SESSANT'ANNI DOPO LA VITTORIA SUL FASCISMO
di Jasna Tkalec
(testo
consegnato
ai margini del convegno di Roma, 7-8 maggio 2005)
Una riflessione sulla situazione
europea e mondiale nel tempo che
viviamo inesorabilmente passa attraverso un'analisi meticolosa
del
destino europeo e mondiale nel secolo appena trascorso, e dei
frutti
della vittoria sul fascismo. Potremmo anche "tornare alle
origini"
cioè agli eventi ed alle idee che hanno portato il fascismo
sulla
scena mondiale, ai suoi scopi ed al suo operato - tanto grave,
quest'ultimo, da destare il più grande movimento di resistenza e
lotta
nel mondo intero, che è costato il sacrificio di milioni di vite
umane.
La vittoria sul nazifascismo del 1945 fu il momento storico più
importante e più ammirevole della storia del Novecento. Ha
riguardato
il mondo intero - il globo, come si dice oggi - ed inoltre ne
furono
protagoniste le masse, i popoli - e non soltanto gli eserciti -,
i
movimenti popolari, artefici di quella vittoria raggiunta
anche a
costo di durissimi sacrifici, scontri e lotte atroci. Coloro che
la
organizzavano e la sostenevano furono esposti a rischi e
vendette di
una ferocia inaudita ed a pericoli gravi, spesso operando in
condizioni di estremo disagio e difficoltà. La vittoria
raggiunta ebbe
i costi altissimi delle distruzioni di città e paesi interi, del
danno
economico e della perdita di vite umane.
Che cosa resta oggi di quella vittoria? Ben poco, si direbbe,
visto
che le stesse forze sessant'anni fa combattute e vinte
nonostante
tutto si trovano di nuovo in una posizione importante, se non
centrale, degli eventi politici attuali. Esse sono riuscite a
trovare
non soltanto una voce nuova, nuove forme e nuovi proseliti, ma
anche
fette di potere e rappresentanze politiche ad alto livello che
le
sostengono e - peggio del peggio - una situazione sociale (non
soltanto europea o balcanica, ma mondiale) poco capace o poco
incline
ad opporvisi.
Due secoli di lotte di popolo
Per andare proprio alla radice del fenomeno bisogna riflettere,
sulle
idee che hanno portato a questi sviluppi, e sugli eventi che
hanno
contrassegnato la nascita dell'Europa moderna. Quest'ultima
nonostante
tutto è stata il palcoscenico principale di tutti gli eventi del
Novecento, anzi, ancora di più, è stata il teatro della nascita
di
movimenti di massa, di eserciti popolari, composti da volontari
i
quali, abbracciando un'idea non esclusivamente di liberazione di
un
territorio o di una patria, ma molto più vasta anche dell'idea
di
libertà personale, includendo le libertà sociali e la giustizia
"uguale per tutti", aveva acceso le speranze delle masse. Questi
movimenti delle masse esprimevano le aspirazioni ai diritti e ad
una
vita migliore, la fede nella forza della solidarietà e della
fratellanza umana. Essi hanno portato questi eserciti, spesso
composti
da pezzenti privi di qualsivoglia addestramento professionale e
con
gravi carenze negli armamenti, a gloriose vittorie, che sono
entrate
nella storia. Come è stato possibile tutto questo? La storia
(anche
recente) insegna che la forza della convinzione politica, la
forza
della ragione - cioè la convinzione profonda che la ragione sta
dalla
parte di chi combatte anche in condizioni di estremo disagio e
disuguaglianza - arma il cuore e la mano dei combattenti con
tale
vigore da metterli in grado di sconfiggere forze largamente
superiori.
E poi, se quegli eserciti erano anche numericamente modesti e
male in
arnese, dietro a loro stava la popolazione intera, unita come le
dita
della mano... e, come è noto: "è impossibile vincere un popolo".
Questo fenomeno è possibile collocarlo in un arco di tempo di
circa
duecento anni, dal 1789 fino al 1989. Duecento anni nella storia
non
sono tanti, eppure in quei duecento anni i movimenti di massa
cioè gli
eserciti popolari hanno compiuto miracoli mai visti prima, si
sono
vittoriosamente opposti a forze cento volte maggiori
numericamente,
tecnicamente e strategicamente, riportando delle vittorie
stupefacenti, che parevano quasi miracolose.
