Alla manifestazione [VIDEO] sono intervenuti Roberto Cenati (ANPI provinciale di Milano), Francesco Cappelli (Comune di Milano), Massimo Pagani (Provincia di Milano), Sara Valmaggi (Regione Lombardia) e Sergio Fogagnolo (Associazione “Le radici della Pace. I Quindici”). | |
Intervento di Sergio
Fogagnolo: Cittadine e cittadini di Milano, rappresentanti delle associazioni partigiane e delle Istituzioni, nella mia qualità di presidente dell’Associazione Le radici della Pace che riunisce i familiari dei quindici partigiani massacrati dai nazifascisti il 10 agosto 1944 in piazzale Loreto, a Milano, vi ringrazio per la vostra partecipazione. Un amico fraterno mi chiede «Perché continuare a ricordare ogni anno il 10 agosto del ’44»? La domanda mi imbarazza perché sono parte in causa e mi irrita perché sono convinto che piazzale Loreto sia un luogo della memoria collettiva nazionale. Ma mi fa riflettere: in un Paese nel quale ogni tanto qualcuno vuole abolire il 25 aprile, è possibile parlare ancora di memoria collettiva? Storia e memoria hanno un obiettivo comune: salvare il passato dall’usura del tempo che fa dimenticare fatti, cose e persone. Entrambe nascono proprio dal desiderio di opporsi alla dimenticanza perché ciò che è ricordato, in qualche misura, è ancora con noi. Allora, è necessario dire qual è il significato di questa cerimonia a 70 anni dalla strage, come si colloca questo luogo nella Storia nazionale, chiedersi perché, nell’immediato dopoguerra e fino agli anni ’70, gli uomini politici che la Resistenza l’avevano fatta sul serio, soprattutto di sinistra -ma non solo-, facevano a gara per poter parlare qui, in piazzale Loreto e oggi, per un malinteso senso del politically correct, trasversalmente, gli uomini pubblici cerchino di evitarlo. Comportamento quanto mai ambiguo, che finisce per diventare una forma di tacita legittimazione che equipara i fascisti, che difendevano la dittatura, ai partigiani, che lottavano per la democrazia. Complice il silenzio calato con l’occultamento del fascicolo nel c.d. «armadio della vergogna», la vulgata neofascista ha strumentalizzato in modo vergognoso l’ignoranza del cittadino medio sulle cause e sulle modalità della strage. Facendo passare il falso per vero, per anni, essa ha narrato la strage come una rappresaglia per la morte di tre, sei, otto soldati nazisti -secondo la fantasia dell’autore- nell’attentato a un camion tedesco, avvenuto in viale Abruzzi, il mattino dell’8 agosto ’44. La verità è che in quell’attentato, mai rivendicato dai GAP, non morì alcun militare tedesco. Non si tratta, quindi, di rappresaglia, ma di un’ azione tipica della strategia del terrore, già sperimentata con successo dai nazisti nelle zone occupate dell’est europeo, effettuata dal comando tedesco per terrorizzare la gente e sottrarre alla Resistenza ogni simpatia popolare. I Quindici furono selezionati alle 4.30 del mattino del 10 agosto nel carcere di S. Vittore, giunsero in piazzale Loreto verso le 5.45, furono addossati, in qualche modo, allo steccato che c’era all’angolo di via Andrea Doria e furono fucilati disordinatamente. Poi, inseguito e ucciso Soncini, che, tentata la fuga, si era rifugiato in un palazzo di via Palestrina, i fascisti ne riportarono il corpo in piazzale Loreto, trascinandolo per le gambe. Alle 6.10 era tutto finito. I corpi furono ammucchiati uno sull’altro e in cima al mucchio, fu apposto «un cartello che indicava la rappresaglia per l’attentato di Viale Abruzzi» firmato dal comando tedesco. Ma anche le modalità del dopo strage furono «particolarmente efferate» perché ci fu il vilipendio dei poveri corpi. I militi di guardia non risparmiarono calci e sputi in segno di disprezzo, alcuni di loro mangiavano fette di anguria e sputavano i semi sui cadaveri, un gruppetto di ausiliarie fasciste ci si pulì le scarpe, una delle guardie