Informazione
Secondo gli impegni assunti dal governo nel quadro dell’Alleanza, la spesa militare italiana dovrà essere portata a oltre 100 milioni di euro al giorno.
È un colossale esborso di denaro pubblico, sottratto alle spese sociali, che potrebbe essere fortemente ridotto se l’Italia uscisse dalla Nato.
L’Alleanza Atlantica persegue una strategia espansionistica e aggressiva.
Dopo la fine della guerra fredda, ha demolito con la guerra la Federazione Jugoslava; ha inglobato tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia, tre dell’ex Urss e due della ex Jugoslavia; ha occupato militarmente l’Afghanistan; ha demolito con la guerra la Libia e tentato di fare lo stesso con la Siria.
Ha addestrato forze neofasciste e neonaziste ucraine, organizzando il putsch di piazza Maidan che ha riportato l’Europa a una situazione analoga a quella della guerra fredda, provocando un nuovo pericoloso confronto con la Russia.
Ha iniziato a proiettare le sue forze militari nell’Oceano Indiano nel quadro di una strategia che mira alla regione Asia-Pacifico, provocando un confronto militare con la Cina.
In tale quadro, le forze armate italiane vengono proiettate in paesi esterni all’area dell’Alleanza, per missioni internazionali che, anche quando vengono definite di «peacekeeping», sono guerre finalizzate alla demolizione di interi Stati (come già avvenuto con la Federazione Jugoslava e la Libia).
Uscendo dalla Nato, l’Italia si sgancerebbe da questa strategia di guerra permanente, che viola la nostra Costituzione, in particolare l’Art. 11, e danneggia i nostri reali interessi nazionali.
L’appartenenza alla Nato priva la Repubblica italiana della capacità di effettuare scelte autonome di politica estera e militare, decise democraticamente dal Parlamento sulla base dei principi costituzionali.
La più alta carica militare della Nato, quella di Comandante supremo alleato in Europa, spetta sempre a un generale statunitense nominato dal presidente degli Stati uniti. E anche gli altri comandi chiave della Nato sono affidati ad alti ufficiali statunitensi. La Nato è perciò, di fatto, sotto il comando degli Stati uniti che la usano per i loro fini militari, politici ed economici.
L’appartenenza alla Nato rafforza quindi la sudditanza dell’Italia agli Stati uniti, esemplificata dalla rete di basi militari Usa/Nato sul nostro territorio che ha trasformato il nostro paese in una sorta di portaerei statunitense nel Mediterraneo.
Particolarmente grave è il fatto che, in alcune di queste basi, vi sono bombe nucleari statunitensi e che anche piloti italiani vengono addestrati al loro uso. L’Italia viola in tal modo il Trattato di non-proliferazione nucleare, che ha sottoscritto e ratificato.
L’Italia, uscendo dalla Nato, riacquisterebbe la piena sovranità: sarebbe così in grado di svolgere la funzione di ponte di pace sia verso Sud che verso Est.
Sostieni la campagna per l'uscita dell'Italia dalla NATO.
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(VERSIONE IN INGLESE)
Why we must get out of NATO
Italy, as part of NATO, must allocate an average of $65 million a day to military spending, according to official NATO data, although the number according to SIPRI is $90 million per day. According to the commitments made by the government in the framework of the Alliance, Italian military spending will increase to over $120 million per day (100 million euro). This is a huge outlay of public funds that decreases funds available for social services. This loss could be greatly reduced if Italy were to get out of NATO.
The Atlantic Alliance pursues an expansionist and aggressive strategy. After the end of the Cold War, NATO led a war that demolished the Yugoslav Federation; it has incorporated all the countries of the former Warsaw Pact, three from the former Soviet Union and two from the former Yugoslavia; it has militarily occupied Afghanistan; and NATO has waged a war that demolished Libya and tried to do the same with Syria.
NATO has trained Ukrainian neo-fascist and neo-Nazi forces, while organizing the Maidan Square putsch that brought Europe to a situation similar to that of the Cold War, causing a new dangerous confrontation with Russia. NATO started to project its military forces in the Indian Ocean as part of a strategy aimed at the Asia-Pacific, provoking a military confrontation with China.
