Informazione

SPIRALI

MONDOCANE FUORILINEA
18/2/4

Fulvio Grimaldi

Vi racconto, cari compagni, amici e osservatori, come è andata con il
"Seminario Nazionale su guerra e terrorismo" del PRC, a Roma, lunedì 16
febbraio, nella sede del Comitato Politico Nazionale. Sede non
insignificantemente underground di quel CPN che fra un paio di
settimane verrà chiamato a decidere sullo scioglimento del partito, che
avrebbe dovuto rifondare il comunismo dopo il testacoda di
Occhetto-D'Alema-Fassino-Veltroni, nella SE ("Sinistra Europea",
Europeische Linke, Gauche Europeenne, European Left, Izquierda Europea.
In greco, lussemburghese e estone non so). Il CPN, ne gioiamo tutti,
non incontrerà grandi difficoltà: deciderà sul partito deciso a gennaio
e il cui congresso fondativo è stato deciso per maggio (pare che ci sia
già l'inno, correttamente caratterizzato da un afflato femminista,
visto il ruolo che certe donne hanno avuto nell'accantonare
contraddizione capitale-lavoro e conflitto di classe a vantaggio di
quella di genere, assai più attuale e universale. Dicono che inizia
così: "E' primavera, svegliatevi bambine..."). Sono partiti che stanno
come d'autunno sugli alberi le foglie e, trovandosi nella condizione
del panda, giustamente cercano un ricupero unendo i propri inverni
dello scontento in un primaverile auspicio: se son rose fioriranno. Per
carità non rosse, però, sono fuori moda. Tanto che il partito comunista
di Boemia-Moravia e un'altra quarantina, invece in piena espansione e
che avrebbero preferito l'inno "Rose rosse per te..." sono stati
ampiamente snobbati come retrò e ne hanno tratto la conclusione che
conveniva restare a casa. E comunisti.

Ma non divaghiamo. Il mio proposito era di raccontarvi come è andato il
"Seminario Nazionale". Quello pompato con grande impegno tra militanti,
iscritti, elettori, simpatizzanti, mediante trombe, tamburi e timpani
di una clamorosa campagna: mezza dozzina di microannunci sul giornale
di partito. Per la ghiotta occasione, sicuramente attesa con impazienza
da qualche decina di migliaia di persone che si erano visti percuotere
per mesi dalla "spirale guerra-terrorismo", rifilatagli in tutte le
salse cartacee e comiziali, era stata prevista una cornice e un tempo
di grande attrattiva e accessibilità: lunedì mattina alle 9 nello
scantinato della Federazione romana. Un orario che compagni tramvieri,
automobilieri, metallurgici, campagnoli, scolastici o aziendali,
panettieri o vignaioli non avrebbero potuto chiederne uno migliore.
Faccio della cinica ironia e faccio torto agli organizzatori: si
trattava di non turbare, con iniziative di carattere contingente e un
po' estemporanee, la concentrazione dei compagni su obiettivi di ben
altra portata strategica, la SE e l'abbraccio governativo con ormai
ampiamente riscattati massacratori della Jugoslavia e della classe
lavoratrice nazionale.

E così il "seminario nazionale" ha visto la discreta, ma fervida
partecipazione di ben venti persone. Partecipazione anche qualificata:
se dico che c'erano ben tre compagni che in un qualche momento non
fossero stati, o oggi non fossero, negli organismi supremi del partito,
forse esagero. L'avvio viene dato dallo stesso Fausto Bertinotti: a
seminario "nazionale", segretario nazionale. E' un avvio brontolone e
pour cause: degli intemperanti avevano lasciato tra i documenti in
distribuzione uno con alcune domande rivolte al "giornale comunista"
Liberazione. [VEDI ALLEGATO] Si chiedeva, a me pare innocentemente, ai
responsabili di quel quotidiano se fossero in buonafede quando
pubblicavano senza commento paginoni di compagni come i neonazisti
(qualcuno li chiama "neocons") di Washington, o come Macbeth-Cossiga, o
quando nascondevano oggi una Jugoslavia frantumata e dissanguata dopo
averne esaltato la fine ieri in combutta con arnesi Cia come Otpor, o
quando ignoravano pervicacemente ogni prova sulla longa manus USA e Cia
nel terrorismo internazionale, dall'11/9 alla Cecenia, da Bali a
Istanbul, o quando flirtavano con un D'Alema bombardiere, o con un
Fassino vituperante Berlinguer e esaltante Craxi. Niente, non si
chiede, sono provocazioni, sono insulti s'infervora Bertinotti e,
ordinando la rimozione dell'obbrobrio, conclude: "La censura, quando ce
vo' ce vo'". Lo sappiamo, Fausto, lo sappiamo. E subito qualcuno nella
platea ha invocato il Collegio di garanzia. La sindrome di Beria non
muore.

Chi apre il "seminario nazionale" dei venti notabili? Ma lui, l'uomo
che sulla spirale la sa più lunga di tutti, colui che a sentire
"Intifada fino alla vittoria" brandisce subito il pastorale:
antisemiti! E', appropriatamente, il responsabile esteri del partito,
Gennaro Migliore. E' lui che indica la via, è lui che illumina le
ombre, è lui che mette i paletti, è lui che divide il giusto
dall'ingiusto, il bene dal male. Riparte la spirale che sale sale, in
tutti gli interventi, viene fugacemente interrotta dallo smanierato che
scrive, ma è subito ricomposta e rilanciata verso l'infinito proprio di
questa figura geometrica, nientemeno che dal segretario. L'ONU - dice
Migliore - è stata sprovveduta e anche negativa, specie quando
dell'occupazione ha parlato come peace keeping (risoluzione 1511), ma
ora guai a prescindere dall'ONU, è lo strumento democratico per
eccellenza. Che gli iracheni lo sappiano o no. Come si farebbe
altrimenti a garantire la democrazia, cioè un libero mercato, una
privatizzazione di tutto, una ricomposizione dei governi occidentali
nella comune rapina delle risorse irachene? Sotto i colpi della
dialettica migliorina, svaniscono anche gli ultimi dubbi ereditati da
un genocidio perseguito dall'ONU con 13 anni di embargo. Ci si consola
con i meriti ONU nella ricostruzione della Somalia, nella spaccatura
della Corea, nelle carneficine africane dal Congo al Ruanda, fino al
benemerita transizione della Jugoslavia dal gengiskhan slavo Milosevic
al democratico occidentale Al Capone. Migliore vuole l'ONU, ma per
carità non vuole la resistenza irachena. Uccide poliziotti, diomio! E'
terrorismo puro. Ha fatto fuori 100 curdi in un colpo solo! (L'episodio
verrà poi rievocato anche da un altrimenti carta carbone Musacchio che,
con la lacrima sul ciglio, ricorda quanto lui si sia speso per la causa
curda, e non importa se, nella commozione, faccia un po' di confusione
tra comunisti curdi del PKK sterminati dai turchi e dai curdi iracheni
amici dei turchi, da Clinton e Bush, e tribù narcotrafficanti e
mercenarie della Cia da trent'anni (dei capi feudali Barzani e
Talabani) che stanno pulendo etnicamente il Nord dell'Iraq e ambiscono
a spaccare un popolo unito da 3000 anni e a farsi un protettorato
fascistoide amerikano, petrolifero e narcotico. Del resto Musacchio si
occupa di ambiente e le boscose montagne del Kurdistan vanno
salvaguardate o no?.

Naturalmente hanno ragione gli occupanti e Bush a dire che lì, in Iraq,
a tirare le fila c'è Al Qaida e, quindi, anatema a coloro che
sostengono la resistenza irachena e la chiamano guerra di liberazione!
Al Migliore devono essere fischiate le orecchie al ricordo di quelle
migliaia di compagni fuorilinea - non più di un paio ne sono tracimati
nelle lettere a Liberazione - che hanno mentalmente - ma in alcuni casi
anche fisicamente - vomitato a leggere sul "giornale comunista"
coprofile esternazioni di certi sedicenti comunisti iracheni (anche di
questo si parlava nel documentino buttato sul rogo dal segretario) in
omaggio all'occupazione "liberatrice" USA. Vomito diventato
irrefrenabile a sapere che il PCR si era gemellato con questo "PC
iracheno" che, mentre tantissimi comunisti si battono in armi o in
marcia contro l'occupante colonialista e stragista, siede nel governo
fantoccio nominato e pagato dagli USA e capeggiato da gangster come
Ahmed Chalabi e Jalal Talabani. Il "responsabile esteri" ha una parola
risolutrice e risanatrice: "Non si può mica dire che quelli del PC
iracheno siano agenti della Cia. Non erano forse contro Saddam e,
quando stavano a Londra (tra i computer e negli appartamenti regalati
dalla Cia. N.d.r.), anche contro la guerra?" E vogliamo forse
soffermarci su queste quisquilie quando il ragionamento è talmente
degno del cognome di Gennaro e pure corazzato dal nobile anatema
sionista contro ogni "Intifada fino alla vittoria", che poi quella
vittoria (immaginata dai palestinesi come la pacifica e paritaria
coesistenza tra due popoli) non è davvero altro che una
"destabilizzazione terroristica". Già, come la troppo angelicata
resistenza partigiana, o come la rivoluzione d'ottobre dell'orrendo
novecento. Migliore finisce con un'impennata di originalità: dalla
ormai stra-acquisita "spirale guerra-terrorismo" passa con balzo
estetico nientemeno che alla "morsa guerra-terrorismo" ed è
comprensibile che, anziché dalla scontata ovazione, il responsabile
venga accolto alla fine da uno stupefatto e ammirato silenzio.

E' l'ora ormai del panino e della birretta, proprio quando Franco
Grisolia osa una deviazione dal liturgico paradigma affermando che la
resistenza irachena va appoggiata, ma anche criticata perché non
diretta da un partito comunista rivoluzionario (gli iracheni in armi ne
sono rimasti mortificati e provvederanno). Di Ramon Mantovani è sempre
difficile ricordare cosa dice, ma mi pare che abbia costruito una
specie di gerarchia, con in fondo, nella merda, la resistenza irachena,
un po' più su, a galla, le Farc colombiane e in cima, ad altezze
irraggiungibili, Marcos e gli zapatisti nella loro sublime formula
sparo-non sparo. Una sua intuizione formidabile mi è rimasto però
impressa: non è vero niente che Francia e Germania abbiano alimentato
un'opposizione alla guerra imperiale (guai a pronunciare la parolaccia
"imperialista"). E l'idea di un polo alternativo che inglobi Russia,
Cina e India è una vera stronzata. Sbavano tutte a entrare nella Nato.
Ah, perché mai non abbiamo più il Ramon responsabile, lui, degli
esteri, a spiegarci come va il mondo!

Non sto a tediarvi con il resoconto degli interventi di Nicotra, Ricci,
Gianni, o del citato Musacchio. Nessuno avrebbe potuto essere più
coerentemente e originalmente fedele alla linea, anzi, alla spirale.
Con il capo copertomi di cenere e di sdegno dal successivo Bertinotti,
riferisco la terribile caduta culturale e politica del sottoscritto.
Accecato da narcisistica deformazione professionale, avevo osato
presentare, documenti alla mano, alcuni dati informativi e le deduzioni
che pensavo se ne potessero trarre. Acchiappando la coda della spirale,
avevo tentato di disarticolarla, nientemeno, illustrando il collasso
della versione ufficiale degli attentati dell'11 settembre 2001,
citando le innumerevoli contraddizioni e menzogne risultanti dalle
ricerche e dalle rivelazioni di investigatori, luminari, testimoni,
famigliari delle vittime: la paralisi durante due ore di attacco del
più attrezzato apparato di difesa area del mondo, il crollo controllato
delle torri, il buco di 5 metri fatto nel Pentagono da un aereo di 39 x
12 metri che non lascia neanche un briciolo di rottame, l'allegra
visita di Bush a una scuola durante tutto l'attacco, le speculazioni
preventive in borsa sulle azioni delle compagnie aeree e
d'assicurazione, dirette da Buzzy Krongard, direttore operativo della
Cia, la scomparsa delle scatole nere, il sabotaggio governativo
dell'inchiesta parlamentare, i precedenti storici degli autoattentati
statunitensi da almeno un secolo a questa parte per giustificare
aggressioni militari, i legami della Cia con Al Qaida dall'Afghanistan
dell'Armata Rossa, alla Bosnia, al Kosovo e, ancora oggi, alla
Macedonia, gli analoghi legami, societari e famigliari tra i Bush e i
Bin Laden, il disastro che dall'11/9 e seguenti è derivato al mondo
islamico e alle classi lavoratrici e l'inenarrabile vantaggio che ne è
venuto ai guerrafondai preventivi e permanenti, i piani di
un'aggressione a Afghanistan e Iraq giustificati con l'11/9, ma già
pronti da mesi e anni, e dai e dai e dai, ne sapete quanto e più di me.

Ho chieste, impertinentemente, lo ammetto, che questa mole di lavoro di
controinformazione sull'operato della notoriamente più bugiarda e
cinica amministrazione della storia umana alimentasse almeno qualche
dubbio, una pratolina nelle distese ghiacciate delle certezze assolute,
un piccolo sbandamento della spirale guerra-terrorismo, per sospettare
che, forse, forse, le guerre e gli attentati terroristici li fanno gli
stessi, gli stessi che guadagnano cornucopie come piovesse da tutti e
due. Che la dicotomia guerra contro terrorismo e terrorismo contro
guerra, avallando esattamente quello che i guerrafondai vogliono, che
cioè il terrorismo sta fuori, dall'altra parte, soprattutto nell'Islam
(dove certamente imitatori e sicari fanatizzati proliferano), potrebbe
forse agevolare la strategia dei nuovi conquistadores contro popoli e
classi. E che allora il dogma resistenza uguale terrorismo, a parte
l'incongruità storica, avrebbe potuto rivelare qualche lieve
incrinatura e che, impostasi così una logica e doverosa solidarietà con
chi resiste, in qualsiasi modo, il rosario della non violenza poteva
anche perdere qualcuno dei suoi grani... Speculazioni, arzigogoli,
dietrologie. E Chomsky? E Gore Vidal? E Chosuddovski? E Giulietto
Chiesa? E l'ex-ministro della difesa e della tecnologia tedesco,
Andreas von Buelow che, insieme a tanti altri, da anni fantastica su un
terrorismo tutto USA? Intellettuali fuori della realtà, innamorati dei
propri complottismi. Infine, un dubbio minuscolo come un microbo non
potrebbe nascere dalle gigantesche bugie con le quali i governi della
guerra permanente hanno giustificato carneficine e devastazioni di
paesi e popoli? Non avrebbero potuto mentire anche su tutto il resto,
Milosevic, Osama, Saddam, terrorismi compresi?