pisciò al riparo dello steccato. Nella testimonianza che mia madre rese alla 78th Special Investigation Branch inglese, che nel ’46 indagò sulla strage, dice che il corpo di mio padre presentava ferite d’arma da fuoco allo stomaco e al petto, ma il cranio -dice testualmente- era «sfracellato»; probabilmente dai calci -aggiungo io. Il comando nazista ordinò che i poveri corpi rimanessero esposti per l’intera giornata e fu solo per intervento del cardinale Schϋster che si poté rimuoverli poco prima di sera. Anche il pubblico è vittima della violenza fascista. Un quindicenne ex allievo del maestro Principato, che passava in bici per viale Brianza, fu fatto scendere da un suo coetaneo, armato fino ai denti, in divisa da milite della Muti, e fu costretto, armi alla mano, ad andare a vedere il raccapricciante spettacolo. Una anziana donna che, scorgendo tra i morti il viso di un giovanissimo, disse: «Poer fioeu!», fu subito minacciata da un milite fascista: «Cos’hai detto? Se lo ripeti ancora, ti faccio fare la stessa fine di questi banditi!» Ma quando uno spettatore, indubbiamente fascista, sparò alcuni colpi di pistola nel mucchio dei poveri corpi in segno di disprezzo, non ci fu alcuna reazione da parte dei militi della Muti, evidentemente compiaciuti per il gesto. Di tutto ciò non c’è traccia nella memoria collettiva perché, il 10 agosto ’44, le cineprese di Combat Film erano impegnate nei dintorni di Firenze, appena liberata. Mentre erano qui il 29 aprile ’45 a documentare la collera della folla contro il criminale di guerra Mussolini e i suoi gerarchi che avevano tradito la fiducia della nazione. E di questo episodio la memoria pubblica si è conservata; eccome! La «razza cialtrona» che, dopo aver imposto vent’anni di dittatura fascista, era fuggita a Brindisi, abbandonando il popolo al suo destino; la «razza cialtrona» che, dopo aver portato il Paese in guerra e averla rovinosamente persa, lo trascinò, poi, nella catastrofica, sanguinosa guerra civile, costituendo la Repubblica Sociale Italiana; quella «razza cialtrona» non conosceva il senso di civica dignità e di rispetto per la Patria che portò invece i Quindici ad affrontare consapevolmente la morte. Ma la loro eredità morale è stata vergognosamente tradita dalla generazione politica del «bunga bunga», tanto impreparata quanto corrotta, ignorante e incapace. Se l’eredità del ventennio fascista fu un Paese in rovina, campo di battaglia degli eserciti alleati e degli occupanti nazifascisti e in lutto per le centinaia di migliaia di morti civili e militari, l’eredità del ventennio berlusconiano è la rovina morale ed economica del Paese, oltre alla falsificazione della Storia. Da venti anni vi vediamo venire qui a fare sfoggio di antifascismo parolaio, indifferenti ai nostri appelli e all’illegittimo occultamento ultra-cinquantennale del fascicolo di questa strage, mentre, nello svolgimento della vostra attività politica quotidiana, perseguite la banalizzazione del totalitarismo fascista e la pari dignità di fascismo e Resistenza. La libertà è oggi un diritto costituzionale. Voi l’avete avuta gratis. Ma il prezzo della vostra libertà l’abbiamo pagato noi, famigliari delle vittime delle stragi de «l’armadio della vergogna» con le nostre sofferenze e con il nostro dolore. Eppure questo vi lascia indifferenti. Per evitare che le vicende storiche legate alla strage fossero manipolate per scopi politici, alterando la verità storica provata e consolidata, a metà giugno, con l’aiuto della giunta Pisapia, dell’Amministrazione Provinciale, della Regione e dell’ANPI, abbiamo organizzato un convegno e vi abbiamo offerto l’opportunità di informarvi sul massacro, sul suo occultamento, sulla giustizia negata e sulle conseguenze giuridiche, politiche e sociali. L’avete mancata clamorosamente. Ora, per rimediare, vi offriamo un’altra occasione perché in