In this framework, the Italian armed forces are deployed to countries outside the Alliance for international missions. Even when these are defined as “peacekeeping,” they are wars aimed at the demolition of entire states (as was the case with the Yugoslav Federation and Libya).
If Italy gets out of NATO, it would extract itself from this strategy of permanent war, which violates our Constitution — in particular Art. 11 — and damages our real national interests.
NATO membership deprives the Italian Republic of its ability to make autonomous choices for foreign and military policy, democratically adopted by Parliament on the basis of Constitutional principles. The highest military post of NATO, that of Supreme Allied Commander in Europe, is always filled by a U.S. general appointed by the president of the United States. And the other key NATO commands are entrusted to senior U.S. officials. Thus NATO is under the command of the United States, which uses it for its own military, political and economic ends.
NATO membership reinforces Italy’s subjection to the United States, exemplified by the network of U.S./NATO military bases in our country that has turned our country into a U.S. aircraft carrier in the Mediterranean. Particularly serious is the fact that, on some of these bases there are U.S. nuclear bombs and that Italian pilots are also trained how to use them. Italy thus violates the Non-Proliferation Treaty, which it has signed and ratified.
By getting out of NATO, Italy would regain its full sovereignty: it would then be able to act as a bridge of peace both to the South and toward the East.
Support the campaign to get Italy out of NATO.
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(Translation: John Catalinotto)
PASSATO, presente e futuro del movimento CONTRO LA GUERRA
EDT | solidarite-internationale-pcf.fr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
02/12/2014
Il 2 dicembre 1914, Karl Liebknecht, deputato socialdemocratico (SPD), è l'unico a votare contro i crediti di guerra al Reichstag, il Parlamento tedesco.
Il 4 agosto precedente, si era levato per la prima volta contro questi prestiti denunciando il carattere imperialista della guerra iniziata. Ma, conformandosi alla disciplina del gruppo socialdemocratico, non aveva votato contro.
Dopo 4 mesi di macelleria, Liebknecht supera l'ostacolo ed esprime il suo voto contrario, con un atto di grande coraggio che diventa storico. Egli rompe con la Sacra Unione tedesca e smentisce la SPD, unendosi al Partito socialdemocratico russo, guidato da Lenin, e ad alcuni dirigenti di partiti socialisti europei nel rifiuto e nella denuncia della guerra imperialista, conformandosi alle risoluzioni, calpestate dagli apparati riformisti dell'Internazionale socialista, tra cui quelle del Congresso straordinario di Basilea del novembre 1912 in cui si legge:
"Se viene minacciata una guerra, è un dovere della classe operaia dei paesi coinvolti, è un dovere dei loro rappresentanti in Parlamento, con l'assistenza dell'Ufficio internazionale, di compiere ogni sforzo per impedire la guerra con tutti i mezzi che si ritengono più opportuni e che variano naturalmente dall'acutezza della lotta di classe e dalla situazione politica generale. Qualora la guerra scoppiasse comunque, essi hanno il dovere di interferire per farla cessare rapidamente e usare con tutta la loro forza la crisi politica ed economica creata dalla guerra, per mobilitare gli strati popolari più profondi e affrettare la caduta del dominazione capitalista".
Riportiamo nel seguito la traduzione dell'intervento Karl Liebknecht nel Reichstag il 2 dicembre 1914. Nel 1916 fu imprigionato. Con Rosa Luxemburg e altri, il 1° gennaio 1919 Liebknecht stava per fondare, e diventare dirigente, del Partito comunista tedesco (KPD). Il 15 gennaio 1919, saranno entrambi vilmente e brutalmente assassinati durante la rivolta Spartachista dalle forze di repressione guidate dal socialdemocratico Noske.
Dichiarazione di Karl Liebknecht al Reichstag il 2 dicembre 1914
"Motivo il mio voto al progetto che ci è oggi sottoposto nel modo seguente.
"Questa guerra, che nessuna delle popolazioni coinvolte ha voluto, non è scoppiata per il bene del popolo tedesco o di altri popoli. Questa è una guerra imperialista, una guerra per la dominazione capitalista del mercato mondiale e per il dominio politico dei paesi importanti per portarvi il capitale industriale e bancario. Dal punto di vista del rilancio degli armamenti, è una guerra preventiva causata congiuntamente dai partiti della guerra tedeschi e austriaci nella oscurità del semi-assolutismo e della diplomazia segreta.
