Giuseppe Marmorosa, iscritto al Partito
Comunista Italiano già nel 1930, nel '41 è a Zagabria e
passa con i partigiani jugoslavi di Tito, insieme ai
quali, già da quella data, combatte contro i
Nazifascisti.
Diventa Commissario Politico della II Brigata
Proletaria d'Assalto solo all'inizio del '43. Tale
Brigata, il cui comandante è un polacco, opera
soprattutto in Bosnia–Erzegovina e Montenegro; di sicuro
Peppino Marmorosa prende parte ai terribili
combattimenti, o sulla Sutjeska, o sulla Neretva, in cui
parte dell'esercito partigiano di Tito riesce a
sottrarsi all'accerchiamento da parte dei Nazifascisti.
È presente negli scontri contro gli Ustascia e contro i
cetnici di Mihajlovic. Partecipa inoltre ai
combattimenti nella fase finale per la liberazione di
Zagabria, risalendo con la Brigata tutta la Jugoslavia.
E' ferito in combattimento solo una volta ed in maniera
piuttosto lieve.
Nel '45 la Brigata è a Trieste: in quell'occasione si
paventa la possibilità che il comandante passi con i
polacchi di Anders, ma ciò non avviene.
Marmorosa non ha mai combattuto nelle formazioni dei
partigiani italiani in Jugoslavia.
Ritornato in Italia, è il primo Segretario della
Federazione lucana del PCI. Lì organizza e guida le
lotte per l'occupazione delle terre, finchè non
viene espulso dal Partito (sostituito nel ruolo di
segretario da Gerardo Chiaromonte) perché accusato
ingiustamente di titoismo da Giorgio Napolitano (allora
segretario delle federazione di Caserta) e da Giorgio
Amendola.
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Peppino Marmorosa (4-9-1912……..)
Partigiano nelle Brigate proletarie d’assalto in
Jugoslavia
Cari compagni, attenderò più serenamente la sera che non
avrà domani, se avrò la certezza che il mio ultimo…
trasferimento sarà fatto rispettando scrupolosamente, nella
forma e nella sostanza, il principio della coerenza, della
semplicità e della modestia, che, in certo modo, dovrebbero
avere caratterizzato la mia esistenza.
Vi prego quindi di rispettare e di far rispettare questa
mia volontà, anche se improbabili interferenze dovessero
comunque manifestarsi. A tal fine curerete che:
1. mi sia evitato
l’affronto di una bara verniciata di pessimo gusto e di un
volgare e chiassoso carro funebre: non sarà difficile
costruire sul posto una cassa di legno grezzo da carpenteria e
reperire per il trasporto un camioncino senza sponde. Un bel
drappo rosso coprirà tutto e sostituirà ogni inutile orpello.
2. Me ne andrei
volentieri in punta di piedi senza disturbare nessuno;
purtroppo non è possibile e in fondo non mi dispiace pensare
che avrò accanto nelle ultime ore compagni che ho amato e
amici che ho rispettato. Che tutto avvenga però nel modo più
semplice e laico possibile. Quindi rito severamente ed
esclusivamente civile.
3. Se per legge il mio
corpo dovrà restare esposto per non so quanto tempo servitevi
di un paio di cavalletti e di qualche asse di legno, ma non
del letto, che è stato costruito dall’uomo per ben
altri usi, e non in una camera da letto: starò bene tra i
miei libri. I miei migliori compagni di lotta, nei più
fortunati dei casi, sono stati seppelliti in una buca
frettolosamente scavata. Quei volti che avevano tante volte
guardato coraggiosamente in faccia alla morte
potevamo solo proteggerli dall’offesa delle prime palate di
terra ricorrendo a ramoscelli intrecciati o alla fodera della
loro stessa giacca crivellata di colpi. A me è toccata
immeritatamente sorte migliore. E tanto mi basta.
4. Annodatemi al collo il fazzoletto
rosso della mia Brigata proletaria, ma recuperatelo poi e
consegnatelo a Franco insieme alla medaglia del Partito alla
targa del Comune e alle altre decorazioni.
5. Quando mi porterete via di casa
fate risuonare alte le note dell’Internazionale e durante
l’ultimo tragitto fatemi sentire l’eco dei canti partigiani
(la cassetta l’ha in consegna il compagno Carmelo).
6. Il comp. Carmelo sa anche dove
reperire un assegno in bianco il cui importo sarà versato
all’Unità-Edizione nazionale a titolo di compenso e di offerta
per l’annuncio funebre che voi stessi redigerete, annunciando
ai compagni il mio decesso. Col resto farete fronte alle spese
che dovrete pur sostenere.
Sulla
lapide, se mai ce ne sarà una, scrivete solo:
Peppino Marmorosa (4-9-1912……..)
Partigiano nelle Brigate proletarie d’assalto in Jugoslavia
Negli anni venturi qualcuno dovrà pur chiedere che
furono e cosa fecero e perché lo fecero questi volontari della
libertà. E mi auguro che non debbano amaramente ricordare i
versi di Renata Viganò:
Ma io vorrei morire stasera
e che voi tutti moriste
col viso nella paglia marcia,
se dovessi un giorno pensarlo
che tutto questo fu fatto per niente!
Vi ringrazio dell’affetto di cui mi avete sempre circondato e
delle premurose attenzioni che mi avete prestato in ogni
occasione. Non sono sicuro di esserne stato sempre meritevole,
ma ho la coscienza di aver operato sempre per il bene del
Partito, nel rispetto dei compagni tutti, per una causa che è
la più nobile cui l’uomo possa dedicare la propria esistenza.
Vi
abbraccio tutti fraternamente
Peppino
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Giuseppe Marmorosa muore a San Rufo
(provincia di Salerno) nel 1984. Il suo testamento è
stato rigorosamente rispettato dai compagni di quel
paese.
Una Tesi di Laurea su Peppino Marmorosa è stata
presentata attorno al 2000 presso l'Istituto di
Discipline Storiche di Bologna.
Fonte:
Franco Gallerano