talune di quelle istituzioni siete al governo e il vostro ruolo può essere importante per aiutarci a formare i futuri Cittadini. Essere Cittadini di uno Stato totalitario, solleva il singolo dall’oneroso compito di pensare: c’è il pensiero unico ed è sufficiente adeguarvisi. Al contrario, essere cittadini in uno Stato democratico è un esercizio impegnativo e faticoso perché bisogna leggere, studiare, documentarsi, mettere a confronto fatti e parole, esercitare lo spirito critico e, infine, esprimere un giudizio. Ma non basta ancora: bisogna togliersi gli occhiali appannati delle ideologie che hanno annebbiato la nostra mente per decenni. E questo è ancora più difficile. Tuttavia, dato che, per sua stessa definizione, il fascismo è negazione della democrazia e del sistema parlamentare, con o senza il vostro aiuto, faremo ogni sforzo per aiutare le nuove generazioni a sviluppare una coscienza democratica. Porteremo, dunque, i risultati di quel convegno nelle scuole, per contrastare la manipolazione della Storia, facendo leva sulle istituzioni che l’hanno patrocinato. Questo è il significato odierno dell’antifascismo, ed è anche il modo migliore per onorare la memoria dei Quindici e di coloro che hanno dato la vita per la libertà e la democrazia del nostro Paese. Grazie. Dr. Sergio R. Fogagnolo Presidente dell’associazione «Le radici della Pace – I Quindici» |
Intervento di Roberto
Cenati: In una testimonianza raccolta nel settembre del 1997, su quella terribile mattina del 10 agosto 1944, così la partigiana Giannina Cècere Fabello che ci ha lasciato nel 2010, racconta: “Lavoravo in via Sammartini ed abitando in via Plinio mi recavo a piedi sul posto di lavoro passando da piazzale Loreto per viale Brianza. Vidi ad un certo momento dei camion fermarsi di fronte alla staccionata situata a lato di un'autorimessa in piazzale Loreto. Dei fascisti armati e in divisa scesero per primi dal camion, obbligando con i fucili spianati, parecchi uomini, giovani e non, a scendere anche loro e a portarsi di fronte alla staccionata tutti in gruppo. Questa operazione durò pochi minuti, poi una scarica di fucili si abbattè su di loro uccidendoli tutti. Cosa feci allora davanti a quei corpi senza vita non lo so – rabbia, disperazione, dolore e tanto odio per gli assassini, anche perchè riconobbi tra quei poveri corpi un amico a noi caro, Tullio Galimberti. Come si può scordare tanta infamia, tanta crudeltà verso i nostri simili ?” Milano non ha dimenticato quell'orribile eccidio. Piazzale Loreto è rimasto nel cuore, di tutti gli antifascisti, dei milanesi che mai dimenticheranno tanta barbara crudeltà. Il ruolo dei 15 nella Resistenza Tra i Quindici è rappresentato l’intero arco delle forze che partecipò alla Resistenza: azionisti, socialisti, comunisti, cattolici e quasi tutte le categorie sociali. Libero Temolo della Pirelli, Umberto Fogagnolo e Giulio Casiraghi della Ercole Marelli, Angelo Poletti della Isotta Fraschini sono gli organizzatori degli scioperi del marzo 1943 e del 1944. Vittorio Gasparini, attivista cattolico prima nelle organizzazioni giovanili e poi nella Fuci, collabora con i servizi segreti del comando della V Armata americana, gestendo in piazza Fiume (ora piazza della Repubblica), un centro radio clandestino. Domenico Fiorani raccoglie direttamente da Enrico Falck i finanziamenti che porta ai raggruppamenti partigiani dislocati in montagna. Salvatore Principato contrasta il fascismo sin dalle origini, lavorando prima con Turati e Anna Kuliscioff, poi con i fratelli Rosselli. La Resistenza italiana nel 1944 I tragici fatti di piazzale Loreto si inquadrano in un anno, il 1944 segnato da importanti avvenimenti internazionali e nazionali. Angloamericani e sovietici avanzano su ogni fronte e in quell'inizio estate 1944 la macchina bellica nazifascista sembra rapidamente approssimarsi al crollo