"E' anche un'impresa di carattere bonapartista tendente a demoralizzare, a distruggere il movimento operaio in crescita. E' quello che hanno dimostrato, con chiarezza sempre maggiore e, nonostante una cinica messa in scena destinata ad indurre in errore le coscienze, gli eventi degli ultimi mesi.
"La parola d'ordine tedesca: 'contro lo zarismo', proprio come la parola d'ordine inglese e francese: 'contro il militarismo', è servita come mezzo per attivare gli istinti più nobili, le tradizioni e le speranze rivoluzionarie del popolo a vantaggio dell'odio contro i popoli. Complice dello zarismo, la Germania, fino a ora modello della reazione politica, non ha nessuna qualità per svolgere il ruolo di liberatrice dei popoli.
"La liberazione del popolo russo, come del popolo tedesco deve essere l'opera di questi popoli stessi.
"Questa guerra non è una guerra difensiva per la Germania. Il suo carattere storico e la sequenza degli avvenimenti ci vietano di fidarci di un governo capitalista, quando dichiara di chiedere i crediti per la difesa della patria.
"Una pace rapida e che non umili nessuno, una pace senza conquiste, questo è quello che bisogna esigere. Ogni sforzo diretto in questo senso deve essere ben accolto. Solo l'affermazione continua e simultanea di questa volontà in tutti i paesi belligeranti potrà fermare il sanguinoso massacro prima del completo esaurimento di tutte le popolazioni interessate.
"Solo la pace basata sulla solidarietà internazionale della classe operaia e sulla libertà di tutti i popoli può essere una pace duratura. E' in questo senso che il proletariato di tutti i paesi deve compiere, anche durante la guerra, uno sforzo socialista per la pace.
"Acconsento ai crediti fin tanto che siano richiesti per opere capaci di superare la miseria esistente, anche se li trovo del tutto inadeguati.
"Sono anche d'accordo con tutto ciò che è fatto in favore della sorte dei nostri fratelli sui campi di battaglia, in favore dei feriti e dei malati per i quali io sento la più ardente compassione. Anche in questo caso, niente che venga chiesto sarà troppo ai miei occhi.
"Ma la mia protesta va contro la guerra, contro quelli che ne sono responsabili, quelli che la dirigono; va alla politica capitalistica che l'ha generata; la mia protesta è diretta contro i fini capitalisti che la guerra persegue, contro i piani di annessione, contro la violazione della neutralità del Belgio e del Lussemburgo, contro la dittatura militare, contro l'oblio completo dei doveri sociali e politici di cui si rendono colpevoli, anche oggi, il governo e le classi dominanti.
"Ed è per questo che respingo la richiesta dei crediti militari."
Karl Liebknecht
Berlino, 2 dicembre 1914
La quantità di appelli e documenti che si stanno moltiplicando sin dalle prime settimane di settembre, appena alla ripresa dell'ordinaria attività politica, sulle questioni della guerra e della pace, colpisce per molti motivi. Innanzitutto, la reciproca auto-referenzialità: una tale quantità di prese di posizione corrisponde ad una analoga mole di sigle, reti e tavoli, che lasciano l'impressione di una fatica ad incontrarsi davvero, sul terreno dell'analisi e della sintesi e di conseguenza a confrontare le reciproche differenze, di orientamenti e proposte, e tentare una efficace convergenza. Poi, non secondaria per importanza, la ricerca della via breve: il tentativo cioè di scavalcare le differenze mantenendo sul generico le prese di posizione e di giudizio, con l'obiettivo di offrire un ambiente accogliente per il numero più ampio di soggetti, evitando però, al tempo stesso, la fatica di confrontarsi nel merito e la chiarezza delle posizioni da assumere e da proporre pubblicamente.