Non fu forse tale la prima vittoria dei "ragazzi di Marsiglia" e
degli
altri patrioti francesi, un'"armata dei pezzenti", che a
Valèmy vinse
gli eserciti alleati degli aristocratici? Non lo furono in un
certo
senso tutte le vittorie di Garibaldi, nonchè la stessa
spedizione dei
Mille? Non furono tali anche tutte le azioni di quella guerra
che
Garibaldi conduceva con le sue camicie rosse? Esse riuscivano là
dove
falliva l'esercito piemontese, nonostante quest'ultimo
lasciasse i
garibaldini mezzi nudi e male armati...
Le imprese dell'Armata Rossa
E non fu tale anche la gloriosa marcia dell'Armata Rossa, che si
spinse dalla Polonia al Pacifico e vinse non soltanto le truppe
degli
eserciti interventisti inglesi ed americani, ma anche tutti i
generali
bianchi ammutinati, da Kornilov a Judenicˇ, da Kolcˇak a
Vrangel? Gli
eserciti bianchi marciavano su Pietrogrado con carri armati,
avanzavano in Siberia e nell'estremo Oriente e coprivano di
sangue e
di barbarie cosacca le steppe dell'Ucraina, le coste del Mar
Nero
nonchè le città che sorgevano sulle retrovie delle capitali del
Nord.
Nelle battaglie in Ucraina e sulle vie per il Nord e
per l'Est le
armate dei rossi, composte da volontari, contarono grandi
perdite ma
anche vittorie clamorose. Una delle ultime fu nella cosiddetta
"campagna bianca", così detta non in relazione ai bianchi, ma
per via
della neve, che cadde nelle regioni meridionali della Russia a
primavera inoltrata, cosicchè le perdite furono cospicue anche
per via
dell'improvviso ed inaspettato freddo. Quell'esercito vittorioso
era
nudo e scalzo, armato di fantasia più che di sostanza.
Forse, come Lenin ammise dopo, fu un errore la baionettata nel
sedere
della Polonia reazionaria; all'Armata rossa, spronata da Trozkij
dal
mitico treno propagandistico, toccò di combattere in Siberia
contro i
battaglioni di prigionieri cecoslovacchi ammutinati
oltreché contro
gli innumerevoli eserciti bianchi penetrati in estremo oriente
da
tutte le parti, con ferrovie e navi, armati di tutto
punto.
L'Armata rossa era composta dai contadini russi che si erano
stancati
di combattere nelle trincee dell'esercito zarista e si erano
ribellati
a quella mattanza inutile ed insensata; a loro toccarono i
durissimi
scontri della guerra civile, in condizioni assolutamente impari:
già
provati dalla Prima Guerra mondiale, adesso dovevano
opporsi agli
ufficiali zaristi ed ai militari di professione, sostenuti
dalla
reazione mondiale. Ma nonostante tutto questo, l'armata del
popolo, i
seguaci dell'Ottobre rosso russo ne uscirono vittoriosi. Da
vincitori,
come dice la loro canzone, quell'esercito degli straccioni in
due anni
di duri combattimenti giunse sul lontano Pacifico,
liberando il paese
intero: `E sull'Oceano Pacifico finimmo la marcia' ( I na Tihom
Okeane
mi okoncˇili pohod).
E fu quella la prima vittoria dei miseri e degli sfruttati della
terra
nella storia umana. I sanculotti francesi che erano stati
traditi dal
bonapartismo questa volta si prendevano la rivincita nella veste
dei
proletari russi, degli abietti e degli umili, come li chiamava
Dostojevski. E fu la vittoria della "canaglia pezzente", quella
stessa
canaglia tante volte nella storia aggredita senza indugio da
militari
al servizio della borghesia: quella canaglia pezzente che
cadeva
sotto il piombo insanguinando le strade, le piazze e le
barricate
parigine, milanesi o viennesi e dell'Europa intera, nel corso di
lunghi decenni, nell'Ottocento. Ben pochi, in quel secolo in cui
pure
pure si esasperò il sentimentalismo fino all'estremo, ebbero o
espressero il minimo di pietà e di comprensione verso le vittime
delle
stragi degli eserciti assoldati, come verso coloro che da vivi
furono
vittime delle ingiustizie sociali e di una miseria inverosimile.
Erano
i poveri e gli abietti che il progresso tecnico-scientifico ed
il
conseguente sviluppo industriale aveva spostato dalle
campagne verso
i sobborghi urbani. Non importava se chi comandava il plotone
era un
Bava Beccaris, o un qualche ufficiale al servizio di Napoleone
III, o
un qualche graduato al servizio degli Asburgo o della dinastia
Romanov
o altro... Sul selciato rimanevano i morti, e coloro che
sopravvivevano erano deportati in colonie o incarcerati, a
Castel
Sant'Angelo o nella fortezza di Schlisselburg, in Siberia o in
Algeria...