Bertinotti non ha esitato a rispondere subito, da par suo, con l'
ironia che simili fantasticherie meritano. Dichiarato, con idonea
espressione facciale, che le "argomentazioni di Grimaldi mi hanno fatto
ammutolire" (ammutolimento che, interpretato tendenziosamente, avrebbe
anche potuto accendere una scintilla di speranza in molti comunisti),
ha subito promesso che si sarebbe "mantenuto nello schema costruito
dai precedenti oratori e avrebbe evitato rigorosamente di riferirsi a
quello di Grimaldi. Quindi, nei successivi trenta minuti, Bertinotti
non ha fatto altro che replicare alle fesserie dette da Grimaldi,
negando in primis che ci si possa inventare un mondo del male insediato
a Washington e sostituire la Cia ai meccanismi di accumulazione del
capitale. "Responsabilizzare il mefistofelico gruppo dirigente USA a
scapito della critica del capitalismo e dei suoi poteri costituenti? E
no!" E poi, altra doccia fredda sugli infantili entusiasmi del
dietrologo fissato: "Il potere va destrutturato con la disobbedienza,
sottraendo le masse al consenso, costruendo criticità e luoghi, spazi,
alternativi critici con la non violenza che è la forza critica della
nuova fase capitalistica. La violenza è una critica graffiante al cuore
del potere e al suo carattere oppressivo".

Compagni, amici, osservatori, che dire davanti a tanta critica, a tanta
elaborazione teorico-pratica. La testa gira, gli occhi si inumidiscono,
il cuore batte, l'anima si eleva a spirale. L'avessero detto a
Spartaco, alla donna violentata, a Marx, a 400 anni di rivoltosi
irlandesi, agli arabi che cacciarono re e governatori coloniali, ai
partigiani che cacciarono i nazifascisti, agli indiani sparacchioni di
Wounded Knee, ai serbi che a forza di fucilate si liberarono dei
tedeschi, ai bolscevichi che, sparando, costruirono la prima
alternativa all'essere soggiogati e sfruttati, agli iracheni che stanno
costringendo i nuovi barbari a mollare la preda, ai palestinesi che se
non avessero combattuto dal 1967 in poi non ci sarebbero proprio più,
ai comunisti che pensavano, contro le mediazioni di Turati, che si
sarebbe potuto fermare i fascisti con la forza, agli aborigeni
australiani dell'altro giorno a Sidney che, castigando manipoli di
poliziotti al servizio della più feroce apartheid del mondo (dopo
quella di Israele), hanno finalmente attirato l'attenzione del mondo
sul loro genocidio... L'avessero detto a tutta l'umanità, durante tutta
la storia, che criticare bisognava, perdio, non lottare, non combattere
rischiando di diventare simili al proprio aguzzino, magari come quei
corrotti di Giovanni Pesce, o Giorgio Bocca, o Gerry Adams, o Che
Guevara!
Quanto sarebbe stata più rosea, la vicenda umana, dolce, senza
preoccupazione per il potere: se lo tengano quello schifo, ne facciano
quello che vogliono. Noi critichiamo. E, ve lo giuriamo padroni, senza
alzare un dito.

E cantiamo: "E' primavera, svegliatevi bambine..."


--- ALLEGATO ---

(vedi anche:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3195 )

"Liberazione - giornale comunista" ?

"Belgrado ride"? "Spirale guerra-terrorismo"? "Non violenza"? Alcune
domande al giornale

1) Perché avete sostenuto la parola d'ordine "Né con la Nato, né con
Milosevic" e avete avvallato tutte le falsità - ora ampiamente smentite
- su stragi serbe, pulizia etnica, nazionalismo serbo, crimini di
Milosevic, inneggiando all'organizzazione Cia "Otpor" e alla
"rivoluzione democratica" di Belgrado, dimostrati già allora e
riconfermati dagli stessi responsabili oggi elementi di una vasta
cospirazione imperialista europeo-statunitense tesa a frantumare la
Jugoslavia, liquidare un modello sociale inviso al FMI, aprire i
Balcani alle rotte dei traffici di petrolio e stupefacenti dominate
dagli interessi occidentali? Perché avete, da tre anni, imposto il
silenzio sulla catastrofe dei Balcani colonizzati e sottoposti a domini
criminali e taciuto le prove delle vostre menzogne (BBC, "Diario",
"Shadowplay" del giornalista Sky e agente britannico Tim Marshall,
indagini ONU) ?

2) Perché nelle vostre interviste ai massimi dirigenti DS, D'Alema e
Fassino, all'atto della proclamazione dell'alleanza governativa con
l'Ulivo, non avete sollevato le loro responsabilità negli inciuci con
Berlusconi, nella criminale aggressione e colonizzazione imperialista
alla Jugoslavia, nella traformazione della Nato in alleanza aggressiva,
nell'amicizia con l'Opus Dei e con ambienti massonici, nell'opera di
smantellamento dello stato sociale e dei principi democratici della
Costituzione? Perché date patenti di "alto giornalismo" a
disinformatori di regime come Paolo Mieli, Gad Lerner, o Stefano Folli?

3) Perché insistete ossessivamente sulla fuorviante parola d'ordine
della "spirale guerra-terrorismo", avvallando implicitamente il
paradigma imperialista della guerra fatta contro il terrorismo e del
terrorismo che risponderebbe alla guerra e quindi agevolando sia la
fascistizzazione progressiva degli stati e delle società con l'alibi
della sicurezza, sia le aggressioni militari anglo-sionisto-americane,
con il seguito di ascari vari, contro popoli e paesi detentori di
risorse o renitenti al dominio colonialista? E, a questo proposito,

4) Perché ignorate pervicacemente l'enorme mole di prove, documenti,
testimonianze prodotta da ricercatori di ogni paese, in particolare
degli USA, da prestigiosi uomini di Stato come Andreas von Buelow
(ex-ministro della difesa ed ex-ministro della tecnologia della
Germania), dai più qualificati intellettuali statunitensi, o da centri
di ricerca di altissimo livello come il "Global Research"
dell'Università di Toronto, che smascherano il complotto terroristico
statunitense, a partire dagli attentati dell'11 settembre e dalla
versione ufficiale, del resto ampiamente boicottata e censurata dal
golpista Bush?

5) Non ritenete che sia vostro primario compito politico e
giornalistico attingere a tutte le fonti, ben al di là della vostra
pigra subalternità alle fonti ufficiali della borghesia imperialista,
allo scopo di offrire all'opinione pubblica e al popolo di sinistra
strumenti di conoscenza e di maturazione che disintegrino la fandonia
di un terrorismo islamico autonomo ed antimperialista e rivelino
l'orrore di classi dirigenti che(del resto storicamente)utilizzano
gruppi di fanatici eterodiretti dalle proprie centrali terroristiche
per soggiogare opinioni pubbliche e fare accettare guerre preventive e
permanenti di genocidio?

6) Non credete che per fermare l'apocalisse planetaria programmata da
classi dirigenti criminali sia anzittutto indispensabile sottrarsi al
loro dominio informativo e delegittimarne il diritto a governare
rivelandone le demenziali efferatezze terroristiche, anziché avallarne
bugie funzionali alla guerra e agli stati di polizia? Perché
Liberazione ripete, a ogni ricorrenza dell'11/9, gli stereotipi e i
silenzi che proteggono e coprono responsabili e responsabilità ormai
incontrovertibili, offrendo loro ulteriori spazi e ragioni d'azione?
Perché non concede a sé e ai lettori almeno il beneficio del dubbio?

7) Perché Liberazione sposa incondizionatamente da sempre pregiudizi e
menzogne internazionali, che si tratti di una Cecenia destabilizzata da
mostruosi gruppi di terroristi Al Qaida, totalmente isolati dalla
popolazione, che, agli ordini della Cia, tentano con orrende stragi di
civili di sottrarre a Russia ed Europa vitali vie di comunicazione
energetiche alla luce del programma PNAC (Program for the New American
Century) dei governanti USA teso a neutralizzare Europa, Russia e Cina;
o che si tratti dell'Iran della logora distinzione tra "progressisti"
(studenti che si riconoscono, come Otpor, nei "valori americani") e
"conservatori", di sovietica memoria, scimmiottando le veline
occidentali ed evitando di vedere sotto la superficie le manovre
d'infiltrazione imperialista (Otpor, poi clonato in "Kmara" per
consegnare la Georgia agli USA, non ha insegnato nulla?); o che si
tratti di un'Algeria dove numerosi analisti seri, ma non Liberazione,
hanno visto lo scontro tra interessi USA e interessi francesi, per
interposti terroristi islamici e insorti berberi; o che ancora si
tratti di Haiti, dove i tentativi di ricolonizzazione statunitensi
tramite la mobilitazione di bande armate legate ai Duvalier vengono
fatte passare per "rivolta democratica" contro il "tiranno" Aristide
(e meno male che c'è Angela Necioni a dire cose giuste sul Venezuela di
Chavez, criminalizzato dall'"alleato" D'Alema)?

8) Perché Liberazione ignora sistematicamente la volontà, i giudizi e
gli obiettivi di larghe masse palestinesi e delle loro rappresentanze
politiche e si affretta a rincorrere qualsiasi trucco sionista, teso a
tirare fuori Israele dalle difficoltà causate dall'Intifada, che si
ammanti di "dialogo per la pace", che sia Camp David, la Road Map, o
adesso Ginevra, tutti sostenuti da gruppi dirigenti largamente corrotti
e collaborazionisti e decisamente respinti dalla maggioranza del popolo
palestinese, dentro e fuori dai confini della Palestina, senza nemmeno
mai darsi cura di dare voce a tutte le parti. Quando mai avete sentito
la sinistra palestinese?

9) Perché nel momento in cui una resistenza armata di massa in Iraq,
secondo ogni esperto militare e di intelligence (vedi le numerose
analisi USA in rete) preparata da molti anni in vista di una guerra di
liberazione di lunga durata e condotta dalla Guardia Repubblicana, dal
Baath insieme ai comunisti veri e a gruppi religiosi patrioti, che va
infliggendo giornalmente sconfitte gravi all'occupante e ai suoi
mercenari, anzichè schierarsi, secondo una tradizione di giustizia e di
solidarietà consolidata a sinistra nei secoli, con i combattenti del
popolo per la sovranità e l'indipendenza, Liberazione perpetua la
sporca equiparazione tra lotta di liberazione e terrorismo (altro
favore agli USA), usa l'arma di distrazione di massa di un alluvionale,
demagogico, fuorviante, antiscientifico e astutamente sbilanciato
dibattito su violenza e non violenza e arriva a pubblicare e promuovere
le oscene falsità di un collaborazionista iracheno?

10) Perché Liberazione si presta alla falsificazione storica - che
offende milioni di tibetani schiavizzati nel passato da una casta
tirannica e pedofila di monaci, sequestratori di bambini, padroni della
vita e della morte dei contadini - di consacrare l'agente CIA Dalai
Lama come maestro di vita e di libertà?

11) E' concepibile che un "giornale comunista" pubblichi SENZA
COMMENTO (dopo aver rifiutato lo scoop dell'ultima intervista al
presidente jugoslavo cacciato da un golpe USA), in prima e seconda
pagina, cioè con il massimo rilievo, articoli dei neonazisti USA
chiamati "neocons" che giustificano la guerra preventiva e l'assedio
alla Cina, o rappresentano l'oligarca mafioso russo Khodorkovski come
impegnato nelle "riforme democratiche" (9 e 5/12/03), o addirittura -
sotto il titolo, nientemeno, "Terrorismo, politica e libertà"
(24/12/03) - di Francesco Cossiga, mandante dell'assassinio di
Giorgiana Masi, sponsor di Gladio, protagonista della repressione,
responsabile dei depistaggi del suo comitato sul rapimento Moro
rimpinzato di delinquenti P2?

12) Ora che è stato dimostrato oltre ogni dubbio che quelli che
chiamavate "intellettuali dissidenti" erano terroristi mercenari al
soldo degli USA, protagonisti di un piano criminale di
destabilizzazione di Cuba finalizzato a un'aggressione statunitense,
avete chiesto scusa a chi avevate cacciato dal giornale solo per aver
scritto che, scontata il rifiuto della pena di morte, gli autori dei
sequestri e del complotto erano terroristi manovrati da Miami e
Washington?

13) E' accettabile che in un "giornale comunista" appaia, all'indomani
della vergognosa esibizione del presidente iracheno Saddam Hussein da
parte degli aggressori USA, una prosa del tipo in uso nei più luridi
tabloid: "Lo sguardo di Saddam è infantile, spaventato, tondo e acquoso,
come quello dei cani che chiedono di non essere bastonati. Il primo
sguardo umano della sua vita. Almeno pubblica, a, sospettiamo, anche
privata. I suoi occhi sino a ieri li abbiamo dovuti sempre scrutare
dietro le lenti nere (???), oppure tra le fessure gelide del suo
odio... Saddam che carezza un bambino e poi, paranoico e ipocondriaco,
si lava le mani con l'amuchina (???)... Saddam che sparge ettolitri di
sangue senza mai sporcare i marmi dei suoi palazzi... Non possiamo
distogliere gli occhi, non possiamo non guardarlo e provare un
animalesco grugnito di sollievo..." (L'hai detto, Ronconi, "animalesco
grugnito")? A casa delle persone perbene non si chiama questo, al
meglio, oscenità e, al peggio, connivenza col nemico?