Queste contraddizioni possono certo essere il prodotto dell'ambizione di conciliare le differenze e di costruire reti inclusive, con l'obiettivo di ricomporre ad unità, quanto più larga e rappresentativa possibile, le forze, ampiamente divise e frammentate, di quello che una volta chiamavamo “movimento per la pace e contro la guerra” o, più chiaramente, “contro la guerra senza se e senza ma”. Obiettivo giusto e necessario, per una ricomposizione strategica ed inderogabile. L'interrogativo che nasce è piuttosto se questa strada, oltreché percorribile, sia anche efficace: se serva cioè evitare il confronto nel merito, la fatica dell'approfondire e dell'argomentare, e mettere tra parentesi differenze talvolta sostanziali, per conseguire lo scopo del “tutti in piazza, tutti insieme”. Gli esempi, d'altro canto, non mancano. Ha sollevato molta discussione, all'interno del movimento per la pace, l'appello che promuove la prossima “Marcia della Pace” Perugia-Assisi (19 ottobre) che, pur ponendo alcuni obiettivi chiari (il riconoscimento del diritto umano alla pace, la risoluzione pacifica dei conflitti, il rafforzamento democratico delle istituzioni internazionali), non menziona nessuno degli scenari di guerra in corso e non esprime nessuna valutazione sul ruolo delle potenze occidentali, non ultima l'Italia, nei fronti di guerra aperti.
La manifestazione di Firenze “Un Passo di Pace” (21 settembre), nel suo appello, ha il merito di segnalare il no alla guerra e la difesa delle vittime come prioritari, insieme con gli obiettivi storici delle campagne nonviolente (soluzione politica dei conflitti, disarmo e difesa civile non armata e nonviolenta), ma basta scorrere l'elenco dei soggetti animatori per intravedere differenze non da poco sulla valutazione della situazione nei diversi fronti della nuova guerra mondiale, dalla Siria all'Ucraina.
A sinistra, sul versante politico, si riflettono tutte queste incertezze e contraddizioni. Il documento del gruppo di lavoro «Mediterraneo, Pace, Migranti, Relazioni Europee» de “L'Altra Europa” verso la manifestazione del 21 settembre, da una parte riconosce il ruolo nefasto delle potenze imperialiste e delle petro-monarchie del Golfo nell'addestrare e finanziare, in Siria e in ogni dove, ogni sorta di banda, dall'altra, si attarda nel rammarico per il «mancato appoggio ai democratici in Siria», senza specificare in cosa sarebbe dovuto consistere questo appoggio e quali forze democratiche si sarebbe dovuto appoggiare. Non di rado, anche le forze reputate “moderate” nell'opposizione al governo siriano hanno invocato l'intervento armato per scalzare l'odiato Assad, mentre oggi sembrano del tutto ai margini, specie all'indomani della saldatura tra diversi fronti jihadisti e dello sfaldamento della Coalizione Nazionale Siriana, eterogenea galassia, ben poco non-violenta, finanziata dagli Stati Uniti e dagli “Amici della Siria”, che come afferma, addirittura, “Repubblica” «si è rivelata incapace di rappresentare un'alternativa al governo di Damasco, anche soltanto dall’esilio».
Il doppio standard della politica euro-atlantica impedisce, purtroppo, di riconoscere che, in Siria, alle ultime elezioni parlamentari (maggio 2012) ha votato il 51% degli aventi diritto, mentre alle ultime elezioni presidenziali (giugno 2014) ha votato il 73%, di cui l'89% per il presidente uscente. Tutti “al soldo del regime”?
Occorrerebbe forse un minimo di attenzione e un minimo di coraggio in più, nell'approfondire le questioni collegandosi ai popoli che resistono all'aggressione dell'imperialismo, e nel sottrarsi ad un giudizio mainstreaming che, seppure comodo e confortante, quasi mai centra il punto e riesce a cogliere nel segno.
Gianmarco Pisa
Si fanno poi solo delle chiacchiere banali sul controllo del commercio degli armamenti. L'unico punto di una certa rilevanza all'interno di un documento – ripetiamo: sciatto e generico – è una presa di posizione contro il MUOS.
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Entro pochi giorni la decisione sul trasferimento in Italia del Memoriale di Auschwitz
Pubblichiamo integralmente il testo di un comunicato diffuso nella tarda mattinata del 21 ottobre 2014 dall'ANED.