Ma questa volta, nel 1920 - una cosa inedita quanto
inaudita - i
pezzenti, i miserabili, la folla che era stata caricata nel
1905,
questa volta aveva vinto. Vinto politicamente e militarmente. Ed
era
anche una vittoria storica delle idee progressiste che per
duecento
anni avevano dovuto tribolare e farsi strada nella mente della
gente,
degli uomini di lettere, degli spiriti illuminati e dei comuni
mortali, per scendere poi nelle strade, nelle piazze e nei
campi di
battaglia, per affermarsi con la forza delle armi. Queste idee
suscitarono e suscitano tutt'oggi una opposizione violenta. Esse
dovettero scontrarsi sui campi di battaglia, dove furono
violentemente
combattute e dove la morte ebbe una messe feconda.
Ecco, sessant'anni fa quelle stesse idee progressiste, le idee
di
libertà, di giustizia e di uguaglianza sociale, avevano vinto in
Jugoslavia. Esse furono portate avanti dalle masse
popolari,
capeggiate del Partito comunista jugoslavo e personificate
nell'uomo
che lo conduceva - Tito. Quelle masse si opposero con un
coraggio e
con un impeto senza paragoni nell'Europa intera, soggiogata dal
fascismo, dalle truppe dell'occupazione nazista e dai regimi
fantoccio
dei collaborazionisti, che avevano squartato ed insanguinato il
paese.
E nonostante combattessero contro forze cento volte maggiori,
ben
organizzate e ancor meglio armate - appunto forze militari
professioniste -, quelle masse riportarono una vittoria storica,
sulla
cui onda lunga hanno gettato le basi non soltanto la Jugoslavia
socialista, finchè è esistita, ma anche i paesi sorti dallo
squartamento e dalla divisione sanguinosa della Jugoslavia. Se
non
fosse stato cosi, oggi in questi paesi le forze reazionarie e
fasciste
-che, travestite o meno, oggi prendono parte al potere (e il
fenomeno
sta diventando europeo) - sarebbero le uniche detentrici di esso
e
protagoniste non soltanto della politica corrente, ma di ogni
aspetto
della vita sociale. Che cosa avrebbe potuto significare una tale
prospettiva ce lo dimostra la storia recente del Portogallo,
della
Grecia, della Spagna, e di paesi sudamericani come il Cile o
l'Argentina. Le forze della sinistra annientate, la aperta
dittatura
fascista, ed ogni altra voce messa a tacere... Non è una
prospettiva
impossibile negli scenari futuri, anche se oggi appare poco
verosimile. Ma, come diceva Gramsci: la storia è un'ottima
maestra,
peccato che non abbia allievi.
Sessanta anni dopo
Dunque, in Jugoslavia vinsero i partigiani e assicurarono 45
anni di
pace, fratellanza e relativo benessere proprio nella "polveriera
dell'Europa", i famigerati Balcani, un groviglio di strade e di
religioni, terre di montagne e di fiumi, abitate da contadini e
popolazioni che in tante parti vivevano ancora secondo usanze
ancestrali, assai lontane dalla moderna civiltà europea.
Tutto questo fu realizzabile con uno sforzo sovrumano durante la
lotta
antifascista e con un impegno non meno arduo in seguito, per la
ricostruzione del paese e per il progresso, che si impose
come
compito prioritario nell'immediato dopoguerra. Tutto questo fu
mosso
dalle speranze per quella vittoria, che veniva intesa come una
vittoria non soltanto militare. Del resto, nel 1945 le idee e le
forze
antifasciste avevano avuto la meglio nel mondo intero.
Se è possibile fare un paragone, anche in Italia vinsero le
forze
progressiste, i partigiani nelle capitali del Nord, ma il paese
fu
liberato in parte dalle forze alleate e questo pesò non
poco nelle
vicende italiane della seconda metà del Novecento. La
Costituzione
italiana (che sta per subire gravosi e dannosi cambiamenti) fu
ispirata, pensata e scritta dalle forze antifasciste del paese,
dalle
forze in quel momento vittoriose o comunque quelle che stavano
dalla
parte di chi aveva vinto il nazifascismo militarmente nonchè
moralmente e politicamente.
Che cosa è successo per cui i frutti di una vittoria di tale
portata
dopo sessant'anni si sono dispersi o quasi? Che cosa è successo
durante i decenni successivi, per cui le idee-guida di quella
vittoria
si sono a tal punto consumate ed indebolite, che appare quasi
impossibile oggi difenderle dagli attacchi più truci e dal
vilipendio
più osceno?
