Julius Fucik, reportage da una
cella nazista
di Bianca Bracci Torsi
su Liberazione
del 15/06/2005
Il racconto dell'ultimo anno di vita di Julius Fucik, che
lui definì reportage e testimonianza, dedicandoli ai compagni
che gli sarebbero sopravvissuti, è stato scritto nel carcere
praghese di Pancrak in mano agli occupanti tedeschi, fra
quotidiane torture e con la certezza di una fine prossima e
atroce. Il coraggio di alcuni carcerieri che fornirono carta e
matite e consegnarono i fogli scritti in mani sicure,
consentirono alla moglie, Gosta, anche lei detenuta, di
raccoglierli, al ritorno dal campo di sterminio di Ravensbrück.
Il loro autore, giornalista e scrittore, membro del comitato
centrale del Partito comunista Ceco, era stato arrestato dai
nazisti nell'aprile del 1942 e fucilato l'8 settembre del 1943.
Scritto
sotto la forca (oggi rieditato dalla Città del Sole,
pp. 121, euro 7) fu pubblicato in Italia nei primi anni '50,
quando la memoria dell'occupazione tedesca e della guerra
partigiana facevano parte del presente, come il pianto delle
famiglie in lutto, e volti e nomi dei compagni e di nemici erano
vivi e brucianti come le ferite dei sopravvissuti. Lo scritto di
Fucik diventò oggetto di culto per centinaia di giovani
comunisti e lasciò un segno profondo in quanti lo lessero. Nella
prefazione alla prima edizione Franco Calamandrei definisce
Scritto sotto la forca un esempio unico nella letteratura
resistenziale, scritto dall'unico uomo che «al cospetto della
morte, già crudelmente lacerato dalle torture... sia riuscito a
esprimerci la sua esperienza di moribondo per pagine e pagine...
e a dichiararci la fiducia che lo sostiene in maniera così
diffusa e circostanziata da cancellare l'ombra della morte e
lasciarci l'immagine di una vitalità appassionata e trionfante»,
parole alle quali vorrei aggiungere solo un aggettivo: gioiosa.
Ai «compagni che sopravviveranno a quest'ultima battaglia», il
condannato lascia una direttiva che è un comando: «Quanto a me e
a Gosta abbiamo adempiuto il nostro dovere... abbiamo vissuto
per la gioia, per la gioia siamo andati a combattere e per la
gioia morremo. Il dolore non sia mai legato al nostro nome». La
gioia di un futuro splendente, dopo la sconfitta di quel vecchio
mondo ingiusto del quale il fascismo e la guerra sono l'ultimo,
sanguinoso, colpo di coda, ma anche le piccole gioie quotidiane
che perfino un luogo di oppressione come il carcere può offrire
a chi sia disposto a goderne. Il ragù della domenica che diventa
«qualcosa di civile, qualcosa di normale nella anormalità della
prigione della Gestapo», lo «stupido gioco dei dadi», le
discussioni dei compagni, perché «avere due opinioni diverse
nelle piccole cose è il sale della vita in cella», ma anche la
curiosità di un intellettuale marxista per i due "mondi
paralleli" del carcere: quello dei detenuti, l'amicizia fra i
quali «è la stessa che si forma al fronte, nel corso di lunghi
periodi, quando la tua vita può essere oggi nelle mie mani e
domani la mia nelle tue» e quello dei secondini tedeschi e cechi
che vivono in una atmosfera di reciproco sospetto. Nel
descriverli Fucik usa la penna arguta e incisiva del polemista e
traccia ritratti di piccoli speculatori, ambiziosi che aspirano
«a diventare qualcuno», brutti ottusi e crudeli, poveri uomini
che cercano solo di salvare la pelle e li definisce «figurine di
legno tarlato» da contrapporre alle «figure scolpite nella
pietra di quelli che hanno servito fedelmente l'avvenire e sono
caduti per la sua bellezza». Come Giuseppe e Maria, lui
elettricista, lei domestica, militanti comunisti arrestati a
casa loro e morti in campo di sterminio, come Carlo, operaio che
ha rubato esplosivi per la Resistenza nella fabbrica dove
lavorava, fucilato, come Lida, staffetta adolescente che forse
si salverà, come quei carcerieri che, conoscendo meglio di tutti
ciò che rischiano, si prodigano per rendere meno dura la
prigionia ai loro compagni. Figure e figurine che debbono essere
ricordate perché «non esistono eroi anonimi» e a ogni caduto
spetta il ricordo e il riempimento che si riservano a un figlio
o a una figlia perduti e perché «bisogna vedere anche le
figurine vivere nella loro infamia, nella loro crudeltà e nel
loro ridicolo, perché è tutto materiale che ci insegna
l'avvenire». Fucik sa che non potrà vedere l'avvenire della
libertà e del socialismo, sa di lasciare una compagna amatissima
della quale ignora la sorte, i suoi scritti incompiuti, le albe,
i tramonti, le magiche strade notturne della bella Praga ma si
considera «un soldato che combatte nelle retrovie del nemico»,
come dirà ai suoi compagni di prigionia pochi giorni prima di
essere giustiziato, e ha messo la morte nel conto delle
possibilità. Quello che importa, ora è lasciare all'avvenire e a
quelli che lo vivranno i frutti del su lavoro e della sua
esperienza. Tutto questo e altro ancora è Scritto sotto la
forca. Riproporlo oggi significa regalare ai giovani di allora e
a quelli che crescono nel secolo appena iniziato, uno strumento
e un'arma da impugnare per aiutarsi a uscire dal malinconico
lago delle delusioni e delle sconfitte o dal torbido fiume della
rassegnazione e una realtà priva di ideali, in cerca di strade
nuove verso antichi orizzonti ora più che mai necessari e
realizzabili. Dove la gioia si conquista con la lotta.
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P A R T I G
I A N I !
Una iniziativa internazionale
ed internazionalista
nel 60.esimo anniversario
della Liberazione dal nazifascismo
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