La direzione del Museo statale del Lager di Auschwitz ha disposto dal luglio 2012 la chiusura del Blocco 21 del Lager che ospita il Memoriale ai deportati italiani realizzato per conto dell’Associazione degli ex deportati nel 1979 rendendolo inaccessibile al pubblico, e oggi ne ha ordinato lo smantellamento. Si tratta di un’eccezionale e innovativa opera d’arte, forse la prima multimediale contemporanea, frutto dell’ingegno e della passione di uomini di indiscusso valore internazionale, come Primo Levi, Lodovico Belgiojoso, Luigi Nono, Nelo Risi, Pupino Samonà e altri.
L’Associazione che riunisce gli ex deportati, i familiari dei deportati uccisi e chi intende salvaguardare la memoria della deportazione denuncia che nessuno dei governi che si sono succeduti dal 2008 a oggi ha ottemperato all’elementare dovere di difendere quell’opera d’arte, rilevante bene culturale che ha onorato l’Italia nel mondo, dal tentativo di una prevaricazione politica su un’opera di cultura. Una prevaricazione tanto più grave, in quanto attuata da un paese nostro partner nell'Unione Europea.
La libertà di pensiero e di espressione di cui godiamo nel nostro paese e in Europa discendono anche dal sacrificio e dal martirio degli 8000 ebrei e dei 32000 uomini e donne italiani deportati perché oppositori del fascismo e del nazismo, ma l’Italia nulla ha fatto contro una violazione dell’espressione artistica e della verità storica proprio là dove tanti deportati hanno sofferto e sono stati uccisi.
L’ANED, proprietaria esclusiva del Memoriale, ha rigettato e rigetta con riprovazione ogni tentativo di riscrivere la storia e ogni ipotesi di censura dell’opera, che va salvaguardata nella sua integrità, nel rispetto del progetto originario.
Preso atto con indignazione ed enorme rammarico dell’impossibilità indisponibilità della Direzione del Museo di Auschwitz di continuare a accogliere il Memoriale italiano proprio mentre si preparano le celebrazioni del 70° della liberazione, l’ANED ha in corso avanzati negoziati con la Presidenza del Consiglio, con la Regione Toscana e con alcuni Comuni per salvare il Memoriale trovandogli una nuova dignitosa collocazione in Italia, dove possa continuare a testimoniare la Memoria della Deportazione ed essere meta di pellegrinaggi, soprattutto da parte di scuole di ogni ordine e grado.
Rispettando i tempi imposti dalla direzione del Museo, che ha disposto lo smantellamento dell’opera entro il prossimo mese di novembre, l’ANED conferma che entro fine ottobre deciderà tra le diverse opzioni, con l’obiettivo di riallestire ed esporre nuovamente al pubblico l’opera al più presto, e comunque entro il 2015.
L’Aned rivendica il diritto dell’Italia a mantenere anche in avvenire una propria installazione al Blocco 21 del campo di Auschwitz e conferma il proprio inalienabile diritto di concorrere alla progettazione e alla realizzazione del nuovo allestimento, nel ricordo di tutti i deportati italiani.
La Presidenza Nazionale dell’ANED
http://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2014/11/18/shoah-appello-dei-ricercator-salviamo-memoriale-italiano-auschwitz-foto_pQgervAmqE7YFDOvz0y96L.html?refresh_ce
No alla rimozione del memoriale italiano dal campo di sterminio di Auschwitz. A schierarsi senza mezzi termini per il mantenimento del Memoriale italiano nel Blocco 21 "elemento integrante dell'opera, che rischia di essere trasferito dalla sua sede naturale per volontà e decisione del Museo di Auschwitz, del governo Polacco e per il disinteresse del governo Italiano" l'Associazione Gherush92, Committee for Human Rights, organizzazione di ricercatori e professionisti che gode dello status di consulente speciale per il consiglio Economico e Sociale delle nazioni Unite e che svolge progetti di educazione allo sviluppo, diritti umani e risoluzione dei conflitti.
Secondo l'Associazione la rimozione del Memoriale "è un crimine contro l’umanità, una violazione del diritto internazionale e dei diritti umani". "Il Memoriale Italiano - spiega all'Adnkronos Valentina Sereni, presidente di Gehrush92 - è la più importante e rappresentativa opera d’arte italiana del Novecento, il cui valore è riconosciuto, fra gli altri, dall’Accademia di Brera. E’ realizzato contestualmente alla dichiarazione di Auschwitz sito Unesco 1979, ne fa parte integrante e, pertanto, è patrimonio mondiale dell’umanità".