finale. Nel luglio del 1944 si inaugurano le repubbliche partigiane dove i CLN costituiscono Giunte popolari. Ma il 1944 è segnato soprattutto, in Italia, dall'unico grande sciopero generale svoltosi nell'Europa occupata dai nazifascisti. Dall'1 all'8 marzo 1944 a Milano e Provincia i lavoratori delle grandi fabbriche, gli impiegati, i tranvieri, i tipografi del Corriere della Sera sfidarono il regime nazifascista. A fianco dei lavoratori che pagarono a caro prezzo, con la deportazione nel lager di Mauthausen e nei suoi sottocampi, questa loro coraggiosa protesta, massiccia è stata la partecipazione delle donne che, pur prive del diritto di voto, hanno svolto un ruolo fondamentale nel corso della Resistenza. Ad esse va la nostra profonda riconoscenza. Stragi nazifasciste e repressione Il 1944 fu un anno di speranze, ma anche di feroce repressione da parte dei nazifascisti. I tedeschi riusciranno a resistere sulla linea gotica e da giugno a settembre del 1944 su tutte le regioni occupate si rendono protagonisti, con la collaborazione dei repubblichini, di un'agghiacciante ondata di fucilazioni, incendi e stragi come a Marzabotto e a Sant'Anna di Stazzema. L’eccidio di piazzale Loreto arriva a conclusione di un mese nel quale le esecuzioni per mano dei repubblichini si sono succedute l’una dopo l’altra, a Milano e nei Comuni della sua Provincia, come a Robecco, dove oltre ad otto fucilazioni i nazifascisti deportano 58 abitanti nel lager di Kala, nove dei quali non faranno ritorno dalla Germania. Con queste fucilazioni si pensava che la strategia del terrore nazifascista potesse isolare i combattenti della Resistenza dalla popolazione. L’eccidio di piazzale Loreto ottenne invece l’effetto opposto. Ruolo della Repubblica di Salò Una scalata del terrore dunque, alla quale non furono estranei i militi della Repubblica di Salò, a dimostrazione del fatto che i repubblichini collaborarono attivamente alla denuncia, alla cattura, alla fucilazione di partigiani, ebrei, oppositori politici. E questo dato è sempre bene tenerlo presente se pensiamo alla ormai dilagante deriva revisionistica da anni in corso e all'ultimo libro di Giampaolo Pansa che ha paragonato le azioni di Giovanni Pesce contro i nazifascisti a quella terroristica delle Brigate Rosse che causarono la morte del Vicedirettore de “La Stampa” Carlo Casalegno. Tutto ciò è vergognoso e inaccettabile. Le considerazioni di Antonio Greppi Nel discorso tenuto in piazzale Loreto il 10 Agosto 1951, Antonio Greppi, primo sindaco della Liberazione, osservava: “Sono tornato qui, tra una così grande folla questa sera come gli anni scorsi. Con lo stesso spirito e con la stessa commozione. Ma mi accade talvolta di sostare davanti a questo cippo anche da solo e di meditare in silenzio. Così penso che facciano anche molti di voi. E questo accade, sopratutto, quando ci si sente più amareggiati o delusi. Qui, con i Martiri di piazzale Loreto, si pensano le cose più serie e più alte.” Anche questa sera siamo qui, ma ci sentiamo più soli dell'anno precedente se pensiamo ai tanti che ci hanno lasciato, ad Annunziata Cesani, la nostra Ceda di cui ricorre l'anniversario della scomparsa, al partigiano Franco Colzani per tanto tempo Presidente della Sezione ANPI Gallaratese, a Giovanna Massariello, Vice-Presidente della Fondazione Memoria della Deportazione e Consigliere nazionale dell'Aned. Essere qui, questa sera, davanti alla stele che ricorda i 15 Martiri deve indurci a compiere un esame di coscienza sul momento che stiamo vivendo e su come abbiamo raccolto l'eredità che i Combattenti per la Libertà ci hanno lasciato. Di fronte a questo interrogativo mai ci siamo trovati con animo così turbato come oggi. La pace in pericolo Viviamo in una realtà planetaria schiacciata sotto il peso di una complessità dai drammatici effetti. Un groviglio di questioni