Trieste / Trst, 16 novembre 2002,
Convegno:
"...PASSANDO SEMPRE PER LA JUGOSLAVIA..."
INTERVENTO DI VLADIMIR KAPURALIN
(Partito Socialista Operaio - SRP -, Pola)
La situazione socio-economica nella ex-Jugoslavia:
il caso della Croazia
La Jugoslavia, formatasi durante la lotta contro il nazismo negli
anni
successivi
alla fine della II Guerra Mondiale, ha saputo ricostruire l'intero
Paese e la sua
economia, distrutta in guerra, grazie all'applicazione dell'intera
popolazione.
Secondo le analisi degli esperti stranieri, per un lungo periodo essa
era in testa ai
paesi con il piu' alto tasso di sviluppo.
I cantieri navali erano al terzo posto nella classifica mondiale e
le imprese edili e
di ingegneria ottenevano appalti in tutto il mondo.
Il Paese prosperava anche nella scienza e nella cultura, e
l'autogestione,
accompagnata dalla quasi assenza di disoccupazione, con allo stesso
tempo una
grande sicurezza sul piano sociale, permetteva un'esistenza dignitosa
alla
popolazione.
A tutto questo contribuiva la politica del non-allineamento e della
sovranità ed
indipendenza, anche grazie ad un esercito forte e ben equipaggiato
che garantiva
ai cittadini sicurezza, libertà ed indipendenza dai fattori
esterni.
Tutto questo con un debito estero di 18 miliardi di dollari, ovvero
poco più di
800 dollari pro-capite.
Anche se non esisteva il sistema pluripartitico, e solo il 10% della
popolazione
faceva parte del partito al potere, la maggior parte della popolazione
era leale al
paese. La parte dei cittadini che voleva ottenere di piu' era emigrata
per ragioni
economiche, senza rompere i legami con la patria. C'e' da dire che
era emigrata
anche quella parte di popolazione che faceva parte dei perdenti della
seconda
Guerra Mondiale.
A loro si sono affiancati all'estero anche quelli che si consideravano
nemici
del socialismo autogestito, e insieme avevano pianificato e svolto
azioni
terroristiche contro la Jugoslavia, spesso ricevendo un aiuto logistico
dai
Paesi che li ospitavano.
Alla fine degli anni 80 e 90 iniziano i processi che cambiano
radicalmente
la
situazione politica. Dopo il crollo del muro di Berlino, i centri del
potere
capitalista rappresentati dalla Banca Mondiale, dal Fondo Monetario
Internazionale e dall'Organizzazione Mondiale per il Commercio, guidati
dai
sette Paesi piu' sviluppati del mondo, con l'aiuto logistico degli
USA e della
NATO iniziano a realizzare il progetto lungamente preparato:
la distruzione
dei regimi socialisti dell'Europa Orientale.
Su questa loro strada si e' trovata anche la Jugoslavia.
Nel processo - diretto dall'estero ed effettuato dalle forze interne
- si arriva alla
secessione della Slovenia e della Croazia, seguite per effetto domino
dalla Bosnia
e dalla Macedonia. Bisogna sottolineare pero' che i centri di potere
non avevano
come scopo principale la distruzione della Jugoslavia, bensi' quella
del suo
regime socialista e autogestito - cosa che era impossibile realizzare
senza
distruggere il Paese.
Questa battaglia era facilitata dal fatto che le destre nazionaliste
riuscirono a
convincere la popolazione del fatto che con il capitalismo non
avrebbero
perso
nessuno dei diritti acquisiti, bensi' ne avrebbero guadagnati di nuovi.
In senso economico, la distruzione della Jugoslavia significava la
fine
dell'esistenza del mercato comune che per decenni aveva stabilito e
regolato
i percorsi delle merci, accompagnato dalla libera circolazione degli
uomini e
delle idee.
Per la Croazia questo ha significato la perdita improvvisa di oltre
il 50% dei
suoi beni, che prima della secessione venivano scambiati sul mercato
ex-jugoslavo, il quale non e' stato sostituito da alcun altro mercato.
Il conflitto armato, in seguito alla secessione, ha avuto come
conseguenza
la distruzione materiale delle infrastrutture dell'economia e
l'interruzione
del
flusso turistico dall'interno e dall'estero, il che ha portato alla
sparizione di
questo ramo vitale dell'economia.