"Non è un’istallazione museale temporanea - sottolinea - ma un’opera d’arte monumentale di importanza internazionale, plastica, pittorica, musicale, testuale ideata e realizzata da artisti di attestata esperienza e comprovata celebrità. Il suo contesto naturale, il Blocco 21 e il campo di Auschwitz, è parte dell’opera d’arte così come i testi, le pitture, la musica, l’architettura del monumento".
Il Memoriale in onore degli Italiani caduti nei campi di sterminio nazisti, voluto dall’Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti, è stato realizzato grazie alla collaborazione di alcuni importanti nomi della cultura italiana del Novecento. Il progetto architettonico è dello studio BBPR e inserisce nelBlocco 21 di Auschwitz I una lunga spirale all’interno della quale il visitatore cammina come in un tunnel. La spirale è rivestita all’interno con una tela composta da 23 strisce dipinte da Pupino Samonà seguendo la traccia di un testo scritto da Primo Levi. Dalla passerella lignea che conduce il visitatore nel tunnel sale la musica di Luigi Nono, Ricorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz. Nelo Risi contribuì alla realizzazione con la sua competenza di regista.
Secondo l'Associazione "l’idea stessa che il Museo di Auschwitz desideri rimuovere l’opera perché a suo avviso sarebbero oggi da privilegiare installazioni di natura descrittiva o pedagogica non dovrebbe entrare in conflitto con le installazioni del passato. Si rischia - avverte Sereni - di sconfinare in una deriva ideologica mai palesata a parole. Se la presenza della falce e martello nel Memoriale danno fastidio così come l’immagine di Antonio Gramsci lo si dicesse apertamente aprendo un dibattito sulla storia".
"Un dibattito - conclude Sereni - che potrebbe essere chiuso subito da due considerazioni che prescindono da qualsiasi valutazione sul socialismo reale: è innegabile che Auschwitz sia stato liberato dall’Armata Rossa e che Antonio Gramsci sia stato un perseguitato politico e uno dei principali intellettuali europei del ‘900".
La rimozione dell’opera d’arte dal suo naturale contesto, quindi, secondo l'Associazione, "equivale alla distruzione dell’opera stessa, creata per aggiungere ad un luogo della memoria l’ulteriore e dolorosa diretta testimonianza di artisti deportati nei campi di sterminio. Come si può ipotizzare di sfrattare le parole di Primo Levi da quel luogo? Come si può concepire che un capolavoro dell’arte contemporanea, il cui valore potrebbe essere paragonato alla Guernica di Picasso, possa essere estirpato dal solo e unico luogo in cui la sua efficacia artistica, storica, emotiva può essere esercitata?".
"Dal 2011 - ricorda la presidente di Gherush92 che nei giorni scorsi ha incontrato rappresentanti del governo polacco per bloccare la rimozione del Memoriale e ottenere la sua immediata riapertura al pubblico - è impedito l’accesso del pubblico all’opera. Tale inspiegabile censura - evidenzia Sereni - costituisce una forma di revisionismo storico di base politico-ideologica in un luogo dedicato alla memoria e il governo polacco dovrebbe tenere in considerazione che impedire l’accesso e la fruibilità dell’opera è una conclamata violazione dei Diritti Umani così come sanciti dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo".
Dicendosi "sconcertati dalla leggerezza con cui il governo Italiano sta gestendo la situazione" l'associazione chiede "che tutti i governi e le organizzazioni internazionali interessate si adoperino per l’immediata riapertura del Memoriale Italiano con la garanzia che l’installazione non sia rimossa ma al contrario sia considerata ciò che è: un’inestimabile opera della memoria patrimonio dell’umanità". Gherush92 si appella quindi al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, alla Corte Penale Internazionale, alla Corte Internazionale di Giustizia, all’Unesco, al Governo Polacco e al Governo Italiano affinché il Memoriale Italiano non venga rimosso dal Blocco 21 del Campo di Sterminio di Auschwitz
INVIA CON LA TUA FIRMA E I TUOI DATI ISTITUZIONALI IL SEGUENTE MESSAGGIO IN CHIARO (cioè come A), ai seguenti indirizzi: segrmin.gentiloni@...; centromessaggi@...; ambaroma@...
gherush92@... , Stefania.Quaglio@... , redazione.internet@... , erica.dadda@...
