando quei reparti nazisti nelle azioni di
rastrellamento, repressione e sterminio. Il 16 settembre ci fu
la prima strage: ai prigionieri rilasciati dal carcere di Pola
per iniziativa dei secondini, fu data una caccia spietata dai
fascisti e dai tedeschi e tutti quelli che vennero catturati,
almeno venticinque, furono trucidati o impiccati agli alberi
di via Medolino e in località Montegrande.
Nell'interno dell'Istria, dove invece i tedeschi non
riuscirono a mettere piede, il popolo prese nel frattempo il
potere nelle proprie mani, costituendo Comitati di
liberazione, Comitati di salute pubblica eccetera. Ma spesso
ci fu il caos. Qua e là i contadini assalirono i Municipi, le
Case del Fascio, i tribunali ed altre istituzioni, dando fuoco
agli archivi; inoltre aggredirono, arrestarono e talvolta
uccisero persone considerate caporioni del vecchio regime.
Alcuni gerarchi, alcuni ricchi possidenti terrieri, ma anche
semplici fascisti' e perfino innocenti furono massacrati. I
più, tuttavia, vennero consegnati agli improvvisati "tribunali
del popolo" che dal 15 settembre avevano cominciato a
funzionare a Pisino, Pinguente ed Albona. Quasi sempre i
"giudici" condannavano gli imputati alla fucilazione dopo
processi sommari ed i cadaveri trovarono oltraggiosa sepoltura
nelle cavità carsiche dette "foibe" o nelle cave di bauxite,
alcune delle quali erano state già adoperate allo stesso scopo
dai fascisti nel periodo fra le due guerre mondiali.
Nella loro maggioranza le vittime dell'insurrezione furono
italiani, ma non ci fu un piano preordinato di genocidio, né
si può parlare di genocidio.
In molte località i fascisti arrestati furono rimessi in
libertà; a Pinguento furono liberate 100 persone. Gli
italiani. furono la maggioranza delle vittime perché in
stragrande maggioranza erano stati italiani i podestà, i
segretari del Fascio, i detentori del potere politico ed
economico, i grandi proprietari terrieri ed altri esponenti
del regime. Non mancarono però fra le vittime croati e
sloveni, accusati di essersi posti al servizio dei fascisti
durante il ventennio. Fra gli slavi, anzi, furono più numerosi
gli innocenti uccisi per vendette personali. D'altra parte, in
una regione dove nei secoli, attraverso matrimoni misti, si
sono mescolati slavi e italiani, è pressoché impossibile
distinguere dai cognomi gli uni dagli altri. Tanto più che nel
ventennio fascista il regime cambiò per legge i cognomi ai
cosiddetti "allogeni" e/o "alloglotti". I Nikolic' divennero
Niccolini e Niccoletti, i Simunovic' cambiarono in Simonetti,
Simoni e Simoncini, i Milic' si trasformarono in Millo, gli
Jugovac in Meriggioli, i Miljavac in Miglia, i Knapic' in
Cnappi e Nappi, e si potrebbe continuare. Come distinguere
slavi da italiani leggendo i nomi e cognomi degli infoibati
nel settembre 1943? Erano tutti italiani. Certo, ci fu anche
una spinta nazionalistica slava, e non sarò io a sminuire il
grado della feroce violenza e l'orrendo aspetto degli
infoibamenti; né si può coprire col silenzio il sangue delle
vittime innocenti della rivolta istriana. E' però necessario
tracciare un quadro corretto degli avvenimenti,
contestualizzandoli, inserendoli nella cornice storica,
ricordando i precedenti.
Le vittime di un odio accumulatosi per venti anni, frutto di
umiliazioni, espropriazioni, persecuzioni, di centinaia di
condanne al carcere, al confino ed anche a morte, furono
alcune centinaia, ma le cifre sono ballerine. Dalle cavità
carsiche furono estratte 203 salme nelle operazioni di
recupero organizzate dalle autorità nazifasciste e, sempre in
quell'epoca, strumentalizzate per mesi e mesi ai fini della
propaganda anti-slavocomunista. Tuttavia, sempre in
quell'epoca, la cifra fu "arrotondata" e portata alle 350-400
unità con l'aggiunta ad occhio e croce di salme che non
poterono essere recuperate e di cosiddetti "scomparsi". Nel
secondo dopoguerra gli storici più seri, al di là degli
orientamenti politici, hanno calcolato che le vittime
ammontarono a circa 500. Su questa cifra concordano S. Millo
autore del volume "I peggiori anni della nostra vita",
Galliano Fogar, Roberto Spazzali, Raoul Pupo ed altri.
Gli storici ex fascisti o neofascisti, invece, sparano cifre
che vanno dai 600 di Flaminio Rocchi agli 800 di Gaetano La
Perna, per salire via via a mille, alcune migliaia.