Compagni di Liberazione se siete in buonafede cercate di allargare le
vostre fonti e di fare un giornale onesto e comunista. Se perseguite
scopi incompatibili con la testata, cambiatela.

Un gruppo di lettori

Da: "Klaus von Raussendorff"
Data: Mer 18 Feb 2004 19:57:37 Europe/Rome
Oggetto: Anklage gegen Milosevic ohne Beweise

Liebe Leute,

in diesen Tagen wird die Anklage im Prozess gegen Präsident Milosevic
nach über zwei Jahren ihre Beweiserhebung beenden. Hierzu:

SCHREIBEN VON RAMSEY CLARK AN DIE VEREINTEN NATIONEN.
(12. Februar 2004)
Der ehemalige Justizminister der USA und internationale
Menschenrechtsanwalt fordert die Abschaffung aller ad hoc-Tribunale,
eine unabhängige Überprüfung des Verfahrens gegen Präsident Milosevic
und, unabhängig davon, die
Bereitstellung von Mitteln an ihn für eine angemessene Entgegnung auf
die Anklage um der historischen Wahrheit willen.
http://www.icdsm.org/more/rclarkUN1.htm
[ 1 ]

DER MILOSEVIC-PROZESS IST EINE TRAVESTIE
Die politische Notwendigkeit gebietet, dass der ehemalige jugoslawische
Führer für schuldig befunden wird - selbst wenn die Beweislage dies
nicht hergibt. Von Neil Clark
Aus: “The Guardian” (London) v. 12 February 2004
http://www.ask.co.uk/
kb.asp?q=Go+to+the+Guardian+Newspaper&p=0&s=0&ac=NEWS&x
x=0&qid=71442096120D2E438A31BCF2FD1E0B49&sp=kbtp&fn=kb&fo=1&r=2&io=1&pk=
1&fr
=0&bl=0&aj_ques=snapshot%3DUKKB%26kbid%3D3125100%26item1%3D3361615-
3125039&a
j_logid=71442096120D2E438A31BCF2FD1E0B49&aj_rank=1&aj_score=1.35&aj_list
1=33
61615-3125039&qi.x=13&qi.y=2
[ 2 ]

NOCH IST SERBIEN NICHT VERLOREN
Von Werner Pirker
junge Welt v. 07.02.2004
http://www.jungewelt.de/2004/02-07/028.php
[ 3 ]

RÜCKKEHR DURCH DIE HINTERTÜR
Milosevics Sozialisten sind wieder zum politischen Faktor in Serbien
geworden. Von Michael Martens
FAZ v. 13.02.2004
http://www.faz.net/p/RubE92362663C6E4937AB14A07CB297CA09/
Doc~E3B60C4F299AB48
509756315B02FFEA02~ATpl~Ecommon~Scontent.html#top
[ 4 ]


Z u d e n T e x t e n :

1. Ramsey Clark, Ko-Präsident des Internationalen Komitees für die
Verteidigung von Slobodan Milosevic (ICDSM), zieht in seinem Schreiben
an die UN Bilanz: „Über 500.000 Seiten Dokumente und 5000
Videokassetten wurden als Beweismittel vorgelegt. Es gab etwa 300
Verhandlungstage. Über 200
Zeugen haben ausgesagt. Das Verfahrensprotokoll umfasst annähernd
33.000 Seiten. Es ist der Anklagevertretung nicht gelungen, erhebliche
oder zwingende Beweise für irgendeine strafbare Handlung oder Absicht
von Präsident Milosevic vorzulegen. Mangels belastender Beweise hoffte
die Anklagevertretung offenbar, einen so massiven Rekord aufzustellen,
dass es Jahre dauern würde, falls überhaupt jemand sich die Mühe machen
würde, bis Wissenschaftler das Beweismaterial prüfen und analysieren
können, um festzustellen, ob es eine Verurteilung trägt.“ Es gibt also,
wie aus dem Schreiben von Clark hervorgeht, eigentlich gar keine
Anklage. Es gibt nur ein vorgefasstes Bild des Westens von den
Ereignissen auf dem Balkan in den 90er Jahren. Das soll mit der
schieren Eindruck schindenden Masse des Haager
Prozessmaterials verteidigt werden. Für manchen Gehirngewaschenen -
auch in der Friedensbewegung - überraschend, bewertet Clark die Rolle
von Milosevic so: „Während des ganzen Krieges gab es keinen mehr zum
Kompromiss bereiten politischen Führer als Präsident Milosevic, der die
volle Entfesselung des Krieges verhinderte, als Slowenien, Kroatien,
Bosnien und Mazedonien sich von der Bundesrepublik lostrennten.
Hinsichtlich seiner späteren
Verteidigung des auf Serbien und Montenegro reduzierten Jugoslawiens
wird er in Erinnerung bleiben wegen der Kompromisse, die er in Dayton,
Ohio, einging und später, um die US-Bombardements von März bis Juni
1999 zu beenden. In seinem Verhalten lag die Absicht des Friedens und
des Überlebens einer Kernföderation von Südslawen, die eines besseren
Tages den Samen für eine größere Föderation von Balkan-Staaten legen
würde, die für den Frieden, die politische Unabhängigkeit und die
wirtschaftliche Lebensfähigkeit der Region von entscheidender Bedeutung
ist. Die USA und andere beabsichtigten etwas anderes.“

2. Neil Clark ist Autor und Balkan-Spezialist. Bevor er ein eigenes
Transportunternehmen gründete, war er 30 Jahre lang Logistik-Offizier
der Armee, als solcher am Aufmarsch auf dem Balkan beteiligt und erster
Logistik Offizier in Bosnien. Zu Beginn des Milosevic-Prozesses schrieb
er in einem Artikel im „Guardian“ (v. 11.02.02) über seinen ersten
Besuch in Belgrad im Jahre 1998: „Als unrekonstruierter Sozialist,
völlig außer Tritt mit dem Zeitgeist, hatte ich in den 90er Jahren die
meiste Zeit mit dem Versuch zugebracht, mich, so gut ich konnte, nach
einem Ort davon zu stehlen, wo es immer noch 1948 war. Man stelle sich
also meine Freude vor, als ich in Belgrad ankam und eine Stadt vorfand,
die auf wundersame Weise all den
Schrecken der globalen Verschmutzung entgangen war. Buchläden,
Selbstbedienungsrestaurants, staatliche Apartmenthäuser in Fülle: Ein
Spaziergang entlang der städtischen Boulevards erinnerte einen an eine
britische Hauptstraße in den späten 60er Jahren. Meine Freude
verwandelte sich in Begeisterung, als ich beim Betreten eines
Buchladens in der Auslage an auffallender Stelle ein Exemplar des
klassischen Bandes “Argumente für den Sozialismus” von Tony Benn sah.
Welch ein wirklich wundervoller Ort Belgrad doch war! Und doch war ich
in der Hauptstadt eines Staates, der gewöhnlich als ‘Pariah’-Staat
Europas galt, und dessen Führer, ein gewisser Slobodan Milosevic, in
den westlichen Medien routinemäßig als der Saddam Hussein von Europa
abgetan wurde.“

Zur Charakterisierung des Politikers Milosevic schrieb Neil Clark vor
zwei Jahren, er sei, „ein sturer, verdammter ‚alter’ unrekonstruierter
Sozialist“. „Deshalb haben die neuen Parteien der Designer-‚Linken’
Europas ihn so gnadenlos bis nach Den Haag verfolgt. Slobo ist genau
die Art von
osteuropäischem Führer alten Stils, die viele von ihnen in ihren
Studententagen verteidigt haben würden. Ironischer Weise ist es in
politisch korrekten Kreisen immer noch hinnehmbar, Titos Jugoslawien zu
preisen, das wirklich ein Einparteienstaat war, aber Milosevics
Jugoslawien, wo mehr als 20 Parteien sich frei betätigen können, gilt
als gänzlich jenseits des Erlaubten. Hätte Milosevic sein Land an die
Multis verkauft, hätte er
ehrerbietig um die Mitgliedschaft in der Europäischen Union und in der
Nato angestanden und wäre ein westlicher Ja-Sager geworden, dann hätte
er freie Hand gehabt, seinen eignen ‚Krieg gegen den Terrorismus’ zu
führen.“

Zwei Jahre nach Prozessbeginn kommt Neil Clark zu demselben Ergebnis
wie Ramsey Clark: „Viele Zeugen der Anklage wurden als Lügner
bloßgestellt - so wie Bilall Avdiu, der behauptete, in Racak “etwa ein
halbes Dutzend
verstümmelte Leichen” gesehen zu haben, auf dem Schauplatz der
umstrittenen Tötungen, welche den US-geführten Kosovo-Krieg auslösten.
Gerichtsmedizinische Beweise bestätigten später, dass keine der Leichen
verstümmelt war. Insider, die, wie uns gesagt wurde, alles über
Milosevic ausplaudern würden, erwiesen sich als nichts dergleichen.
Rade Markovic, der ehemalige Leiter des jugoslawischen Geheimdienstes,
sagte am Ende zu Gunsten seines ehemaligen Chefs aus und sprach davon,
dass er anderthalb Jahren „des Drucks und der Folter“ unterworfen
worden war, um eine von dem Gericht präparierte Erklärung zu
unterzeichnen. Einem anderen „Insider“, Ratomir
Tanic, wurde nachgewiesen, im Sold des britischen Geheimdienstes
gestanden zu haben.“ „Im Falle des schlimmsten Massakers - von zwischen
2000 und 4000 Männern und Jungen in Srebrenica im Jahre 1995 - , für
das Milosevic wegen Mittäterschaft angeklagt worden ist, hat die
Mannschaft von Del Ponte nichts zutage gefördert, was das Urteil der
von der niederländischen Regierung in Auftrag gegebenen fünfjährigen
Untersuchung entkräftet hätte, die zu dem Ergebnis kam, es gebe,
„keinen Beweis, dass Befehle für das Gemetzel von serbischen
politischen Führern in Belgrad kamen“.

Es sei bemerkenswert, meint Clark, dass nur eine westliche
Menschenrechtsorganisation, die British Helsinki Group, Bedenken
geäußert habe. „Richard Dicker, der Prozessbeobachter von Human Rights
Watch, erklärte sich selbst ‚beeindruckt’ von der Sache der Anklage.
Zyniker könnten sagen, dass angesichts des Umstands, dass, George
Soros, der Förderer von Human Rights Watch, das Tribunal finanziert,
von Dicker nichts anderes zu erwarten ist. Judith Armatta, eine
US-amerikanische Rechtsanwältin und Beobachterin für die Coalition for
International Justice (eine andere Soros-finanzierte NGO) geht noch
weiter und freut sich hämisch, dass „wenn das Urteil ergeht, und er in
seiner Zelle verschwindet, niemand mehr von ihm hören wird. Er wird
aufgehört haben, zu existieren.“ So viel zu der schönen alten
Vorstellung, dass der Zweck eines Verfahrens darin bestehe, Schuld
festzustellen. Für Armatta, Dicker und ihre Hintermänner scheint es,
dass Milsovevic schon dadurch schuldig ist, dass er angeklagt wird.“

3. Werner Pirker beschreibt die Bedeutung von Milosevic in Den Haag für
die serbische Innenpolitik: „Die strategische Initiative in der
serbischen Politik liegt nun eindeutig bei Vojislav Kostunica.(…)
Verständlich, daß sich (seine Partei) die DSS eine Neuauflage des
»demokratischen Bündnisses« nicht mehr antun will und die Tolerierung
einer von ihr geführten Regierung durch die Sozialisten einer Koalition
mit den
Djindjic-Nachfolgern vorzieht. Zumal eine gewisse Einbindung der SPS in
das System diese noch zahmer machen würde, als sie es ohnehin schon
ist. Deren führenden Kadern steht der Sinn sowieso nicht nach einer
entschiedenen nationalen und sozialen Opposition gegen die neoliberale
Kapitalisierung.
Obwohl die Kostunica-Strategie auf eine Stabilisierung des Kapitalismus
in Serbien zielt, werden die internationalen Finanzorganisationen sowie
EU und USA dies nicht zu würdigen wissen. Denn selbst in dieser
Konstellation steckt eine Spur von Auflehnung gegen die
imperialistische Weltordnung, ein Element serbischer Eigenständigkeit.
»Mit Kostunicas Hilfe«, schreibt Rathfelder, werde die SPS »peu à peu
rehabilitiert. Genau wie Milosevic selbst«. Eben das darf nicht
passieren. Immerhin war es Slobodan Milosevic, der die Sozialisten als
ihr Spitzenkandidat aus der Ferne anführte. Auch wenn so mancher
Parteiführer die »Hypothek Milosevic« gerne loswerden würde:
Massenwirksamkeit erzielt die SPS alleine aus dem Charisma des Helden
von Den Haag. Die Parlamentswahlen haben gezeigt, daß es in Serbien eine
strukturelle Mehrheit aus (gemäßigten und radikalen) Nationalisten und
Linken gibt. Daß diese in der Regierungsbildung – als Koalition der DSS
mit Radikalen und Sozialisten – ihren Ausdruck fände, untersagen die
demokratiepolitischen Vorgaben der westlichen Führungsorgane. Allein
die Andeutung einer solchen Möglichkeit würde die NATO in höchste
Alarmbereitschaft versetzen“