***
On.le Paolo Gentiloni
Ambasciatore della Repubblica di Polonia in Italia
ambaroma@...
Premesso che:
- il Memoriale Italiano di Auschwitz ricorda e celebra tutti gli italiani, donne e uomini ebrei, rom, omosessuali, dissidenti politici, deportati nei campi di concentramento nazisti, fra i quali gli stessi autori dell’opera d’arte;
- il Memoriale, e la sua collocazione nel Blocco 21, possiede un alto valore artistico, educativo e di testimonianza diretta;
- il Memoriale è stato ideato e realizzato contestualmente alla dichiarazione di Auschwitz sito UNESCO 1979, e, facendone parte integrante, va considerato patrimonio mondiale dell’umanità;
- strappare il Memoriale dal suo contesto naturale, il campo di sterminio di Auschwitz, per trasferirlo altrove coincide con la distruzione dell’opera e del suo significato;
- i motivi ideologici e politici, che hanno portato alla censura e alla chiusura del Memoriale e che spingono verso la sua rimozione, sono anacronistici ed inammissibili: con essi si cancellano dati e responsabilità storiche, incontrovertibili, dello sterminio e della liberazione, di cui il Memoriale stesso è un documento;
- ravvedo nella rimozione del Memoriale violazioni dei Diritti Umani, del Diritto Internazionale, del Diritto di Proprietà Intellettuale e della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo nonché una violazione della Convenzione Internazionale per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale dell’UNESCO e un crimine di distruzione di beni culturali ed artistici.
Chiedo che:
il Memoriale non venga rimosso dal Blocco 21 del Campo di Sterminio di Auschwitz, sua parte integrante, e che venga immediatamente riaperto al pubblico, restaurato e integrato con apparati didattici esplicativi e congrui.
VIDEO: http://www.youtube.com/watch?v=JPt7cpIwWkM
Sabato 22 novembre, in collaborazione con il Partito Comunista (PC) e l'Ambasciata della Repubblica Democratica Popolare di Corea, si è svolta a Roma una conferenza-seminario internazionale sul tema “RDPC, politica di pace e proposte”.
Oltre al PC italiano e ai rappresentanti dell'ambasciata della RDPC, all'incontro ha partecipato un imponente numero di rappresentanti di organizzazioni che coltivano l'amicizia tra i propri paesi di origine e la Corea; i rappresentanti del GAMADI (Gruppo Atei Materialisti Dialettici); e i rappresentanti dei partiti di sinistra europei.
La prima parte della conferenza è stata dedicata all'operato del dirigente nordcoreano Kim Jong Il, in occasione del terzo anniversario della sua scomparsa, che si compie il 17 dicembre. Gli interventi hanno voluto delineare la sua vita, le qualità di statista e la dedizione all'idea dello Juche.
La seconda parte è stata dedicata alla situazione attuale del paese, nel contesto delle costanti aggressive pressioni, minacce e provocazioni da parte degli USA. Nonostante le conseguenze derivanti da tale situazione, la RDPC è oggi un paese in intensa edificazione, che si è impossessato della tecnologia nucleare e che sviluppa un programma spaziale. Queste conquiste sono possibili grazie alla forte solidarietà e amore per l'indipendenza, formatisi attraverso lo Juche.
Un dettaglio interessante menzionato: il Partito Comunista Coreano è stato il primo a porre sulla propria bandiera, accanto alla falce e martello, una penna, simbolo di scienza e cultura.
Gli intervenuti sono stati unanimi nel riconoscere la RDPC come paese socialista con economia pianificata, adattata alle esigenze della popolazione e ideata con una regolamentazione legale in difesa della salute, dell'ambiente e dell'acqua.