Per dare risposte esaurienti a questi quesiti, che segnano la
nostra
attualità, bisognerebbe tornare al momento in cui quelle idee
nascono
e vincono. Che cosa rimane dopo la loro vittoria?
Ecco come descriveva gli effetti della vittoria della
rivoluzione lo
scrittore sovietico Andrej Platonov negli anni venti, quando
l'evento
era ancora fresco e quando il peggio della storia del
Novecento
doveva ancora succedere:
"La rivoluzione era passata come il giorno; nella steppa, nelle
regioni, in tutta la provincia russa per molto tempo si
acquietarono
gli spari e gradualmente crebbe l'erba sulle vie degli eserciti,
dei
cavalli e dell'intera milizia bolscevica. Tutto lo spazio della
pianura e della terra si stendeva svuotato, quieto e morto come
il
prato falciato - e un sole ritardatario penava
nell'altezza
sonnolenta sopra Cevengur. Nella steppa nessuno più era
apparso su un
cavallo di battaglia: gli uni erano stati ammazzati e i loro
cadaveri
non furono mai trovati e il loro nome fu dimenticato; gli altri
stavano imbrigliando il cavallo e si erano messi a condurre i
poveri
del villaggio natio, non nella steppa, ma verso un
migliore avvenire..."
Pensiero critico ed utopismo
nel movimento rivoluzionario
Dunque, la rivoluzione o le rivoluzioni passano, come il giorno,
e le
strade verso "il sol dell'avvenire", cioè verso un futuro
migliore,
sono opinabili, e spesso il punto di scontro di pensieri ed idee
contrastanti, contrastate ed opposte si colloca nel seno della
stessa
sinistra.
A tutti quelli che sprecano affermazioni sulla mancanza di
libertà
nell'Unione Sovietica consigliamo di leggere non soltanto
Platonov, ma
anche Olesa ed altri scrittori sovietici degli anni Venti e
dell'inizio degli anni Trenta, i quali di quella rivoluzione e
del
regime che ne risultò furono critici tanto severi ed impietosi
che una
critica del genere, nell'odierno "impero globalizzato delle
libertà
democratiche", sarebbe del tutto impossibile ed impensabile,
vista la
mancanza di coraggio e di spirito critico nel pensiero politico
vigente (anche quello cosiddetto radicale) e vista la carenza di
scrittori e di artisti di forza e portata analoga a quelli che
quel
fenomeno della storia del Novecento chiamato "l'esperimento
russo" ha
regalato all'umanità. Esso rimane senza eguali ne'
paragoni nei
decenni successivi, per la forza creativa e di innovazione. Nel
romanzo "Cevengur", che rese perplesso persino Gorkij
-combattente
instancabile per la libertà illimitata delle ali di Pegaso, il
cavallo
che porta in volo la creazione artistica - Andrej Platonov
polemizza
con tutte le idee rivoluzionarie e con tutte le politiche
bolsceviche,
portate avanti dal "comunismo di guerra" e dalla NEP, figlie
degli
illuministi europei e dei "populisti" russi. Anche se il modo di
esprimere il dubbio e la critica assume forme satiriche o
paradossali,
in un testo poetico e scritto con eccezionale bravura, rimane la
messa
a bersaglio e l'esposizione alla critica radicale degli intenti
e
dell'intero operato degli ispiratori della Rivoluzione in
Russia.
Platonov si serve della satira per polemizzare e mettere
in dubbio
l'intento stesso che sprona gli uomini a cercare strade e
soluzioni
alle ingiustizie sociali ed ai tormenti della vita e della
condizione
umana, per la ricerca della felicità. Questa critica lo spinge
lontano
- fino alle idee di Fourier e Owen sul lavoro, sulla
vita della
gente e sull'organizzazione della società. Senza la fatica
quotidiana
come si svolgerebbe la vita di ciascuno? E il lavoro, rende
felici o
infelici gli uomini? Sono i poveri ed abietti coloro che sono
chiamati
ad organizzare una società migliore? E cosa sarà di essi in una
società futura in cui essi non saranno più costretti al
duro sforzo
fisico, non dovranno più lavorare, e dove la natura non sarà più
danneggiata dal loro operato? Nel testo, scritto negli anni
Venti del
Novecento, si trovano già diverse idee modernissime che
furono
realizzate in seguito - ad esempio l'energia elettrica prodotta
dai
raggi solari... Platonov si pone delle domande sullo scopo della
vita
- che dovrebbe includere la solidarietà oltre alla
soddisfazione dei
propri ed altrui bisogni -, sul rapporto fra i sessi, sul
rapporto
delle persone con idee politiche delle quali talvolta diventano
succubi e sulla loro inclinazione a seguirle fino all'estremo,
anche
quando esse fanno a pugni con la logica o con la realtà.