Naturalmente "tutti italiani" e tutti vittime della "barbarie
slavocomunista". Luigi Papo ex ufficiale della Milizia
fascista al servizio dei tedeschi in Istria, il più fecondo
"storico" delle foibe di estrema destra, è arrivato a scrivere
che gli "eccidi" portarono alla "eliminazione del 5 per cento
degli Italiani"! Insomma, si sono toccati livelli incredibili
di esagerazioni e di falsificazioni. Queste mistificazioni,
dirò con Peter Behrens, non fanno certamente onore ai vivi che
vedono travolta la realtà dei fatti, né fanno onore ai morti.
Dietro c'è una voglia di giustificazione del tradimento, del
collaborazionismo e dei crimini di guerra commessi dai
fascisti. Più avanti fornirò alcuni esempi di come sono stati
falsificati perfino gli elenchi nominativi degli infoibati per
poter aumentare le cifre.
Ma prima è opportuno ricordare un altro fatto storico della
vicenda istriana dell'autunno 1943, anche per rispondere a
coloro i quali affermano che il "genocidio degli italiani in
Istria è rimasto impunito".
Alla breve parentesi dell'insurrezione popolare e della
sanguinosa violenza che l'accompagnò, fece seguito l'ancor più
feroce violenza degli occupatori tedeschi e dei
collaborazionisti fascisti italiani. Dilagati in Istria con
ingenti forze dal 2 al 10 ottobre, guidati dai fascisti
locali, i tedeschi fecero terra bruciata appiccando il fuoco a
decine di paesi, fucilando, impiccando, deportando. Nel solo
mese di ottobre 1943 - stando ai loro bollettini di guerra -
trucidarono 5216 persone, in maggior parte civili e
partigiani, ma anche parecchi "badogliani". Altre diecimila
persone (certe fonti parlano di dodicimila) furono invece
deportate. Per inciso l'Istria ha dato oltre 17.000 morti tra
vittime della repressione nazifascista, morti nei lager e
caduti nella Resistenza armata.
Riunitisi nel Partito Fascista Repubblicano, arruolatisi nella
Guardia Nazionale Repubblicana, nella Milizia Difesa
Territoriale e, più tardi, nella Decima Mas e perfino nei
reparti SS e nella Gestapo, i fascisti tornarono al loro
vecchio mestiere di manganellatori, torturatori, delatori,
cacciatori di teste, di assassini, giustificando il tutto con
il "diritto" di vendicare i camerati infoibati e con il
"dovere" di "difendere l'italianità dell'Istria minacciata
dalla barbarie slavocomunista", come fu scritto allora e come
si continua a scrivere oggi.
Ed eccoci alle falsificazioni operate negli elenchi degli
"infoibati" dai revisionisti neofascisti, fra i quali troviamo
uomini che comandarono reparti repubblichini postosi al
servizio degli occupatori tedeschi in Istria, come il già
menzionato Luigi Papo de Montona, che hanno annoverato fra le
vittime delle foibe anche criminali di guerra che massacrarono
civili e partigiani, ma ebbero la fortuna di morire
combattendo. Comincerò dal nome di GIOVANNI POLLA, già
brigadiere dell'OVRA passato alle SS ed alla Gestapo a Pola
subito dopo l'annessione dell'Istria al III Reich nel quadro
della "Adriatisches Kuestenland" nell'ottobre '43. Questo
Polla si distinse fra gli efferati torturatori di combattenti
per la libertà caduti nelle mani degli agenti sotto il suo
comando, soprattutto se erano italiani. Nell'ultimo scorcio
della guerra, febbraio 1945, rimase ucciso in uno scontro nel
centro di Pola, colpito dal fuoco di un gappista. Si era
macchiato del sangue di decine e decine di civili istriani,
italiani e croati senza distinzione; li aveva torturati mentre
si trovavano in carcere prima di essere fucilati o impiccati.
Era nativo di Altura nei pressi di Pola, dunque istriano, ma
fu uno dei più feroci carnefici dei suoi conterranei.