Particolarmente interessante è stata la testimonianza dei molti presenti che hanno visitato il paese, anche più volte. Tutti hanno parlato della dinamica e ampiezza dell'edificazione notata. Hanno testimoniato dell'aumento di appartamenti, scuole, asili, stabili industriali, enti sanitari, e delle centinaia di edifici in costruzione, nel periodo trascorso tra due o più visite. Hanno evidenziato anche l'ampiezza dell'osservazione, consentita dal trasporto garantito in qualsiasi località abbiano voluto visitare, con scorta governativa, inclusa l'escursione dedicata al programma nucleare, privilegio garantito all'ingegnere nucleare Massimo Zucchetti, membro del Comitato Scienziate e Scienziati contro la guerra.
I presenti hanno attribuito questa dinamica di sviluppo a due parametri: l'idea dello Juche, che promuove l'autosufficienza con l'obiettivo di mantenere la vera indipendenza, senza però rifiutare la cooperazione e lo scambio di beni su un piano di parità; e lo stato dell'esercito. Oltre alla funzione primaria di difesa dei confini e sovranità del paese, l'esercito partecipa attivamente a tutti i progetti di edificazione.
Il messaggio fondamentale della conferenza si potrebbe riassumere con l'aver presentato in modo argomentato, in base alle proprie testimonianze oculari, un segmento della situazione nella RDPC che si differenzia radicalmente dallo stereotipo inoltrato dai media "mainstream" in mano ai centri finanziari del grande capitale.
Vladimir Kapuralin (presidente SRP – Partito Socialista dei Lavoratori, Croazia)
http://www.nkpj.org.rs/clanci-sr/tekst157.php
ДЕЛЕГАЦИЈА ИЗ ДНР КОРЕЈЕ У ПОСЕТИ НКПЈ
20. новембра 2014. делегација Демократске Народне Републике Кореје и Радничке партије Кореје боравила је у званичној посети Новој комунистичкој партији Југославије (НКПЈ).
Састанку у седишту НКПЈ присуствовали су са стране корејске делегације амасадор ДНР Кореје у Букурешту друг Ким Сон Гјонг и секретар амбасаде друг Ким Џон Селунд, док је са стране НКПЈ делегацију предводио Генерални секретар друг Батрић Мијовић уз Извршног секретар друга Александра Бањанца, члана Секретаријата НКПЈ Живомира Станковића и Првог секретара СКОЈ-а друга Александра Ђенића.
Састанак је представљао добру прилику да се стекне увид у различите видове империјалистичких махинација, лажи и интензивирања атака на ДНР Кореју, земљу која не пристаје да функционише по диктату империјалиста, у првом реду америчких империјалиста. Другови из амбасаде ДНР Кореје су пренели делегацији НКПЈ своја гледишта на те притиске које су довели у везу с актуелним дешавањима у свету, у Украјини, на Блиском Истоку, у Курдистану, Либији... Упркос тешким околностима ДНР Кореја остаје самоуверена у исправност свог пута и изградње социјализма, од чега не одустаје ни ново руководство предвођено Ким Џонг Уном. Руководство партије и државе је посвећено усавршењу и расту животног стандарда свог народа, посвећено је развоју економије и одрбрани земље, свесни да од њих данас не би остао ни камен на камену да нису изградили моћни одбрамбени систем и моћну армију.
У настојањима да се успешно одбрани од насртаја империјалиста који постоје од оснивања ове социјалистичке републике, ДНР Кореја велику захвалност дугује и својим искреним пријатељима у свету који је подржавају и солидаришу се с њом. На састанку је посебно истакнута улога НКПЈ у том погледу, као и генерално велика солидарност с народом Србије. Поновљено је да ДНР Кореја с гнушањем одбацује тзв. независност Косова, пројекат империјалиста за дестабилизацију и тлачење региона, наше државе и свих народа који живе на овом подручју.
Како је ово био уједно и опроштајни састанак с амбасадором Ким Сон Гјонгом који прелази на нове задатке, делегација НКПЈ му је пожелела нове бројне успехе у раду у циљу прогреса и солидарности народа који се боре против империјализма. Наставак успешне сарадње између наших партија ће се наставити посредством амбасаде ДНР Кореје која је, подсећамо, после пуча 2000. године измештена из Србије, и тренутно је амбасада у Букурешту надлежна и за територију Србије.
Секретаријат НКПЈ,
Београд,
21.11.2014