Forse se nell'Unione Sovietica avessero riflettuto di più su
questi ed
altri pensieri espressi nell'opera di Platonov questo
paese non
avrebbe fatto la fine che abbiamo visto e vissuto.
Ma le idee che Platonov mette a bersaglio in "Cevengur" sono
idee che
in un certo senso partendo dagli illuministi francesi già nel
Settecento rimbalzarono oltre Oceano e provocarono la ribellione
e la
guerra americana contro gli inglesi, e in qualche modo
costituiscono
anche oggi il fondamento della tanto glorificata Costituzione
degli
Stati Uniti.
Esse non provocarono soltanto la Rivoluzione francese ma ebbero
seguaci e fecero proseliti nei paesi e nei ceti più impensati.
Un erede del Re Nasone, cioè uno dei Borbonici napoletani,
invaghito
di queste riflessioni, aveva costruito vicino Caserta una delle
prime
filande in quella parte d'Italia. Costui si innamorò dell'idea
di
Fourier secondo cui il lavoro dovrebbe rappresentare un piacere
e non
una pena, cosicchè si diede da fare per far lavorare nella
filanda
soltanto le ragazze belle e giovani, che davano non poche
soddisfazioni e gratificazioni allo stesso re, e di conseguenza
crebbe
una popolazione di piccoli tessitori, figli naturali del monarca
e
delle belle tessitrici... E non fu soltanto quella idea di
Fourier,
messa in pratica in modo cosi scabroso, a produrre "effetti
collaterali" indesiderati, ma molte altre. Seguendo le sue
raccomandazioni si fecero lavorare i bambini piccoli come
spazzini,
giacchè il maestro Fourier credeva che ciascuno dovesse svolgere
il
lavoro che più gli aggrada e più gli procura piacere, ed era
comunemente risaputo che i bambini piccoli amano giocare con la
spazzatura. Anche le idee di Fourier di unire i contrasti ed i
contrari per trarne vantaggio trovarono varie applicazioni non
soltanto nelle teorie omeopatiche ma anche nell'operato di
certuni
benintenzionati. Essi intesero realizzare varie convinzioni
degli
utopisti dell'Ottocento, con i risultati più disparati, da
quelli
tragici fino a quelli comici o tragicomici, come quel Borbonico
nel
casertano o come, nel periodo post rivoluzionario della Russia
sovietica, vari tentativi di praticare politiche economiche
opposte
che produssero disagi e disastri (ma produssero anche uno dei
migliori
romanzi comici del secolo: "Il vitello d'oro").
Il Novecento
Le idee del secolo dei lumi, le idee progressiste, utopiste e
marxiste, si imposero nel Novecento, secolo che con il suo
improvviso
ed enorme slancio, sviluppo e successo tecnico-scientifico pose
come
esigenza imprescindibile il rinnovamento della società. Un
cambiamento
radicale dei modi di vita vigenti si mostrò non soltanto
necessario ma
impellente. Già dal suo inizio, sotto forma di
movimenti artistici,
come il futurismo, il fauvismo o altre avanguardie
che presero forma
nei primi anni e negli anni Dieci, questa esigenza si dimostrò
in
tutto il suo dirompente vigore e la sua drammaticità. Cent'anni
fa si
notava che qualche cosa era radicalmente cambiato e che ne' la
vita
della gente, ne' i modi di creazione e di produzione sarebbero
più
stati gli stessi di prima – dell'Ottocento, cioè. Il mutamento
era
irreversibile e radicale, ed il secolo doveva adeguarsi.
Il discorso artistico, che era composto da diversi movimenti sul
piano
delle varie arti, e si mostrava in alcuni casi veramente
rivoluzionario, fu interrotto dalla Prima Guerra Mondiale. Ma
non fu
la stessa guerra imperialista una delle risposte a quel disagio
sociale e a quella ricerca d'innovazione che si erano imposte
con
tanta veemenza? E l'espressione artistica non riflette proprio
un'esigenza sociale?
Lo scontro militare che si produsse ebbe delle conseguenze
inimmaginabili sia come numero di morti, sia per i
disastri e le loro
conseguenze. Ne risultò la disgregazione e la fine di ben
cinque
imperi e la vittoria della prima rivoluzione socialista nel
mondo. Fu
una cosa inedita ed inaudita sia come evento di
massimo scandalo e
pericolo per le classi abbienti, sia per l'entusiasmo e la
speranza
suscitate nei ceti sociali disagiati.