Nell'elenco dei torturatori e degli assassini fascisti al
servizio delle SS e della Gestapo in Istria troviamo ancora
altri cosiddetti "infoibati", tutti caduti invece in scontri a
fuoco con gappisti istriani. Ricorderemo gli squadristi e
agenti Francesco Mizzan di Pisino, che aveva sulla coscienza
l'assassinio di Peppi Suster di Bellai, di Giovanni Suran, di
Francesco Raunich e di altri corregionali trucidati già
nell'ottobre 1943 quando il Mizzan passò al servizio dei
tedeschi; l'ufficiale delle SS Ottone Niccolini di Pola
ritenuto un sanguinario dagli stessi occupatori tedeschi dai
quali fu comunque decorato con la Croce di ferro; Stevo
Ravegnani da Rovigno, il federale Luigi Bilucaglia posto alla
testa della Federazione Istriana del Partito Fascista
Repubblicano, il vicefederale Giuseppe Zacchi; il comandante
di un reparto della cosiddetta Milizia per la Difesa
Territoriale, tenente Fausto Vardabasso, ed altri caporioni
della Guardia Nazionale Repubblicana, tutti servi fedeli dei
nazisti. Ottone Niccolini (già Nikolic') pagò il fio dei suoi
crimini rimanendo ucciso nello scontro con un gappista a Pola
il 7 aprile 1945. Anche il suo nome viene spesso annoverato
tra gli "infoibati" dai cosiddetti "storici" revisionisti.
Così come quello di Giuseppe Bradamante, malfamato fascista di
Stignano, assassino e torturatore di partigiani, da questi
ucciso in uno scontro a Pola avvenuto il 1° ottobre 1944. La
medesima fine fece l'agente delle SS Steno Ravegnani già
eminente fascista di Rovigno, il quale si vantava in giro di
aver ucciso 37 partigiani, fra i quali il capo dei combattenti
italiani per la libertà in Istria, Giuseppe-Pino Budicin,
caduto in mano ai tedeschi su delazione del Ravegnani e
fucilato insieme ad Augusto Ferri, bolognese, l'8 febbraio
1944. Il nome di Budicin fu dato al più celebre battaglione
italiano dell'Istria. Anche il già citato Niccolini andava
vantandosi di aver ucciso di propria mano oltre 150 persone,
bruciando case e villaggi interi. Tra l'altro gli uomini sotto
il suo comando arrestarono una contadina di Resanzi, Rosa
Petrovic, accusandola di aiutare i partigiani. Per
costringerla a fare dei nomi, le strapparono gli occhi dalle
orbite, ma la donna non parlò. Io personalmente ho conosciuto
ed ho parlato con quella contadina facendomi raccontare le
torture subite il 23 luglio 1944, il più lungo ed infernale
giorno della sua vita.
Il villaggio istriano di Lipa, bruciato con tutti i suoi
abitanti il 30 aprile 1944, resta uno dei simboli del martirio
subito dall'Istria dopo l'occupazione tedesca. Esso è anche il
simbolo del collaborazionismo criminale dei repubblichini
italiani al servizio dei tedeschi nello sterminio del proprio
popolo: 269 creature umane di ambedue i sessi e di ogni età,
compresi i bambini nelle culle e di pochi anni, furono
massacrate, bruciate vive; prima di essere trucidate molte
donne vennero violentate. Fu un delitto spaventoso, suprema
espressione della ferocia umana. A guidare i tedeschi ed
aiutarli nel crimine furono i fascisti italiani.
Gli istriani trucidati in questo modo, fucilati o impiccati
con la complicità dei fascisti furono complessivamente più di
cinquemila, mentre ammontano a tremila i deportati nei campi
di sterminio, dalla Risiera di S. Sabba a Trieste fino a
Dachau, Auschwitz ed altri lager. Ecco, quando ricordiamo la
pagina tragica delle foibe, non dimentichiamo quest'altra
faccia della medaglia, molto più orrenda, l'interminabile
capitolo delle vendette.
In un elenco di 237 infoibati redatto ancora nel novembre 1943
dalla Federazione del Fascio Repubblicano di Pola, elenco poi
ampliato dai neofascisti nel dopoguerra, troviamo i nomi delle
sorelle rovignesi Alice e Giuseppina Abbà che, invece, furono
arrestate dai partigiani appena nel settembre 1944 e fucilate
con l'accusa di essere state spie dei tedeschi. Fra i ventisei
nominativi di Rovignesi dati per infoibati si fanno pure i
nomi di Tommaso Bembo, Angelo Rocco e Vittorio Demartini, che
invece rimasero uccisi sotto un bombardamento tedesco a Gimino
alla fine di settembre del '43. Insieme ai rovignesi c'è il
sottufficiale tedesco Weber Gastone, anche lui elencato fra
gli italiani infoibati, mentre venne catturato e fucilato
qualche settimana dopo la fine della guerra, maggio 1945, per
essersi macchiato di crimini di guerra. In un "Elenco delle
persone uccise o scomparse nel settembre-dicembre 1943",
pubblicato da Gaetano La Perna, troviamo 360 nominativi di
infoibati. Ebbene, almeno una cinquantina rimasero uccisi in
scontri armati prima o molto dopo l'estate-autunno del '43: ad
esempio il maresciallo dei carabinieri Giuseppe Costanzo,
caduto in uno scontro con i partigiani sloveni a Comeno il 10
agosto '43, quindi lontanissimo dall'Istria. In questa (e
ancor più in altre fonti di estrema destra) si legge poi di
italiani, ed esclusivamente italiani, "vittime
dell'occupazione slava del settembre-ottobre 1943" in Istria.