4. Michael Martens von der FAZ spekuliert ganz im Interesse der
imperialistischen Machthaber auf dem Balkan über eine Spaltung von
Milosevics Sozialistischer Partei Serbiens: „Ivica Dacic, der als
Vorsitzender des Exekutivausschusses der Sozialisten die Partei in
Milosevics Abwesenheit führt, will offenbar die Gunst der Stunde zu
nutzen versuchen, indem er sich im kleinen Kreise als "Reformer" gibt,
der die Partei von ihrer sinistren Überfigur befreien will. Immerhin
befindet sie sich tatsächlich nicht mehr unter der völligen Kontrolle
ihres inhaftierten Chefs. Dessen Ansinnen, die besonders treuen
Genossen von der Gruppierung "Sloboda" (Freiheit) zu Abgeordneten zu
machen, ignorierte die Parteiführung um Dacic. Das Ziel der Aktivisten
von "Sloboda" ist die "Befreiung"
Milosevics aus Den Haag. Allerdings weiß auch Dacic, daß die
Sozialistische Partei ihren bescheidenen Erfolg nicht sich selbst,
sondern ihrem "Erfinder" Milosevic zu verdanken hat. Ihm galten die
fast 300 000 Stimmen serbischer Wähler im Dezember, nicht der Partei,
die zu Milosevics Herrschaftszeiten
nie mehr als ein Instrument im Werkzeugkasten seines Systems war.
Sollte es zu einer Parteispaltung kommen und sollte der über den
unbotmäßigen Dacic verärgerte Milosevic bei kommenden Wahlen seine
politischen Resozialisierungshelfer von "Sloboda" unterstützen,
versänke die Sozialistische Partei Serbiens wohl in der
Bedeutungslosigkeit.“

N o c h e i n H i n w e i s :

DEL PONTE IN DER KRITIK IHRER HINTERMÄNNER

Das Erstarken der serbischen Nationalisten und Sozialisten ist auch der
Hintergrund für eine Kritik am Arbeitsstil von Del Ponte aus dem
publizistischen Umfeld der Auftraggeber des Tribunals, jedenfalls
soweit diese europäische Kapitalinteressen auf dem Balkan vertreten.
„Die Chefanklägerin trübt die serbischen Gewässer“ betitelt Misha
Glenny seinen Artikel in International Herald Tribune v. 17. Feb. 04,
der hier nur kurz referiert wird. (Voller Text englisch siehe:
http://www.iht.com/articles/129800.html). Glenny war früher
BBC-Korrespondent in Wien und ist seit 2002 Direktor von SEE Change
2004, einer „gemeinnützigen“ Einrichtung in Großbritannien, die den
Balkan für Auslandsinvestitionen aus der EU öffnen und das
südosteuropäische Arbeitskräftepotential für westeuropäische
Unternehmen nutzbar machen will, wie Glenny, Mitglied des
Weltwirtschaftsforums, nach seiner Ernennung der griechischen Zeitung
Kathimerini anvertraute. Glenny macht seinen Artikel mit der
Information auf, dass Carla Del Ponte letzte Woche erklärt habe, dass
„Belgrad ein sicherer Zufluchtsort für Fahndungsflüchtlinge geworden
sei. Selbst Radovan Karadzic, der vom Tribunal angeklagte ehemalige
bosnische Serbenführer, habe nun Zuflucht in der serbischen Hauptstadt
gefunden.“ Für ihre dramatische Behauptung habe sie keinerlei Beweise
geliefert, außer dass sie aus einer vertraulichen Quelle stamme. In dem
Artikel beschwert sich ein “westlicher Geheimdienstoffizier”, dass Del
Ponte “mehrmals“ eine Operation zur Ergreifung von Karadzic ruiniert
habe, indem sie begann, „auf und ab zu springen und zu schreien: ‚Ich
sehe ihn! Ich sehe ihn!’” Und jedes Mal, wenn Del Ponte solche
Behauptungen aufstelle, warne die serbische Regierung, „dass dies das
Wiedererstarken der Radikalen
fördere.“ Großbritannien und die Vereinigten Staaten hätten bereits in
vertraulichen Gesprächen mit Del Ponte und „ihren Arbeitgebern bei den
Vereinten Nationen“ ihre Besorgnis geäußert. Es gebe jetzt Anzeichen,
dass auch andere Regierungsvertreter in der EU „über die Auswirkungen
von Del
Ponte auf die regionale Stabilität“ auf dem Balkan besorgt seien.
Natürlich fordere er nicht den Rücktritt der Chefanklägerin, erklärt
Glenny unterschwellig drohend, dass er als Vertreter europäischer
Kapitalinteressen auf dem Balkan dies sehr wohl tun könne. Natürlich
stelle er nicht „die
bedeutende Leistung des Tribunals“ in Frage. Nur möge Del Ponte mehr
auf „ihren Arbeitsstil und seine Auswirkungen auf Südosteuropa“ achten.


U n d s c h l i e ß l i c h :

DIE VERTEIDIGUNG VON SLOBODAN MILOSEVIC BRAUCHT DRINGEND SPENDEN

Da Milosevic sich weigert, das illegale Haager Tribunal anzuerkennen,
ist er der einzige Gefangene, der für seine Verteidigung keine
materielle Unterstützung vom Tribunal erhält. Die Dringlichkeit der
Spendenaktion wird noch einmal unterstrichen, indem Ramsey Clark von
den UN fordert, „Präsident Milosevic Haushaltsmittel zur Verfügung zu
stellen, um anwaltliche Beratung, Ermittler, Researcher,
Dokumentenanalysten und andere Experten zur Verfügung zu stellen, um
wirksam auf das gegen ihn vorgebrachte Beweismaterial zu antworten.“
Außerdem fordert er, Milosevic die „für die Bewältigung der Aufgabe
erforderliche Zeit einzuräumen, bevor irgendwelche Prozessverhandlungen
wieder aufgenommen werden.“ Dabei seien die Anstrengungen, um auf die
Anklage zu antworten, „selbst dann unverzichtbar sind, wenn das Gericht
abgeschafft oder die Anklage eingestellt wird, um zur Feststellung der
historischen Fakten um des künftigen Friedens willen beizutragen.“

Das Internationale Komitee für die Verteidigung von Slobodan Milosevic
(ICDSM) sammelt seit einiger Zeit Spenden für den Rechtshilfefond zur
Unterstützung des ehemaligen jugoslawischen Präsidenten. Doch das
Tribunal hat es nicht dabei Bewenden lassen, Präsident Milosevic massiv
in seinen
Rechten als Angeklagter und in seinen Menschenrechten zu
beeinträchtigen. Auch Bemühungen von einfachen rechtlich denken
Menschen, seine Verteidigung zu unterstützen, werden gezielt behindert.
Zu diesen Machenschaften erklärt
Klaus Hartmann, der Sprecher der Deutschen Sektion des ICDSM und
Vorsitzender der Vereinigung für Internationale Solidarität (VIS) e.V.,
folgendes:

„In offenkundigem Auftrag des Tribunals der Kriegsverbrecher sind
Geheimdienste aktiv, die unsere Bankverbindungen lahm legen sollen mit
dem Ziel, den Rechtshilfefonds für Slobodan Milosevic zu sabotieren und
ihn damit von den elementaren Voraussetzungen seiner Verteidigung
abzuschneiden, also ihm den Rechtsweg abzuschneiden. So wurde zuletzt
die Postbank veranlasst, aus Anlass der Einreichung eines Schecks aus
den USA das bisher angegebene Spendenkonto der Vereinigung für
Internationale Solidarität (VIS) e.V. ohne Angabe von Gründen zu
kündigen.

Damit ähneln die Formen der Auseinandersetzung immer mehr jenen von
Geheimdiensten an der ‚unsichtbaren Front’, die man je nach Geschmack
als Katz-und Maus-Spiel oder als Krieg bezeichnen kann.

Zugleich macht dies eine flexiblere Taktik und schnellere
Reaktionsweise unsererseits erforderlich. Dazu gehört an erster Stelle
der Aufbau eines Systems von Regionalkassierern, die wie in der ‚guten
alten Zeit’ persönlich
bei Spendenwilligen vorsprechen und kassieren. Sie erhalten ein
Legitimationsschreiben von der Vereinigung für Internationale
Solidarität e.V., um den potentiellen Spendern das erforderliche
Vertrauen abzunötigen sowie Namenslisten aus ihrer Region. Nachdem sich
Brigitte Dressel spontan
bereit erklärt hat, diese Aufgabe in Berlin zu übernehmen (großes
Lob!), suchen wir nun verschärft Freiwillige aus anderen Gebieten. Nur
keine falschen Hemmungen!

Ansonsten bieten wir natürlich sofort ein Ersatzkonto an - ohne Gewähr,
wie lange das hält. Wir werden uns auf häufigere Wechsel einstellen
müssen, was aber auch einen Vorteil hat: sowie wir ein neues Konto
bekannt machen, gilt es, sofort loszulaufen und zu spenden - man weiß
ja nie, wie lange es offen bleibt, und diesen Wettlauf mit dem Gegner
will ja sicher jeder gewinnen! Und hier können wir schon mal üben:

Wir bitten um Spenden auf das Konto
Monika Krotter Hartmann, Kennwort "Rechtshilfefonds"
Postbank Frankfurt
Kto.-Nr. 0 205 341 601
BLZ 500 100 60
Für Überweisungen aus dem Ausland bitte angeben:
IBAN DE87 5001 0060 0205 3416 01
BIC PBNKDEFF

Weitere Informationen auf der Webseite der Deutschen Sektion des
Internationalen Komitees für die Verteidigung von Slobodan Milosevic:
www.free-slobo.de
Kontakt: redaktion@...

Mit internationalistischen Grüßen
Klaus von Raussendorff

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Anti-Imperialistische Korrespondenz (AIKor) -
Informationsdienst der Vereinigung für Internationale Solidarität (VIS)
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Redaktion: Klaus von Raussendorff
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[ 1 ]

Quelle: http://www.icdsm.org/more/rclarkUN1.htm

SCHREIBEN VON RAMSEY CLARK AN DIE VEREINTEN NATIONEN.
Der ehemalige Justizminister der USA und internationale
Menschenrechtsanwalt fordert die Abschaffung aller ad hoc-Trib unale,
eine unhängig Überprüfung des Verfahrens gegen Präsident Milosevic und,
unabhängig davon, die Bereitstellung von Mitteln an ihn für eine
angemessene Entgegnung auf die
Anklage um der historischen Wahrheit willen.


12. Ferbruar 2004

Betreff: Verfahren gegen Slobodan Milosevic, den ehemaligen Präsidenten
der Bundesrepublik Jugoslawien, vor dem Internationalen Straftribunal
für das ehemalige Jugoslawien

Sehr geehrter Herr Generalsekretär Annan,

Die Anklagevertretung im Verfahren gegen den ehemaligen Präsidenten der
Bundesrepublik Jugoslawien wird nach dem vorgesehen Terminplan ihre
Beweiserhebung vor dem Internationalen Straftribunal für das ehemalige
Jugoslawien am 19. Februar 2004 beenden, mehr als zwei Jahre, nachdem
der erste Zeuge aussagte.

Über 500.000 Seiten Dokumente und 5000 Videokassetten wurden als
Beweismittel vorgelegt. Es gab etwa 300 Verhandlungstage. Über 200
Zeugen haben ausgesagt. Das Verfahrensprotokoll umfasst annähernd
33.000 Seiten.

Es ist der Anklagevertretung nicht gelungen, erhebliche oder zwingende
Beweise für irgendeine strafbare Handlung oder Absicht von Präsident
Milosevic vorzulegen. Mangels belastender Beweise hoffte die
Anklagevertretung offenbar, einen so massiven Rekord aufzustellen, dass
es Jahre dauern würde, falls überhaupt jemand sich die Mühe machen
würde, bis Wissenschaftler das Beweismaterial prüfen und analysieren
können, um festzustellen, ob es eine Verurteilung trägt.

Das Schauspiel dieses Generalangriffs eines gewaltigen Teams mit
umfangreichen Mitteln zur Unterstützung der Anklage gegen einen
einzelnen Mann, der sich selbst verteidigt, abgeschnitten von aller
effektiven Hilfe, dessen Unterstützer überall angegriffen werden, und
dessen Gesundheit wegen der dauernden Anstrengung im Schwinden ist,
vermittelt ein den Kern der Sache treffendes Bild der Unfairness und
der Verfolgung.

Dazu im Kontrast begann beim “ersten Prozess der Geschichte wegen
Verbrechen gegen den Frieden der Welt” in Nürnberg die Anklage gegen 19
Angeklagte am 20. November 1945 und endete etwas über drei Monate
später am 4. März 1946,
nachdem vier Staaten das Beweismaterial beigebracht hatten. In seiner
Eröffnung sagte der Chefankläger Robert H. Jackson

„Es gibt hier ein dramatisches Missverhältnis zwischen den Bedingungen
für die Ankläger und die Angeklagten, das unsere Arbeit in Verruf
bringen könnte, wenn wir schwanken sollten in dem Bemühen, selbst bei
untergeordneten Sachverhalten, fair und maßvoll zu sein....Wir dürfen
nie
vergessen, dass das Beweisaufnahmeprotokoll, auf dessen Grundlage wir
über diese Angeklagten richten, das Beweisaufnahmeprotokoll ist, auf
dessen Grundlage die Geschichte morgen über uns richten wird. Diesen
Angeklagten
einen vergifteten Kelch zu reichen, bedeutet, ihn auch an unsere Lippen
zu setzen.“

Die Anklage begann ihre Ermittlungen gegen Präsident Milosevic unter
Richard Goldstone aus Südafrika im Oktober 1994. Als er 1996 aus dem
Amt schied, hatte er keine Beweise für eine Anklage gefunden. Seine
Nachfolgerin, Louise Arbour aus Canada, setzte die Ermittlungen ohne
förmliche Verfahrensmaßnahme bis Ende Mai 1999 fort, als Präsident
Milosevic erstmals für angeblich Anfang 1999 begangene Taten angeklagt
wurde.

Die Anklage erfolgte während der schweren Bombardierungen ganz
Serbiens, einschließlich des Kosovo, durch USA und NATO, d.h. während
eines Angriffskrieges. Dieser hatte Zivilisten in ganz Serbien getötet
und Vermögen zerstört, deren Ersatz Milliarden Dollar kosten würde. Er
hatte am 22. April 1999 bei einem Mordversuch die Wohnung von Präsident
Milosevic in Belgrad zerstört. Die chinesische Botschaft wurde am 7.
Mai 1999 bombardiert. Abgereichertes Uran, Streubomben und Superbomben
hatten Zivilisten und zivile Infrastruktur gezielt angegriffen.
Hunderte von zivilen Einrichtungen waren zerstört und Zivilisten von
Novo Sad bis Nic und Pristina getötet worden.