Cosi' si e' creata la prima ondata di disoccupazione e l'abbassamento
dello
standard di vita. La seguente ondata e' consistita nell'interruzione
dell'economia socialista e nell'introduzione del capitalismo nella
sua forma
peggiore: l'accumulazione primordiale del capitale.
Le imprese esangui non potevano competere di pari passo con i soggetti
capitalistici nella corsa al mercato. I neo-proprietari, diventati
tali per "meriti"
politici, non avevano ne' interesse ne' volonta' e nemmeno conoscenze
per sviluppare la produzione; si limitavano a sfruttare la materia
prima.
Il passo successivo consisteva nella svendita anarchica, agli
stranieri,
di
tutto quanto aveva un valore, e questo come conseguenza ha avuto nuove
perdite di posti di lavoro e abbassamento dello standard medio; anche
perche'
agli investitori stranieri interessava solamente il mercato ed i beni,
non lo sviluppo.
Cosi' [in Croazia] il 94% del potenziale finanziario e' diventato
proprieta'
delle
banche estere. E' rimasta soltanto la Banca Nazionale che e' un
istituto
di
emissione monetaria. Sono state vendute le telecomunicazioni,
gran parte
delle case giornalistiche, gli hotels e gli impianti turistici,
molte fabbriche.
Da vendere ci sono rimaste ancora l'industria farmaceutica, quella
energetica,
gli istitutti di assicurazione ed il latifondo agricolo.
Svendendo ogni giorno ogni potenziale di valore - i cosiddetti
"gioielli
di
famiglia" - lo Stato troppo costoso e spendaccione cerca di ottenere
i
finanziamenti per mantenersi: pero' questo si e' mostrato
insufficiente.
Parallelamente e' cresciuto anche il debito estero, che e' arrivato
alla cifra
di 14 miliardi di dollari, vale a dire 3.000 dollari pro-capite, ossia
il 60% del
PIL - e per pagare gli interessi serve un miliardo di dollari l'anno.
Vulnerabile com'e', la Croazia e' diventata la destinazione prediletta
per
disfarsi degli equipaggiamenti industriali e bellici obsoleti e nocivi,
e poi
anche il poligono per l'addestramento gratuito degli eserciti.
Negli ultimi 12 anni la Croazia e' retrocessa in tutti i campi; si
stima che
abbia perduto 700.000 posti di lavoro; la disoccupazione e' di 400.000
unita'
(la piu' grande in Europa) [in effetti essa e' oggi superata
perlomeno
dalla
Serbia di Djindjic, che sfiora un milione di disoccupati; ndCRJ]
ovvero
il 20% della popolazione attiva.
A titolo comparativo, la Germania un anno prima dell'ascesa di Hitler
al
potere aveva il 20% di disoccupati. E' caratteristico per il paese
che una
parte degli operai non viene pagata per mesi o addirittura per
un anno
intero. Questa categoria in un certo momento era arrivata alla cifra
di
150.000 persone.
Si stima che durante il conflitto e dopo di quello sono state
distrutte
o
incendiate 50.000 case. Interi paesi sono scomparsi dalla faccia della
terra. Sono stati cacciati via 250.000 serbi. Intere province sono
rimaste
deserte.
Si stima che circa 100.000 giovani altamente scolarizzati siano
emigrati,
soprattutto per sfuggire a una guerra che non volevano e all'assenza
di
una prospettiva di vita. E' irreale aspettarsi che questi giovani
all'apice
della forza produttiva ritornino.
Secondo i dati del 1998, ogni cittadino croato disponeva di 25 kune
al
giorno da usare per i consumi, il che corrispondeva a meno di 4
dollari.
E' cosa nota che si considera al di sotto della soglia di poverta'
chi
disponga di meno di 5 dollari al giorno.