gravi e di portata enorme: dalle disuguaglianze alle guerre, allo sfruttamento rapace e suicida delle risorse naturali e dell’ambiente. Ma soprattutto stiamo attraversando un periodo in cui la pace, bene prezioso donatoci dalla Resistenza italiana ed europea che furono guerra alla guerra è messa in serio pericolo. Dall'Iraq alla Siria, alla Libia, al Libano all'Egitto, alla Palestina: il Medio Oriente è una regione destabilizzata, attraversata da conflitti sempre più sanguinosi. Ne è un tragico esempio quanto è avvenuto in Palestina, dove rimane sempe più utopico il progetto di due popoli in due stati dopo quanto accaduto in queste ultime settimane. Il riaccendersi del conflitto e i massicci bombardamenti dell'esercito israeliano che hanno colpito anche ospedali e sedi dell'ONU, hanno causato numerosissime vittime tra la popolazione della striscia di Gaza: donne, anziani, ma soprattutto bambini. I bambini rappresentano il 30% delle vittime civili e quasi tremila sono tra loro i feriti. Lo scrittore israeliano David Grossman osservava qualche settimana fa: “Nell'epoca in cui viviamo non ci sono più vittorie inequivocabili. Ci sono soltanto “fotogrammi” di vittoria che lasciano il tempo che trovano e il cui negativo ci mostra che nelle guerre ci sono unicamente perdenti e non esiste una soluzione militare al reale malessere del popolo che abbiamo di fronte. E fintanto che il senso di soffocamento della gente di Gaza non si dissiperà, nemmeno noi, in Israele, potremo respirare con agio, con entrambi i polmoni.” Ma c'è un altro elemento sconvolgente in questa situazione: la latitanza dell'Europa di fronte all'eterno massacro che si consuma in Medio Oriente. Nè in questo silenzio assordante si è vista traccia di una forte iniziativa italiana che ha assunto la Presidenza dell'Unione euroepea. Il vecchio continente è attraversato da tendenze autoritarie e rigurgiti fascisti e neofascisti. Antiche ossessioni che pensavamo di esserci lasciati alle spalle sulla “purezza del sangue” e della “razza” sembrano tornare a galla. Fenomeni e tendenze che sono emerse con forza anche nelle ultime elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, nel quale preoccupa la presenza di un consistente gruppo di parlamentari antieuropeisti. L'Europa è poi travagliata da una delle crisi più gravi del dopoguerra, con la situazione determinatasi in Ucraina, dilaniata da un sanguinoso conflitto, con il pericolo di una gravissima crisi nei rapporti tra Europa, Russia, Stati Uniti e di uno sfaldamento trasversale di quel paese, ' in cui stanno pericolosamente riemergendo forze dichiaratamente antisemite, ultranazionalise e xenofobe come Svoboda. La crisi recessiva in Italia e in Europa Ancora una volta, per il nostro Paese, i dati ISTAT sono disastrosi e il quadro, già tremendo, tende a peggiorare. L'Italia torna in recessione.Si acuisce il problema della disoccupazione, cresce la precarietà, soprattutto aumenta la povertà. Manca una adeguata politoca economica in grado di affrontare l'emergenza e la disoccupazione che, qualcuno nel governo, vorrebbe affrontare abolendo l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. La sensazione che si avverte è quella di una generale rassegnazione al peggio, di una abitudine alla disuguaglianza sociale,alla mancanza di equità, alla negazione di tutti i princìpi enunciati dalla Costituzione. Fra mille problemi, quelli delle riforme Costituzionali sembrano, a tanti, ben poca cosa, di cui è giusto che si occupi chi ha il dovere di farlo. Ma non si comprende che proprio questo è il guaio, perché i cittadini non possono consentire di essere privati di una parte della propria sovranità e permettere radicali cambiamenti della Costituzione che, secondo il pensiero dominante dovrebbe essere adeguata alle necessità del mercato e della competitività. Siamo un Paese anomalo, dove