Die ursprüngliche Anklage behauptete keine Verbrechen in Kroatien oder
Bosnien. Sie behandelte ausschließlich Handlungen von serbischen
Kräften im Kosovo im Jahre 1999. Ganz Serbien, einschließlich Kosovo,
befand sich zur Zeit der Anklageerhebung unter schwerem Bombenhagel der
USA und der NATO. Im Kosovo gab es keine US- oder NATO-Truppen und
keine ICTY-Ermittler.
Ermittlungen waren unmöglich. Die Anklage war ein rein politischer Akt,
um Präsident Milosevic und Serbien zu dämonisieren und die
Bombardierungen Serbiens durch die USA und die NATO zu rechtfertigen,
die in sich selbst verbrecherisch waren und gegen die Charta der UN und
der NATO verstießen.

Als US-Botschafterin bei den UN leitete Madeleine Albright die
Bemühungen der USA, den Sicherheitsrat dazu zu bringen, das ICTY zu
schaffen. Später schrieb sie in ihren Memoiren, dass sie als
US-Außenministerin mehrer Jahre die Vertreibung von Präsident Milosevic
aus dem Amt angestrebt hatte:

„Mit Kollegen, Joschka Fischer und anderen, drängte ich die serbischen
Oppositionsführer, eine wirkliche politische Organisation aufzubauen
und sich darauf zu konzentrieren, Milosevic rauszuschmeißen...
Öffentlich sagte ich wiederholt, die Vereinten Nationen wünschten
Milosevic ‚von der Macht
weg, aus Serbien raus und im Gewahrsam des Kriegsverbrechertribunals.’ “

Präsident Milosevic wurde angeklagt und steht vor Gericht, weil er
bestrebt war und entsprechend handelte, Jugoslawien zu schützen und zu
erhalten, einen Bundesstaat, der für den Frieden auf dem Balkan von
entscheidender Bedeutung war. Mächtige fremde Interessen, die
nationalistische und ethnische Gruppen und Geschäftsinteressen
innerhalb der einzelnen Republiken Jugoslawiens unterstützten, waren
aus den verschiedensten Gründen entschlossen, Jugoslawien zu
zerschlagen. Darunter an erster Stelle die USA.
Deutschland spielte eine Hauptrolle. Später gab die NATO dem
Unterfangen ihren Namen, unter Verstoß gegen die eigene Charta. Die
daraus folgende Gewalt war vorhersehbar und tragisch.

Während des ganzen Krieges gab es keinen mehr zum Kompromiss bereiten
politischen Führer als Präsident Milosevic, der die volle Entfesselung
des Krieges verhinderte, als Slowenien, Kroatien, Bosnien und
Mazedonien sich von der Bundesrepublik lostrennten. Hinsichtlich seiner
späteren
Verteidigung des auf Serbien und Montenegro reduzierten Jugoslawiens
wird er in Erinnerung bleiben wegen der Kompromisse, die er in Dayton,
Ohio, einging und später, um die US-Bombardements von März bis Juni
1999 zu beenden. In seinem Verhalten lag die Absicht des Friedens und
des Überlebens einer Kernföderation von Südslawen, die eines besseren
Tages den Samen für eine größere Föderation von Balkan-Staaten legen
würde, die für den Frieden, die
politische Unabhängigkeit und die wirtschaftliche Lebensfähigkeit der
Region von entscheidender Bedeutung ist. Die USA und andere
beabsichtigten etwas anderes.

Die Folgen waren für jeden der ehemaligen Staaten der Bundesrepublik
katastrophal. Heute gibt es im ehemaligen Jugoslawien wirtschaftliche
Einmischung von außen und Stagnation, politische Unruhe, öffentliche
Unzufriedenheit und zunehmende Bedrohung durch Gewalt. Die USA umwerben
Kroatien wegen seiner Mitgliedschaft in der NATO als Basis für
europäische Truppen zur Kontrolle der Region und zur Aufrechterhaltung
ihrer Spaltung.
Kroatien hat eine kleine militärische Einheit entsandt, um die NATO in
Afghanistan zu unterstützen und steht unter Druck, Truppen nach Irak zu
entsenden und damit seine Konfrontation gegen die muslimische
Bevölkerung in Kroatien und Bosnien fortzusetzen.
US-Verteidigungsminister Rumsfeld traf am 8. Februar 2004 mit der
nationalistischen Führung von Kroatien, darunter dem Präsidenten und
dem Premierminister, zusammen. Er erklärte: „Ich sehe dem Tag entgegen,
da Kroatien ein Teil (der NATO) wird.“

Gegen den ehemaligen Präsidenten von Jugoslawien wird wegen der
Verteidigung von Jugoslawien vor einem Gericht verhandelt, zu dessen
Einrichtung der Sicherheitsrat keine Befugnis hatte. Der Präsident der
Vereinigten Staaten aber, der offen und, wie nur allzu bekannt ist,
einen Angriffskrieg, „das höchste internationale Verbrechen“, gegen den
wehrlosen Irak begangen hat, der Zehntausende von Menschen tötete und
dort und anderswo Gewalt verbreitete, hat sich keiner Anklage zu
stellen. Präsident Bush droht weiter
mit unilateralen Angriffskriegen und drängt in den USA auf die
Entwicklung einer neuen Generation von Atomwaffen, taktischen
Atombomben, und dies nach der Invasion im Irak aufgrund der fingierten
Behauptung, dass das Land eine
Bedrohung für die USA ist und Massenvernichtungswaffen besitzt. Dies
kann nur geschehen, weil Macht vor Recht geht.

Die Vereinigten Staaten können nicht hoffen, die Geisel des Krieges
abzuschaffen, bis sie nicht willens sind, der Macht zu trotzen und
vereint für das Prinzip des Friedens einzutreten. Bedarf es noch eines
schlagenderen Beweises für die Absicht der USA, über dem Recht zu
stehen und mit Gewalt zu herrschen, als der umfassende Versuch der USA,
den Internationalen Strafgerichtshof zu zerstören und bilaterale
Verträge durchzusetzen, in denen Staaten zustimmen, US-Staatsbürger
nicht an den ISGH auszuliefern. Man betrachte diese Verhinderung von
Recht im Zusammenhang mit der Erklärung des Ständigen Vertreters der
USA bei den UN, Botschafter John Negroponte, vom 30. Juni 2002, worin
er Immunität der USA vor ausländischer Strafverfolgung verlangte, ein
Verlangen, dem sich der Sicherheitsrat unterwarf. Negroponte drohte mit
einem Veto der USA gegen eine anhängige Resolution des Sicherheitsrates
zur Verlängerung der friedenserhaltenden Mission der UN in
Bosnien-Herzegowina, wenn der Sicherheitsrat für Personal, das für von
ihm angeordnete friedenserhaltenden Missionen bereitgestellt wird,
nicht Immunität, das heißt Straflosigkeit, gewährleisten würde. Der
Zweck bestand darin, US-Personal und US-Hilfswillige über das Recht zu
stellen, während die Feinde der USA Opfer diskriminierender Verfolgung
vor
völkerrechtswidrigen Gerichten sind.

Das ICTY und andere ad hoc Straftribunale, die vom Sicherheitsrat
geschaffen wurden sind illegal, weil die Charta der Vereinten Nationen
den Sicherheitsrat nicht ermächtigt, irgendein Strafgericht zu
schaffen. Der Wortlaut der Charta ist eindeutig. Wäre eine solche
Befugnis 1945 in die Charta aufgenommen worden, gäbe es keine UN. Keine
der fünf Mächte, die späteren Ständigen Mitgliedern des
Sicherheitsrats, wäre einverstanden gewesen, sich einer
strafrechtlichen Befugnis der UN zu unterwerfen.

Der ISGH wurde durch Vertrag geschaffen, womit anerkannt wurde, dass
die UN ohne Änderung ihrer Charta keine Befugnis hatten, einen solchen
Gerichtshof zu schaffen. Die Gründung des ISGH sollte die Einrichtung
irgendwelcher
zusätzlicher Straftribunale ausschließen und erfordert die Abschaffung
derjenigen, die noch bestehen. Sie wurden geschaffen, um den
geopolitischen Bestrebungen der USA zu dienen. Die Angelegenheit ist
von höchster Wichtigkeit. Es geht um die Entscheidung, ob der
Sicherheitsrat selbst über
der Charta und der Geltung von Recht und Gesetz steht.

Die ad hoc-Straftribunale sind ihrem Wesen nach diskriminierend, indem
sie sich dem Grundsatz der Gleichheit in der Ausübung der
Rechtsprechung entziehen. Die Diskriminierung ist beabsichtigt, um
Feinde zu zerstören. Das
Internationale Straftribunal für Ruanda hat in neun Jahren keinen
einzigen Tutsi angeklagt, obgleich Faustin Twagirimungu, der erste
Premierminister unter der Tutsi-RPF-Regierung 1994 und 1995 vor
demselben aussagte, dass er
glaube, mehr Hutus als Tutsis seien in Ruanda während der tragischen
Gewalt des Jahres 1994 getötet worden. Hunderttausende von Hutus wurden
später in Zaire, heute Demokratische Republik Kongo, abgeschlachtet und
sind bis heute gefährdet. Das ICTR ist ein Instrument der
US-amerikanischen Unterstützung für die Tutsi-Kontrolle über Uganda,
Ruanda, Burundi und zeitweilig und vielleicht erneut die Demokratische
Republik Kongo.

Die Strafverfolgung des ICTY richtet sich in der großen Mehrzahl gegen
Serben und ausschließlich serbische Führer sind vor ihm angeklagt
worden, darunter nicht nur Präsident Milosevic und die serbische
Führung sondern serbische Führer der Republika Serbska, des
abgesonderten serbischen Teils von Bosnien.

Da nun die Anklage gegen den ehemaligen Präsidenten von Jugoslawien
ihrem Ende zugeht, ist sein Gesundheitszustand schwer beeinträchtigt
und lebensbedrohlich geworden. Die Verhandlungen wurden letzte Woche
unterbrochen, weil er zu krank war, um teilzunehmen, aber das Tribunal
verfügte zusätzlich weitere beschwerliche Verhandlungsstunden für die
beiden letzten Wochen der Beweiserhebung der Anklage. Gestern erst war
das Tribunal gezwungen, die Verhandlungen auf halbe Tage zu reduzieren,
und zwar aufgrund eines medizinischen Berichts, den Ärzte, die vom
Tribunal bestellten worden waren, über Präsident Milosevic erstattet
hatten. Präsident Milosevic ist Monate lang, während er die
Kandidatenliste der Sozialistischen Partei Serbiens bei den
Parlamentswahlen anführte, und als seine Partei sich der neuen
Koalition anschloss, die letzte Woche den neuen Parlamentspräsidenten
wählte, in totaler Isolierung gehalten worden. Anfang der Woche
verlängerte das Tribunal seine Isolation um einen weiteren Monat wegen
politischer Ereignisse in Serbien.

Präsident Milosevic, der sich, aus der Haft heraus und bei bedrohlichem
Gesundheitszustand, selbst vor Gericht verteidigt, wurden weniger als
drei Monate Zeit gegeben, um nach mehr als zwei Jahren Beweiserhebung
seine Verteidigung vorzubereiten, bis im Mai der Vortrag der
Verteidigung beginnen soll. Diese jüngste Handlungsweise des Tribunals
ist bezeichnend für die konsequent grobe Unfairness der Verhandlungen
während der Jahre der Inhaftierung von Präsident Milosevic und der
Beweiserhebung der Anklage.

Um die Verteidigung angemessen vorzubereiten, ist es erforderlich die
Zehntausende von Dokumenten zu erfassen und durchzusehen, Hunderte von
potentiellen Zeugen zu finden und zu befragen und das Beweismaterial in
einer zusammenhängenden und wirkungsvollen Darstellung zusammen zu
fassen.

Die Vereinten Nationen müssen im Interesse der einfachen Gerechtigkeit,
und um frühere Ungerechtigkeiten zu korrigieren, die Legalität und
Fairness eines von ihnen geschaffenen Gerichts zu bewerten und die
Glaubwürdigkeit
der Vereinten Nationen in den Augen der Völker zu erhalten folgendes
veranlassen:

Verkündigung eines Moratoriums für alle Verfahren vor allen UN ad
hoc-Tribunalen für eine Frist von mindestens sechs Monaten und für
weitere Fristen, sofern diese sich für die Vereinten Nationen als
notwendig erweisen, um

A. eine Kommission von wissenschaftlichen Experten für internationales
öffentliches Recht und Historikern einzuberufen, um die
Entstehungsgeschichte, die Erarbeitung, Sprache und Absichten der
Charta der Vereinten Nationen zu prüfen und festzustellen, ob die
Charta den Sicherheitsrat ermächtigt, irgendein Straftribunal zu
schaffen und, gegebenenfalls, die Grundlage, die Rechtsverbindlichkeit
und den Umfang einer solchen Befugnis festzustellen, oder die
Angelegenheit dem Internationalen Gerichtshof zur Entscheidung
vorzulegen;

B. eine Kommission von wissenschaftlichen Experten für internationales
Strafrecht einzuberufen, um den Gang des Verfahrens im Fall von
Präsident Slobodan Milosevic zu überprüfen, um festzustellen, ob
Rechtsirrtümer, Verstöße gegen die Grundsätze eines ordentlichen
Verfahren und Unfairness in der Verhandlungsführung eine
Verfahrenseinstellung dringend erforderlich machen, und, bevor
irgendeine Stellungnahme der Verteidigung erfolgt, ob das
Beweismaterial, das von der Anklage gegen den ehemaligen Präsidenten
Milosevic vorgelegt wurde, nach internationalem Recht hinreichend ist,
um die Fortsetzung des Verfahrens zu stützen und zu rechtfertigen;

C. Präsident Milosevic Haushaltsmittel zur Verfügung zu stellen, um
anwaltliche Beratung, Ermittler, Researcher, Dokumentenanalysten und
andere Experten zur Verfügung zu stellen, um wirksam auf das gegen ihn
vorgebrachte Beweismaterial zu antworten, und die für die Bewältigung
der Aufgabe erforderliche Zeit einzuräumen, bevor irgendwelche
Prozessverhandlungen wieder aufgenommen werden, wobei diese
Anstrengungen selbst dann unverzichtbar sind, wenn das Gericht
abgeschafft oder die Anklage eingestellt wird, um zur Feststellung der
historischen Fakten um des künftigen Friedens willen beizutragen;

D. Haushaltsmittel für unabhängige medizinische Untersuchung,
Behandlung und Pflege des ehemaligen Präsidenten Milosevic in
Einrichtungen in Serbien zu
Verfügung zu stellen.