Questo fu il significato, all'inizio del Novecento, della
vittoria
rivoluzionaria del proletariato russo. Quel fatto innescò una
sequela
di eventi e di reazioni che portarono alla nascita del
fascismo e del
nazismo. Ma sarebbe un errore madornale considerare il
nazifascismo
come semplice conseguenza, diretta o indiretta, della
Rivoluzione
d'Ottobre. Esso è un fenomeno o meglio una patologia dello
sviluppo
capitalistico che ha poco o nulla da spartire con la vittoria
delle
idee marxiste in Russia e con l'irruzione dei partiti comunisti
sul
palcoscenico europeo e mondiale. La conferma di questa
affermazione
sta nel nostro quotidiano. Il secolo ventunesimo, che inizia con
una
sconfitta colossale delle sinistre, ha visto e vive la rimonta
del
nazifascismo, sostenuto e spinto dalle stesse forze sociali e
politiche che lo produssero nel Novecento. E le classi facoltose
di
oggi non si debbono più confrontare con nessun paese dove sono
al
potere le idee marxiste e dove ha vinto una rivoluzione
popolare, e
nemmeno si devono confrontare con "sinistre" di una certa
rilevanza. (1)
Oggi, ottant'anni dopo l'avvento del nazifascismo e sessanta
anni dopo
la sua sconfitta, dovrebbe risultare assai chiaro che la sua
nascita è
un fenomeno o meglio una malformazione e una patologia congenita
allo
sviluppo capitalistico, e non una reazione violenta alle
crescenti
forze delle sinistre nel mondo, come lo si vorrebbe far passare.
Oggi
- quando di una sinistra vigorosa o crescente, presunta
inarrestabile,
in Europa non c'è più traccia, purtroppo, ed il primo
paese del
socialismo del mondo non esiste più, visto che si è disgregato
ed ha
rinunciato all'ideologia marxista ed ha abiurato quindici anni
fa,
subendo drammatici cambiamenti - si assiste al fenomeno della
rinascita del nazifascismo in varie vesti, vecchie e nuove,
innescato
dalla crisi economica e sociale. Esso riemerge nelle forme più
svariate: da quello classico, che si manifesta come
l'anticomunismo
becero di diverse forze politiche e di capi di partiti e Stati
persino
europei, fino ai fenomeni di antisemitismo o di razzismo di
piazza,
diretti contro i cimiteri o i templi ebraici o contro le
persone di
altra razza ed etnia; fino a quello "ufficioso" e ufficiale,
messo in
campo nelle politiche contro immigrati clandestini o contro
islamici
"non buoni" o sospetti tali, e contro i manifestanti politici
violenti
o sospetti di diventarlo. Non sono certo meno "occasionali"
nemmeno le
aggressioni nordamericane che ad intervalli più o meno regolari
prendono di mira ora l'uno ora l'altro paese "mascalzone", che
diventa
bersaglio di violenze politiche feroci, in un primo tempo,
ed in un
secondo tempo diviene oggetto di una terribile aggressione
militare.
Tutti questi fatti, anche se sono nuovi per gli strumenti che
vengono
usati (dai mass media, fino alle bombe "intelligenti" e alle
guerre
"umanitarie" nonche' alle aggressioni militari a scopo
d'ampliamento
delle libertà democratiche...), non sono certo nuovi nella
Storia.
Tanto meno nella Storia recente – quella del Novecento. Quella
Storia
purtroppo conosce bene le aggressioni senza alcun motivo
valido,
praticate dai nazifascismi di turno, come conosce le guerre
lampo, i
campi di concentramento e di sterminio... Tutti questi fenomeni
sessant'anni dopo appaiono chiaramente come pura follia nazista
e
fascista. E sebbene essi siano visti e giudicati come
espressione di
pura pazzia scellerata, non sono tuttavia purtroppo estranei
dall'attuale scena politica mondale. Soltanto che, se anche non
sono
di proporzioni rilevanti, e se non riguardano l'Europa
(soprattutto
non quella Occidentale o Centrale), essi interessano meno
o non
interessano affatto. Ci si adegua alla spiegazione politica di
turno e
di comodo senza porsi le domande, senza imbarazzi di
coscienza.