il Presidente di un Partito, Silvio Berlusconi, condannato con sentenza definitiva, decaduto da Senatore, agisce tranquillamente sullo scenario politico, sottoscrive patti ed è ancora una volta determinante nell'approvazione in Senato, l'8 agosto 2014, delle modifiche Costituzionali. La condanna definitiva che in qualsiasi Paese europeo avrebbe significato il suo allontanamento dalla scena politica, viene quasi considerata secondaria, adducendo la motivazione che, comunque, Berlusconi rappresenta una grossa fetta dell'elettorato. La drammatica crisi recessiva si intreccia con una delicatissima crisi istituzionale, con la messa in discussione dei principi della legalità repubblicana, con la caduta senza precedenti dell’etica pubblica. La politica come servizio al bene comune La conseguenza inevitabile della deriva etica è costituita da una perdita di fiducia forse irreversibile da parte dei cittadini nei confronti delle istituzioni e della politica. La questione morale fa tutt'uno con una concezione distorta della politica, intesa come strumento al servizio di interessi personali. Occorrono radicali cambiamenti di prassi, di costume, di modo di essere dei singoli, ma soprattutto occorre un forte sussulto delle coscienze, una vera e propria rivolta morale, alla quale ci chiamano i Combattenti per la Libertà. I partigiani, gli oppositori politici, i lavoratori, i militari italiani deportati nei lager nazisti, lottarono per liberare l'Italia dal nazifascismo in modo disinteressato, senza nulla chiedere in cambio e posero a fondamento della loro azione la questione della rigenerazione e della rinascita etica della società. Nostro compito è di raccogliere quella preziosa eredità, rilanciando nella realtà in cui viviamo la cultura della legalità, il richiamo alla Costituzione repubblicana, alla politica intesa come servizio alla collettività, per tentare di contrastare il preoccuante fenomeno dell'astensionismo in occasione delle tornate elettorali, che può rappresentare un pericolo per la tenuta delle stesse istituzioni democratiche nate dalla Resistenza. La battaglia contro i rigurgiti neofascisti Ricordare per noi è un dovere, soprattutto in questi tempi, in cui la tentazione di cancellare la memoria è ricorrente, spesso mascherata dalla strumentale necessità di una pacificazione universale mediante l’azzeramento del passato, il suo stravolgimento e la sua cancellazione, comprese le iniquità e le infamie del fascismo e della Repubblica di Salò, la cui storia e i cui simboli vengono ripresi e rivalutati da rinascenti movimenti neofascisti e neonazisti. Manifestiamo la nostra più viva indignazione per la comparsa a Roma, Sabato 9 agosto 2014, di manifesti antisemiti riportanti un elenco di 50 negozianti ebrei da boicottare. E' questo un ulteriore preoccupante e ignobile segnale del riemergere di movimenti che si pongono in aperto contrasto con i principi sanciti dalla Costituzione repubblicana. Il ruolo delle istituzioni Certo, contro i movimenti neofascisti va sviluppata una ampia e intensa azione a livello culturale e storico per denunciare, a un'opinione pubblica troppo passiva e indifferente, il vero volto del fascismo, sconfitto militarmente il 25 apile 1945, ma non idealmente e culturalmente. Ma come si può pensare, d'altra parte, che in Italia ci sia una decisa azione contro le ideologie e i movimenti neonazisti e neofascisti se, nell'intervento di insediamento degli ultimi tre Presidenti del Consiglio, è mancato un cenno alla Resistenza e non è mai stata pronunciata la parola antifascismo per noi indissolubilmente legata al concetto di democrazia ? Dobbiamo utilizzare, per contrastare i fenomeni neofascisti tutti gli strumenti a nostra disposizione, come la pressione sulle istituzioni e sulle autorità competenti. A Milano abbiamo presentato il 30 maggio scorso una denuncia alla Procura