Hochachtungsvoll
Ramsey Clark

Gleichlautende Breife wurden gesandt an:
die Mitglieder des Sicherheitsrates
den Präsidenten der UN-Generalversammlung
den Generalsekretär der Vereinten Nationen
den Präsidenten der Vereinigten Staaten
das Internationale Straftribunal für das ehemalige Jugoslawien


Übersetzung aus dem Englischen: Klaus von Raussendorff


********************************************************************
[ 2 ]

Quelle des Originals:
http://www.ask.co.uk/
kb.asp?q=Go+to+the+Guardian+Newspaper&p=0&s=0&ac=NEWS&x
x=0&qid=71442096120D2E438A31BCF2FD1E0B49&sp=kbtp&fn=kb&fo=1&r=2&io=1&pk=
1&fr
=0&bl=0&aj_ques=snapshot%3DUKKB%26kbid%3D3125100%26item1%3D3361615-
3125039&a
j_logid=71442096120D2E438A31BCF2FD1E0B49&aj_rank=1&aj_score=1.35&aj_list
1=33
61615-3125039&qi.x=13&qi.y=2

Aus: “The Guardian” (London) v. 12 February 2004


DER MILOSEVIC-PROZESS IST EINE TRAVESTIE

Die politische Notwendigkeit gebietet, dass der ehemalige jugoslawische
Führer für schuldig befunden wird - selbst wenn die Beweislage dies
nicht hergibt.

Von Neil Clark

Heute vor zwei Jahren begann in Den Haag der Prozess gegen Slobodan
Milosevic. Die Hauptanklägerin Carla Del Ponte triumphierte, als sie
die 66 Anklagepunkte wegen Kriegsverbrechen und Verbrechen gegen die
Menschheit und
Völkermord verkündete, die dem ehemaligen jugoslawischen Präsidenten
vorgeworfen werden. CNN gehörte zu jenen, die dies „den bedeutendsten
Prozess seit Nürnberg“ nannten, während die Anklage die „Verbrechen von
mittelalterlicher Grausamkeit“ darstellte, die angeblich von dem
„Schlächter von Belgrad“ begangen worden waren.

Aber seit jenen Tagen der Begeisterung sind die Dinge für Frau Del
Ponte schrecklich schlecht gelaufen. Die Anklagen im Bezug auf Kosovo
galten als der stärkste Teil ihrer Anklageerhebung. Aber nicht allein
erlitt die Anklage einen bemerkenswerten Fehlschlag bei der
Beweisführung für
Milosevics persönliche Verantwortung für die vor Ort begangenen
Gräueltaten, auch die Natur und der Umfang der Gräueltaten wurden in
Frage gestellt.

Viele Zeugen der Anklage wurden als Lügner bloßgestellt - so wie Bilall
Avdiu, der behauptete, in Racak “etwa ein halbes Dutzend verstümmelte
Leichen” gesehen zu haben, auf dem Schauplatz der umstrittenen
Tötungen, welche den US-geführten Kosovo-Krieg auslösten.
Gerichtsmedizinische Beweise bestätigten später, dass keine der Leichen
verstümmelt war. Insider, die, wie uns gesagt wurde, alles über
Milosevic ausplaudern würden, erwiesen sich als nichts dergleichen.
Rade Markovic, der ehemalige Leiter des
jugoslawischen Geheimdienstes, sagte am Ende zu Gunsten seines
ehemaligen Chefs aus und sprach davon, dass er anderthalb Jahren „des
Drucks und der Folter“ unterworfen worden war, um eine von dem Gericht
präparierte Erklärung zu unterzeichnen. Einem anderen „Insider“,
Ratomir Tanic, wurde
nachgewiesen, im Sold des britischen Geheimdienstes gestanden zu haben.

Als es zur Anklage im Bezug auf die Kriege in Bosnien und Kroatien kam,
erging es der Anklage wenig besser. Im Falle des schlimmsten Massakers
- von zwischen 2000 und 4000 Männern und Jungen in Srebrenica im Jahre
1995 - , für das Milosevic wegen Mittäterschaft angeklagt worden ist,
hat die
Mannschaft von Del Ponte nichts zutage gefördert, was das Urteil der
von der niederländischen Regierung in Auftrag gegebenen fünfjährigen
Untersuchung die zu dem Ergebnis kam, es gebe, „keinen Beweis, dass
Befehle für das Gemetzel von serbischen politischen Führern in Belgrad
kamen“. entkräftet hätte.

Um der erlahmenden Anklage unter die Arme zu helfen, sind der Reihe
nach profilierte politische Zeugen in den Gerichtssaal gekarrt worden.
Zuletzt der Bewerber um das Präsidentenamt der USA und ehemalige
NATO-Oberbefehlshaber Wesley Clark, dem unter Verletzung des Prinzips
der Verfahrensöffentlichkeit gestattet wurde, in geschlossener Sitzung
auszusagen, wobei Washington die Möglichkeit hatte, zu beantragen,
einzelne nach seiner Meinung gegen US-Interessen verstoßende Teile
seiner Aussage aus dem öffentlichen Protokoll zu entfernen.

Jedem unvoreingenommenen Beobachter dürfte es schwer fallen, sich der
Schlussfolgerung zu entziehen, dass Del Ponte rückwärts gearbeitet hat
- erst anklagen und dann versuchen, Beweise zu finden. Es ist schon
bemerkenswert, dass im Lichte eines solchen Bruchs mit einem geordneten
Verfahrens nur eine westliche Menschenrechtsorganisation, die British
Helsinki Group, Bedenken geäußert hat. Richard Dicker, der
Prozessbeobachter von Human Rights Watch, erklärte sich selbst
„beeindruckt“ von der Sache der Anklage. Zyniker könnten sagen, dass
angesichts des Umstands, dass, George
Soros, der Förderer von Human Rights Watch, das Tribunal finanziert,
von Dicker nichts anderes zu erwarten ist.

Judith Armatta, eine US-amerikanische Rechtsanwältin und Beobachterin
für die Coalition for International Justice (eine andere
Soros-finanzierte NGO) geht noch weiter und freut sich hämisch, dass
„wenn das Urteil ergeht, und er in seiner Zelle verschwindet, niemand
mehr von ihm hören wird. Er wird aufgehört haben, zu existieren.“ So
viel zu der schönen alten Vorstellung, der Zweck eines Verfahrens
bestehe darin, Schuld festzustellen. Für Armatta, Dicker und ihre
Hintermänner scheint es, dass Milosevic schon dadurch schuldig ist,
dass er angeklagt wird.

Schreckliche Verbrechen sind auf dem Balkan währen der 90er Jahr
begangen worden, und es ist richtig, dass jene, die dafür
verantwortlich sind, vor ein ordentliches Gericht gestellt werden. Aber
das Haager Tribunal, ein ausgesprochen politisches Gremium, das von den
NATO-Mächten eingesetzt und finanziert worden ist, die vor vier Jahren
einen völkerrechtswidrigen Krieg gegen das Jugoslawien von Milosevic
geführt haben - und das die Prüfung unmittelbar einsichtiger Beweise
dafür abgelehnt hat, dass sich westliche
Führer in diesem Konflikt offensichtlicher Kriegsverbrechen schuldig
gemacht haben, - ist eindeutig nicht das Vehikel dafür.

Weit davon entfernt, eine Instanz unparteiischer Rechtsprechung zu
sein, wie viele Fortschrittliche immer noch glauben, hat das Tribunal
seine Voreingenommenheit für die wirtschaftlichen und militärischen
Interessen der mächtigsten Nationen des Planeten bewiesen. Milosevic
sitzt auf der
Anklagebank wegen Behinderung dieser Interessen und, ungeachtet dessen,
was im Gerichtssaal vor sich gegangen ist, gebietet die politische
Notwendigkeit, dass er für schuldig befunden wird, wenn nicht für
alles, dessen er angeklagt ist, so doch für genug, um lebenslänglich
eingekerkert zu werden. Dieser Affront gegen die Rechtsprechung in Den
Haag während der letzten zwei Jahre liefert allen eine ernüchternde
Lektion, die so viel Hoffnung auf den neu geschaffenen Internationalen
Strafgerichtshof setzen.

Die USA haben bereits dafür gesorgt, dass sie nicht der Rechtsprechung
dieses Gerichts unterworfen sind. Mitglieder des Sicherheitsrats haben
die Befugnis, seine Ermittlungen zu erschweren oder auszusetzen. Das
Ziel eines internationalen Gerichtssystem, unter dem das Recht auf alle
gleichermaßen
angewandt werden würde, ist sehr schön. Aber in einer Welt, in der
einige Staaten offenkundig gleicher sind als andere, scheint seine
Verwirklichung ferner den je.

Übersetzung aus dem Englischen: Klaus von Raussendorff

Neil Clark ist Autor und Spezialist für Osteuropa und den Balkan
NeilClark6@...


********************************************************************
[ 3 ]

http://www.jungewelt.de/2004/02-07/028.php

junge Welt v. 07.02.2004

NOCH IST SERBIEN NICHT VERLOREN
Der schwarze Kanal

Von Werner Pirker

Nun hat Serbien wenigstens einen Parlamentspräsidenten. Der Posten des
Staatspräsidenten bleibt weiter unbesetzt, und auch die Bildung einer
Regierung wird noch einige Zeit in Anspruch nehmen. Um die
Verfassungskrise wenigstens in Grenzen zu halten, mußte ein Tabubruch
vollzogen werden. Bei der Kür des Kostunica-Mannes Dragan Marsicanin
zum Parlamentspräsidenten wurde der Sozialistischen Partei Serbiens
(SPS) die Rolle des Züngleins an der Waage zuteil. Die vom westlichen
Hegemonialkartell geforderte »Einheit der demokratischen Kräfte« gehört
somit endgültig der Vergangenheit an. Es hat sie außer während der
Wahlkampagne 2000, die zur Ablöse Milosevics durch Kostunica führte,
ohnehin nie gegeben. Es gab sie vor allem deshalb nicht, weil die
Kräfte, die sie hätten tragen sollen, nicht demokratisch waren.

Die strategische Initiative in der serbischen Politik liegt nun
eindeutig bei Vojislav Kostunica. Die Mehrheit, die er bei der Wahl des
Parlamentsvorsitzenden organisierte, wird wohl auch die Basis der
künftigen Regierung bilden. Damit wäre der Bruch mit der Djindjic-Ära
endgültig vollzogen. taz -Mann Werner Rathfelder kommentiert das
wehmütig als Posthum-Sieg Kostunicas über den ermordeten Premier Zoran
Djindjic.
Dessen »Demokraten« hätten es zwar mit der Verfassung nicht so genau
genommen, dafür aber glaubwürdig das Ziel vertreten, »die serbische
Gesellschaft zu modernisieren und sie irgendwann nach Europa zu
führen«. Das läßt sich auch so lesen, daß »Modernisierung« und
bürgerlich-demokratischer
Rechtsstaat nicht als Einheit, sondern als Antipoden in Erscheinung
traten.

Djindjic ließ erst gar keine Illusionen darüber aufkommen, daß die
Modernisierung, lies: die überfallartige Privatisierung irgend etwas
mit Demokratie zu tun hätte. Es war ein Eigentumsputsch, bei dem die
verfassungsmäßig garantierten Rechte der Arbeitskollektive quasi über
Nacht aufgehoben wurden. Kostunica dagegen versuchte, die Gesellschaft
einigermaßen in Gleichgewicht zu halten, was ihm als Reformblockade
angelastet wurde. Dieser Konflikt führte zu dem demokratiepolitisch
einmaligen Vorgang, daß Kostunicas Demokratische Partei Serbiens (DSS)
aus dem Regierungsbündnis ausgeschlossen und über ihre
Parlamentsabgeordneten ein Hausverbot verhängt wurde.

Verständlich, daß sich die DSS eine Neuauflage des »demokratischen
Bündnisses« nicht mehr antun will und die Tolerierung einer von ihr
geführten Regierung durch die Sozialisten einer Koalition mit den
Djindjic-Nachfolgern vorzieht. Zumal eine gewisse Einbindung der SPS in
das System diese noch zahmer machen würde, als sie es ohnehins schon
ist. Deren führenden Kadern steht der Sinn sowieso nicht nach einer
entschiedenen nationalen und sozialen Opposition gegen die neoliberale
Kapitalisierung.
Obwohl die Kostunica-Strategie auf eine Stabilisierung des Kapitalismus
in Serbien zielt, werden die internationalen Finanzorganisationen sowie
EU und USA dies nicht zu würdigen wissen. Denn selbst in dieser
Konstellation steckt eine Spur von Auflehnung gegen die
imperialistische Weltordnung, ein Element serbischer Eigenständigkeit.