Sebbene dunque questi fenomeni tipici di un "fascismo light"
suscitino
parecchio scandalo e turbolenza politica nel mondo, non si sono
trovate finora le forze sociali e politiche in grado di
fermarli. In
parole chiare: questi fenomeni - di chiaro stampo aggressivo o
nazifascista, pur se la divisa è cambiata, che usano le
tecnologie ed
i modi d'espressione moderni - appaiono in preoccupante aumento
nel
mondo intero, ma non ci sono più i movimenti di massa in grado
di
opporvisi con forza e serietà, o con una qualche reale
prospettiva di
rivincita. Perché? Perchè questi movimenti nonchè le idee che li
suscitavano e sostenevano hanno perso smalto e credibilità
politica
sia con la rovina dell'Unione Sovietica, sia a causa della
totale
incapacità delle sinistre europee e mondiali di gestire la
situazione,
di sopravvivere alla rottura e di uscirne fuori in qualche modo
senza
perdere la loro essenziale ragion d'essere. E la loro essenziale
ragion d'essere era e rimane l'opposizione e la lotta contro il
capitalismo.
Le sinistre occidentali hanno smesso di combattere sia
l'imperialismo
sia quei fenomeni meno importanti e più provinciali, da "cortile
interno": i nazismi, i fascismi e i razzismi di casa propria. È
stata
la totale rinuncia da parte delle sinistre a cavalcare il
proprio
tempo, ad opporsi ed andare oltre il disastro, a portare avanti
il
proprio modo di vedere le cose, di ragionare su se stessi e sul
mondo,
e di organizzarsi nelle nuove e radicalmente cambiate condizioni
di
lotta e di opposizione sociale. Di quest'ultima si sente un
bisogno
impellente più che mai, ma le masse lavoratrici si
mostrano ancora in
preda alla deriva; le organizzazioni politiche sono in continua
trasformazione per acchiappare la propria parte di torta, e i
concetti
che storicamente diedero origine alle sinistre sono dimenticati
o
vengono ritenuti obsoleti.
In questo vecchio signore, malandato e viziato, chi oggi
riconoscerebbe il bambino nato all'alba del secolo scorso,
fasciato
con i panni rossi, e in cui si posero tante speranze? Chi
scoprirebbe
in lui il giovane vigoroso e vittorioso del 1945 che si
proponeva di
cambiare il mondo? In un'epoca in cui, come in nessuna
precedente
(nemmeno quella fascista), si esaspera il mito dell'eterna
giovinezza
e dei suoi pregi, certo non si può essere in grado di prendersi
briga
di questa vecchiaia ributtante e del ciarpame ideologico che
essa si
trascina dietro...
A questo bisogna aggiungere il rincretinire sistematico e mirato
della
popolazione, tramite i mass media e le loro falsità e
disinformazioni,
i divertimenti e le mode creati per guadagno facile e per
assecondare
i gusti più bassi e triviali della gente, la propaganda
strategica, a
base di disinformazione storica e politica sulle lotte
partigiane e le
loro cause ed ispirazioni profonde e sull'intero movimento di
liberazione nel mondo. Al contempo si inasprisce la lotta sul
lavoro,
la lotta di tutti contro tutti cioè la lotta per la
sopravvivenza.
Tutto questo sommato insieme causa questo stato di indifferenza,
di
disinteresse e di atonia generale verso fenomeni quali il
fascismo, il
razzismo o l'imperialismo che imperversano. E' pur vero che
negli
ultimi tempi si era visto un vasto movimento di opposizione
all'aggressione imperialista, ma esso purtroppo non ha innescato
una
risposta nelle sinistre occidentali, stanche e deluse, tantomeno
in
quelle dell'oriente europeo, che si è messo a fare l'accattone,
con il
cappello in mano sotto le porte dei ricchi e dei potenti della
terra.
L'epopea antifascista della
Jugoslavia
Niente di simile alle armate vittoriose sul nazifascismo nel
1945 in
Europa, ne' al vasto movimento antifascista nella Jugoslavia
squartata
dai banditi locali e dall'invasore straniero, che a quel
misfatto
oppose negli stessi anni una forza antifascista travolgente. A
liberare il paese furono centinaia di migliaia di Partigiani in
armi,
i quali ebbero un seguito di molte più persone: una
popolazione
antifascista di 800 mila o forse un milione di persone in
totale, che
sostenne quell'esercito senza logistica, senza armi e senza
esperienze
militari, che si oppose a petto nudo e con coraggio alla forza
mondiale più temuta e tremenda - il nazismo ed il fascismo
già
vittoriosi nella primavera-estate del 1941.