della Repubblica per apologia di fascismo e istigazione a delinquere nei confronti degli organizzatori della manifestazione del 29 aprile 2014 che, strumentalizzando il ricordo della morte di Ramelli e Pedenovi, si trasforma, ogni anno in aperta apologia di fascismo. La nostra iniziativa, preceduta da un esposto al Questore e alla successiva diffida da parte delle autorità agli organizzatori della manifestazione, non è stata ininfluente. Il pubblico ministero del reparto antiterrorismo ha infatti chiesto il rinvio a giudizio di 16 appartenenti all'ultradestra per violazione della legge Scelba. E' questo un risultato significativo. Ma ciò non è ancora sufficiente.Occorre che le istituzioni cittadine prendano una posizione netta e decisa. Chiediamo al Sindaco di Milano una sua autorevole pubblica presa di posizione in cui si ribadisca che da oggi ad almeno tutta la durata del 70° anniversario della Liberazione, Milano, Città Medaglia d'Oro della Resistenza non venga invasa e oltraggiata da simboli e manifestazioni neonaziste e neofasciste che offendono la memoria dei Caduti per la Libertà. L'eredità della Resistenza Il momento è delicatissimo. C'è però un faro che deve illuminare il nostro cammino, costituito dalla preziosa eredità lasciataci dalla Resistenza. La Resistenza non fu solo quel grande moto unitario di partiti e di popolo, di uomini e di donne che lottarono per liberazione del nostro Paese dal nazifascismo. Fu anche anelito per la costruzione di un nuovo stato e di una nuova società. Fu aspirazione ad un mondo di pace finalmente risanato dalla piaga del nazionalismo esasperato, all'origine della Prima e della Seconda Guerra Mondiale. Dalla Resistenza discende oggi la scelta europeista, teorizzata da Altiero Spinelli nel Manifesto di Ventotene, di un’Europa politicamente e socialmente unita non in nome dell'austerità, ma che deve guardare ai bisogni e alle sofferenze della gente, stella polare dell'Italia repubblicana insieme alla Carta Costituzionale. Costituzione repubblicana: faro della democrazia E' oggi in corso una forte tendenza, in diversi Paesi, a restringere le libertà anziché a renderle effettive. In un momento critico della storia recente il cancelliere Willy Brandt così disse, il 28 ottobre 1969: “Quel che vogliamo è osare più democrazia” e promise metodi di governo “più aperti ai bisogni di critica e informazione” espressi dalla società, “più discussioni in Parlamento” e una permanente “concertazione con i gruppi rappresentativi del popolo, in modo che ogni cittadino abbia la possibilità di contribuire attivamente alla riforma dello Stato e della società”. Questo è il momento di rafforzare la democrazia non di indebolirla; questo è il momento di assicurare più partecipazione e più diritti ai cittadini, perché facciano sentire non solo la loro voce, ma la forte esigenza di rappresentanza e di sovranità. Nel nostro Paese il rischio è che possano saltare gli equilibri costituzionali e ridursi gli spazi di democrazia diretta, con un sistema fortemente maggioritario, con un ampio premio di maggioranza e un'elevata soglia di sbarramento, previsti dalla legge elettorale approvata alla Camera e con una sola Camera politica. La nostra Costituzione va oggi difesa e conservata nella sua impalcatura fondamentale rappresentata dall'equilibrio dei tre poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) che sono alla base della democrazia repubblicana, senza nessun sbilanciamento a favore dell'esecutivo. Nel disegno di legge costituzionale approvato in prima lettura dal Senato, si prevede che “il governo può chiedere alla Camera dei Deputati che un disegno di legge sia iscritto con priorità all'ordine del giorno e sottoposto alla votazione finale entro 60 giorni”. Tutto ciò, se realizzato, rappresenterebbe un primo passo avanti nella direzione del rafforzamento del potere