»Mit Kostunicas Hilfe«, schreibt Rathfelder, werde die SPS »peu à peu
rehabilitiert. Genau wie Milosevic selbst«. Eben das darf nicht
passieren. Immerhin war es Slobodan Milosevic, der die Sozialisten als
ihr Spitzenkandidat aus der Ferne anführte. Auch wenn so mancher
Parteiführer die »Hypothek Milosevic« gerne loswerden würde:
Massenwirksamkeit erzielt
die SPS alleine aus dem Charisma des Helden von Den Haag. Die
Parlamentswahlen haben gezeigt, daß es in Serbien eine strukturelle
Mehrheit aus (gemäßigten und radikalen) Nationalisten und Linken gibt.
Daß diese in der Regierungsbildung – als Koalition der DSS mit
Radikalen und
Sozialisten – ihren Ausdruck fände, untersagen die
demokratiepolitischen Vorgaben der westlichen Führungsorgane. Allein
die Andeutung einer solchen
Möglichkeit würde die NATO in höchste Alarmbereitschaft versetzen.

********************************************************************
[ 4 ]

Aus: Text: Frankfurter Allgemeine Zeitung v. 13.02.2004, Nr. 37 / Seite
12

http://www.faz.net/p/RubE92362663C6E4937AB14A07CB297CA09/
Doc~E3B60C4F299AB48
509756315B02FFEA02~ATpl~Ecommon~Scontent.html#top

RÜCKKEHR DURCH DIE HINTERTÜR
Milosevics Sozialisten sind wieder zum politischen Faktor in Serbien
geworden / Von Michael Martens

BELGRAD, 12. Februar

Wie ignoriert man 1,3 Millionen Serben? Die Staatengemeinschaft ist
sich unsicher und offenbar auch uneins darin, wie sie auf die
schwierige Lage reagieren soll, die der Wille serbischer Wähler und
Nichtwähler bei den
Parlamentswahlen am 28. Dezember geschaffen hat. Denn mehr als 1,3
Millionen von 6,5 Millionen Wahlberechtigten stimmten vor knapp sieben
Wochen für Parteien, die schwerlich demokratisch zu nennen sind: Die
Serbische Radikale Partei von Vojislav Seselj hat als deutlich stärkste
Kraft im neuen Parlament 82 Abgeordnete, die Sozialistische Partei
Serbiens unter ihrem Ehrenvorsitzenden Slobodan Milosevic erhielt 22
Sitze. Seselj und Milosevic sind vom UN-Kriegsverbrechertribunal für
das ehemalige Jugoslawien
angeklagt. Ihre Parteien stehen bis heute für jene Politik, für die
sich ihre Führer im Haag verantworten müssen. Noch im Wahlkampf waren
sich die Führer der dem demokratischen Lager Serbiens zugerechneten
Parteien deshalb ungewohnt einig: Mit Sozialisten und Radikalen werde
es eine Zusammenarbeit nicht geben.

Doch von dieser Zusicherung ist die Demokratische Partei Serbiens (DSS)
von Vojislav Kostunica längst abgewichen. Sie verfügt nach den
Radikalen über die größte Fraktion in der neuen Skupstina (53 Sitze),
und ihr Vorsitzender will Regierungschef werden. "Politisch korrekt"
ginge das nur, wenn alle fünf in das Parlament gewählten Parteien des
sogenannten demokratischen Lagers an einem Strang ziehen, doch will
Kostunica mit der Demokratischen Partei, die einst sein ihm offenbar
über das Grab hinaus verhaßter Erzfeind Zoran Djindjic geführt hatte,
nichts zu tun haben. Erfolglos forderte er die Djindjic-Nachfolger auf,
eine von ihm geführte Minderheitsregierung zu tolerieren. Schon die
Wahl eines Parlamentspräsidenten drohte an dieser Konstellation zu
scheitern. Um den toten Punkt zu überwinden und Neuwahlen
zu vermeiden, bat Kostunica nach einem Monat erfolgloser Verhandlungen
schließlich die Sozialisten um Unterstützung bei der Kandidatur seines
Stellvertreters Dragan Marsicanin. Dieser wurde auch tatsächlich mit
den Stimmen der Sozialisten Parlamentspräsident. So kehrte der im
Oktober 2000 gestürzte Milosevic sozusagen durch den Dienstboteneingang
wieder auf die politische Bühne Belgrads zurück. Seit Kostunica sich
gewillt zeigt, sogar seine Regierung von den Sozialisten dulden zu
lassen, verschärfen sich jedoch die zuvor maßvollen Proteste der
Staatengemeinschaft gegen diese Art der innerserbischen Zusammenarbeit.
In seiner Partei versucht man sich zu rechtfertigen: Funktionierende
Institutionen und eine handlungsfähige Regierung seien wichtiger als
kleinlicher Parteienstreit, der freilich durch die starre Haltung der
DSS nach den Wahlen erst ausweglos wurde. Außerdem
bedeute die Duldung einer Minderheitsregierung schließlich nicht, daß
die Sozialisten an der Regierung beteiligt seien.

Doch um sich das parlamentarisch unumgängliche Wohlwollen der
Sozialistischen Partei zu erhalten, müßte Kostunica Positionen
vertreten, die sein Land international isolieren würden. Die
Sozialisten fordern unter anderem, der Staat müsse den serbischen
Angeklagten vor dem
Kriegsverbrechertribunal finanzielle und juristische Unterstützung
gewähren. Außerdem sei die Zusammenarbeit mit dem Gericht, insbesondere
die Auslieferung weiterer Angeklagter, einzustellen. Auch die
Privatisierungspolitik müsse beendet und in einigen Fällen sogar
rückgängig
gemacht werden. Zu Entlassungen in den maroden staatlichen Betrieben
dürfe es nicht kommen.

Westliche Diplomaten versuchen den Verantwortlichen in Belgrad seit
Wochen deutlich zu machen, daß eine solche Regierung nicht mit dem
Wohlwollen des Westens rechnen könnte. Erste Wirkung haben die
internationalen Einwände
offenbar bei Vuk Draskovic gezeigt, der gern Außenminister von Serbien
und Montenegro werden würde. Nach seiner Rückkehr von einer Reise in
die Vereinigten Staaten sprach er sich, anders als zuvor, eindeutig
gegen eine von den Sozialisten geduldete Minderheitsregierung aus.
Solange sich die Partei nicht von Milosevic distanziere, könne sie kein
Partner des demokratischen Lagers sein, befand er. Beharren er und
Kostunica auf ihren Standpunkten, wird es Neuwahlen geben müssen.
Kostunica hinterläßt bei europäischen Diplomaten offenbar den Eindruck,
er werde die langfristig
ungleiche Kraftprobe Serbiens gegen den Rest der Welt nicht scheuen. Er
vertraue darauf, daß Europa es nicht wagen werde, Serbien auszugrenzen
und den Kräften des alten Regimes dadurch noch mehr inländische
Unterstützung zu
verschaffen, heißt es. Sollte dies wirklich Kostunicas Gedanke sein,
kann er sich dabei auf das Beispiel der neunziger Jahre berufen, als
Milosevic jahrelang ungestraft westliche Drohungen ignorieren konnte.

Unterdessen versuchen die meisten EU-Botschaften in Belgrad weiterhin,
die "Schmuddelkinder" der serbischen Politik zu ignorieren: Zu
Radikalen und Sozialisten pflegt man keinen Kontakt, weshalb man auch
kaum etwas über sie weiß. Beide Parteien haben sich aber im stockenden
Mahlwerk der serbischen Politik festgesetzt. Schon jetzt haben
Abgeordnete der Radikalen in einigen der nach Proporz besetzten
Parlamentsausschüssen den Vorsitz inne. Auch das Parlament des auf
Druck Brüssels gebildeten Gesamtstaates Serbien und
Montenegro, dessen Abgeordnete aus den beiden Landesparlamenten
entsandt werden, dürfte künftig "radikaler" sein als zuvor.

Was in den Parteien der Radikalen und der Sozialisten vorgeht, deren
Vertreter den Kontakt zu westlichen Journalisten meiden, ist von außen
kaum zu erkennen. Ivica Dacic, der als Vorsitzender des
Exekutivausschusses der Sozialisten die Partei in Milosevics
Abwesenheit führt, will offenbar die Gunst der Stunde zu nutzen
versuchen, indem er sich im kleinen Kreise als "Reformer" gibt, der die
Partei von ihrer sinistren Überfigur befreien will.
Immerhin befindet sie sich tatsächlich nicht mehr unter der völligen
Kontrolle ihres inhaftierten Chefs. Dessen Ansinnen, die besonders
treuen Genossen von der Gruppierung "Sloboda" (Freiheit) zu
Abgeordneten zu machen, ignorierte die Parteiführung um Dacic. Das Ziel
der Aktivisten von "Sloboda" ist die "Befreiung" Milosevics aus Den
Haag. Allerdings weiß auch Dacic, daß die Sozialistische Partei ihren
bescheidenen Erfolg nicht sich selbst, sondern ihrem "Erfinder"
Milosevic zu verdanken hat. Ihm galten die fast 300000 Stimmen
serbischer Wähler im Dezember, nicht der Partei, die zu Milosevics
Herrschaftszeiten nie mehr als ein Instrument im Werkzeugkasten seines
Systems war. Sollte es zu einer Parteispaltung kommen und sollte der
über den unbotmäßigen Dacic verärgerte Milosevic bei kommenden Wahlen
seine
politischen Resozialisierungshelfer von "Sloboda" unterstützen,
versänke die Sozialistische Partei Serbiens wohl in der
Bedeutungslosigkeit.


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E N D E

Da: ICDSM Italia
Data: Gio 19 Feb 2004 16:56:30 Europe/Rome
A: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
Cc: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
Oggetto: [icdsm-italia] Ramsey Clark's Letter to Kofi Annan


[ Una lettera di Ramsey Clark, ex ministro della giustizia USA ed oggi
personalita' di spicco del movimento contro la guerra, al segretario
dell'ONU e ad altre personalita', sullo scandalo del "processo"
Milosevic.
In allegato a questa lettera, Clark ha accluso un documento-analisi
dello squartamento della Jugoslavia, dal titolo "Divide et Impera"
(DIVIDE AND CONQUER), che e' integralmente leggibile alla URL:
http://www.icdsm.org/more/rclarkUN2.htm ]


http://www.icdsm.org/more/rclarkUN1.htm


February 12, 2004

Re: The Trial of Slobodan Milosevic, Former President of the Federal
Republic of Yugoslavia Before the International Criminal Tribunal for
the Former Yugoslavia


Dear Secretary General Annan,


          The Prosecution of the former President of the Federal
Republic of Yugoslavia is scheduled to end its presentation of evidence
to the International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia (ICTY)
on February 19, 2004, more than two years after its first witness
testified.*

          Over 500,000 pages of documents and 5000 videocassettes have
been placed in evidence.  There have been some 300 trial days.  More
than 200 witnesses have testified.  The trial transcript is near 33,000
pages.

          The Prosecution has failed to present significant or
compelling evidence of any criminal act or intention of President
Milosevic.  In the absence of incriminating evidence, the Prosecution
apparently hoped to create a record so massive that it would be years,
if the effort was ever made, before scholars could examine and analyze
the evidence to determine whether it supported a conviction.

          Meanwhile the spectacle of this huge onslaught by an enormous
prosecution support team with vast resources pitted against a single
man, defending himself, cut off from all effective assistance, his
supporters under attack everywhere and his health slipping away from
the constant strain, portrays the essence of unfairness, of persecution.

          In contrast, the Prosecution of the "first trial in history
for crimes against the peace of the world" at Nuremberg began November
20, 1945 against 19 accused and ended just over three months later on
March 4, 1946 after four nations presented evidence.  In his opening,
Chief Prosecutor Robert H. Jackson observed

There is a dramatic disparity between the circumstances of the accusers
and the accused that might discredit our work if we should falter, in
even minor matters, in being fair and temperate. ... We must never
forget that the record on which we judge these defendants is the record
on which history will judge us tomorrow.  To pass these defendants a
poisoned chalice is to put it to our lips as well.

           The Prosecution began its investigation of President
Milosevic under Richard Goldstone of South Africa in October 1994. 
When he left office in December 1996 he had found no evidence to
support an indictment.  His successor, Louise Arbour of Canada,
continued the investigation without formal action until late May 1999
when President Milosevic was first indicted for acts allegedly
committed earlier in 1999. 

          The indictment came during the heavy U.S./NATO bombing of all
Serbia including Kosovo, a war of aggression.  It had killed civilians
throughout Serbia and destroyed property costing billions of dollars to
replace.  It had destroyed President Milosevic's home in Belgrade in an
assassination attempt on April 22, 1999.  The Chinese Embassy in
Belgrade had been bombed on May 7, 1999.  Depleted uranium, cluster
bombs and super bombs had targeted civilians and civilian facilities. 
Hundreds of civilian facilities were destroyed and civilians killed
from Nova Sad to Nis to Pristina.

          The initial indictment made no allegations of any crimes in
Croatia, or Bosnia.  It dealt exclusively with alleged acts by Serb
forces in Kosovo in 1999.  All of Serbia, including Kosovo, remained
under heavy U.S./NATO bombardment at the time of the indictment.  There
were no U.S., or NATO forces, or ICTY investigators in Kosovo. 
Investigation was impossible.  The indictment was purely a political
act to demonize President Milosevic and Serbia and justify U.S. and
NATO bombing of Serbia which was itself criminal and in violation of
the U.N. and NATO Charters.

          As U.S. Ambassador to the U.N., Madeleine Albright led the
U.S. effort to cause the Security Council to create the ICTY. Later she
wrote in her memoir that while she was U.S. Secretary of State she had
sought removal of President Milosevic from office for years:

            "With colleagues Joschka Fischer and others, I urged Serb
opposition leaders to build a real political                
organization and focus on pushing Milosevic out... In public remarks I
said repeatedly that the United                 States wanted Milosevic
'out of power, out of Serbia, and in the custody of the war crimes
tribunal.'" 