La guerra di conquista era iniziata con il bombardamento di
Belgrado
il 6 aprile del 1941 ed era finita in dieci giorni lasciando il
paese
in balia del nemico. Ma i primi scontri si ebbero già nel
giugno-luglio del 1941: i partigiani jugoslavi si ribellarono e
presero la strada dei monti all'epoca in cui Stalingrado, Kursk,
e
l'entrata in guerra dell'America, erano ancora ben lontane.
L'Unione
Sovietica non era ancora nemmeno stata attaccata, e non avrebbe
comunque ceduto tranches altrettanto grandi del suo territorio
al
nemico. La gente in Jugoslavia moriva sotto il piombo fascista
con il
nome di quel paese - l'URSS - sulle labbra. Le mitiche
battaglie, le
fughe con i feriti e fuggiaschi civili dagli accerchiamenti
nemici,
che diedero a quella lotta un alone di gloria eroica e
drammatica,
sarebbero venute dopo. Intanto, nell'esercito partigiano
affluivano i
giovani dalle città e dai paesi – l'età media di quell'armata
popolare, che oggi alcuni vogliono far passare per scellerata e
crudele (*), era fra i 17 e i 24 anni.
La gente che combatteva allora il fascismo credeva nella
giustezza
della propria lotta, e fu disposta a sopportare rischi e
sacrifici
estremi.
In un libro della letteratura di memorie sulla guerra
partigiana,
scritto da un sindacalista italiano, all'epoca soldato fascista
in
Montenegro, l'autore racconta come era diventato antifascista.
Dopo
una ribellione alle forze occupatrici fasciste in Montenegro,
che vide
partecipare la popolazione intera, visto che una tale massiccia
risposta superò le previsioni degli organizzatori, molti
che vi
presero parte furono catturati. Le unità di combattimento
partigiane
erano ancora in stato di formazione; i fascisti, le camicie
nere,
catturarono molti dei partecipanti all'insurrezione con le
rispettive
famiglie al completo, nei loro villaggi e nelle loro case, e li
condannarono a morte. Alcuni furono catturati anche in scontri
impari
e furono subito passati per le armi.
Quel sindacalista, che allora era un giovane soldato, osservò
un'esecuzione di un "bandito", inscenata con una certa
solennità.
Portarono un omino piccolo, tutto arruffato e graffiato,
vestito di
stracci strappati. Gli parve un essere misero, con poche forze
fisiche, un pezzente insignificante, che non avrebbe potuto
recare
alcun danno a nessuno. Davanti alla forca quel poveretto d'un
tratto
si raddrizzò, sporse in avanti il petto e a testa alta guardando
intrepido i boia che gli mettevano il cappio sul collo gridò a
tutti
con forza: "Abbasso il fascismo! Evviva la lotta antifascista!
Vinceremo noi!"
E da quel momento in quel giovane soldato dell'esercito fascista
si
ruppe qualche cosa, perchè il primo pensiero che ebbe fu: qui ci
deve
essere qualche inganno, qualche tranello... Quanta e quale deve
essere
la forza di fede nell'antifascismo capace di fare di un omino
del
genere un eroe? Ed allora venne prima il dubbio, poi il rifiuto,
ed
infine il suo cammino di militante di sinistra e di sindacalista
italiano.
Ecco, di questa forza di convinzione, di questa fede illimitata
nella
superiorità della propria idea politica ha bisogno la sinistra
di
oggi, sia in Italia sia nei paesi che furono jugoslavi sia nel
mondo
intero. Resta la domanda: quale forza o quale evento politico e
sociale, quale pensiero nuovo sarà in grado di ridargliela? O
dobbiamo
piuttosto constatare che i miracoli non esistono o sono
estremamente
rari e dunque... rimboccarci le maniche e cominciare a sanare i
danni
e le lesioni che il tempo ci ha procurato: forti della fede nel
futuro
e coscienti che ogni sforzo e ogni fatica che si subisce ogni
giorno,
di mese in mese e di anno in anno, prima o poi deve dare i
frutti.
Jasna Tkalec
(1) Resta fermo, e a parte, il discorso sulla Cina, che non è
possibile affrontare di sfuggita e di striscio in questo
contesto,
essendo esso molto serio e complesso. La Cina
d'oggi, e questo è un
fatto innegabile, non si oppone politicamente allo
sviluppo
capitalistico globale.
(Revisione del testo italiano a
cura di AM)
(*) Vedi il recente film
revisionista e revanscista italiano "Il cuore nel pozzo" (ndr)
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P A R T I G
I A N I !
Una iniziativa internazionale
ed internazionalista
nel 60.esimo anniversario
della Liberazione dal nazifascismo
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