esecutivo e della riduzione al minimo del legislativo. No al Presidenzialismo La nostra Repubblica è stata concepita come parlamentare dall'Assemblea Costituente e non deve essere trasformata in repubblica presidenziale.Siamo fermamente contrari ad ogni ipotesi di repubblica presidenziale o semipresidenziale che, secondo autorevoli esponenti del governo, potrebbe essere messa all'ordine del giorno, dopo le modfiche costituzionali di ben 40 articoli della nostra Carta, approvati dal Senato nella seduta dell'8 agosto. Abbiamo anche manifestato la nostra contrarietà ad una troppo rapida e non meditata modifica di parti fondamentali della Costituzione, come la riforma del Senato, che, a nostro parere, dovrebbe essere eletto direttamente dai cittadini e trasformato in una vera Camera Alta. Rimane poi il problema di fondo rappresentato dalla burocrazia ministeriale.Il Parlamento ha approvato 750 leggi durante i Governi Monti, Letta e Renzi che però non sono entrate in vigore perchè mancano i regolamenti attuativi che dovrebbero essere studiati dalla burocrazia ministeriale. Si vuole riformare il Senato per snellire il potere legislativo, si parla di balletti fra le due Camere ma il monocameralismo non farà diminuire i tempi nemmeno di un giorno se la burocrazia ministeriale, in gran parte in mano al Consiglio di Stato, resta quella che è. Il Paese va cambiato, l'economia deve ripartire, magari tagliando spese inutili come quelle per gli F35, e affrontare soprattutto il drammatico problema della disoccupazione non solo giovanile. Per far questo non occorre modernizzare la Costituzione. Il Paese lo si può cambiare attuando pienamente la Costituzione nei suoi principi e valori fondamentali. Il monito dei Quindici I Quindici Martiri di piazzale Loreto sono stati l’anima di una Milano che opponendosi al fascismo lottava per la libertà, la democrazia e un mondo migliore. Antonio Greppi concludeva il suo discorso del 10 agosto 1951 con queste parole: “Vorrei che il 10 agosto segnasse la data della definitiva rivincita dei valori ai quali i nostri migliori fratelli si sono immolati. E' necessario in una parola che l'Italia e Milano siano restituite alle forze del 25 aprile.” A Milano i simboli visibili che ricordano le battaglie dei milanesi durante la Resistenza sono rappresentati dalle oltre 500 lapidi dedicate ai combattenti per la Libertà, al monumento di piazzale Loreto che versa da tempo in condizioni critiche e per il quale chiediamo al Comune un urgente intervento di restauro per il 70° Anniversario della Liberazione. I nomi dei 15 Martiri sono anche scolpiti sotto la Loggia dei Mercanti, insieme a quelli dei partigiani, degli oppositori politici, degli ebrei, dei lavoratori milanesi deportati nei lager nazisti. Per la riqualificazione della Loggia tempo ci stiamo battendo, insieme all' ANED, alla FIAP, ai Partigiani Cristiani, ai Sindacati, alla Comunità ebraica milanese, al mondo dell'Associazionismo e non ci stancheremo mai di incalzare l'Amministrazione Comunale di Milano, perchè questo simbolo della Resistenza sia definitivamente sottratto al degrado e diventi il luogo della memoria e della storia della nostra città. La memoria della Resistenza passa attraverso questi simboli visibili, ma soprattutto attraverso inziative che sappiano richiamare i valori della Resistenza. Non possiamo limitarci a ricordare, come un fatto distaccato e lontano, l’inizio della lotta di liberazione poiché la nostra Repubblica è nata dalla Resistenza. Questo spirito è più che mai fondamentale per le impegnative battaglie e scadenze che ci attendono nei prossimi mesi. La Resistenza - come disse Aldo Aniasi in occasione del trentesimo anniversario della Liberazione - non è un pezzo da museo, non deve essere mummificata, appartiene alla nostra vita, deve essere un elemento dell'impegno civile di ogni giorno”. |