Le condizioni di vita in Istria e sul Litorale, dunque in regioni
relativamente vicine all'Italia, hanno determinato la nascita di una
specifica categoria sociale: le donne, di varia eta', di diverse
professioni,
spesso anche molto istruite, molte con una salute precaria, che hanno
adottato una soluzione sui generis per la sopravvivenza propria e della
propria famiglia, ossia il cercare lavoro oltre frontiera [in Italia],
assistendo
gente anziana e/o facendo i lavori piu' umili. Si ritiene che siano
circa
10.000 le donne di tale categoria. Vogliamo ricordare il fatto che
anche
le nostre madri si guadagnavano da vivere in questo modo tra le due
guerre mondiali, nelle regioni occupate dagli italiani; la differenza
e'
che perlomeno rimanevano a lavorare a casa, mentre quelle odierne
devono separarsi dalle loro famiglie. Cio' ha lasciato segni
inequivocabili
nella sfera emotiva e vitale di ogni individuo. In queste persone si
alternano sentimenti di delusione, apatia, rabbia, impotenza,
riluttanza,
rassegnazione. Sono ovvie le conseguenze sullo stato di salute di
queste
persone. Non ultima l'abbreviarsi della longevita' dei cittadini croati
negli
ultimi dodici anni.
La Croazia e' oggi deindustrializzata. Mancano gli investimenti,
eccetto
quelli per la ricostruzione delle strade e delle chiese.
La sanita' e' ridotta ai minimi termini ed e' accessibile solo a chi
puo'
permettersela pagando. Anche l'istruzione e' scesa di livello. Uno
dei
problemi principali consiste nel revisionismo storico: la storia viene
adattata alle esigenze nazionaliste, il che avra' conseguenze a lungo
termine nella formazione delle nuove generazioni. Un esempio e' dato
dall'accettazione di una netta iconografia ustascia. Quello che ci
deve
preoccupare particolarmente e' l'aumentato uso di stupefacenti tra
i
giovani in risposta alla mancanza di prospettive per il futuro. Ne
consegue
anche una corruzione dilagante tra le istituzioni in vario modo
coinvolte
nello spaccio di narcotici.
La Chiesa e' aggressivamente presente in ogni ambito della societa',
a
cominciare dagli asili nido.
Il sistema giuridico e' paralizzato dall'onnipresenza di persone
corrotte
e dai bisogni del nazionalismo imperante. In particolar modo cio' e'
evidente nel modo in cui vengono trattati i crimini compiuti dalla
parte
croata durante e dopo gli scontri bellici.
Per la Croazia e' rischioso il gioco attuato dal suo governo nei
confronti
della comunita' internazionale, in particolare con il Tribunale
dell'Aia.
La Croazia cerca di sottrarsi arrogantemente alla collaborazione con
la
Comunita' Internazionale, ai tentativi di questa di processare i
crimini
commessi. In questo modo essa si accosta alla destra piu'
retrograda,
nazionalista, portando il Paese al limite delle sanzioni e
dell'isolamento
internazionale.
La domanda che ci si pone e': quali sono le possibili soluzioni di
questa
situazione quasi irrisolvibile?
Se partiamo da una constatazione reale, e cioe' dal fatto che
l'economia
croata non dispone in questo momento di prodotti che possano competere
sul sofisticato mercato occidentale, mentre potrebbe offrirne a quello
dell'Est, se ne ricava che essa dovrebbe, senza sentirsene frustrata,
accettare questa possibilita'. Questo significa che dovrebbe stabilire
relazioni diverse d'integrazione, s'intende con le ex-repubbliche
jugoslave
,
nonche' relazioni piu' ampie con quei paesi dove essa era un tempo
presente, il che, secondo le valutazione del dott. Branko Horvat,
comprenderebbe un territorio di 150 milioni di consumatori. In ambito
economico, tanto interno quanto esterno, questo territorio si denomina
"Balkanska unija" (Unione balcanica).
Per far cio' dobbiamo immediatamente fermare l'ulteriore svendita del
patrimonio nazionale che porta alla distruzione dell'economia del
Paese.
Laddove e' possibile bisogna restituire all'autogestione da parte degli
operai cio' che e' stato loro sottratto e creare le condizioni per
il
rinnovamento della proprieta' collettiva e dell'autogestione. Bisogna
lavorare sulla ricostruzione usando tutte le nostre risorse
intellettive
e
utilizzando appieno il potenziale umano di cui disponiamo.
Questo processo non e' facile ma ogni minuto perso lo rende solo piu'
difficile. In mancanza di capitali si potrebbe iniziare da un utilizzo
migliore
delle risorse agricole di cui gia' disponiamo. I risultati si
raccolgono
gia'
dopo un solo anno, e lo stesso vale per il turismo, naturalmente nel
limite
di quanto non e' stato ancora svenduto.
[fine]