Non si capisce come potessero essere "esclusivamente italiani"
uomini che - nonostante l'italianizzazione dei cognomi
avvenuta nel ventennio fascista - nel 1943 si chiamavano
ancora Bembich, Bernobic, Bigliach, Billinich, Biuk, Calcich,
Cozich, Declich, Dobrteh, Drassich, Falich, Juricich,
Jurinich, Jagodich, Lazzarich, Lurcich, Millich (tutti
nell'elenco del La Perna) e portavano altri "italianissimi"
cognomi slavi. Non si capisce poi come si possa scrivere, come
scrivono certi "storici" e politici neofascisti, che i
sunnominati furono "vittime dell'occupazione slava del
settembre-ottobre 1943" in Istria. Di quale occupazione si
ciancia? Gli insorti e i partigiani dell'Istria, slavi e
italiani, erano istrianissimi, vivevano sulla propria terra,
la "occupavano" da secoli!
Nel volume di Luigi Papo "Albo d'oro" nel quale si elencano le
cosiddette vittime degli slavocomunisti, incontriamo numerosi
nominativi indicati come "scomparsi" dopo essere stati
catturati e deportati dalle forze partigiane di Tito in Istria
tra il 1943 e il 1945. Ebbene quegli stessi nominativi sono di
caduti partigiani indicati in un documento pubblicato dallo
storico triestino Roberto Spazzali nel volume "L'Italia
chiamò. Resistenza politica
e militare italiana a Trieste 1943-1947". Si tratta di
combattenti per la libertà caduti nella provincia di Pola,
trucidati dai nazisti o caduti in combattimento contro i
nazifascisti.
In un libro bianco dello Stato Maggiore dell'Esercito
Italiano, risalente al 1946 dal titolo "Trattamento degli
Italiani da parte jugoslava dopo l'8 settembre 1943" (libro
poi distrutto per ordine del Ministero degli Esteri) si dà per
trucidato dai partigiani e gettato nella foiba di Cregli tale
Pietro Toffoli di Oreste, il quale fu invece fucilato dai
tedeschi il 29 settembre.
Nell'elenco delle vittime delle foibe del settembre istriano
1943 troviamo ancora i nominativi di Lorenzo Bonassin, gettato
nella foiba di Terli, che invece cadde in combattimento da
partigiano il 4 ottobre 1944, cioè un anno dopo essere stato
"infoibato", e di Luigi Godetti, inserito in un elenco di
deportati dai partigiani sloveni e scomparso, quindi ipso
facto infoibato, che cadde in realtà in combattimento a
Delnice, sui monti della Croazia, negli ultimi giorni di
guerra nel 1945.
Non mi dilungherò oltre. Sull'argomento ho scritto un libro
che presto verrà alla luce, aggiungendosi ad altri miei saggi
storiografici già usciti, come "Foibe e fobie" e "Mosaico
foibe, nuove tessere". Concluderò dicendo che una volta per
tutte bisogna sottrarre la storia ai politici e ridarla agli
storici, impedendo che se ne faccia strumento di scontro
ideologico, respingendo - come ha scritto uno studioso
triestino, Fulvio Senardi, "le ventate sempre più impetuose di
revisionismo falsificante ". E' nell'interesse dei popoli
italiano, croato e sloveno, e in primis delle genti italiane e
slave che vivono mescolate nell'area del confine orientale
d'Italia, sconfiggere quelle forze politiche che nei loro
programmi rifiutano la tolleranza e la convivenza attizzando
invece l'odio, il razzismo e lo sciovinismo. Bisogna operare
affinché la sparizione delle frontiere tra Italia e Slovenia,
e presto anche di quelle con la Croazia in seguito
all'allargamento dell'Unione Europea, si accompagni alla
sparizione delle frontiere mentali, dei pregiudizi. Vogliamo
uno spazio culturale intercomunicante - come lo fu per secoli,
prima dell'avvento di ideologie dittatoriali - nel quale si
intrecciano culture diverse, come in Istria e nell'intera
Venezia Giulia. Lo spero per i nostri figli, che potranno
finalmente operare in un laboratorio di tolleranza e
convivenza, quale dovrebbe essere quella regione e non
nell'incubo continuo degli spettri del passato, nell'angoscia
di scontri nazionali.
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P A R T I
G I A N I !
Una iniziativa
internazionale ed internazionalista
nel 60.esimo anniversario
della Liberazione dal nazifascismo
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