          President Milosevic was indicted and is on trial because he
intended and acted to protect and preserve Yugoslavia, a federation
that was essential to peace in the Balkans.  Powerful foreign
interests, supporting nationalist and ethnic groups and business
interests within the several republics of Yugoslavia, were, for their
various reasons, determined to dismember Yugoslavia.  Foremost among
these was the United States.  Germany played a major role.  Later NATO
lent its name to the effort in violation of its own Charter.  The
violence that followed was foreseeable and tragic.

          Throughout there was no more conciliatory leader than
President Milosevic who avoided all out war as Slovenia, Croatia,
Bosnia and Macedonia seceded from the Federal Republic.  For his later
defense of Yugoslavia, reduced to Serbia and Montenegro, he will be
remembered primarily for his compromises at Dayton, Ohio and, later, to
end the brutal U.S. bombing of Serbia from March to June 1999.  His
conduct intended peace and the survival of a core federation of
southern Slavs which in a better day might seed a broader federation of
Balkan states which is essential to peace, political independence and
economic viability in the region.  The U.S. and others intended
otherwise.

          The consequences have been disastrous for each of the former
states of the federal republic.  Today there is economic intervention
and stagnation, political unrest, public dissatisfaction and growing
threats of violence in former Yugoslavia.  The U.S. is courting Croatia
for membership in NATO as the base for European forces to control the
region and maintain its division.  Croatia has sent a small military
unit to assist NATO in Afghanistan and is being pressured to send
troops to Iraq, thereby continuing its confrontations with Muslim
peoples in Croatian and Bosnia.  U.S. Secretary of Defense Rumsfeld,
met with the nationalist leadership of Croatia, including the President
and Prime Minister, on February 8, 2004.  He proclaimed "I look forward
to the day when Croatia becomes a part" of NATO.

          The former President of Yugoslavia is on trial for defending
Yugoslavia in a court the Security Council had no power to create.  In
contrast, the President of the United States, who has openly and
notoriously committed war of aggression, "the supreme international
crime", against a defenseless Iraq killing tens of thousands of people,
spreading violence there and elsewhere, faces no charges.  President
Bush continues to threaten unilateral wars of aggression and presses
for U.S. development of a new generation of nuclear weapons, tactical
nuclear bombs, after invading Iraq on the fabricated claim it was a
threat to the U.S. and possessed weapons of mass destruction.  This can
happen only because power, not principle, still prevails.

         The United Nations cannot hope to end the scourge of war
until it finds the will to outface power and stands united for the
principles of peace.  What better evidence is needed of U.S. intention
to stand above the law and rule by force than the extensive U.S.
efforts to destroy the International Criminal Court and coerce
bilateral treaties in which nations agree not to surrender U.S.
citizens to the ICC.  Compound this obstruction of justice with the
June 30, 2002 statement of the U.S. Permanent Representative to the
U.N., Ambassador John Negroponte, demanding immunity for the U.S. from
foreign prosecution, to which the Security Council submitted. 
Negroponte threatened that the U.S. would veto a pending Security
Council resolution to renew the U.N. peacekeeping mission in
Bosnia-Herzegovina, unless the Security Council provided immunity, that
is impunity, for personnel contributed to Security Council authorized
peace keeping missions.  The purpose was to place U.S. personnel and
U.S. surrogates above the law while U.S. enemies are victims of
discriminatory prosecution in illegal courts. 

          The ICTY and other ad hoc criminal tribunals crated by the
Security Council are illegal because the Charter of the United Nations
does not empower the Security Council to create any criminal court. 
The language of the Charter is clear.  Had such power been placed in
the Charter in 1945 there would be no U.N.  None of the five powers
made permanent members of the Security Council in the Charter would
have agreed to submit to a U.N. criminal report. 

          The ICC was created by treaty, recognizing the U.N. had no
power without amendment of its Charter to create such a court. 
Creation of the ICC should preclude creation of any additional criminal
tribunals and calls for the abolition of those that exist.  They were
created to serve geo political ambitions of the U.S.  The issue is of
the highest importance.  It determines whether the Security Council
itself is above the Charter and the rule of law.

          The ad hoc criminal tribunals are inherently discriminatory,
evading the principles of equality in the administration of justice. 
The discrimination is intended to destroy enemies.  The International
Criminal Tribunal of Rwanda has not indicted a single Tutsi after nine
years, though Faustin Twagirimungu, the first Prime Minister under the
Tutsi RPF government in 1994 and 1995, testified before it that he
believed more Hutu's than Tutsi's were killed in Rwanda in the tragic
violence of 1994.  Hundreds of thousands of Hutu's were slaughtered
later in Zaire, now the Democratic Republic of Congo, and remain
endangered today.  The ICTR is an instrumentality for U.S. support of
Tutsi control in Uganda, Rwanda, Burundi, and for a time and perhaps
again, the Democratic Republic of Congo.

          ICTY prosecutions are overwhelmingly against Serbs and only
Serb leaders have been indicted by it, including not only President
Milosevic and Serb leadership, but Serb leaders in Srpska, the
segregated Serb part of Bosnia.

          As the prosecution of the former President of Yugoslavia
draws to a close his health is seriously impaired and has become life
threatening.  Hearings were cancelled last week because he was too ill
to participate, but the Tribunal added onerous hours of hearings for
the two final weeks of the prosecution case.  Only yesterday the
Tribunal was forced to reduce the hearings to half days because of a
medical report on President Milosevic prepared by court appointed
doctors.  President Milosevic has been kept in total isolation for
months during the period he headed the socialist party's ticket in
parliamentary elections and when his party joined the coalition which
elected the new speaker of the Parliament last week.  Earlier this week
the Tribunal extended his isolation for another month because of
political events in Serbia.

          President Milosevic, imprisoned, his health dangerously
impaired, defending himself alone in the courtroom, has been given less
than three months to prepare his defense to more than two years of
evidence before the defense presentation is scheduled to begin in May. 
These most recent actions of the Tribunal are representative of the
gross consistent unfairness of the proceedings during the years of
President Milosevic imprisonment and the prosecution case against him.

          To properly prepare the defense, it will be necessary to
secure and review tens of thousands of documents, find and interview
hundreds of potential witnesses and organize the evidence into a
coherent and effective presentation. 

          The United Nations must take the following acts in the
interest of simple justice, to right former wrongs, to assess the
legality and fairness of a court it created and to maintain credibility
in the eyes of the Peoples of the United Nations:

1.     Declare a moratorium on all proceedings in all U.N. ad hoc
criminal tribunals for a period of at least six months and for such
additional periods as may prove necessary for the United Nations to:

                                      A. Create a Commission of
international public law scholars and historians to examine the
precedents,  the drafting, language and intention of the Charter of the
United Nations to determine whether the Charter empowers the Security
Council to create any criminal tribunal and, if so, the basis,
authority and scope of such power, or refer the issue to the
International Court of Justice for decision.

                                      B. Create a commission of
international criminal law scholars to review the trial proceedings in
the case against President Milosevic to determine whether legal errors,
violations of due process of law, or unfairness in the conduct of the
trial compel dismissal of the proceedings, and whether the evidence
presented by the prosecution against former President Milosevic to is
sufficient under international law, before any defense is presented, to
support and justify continuation of the trial.

                                      C. Provide former President
Milosevic with funds to retain advisory counsel, investigators,
researchers, document examiners and other experts sufficient to
effectively respond to the evidence presented against him and assure
the time required to complete the task before any further trial
proceedings resume, such efforts being essential even if the court is
abolished, or the prosecution has been dismissed in order to help
establish historic fact for future peace.

                                      D. Provide funds to secure
independent medical diagnoses, treatment and care for former President
Milosevic in facilities in Serbia.


Respectfully submitted,

Ramsey Clark


The identical letter has been sent to:

- Members of the UN Security Council
- The President of the UN General Assembly
- The Secretary General of the UN
- The President of the United States
- The International Criminal Tribunal for Former Yugoslavia


* Submitted with this letter is a 31-page document entitled
Divide and Conquer which supports in greater detail the facts, law
and arguments set forth and the relief requested herein. Its Table
of Contents provides a ready reference to the pages where subject
matters of particular interest will be found.

READ THE COMPLETE TEXT OF "DIVIDE AND CONQUER":

http://www.icdsm.org/more/rclarkUN2.htm

---

STRUGGLE FOR FREEDOM AND TRUTH ABOUT THE SERBIAN
PEOPLE AND YUGOSLAVIA IS IN THE CRUCIAL PHASE. NATO AND
ITS SERVICES IN BELGRADE AND THE HAGUE HAVE NO
INTEREST TO SUPPORT IT.

SO IT TOTALLY DEPENDS ON YOU!

A SMALL TEAM OF PRESIDENT MILOSEVIC'S ASSISTANTS, WHICH
IS BECOMING INTERNATIONAL, HAS TO HAVE CONDITIONS TO WORK
AT THE HAGUE IN THE TIME OF INTENSIVE PREPARATIONS FOR
THE FINAL PRESENTATION OF TRUTH AND DURING THAT
PRESENTATION.

TO DONATE, PLEASE CONTACT SLOBODA OR THE NEAREST
ICDSM BRANCH, OR find the instructions at:
http://www.sloboda.org.yu/pomoc.htm

To join or help this struggle, visit:
http://www.sloboda.org.yu/ (Sloboda/Freedom association)
http://www.icdsm.org/ (the international committee to defend
Slobodan Milosevic)
http://www.free-slobo.de/ (German section of ICDSM)
http://www.icdsm-us.org/ (US section of ICDSM)
http://www.icdsmireland.org/ (ICDSM Ireland)
http://www.wpc-in.org/ (world peace council)
http://www.geocities.com/b_antinato/ (Balkan antiNATO center)


==========================
ICDSM - Sezione Italiana
c/o GAMADI, Via L. Da Vinci 27
00043 Ciampino (Roma)
email: icdsm-italia@...

Conto Corrente Postale numero 86557006
intestato ad Adolfo Amoroso, ROMA
causale: DIFESA MILOSEVIC

L'articolo che segue uscirà, in forma leggermente ridotta, sul n.1,
gennaio-febbraio 2004, de " l'Ernesto " - vedi:
http://www.lernesto.it

Sullo stesso argomento vedi anche le due mozioni contrarie al progetto
di "Partito della Sinistra Europea", presentate alla Direzione
Nazionale del PRC lo scorso 28/1/2004:

Mozione dell'area de "L'Ernesto"
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3129
Mozione dell'area di "Progetto Comunista":
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3144


---

Una operazione politica precipitata che, invece di unire, divide le
forze comuniste e della sinistra anti-capitalistica del continente


La fragile illusione del “partito europeo”


Solo sei degli undici partiti firmatari dell’appello di Berlino -
sugli oltre sessanta che avrebbero potuto essere coinvolti - annunciano
ad Atene la convocazione di un “congresso fondativo” che potrebbe
svolgersi a Roma l’8-9 maggio 2004

di Fausto Sorini
Direzione nazionale del Prc


1) Il fallimento del vertice di Atene del 14-15 febbraio scorsi -
convocato dal Synaspismos alla vigilia delle elezioni politiche in
Grecia, con la speranza (illusoria) di trarne vantaggio nella
competizione elettorale coi comunisti del KKE - segnala una crisi
profonda e una fragilità sconcertante del progetto in campo, su cui
varrebbe la pena che tutti riflettessero responsabilmente. Un vertice
segnato dall’assenza dei maggiori leaders “fondatori” del nuovo
“partito europeo”, che avrebbero dovuto parlare in uno stadio
(manifestazione annullata all’ultimo momento); la partecipazione dei
quali era confermata fino al giorno prima - un piccolo “giallo” dai
contorni tuttora non chiarissimi - e che ha visto, con decisione
dell’ultima ora, la non partecipazione dello stesso leader del Prc e
l’assenza tout court di ogni rappresentanza del Pcf e di Izquierda
Unida. Assenti anche il Pc slovacco e l’Akel di Cipro, mentre i
comunisti della Repubblica ceca (presenti con un osservatore che non fa
parte di alcun organismo dirigente e che aveva il preciso mandato di
non sottoscrivere alcun documento e di non partecipare ad alcuna
iniziativa pubblica, per non interferire nella campagna elettorale
greca) hanno annunciato ufficialmente che il loro partito non
parteciperà ad alcun congresso fondativo prima delle elezioni europee
(1).
Erano dunque presenti solo rappresentanti del Synaspismos, del Prc,
della Pds tedesca, della Sinistra lussemburghese, del Pc austriaco,
della Pds ceka e del Partito dei diritti umani di Lettonia… Ciò
nonostante è stato emesso un comunicato (la cui rappresentatività si
commenta da sola – mancava la metà degli stessi promotori) che, pur
ammettendo che le bozze di Manifesto politico e di Statuto elaborate
dal “gruppo di iniziativa” (i promotori) devono ancora essere approvate
dal medesimo (si sa ad esempio che sullo Statuto esistono ancora
divergenze di fondo) (2) - formalmente annuncia che il vertice di Atene
ha deciso di tenere il congresso di fondazione del “Partito della
sinistra europea” l’8-9 maggio a Roma (3). E chiede che ogni partito
interessato “invii una delegazione composta da 12 persone sulla base
della quota di genere”. Ciò, senza che alcun organismo dirigente di
partito abbia in proposito deliberato alcunchè (cose da socialismo
surreale !).
Come andrà a finire, si vedrà. Noi facciamo un passo indietro, cercando
di ricostruire la vicenda dal principio.

2) Il tema del “partito europeo” sorge, sul piano
tecnico-istituzionale, con l’approvazione del Parlamento europeo, nel
febbraio 2003, di un regolamento sullo “Statuto e finanziamento dei
partiti politici europei”, in attuazione di alcuni articoli dei
Trattati di Maastricht e di Nizza relativi al ruolo dei partiti
politici nell’UE.
Per usufruire dei finanziamenti senza creare complicazioni politiche ai
partiti del GUE-NGL (Sinistra unitaria europea – Sinistra verde nordica
: il gruppo al parlamento europeo che comprende i deputati dei partiti
comunisti e di sinistra alternativa dell’UE), sarebbe stato
sufficiente, come era inizialmente previsto e da tutti condiviso,
optare per una soluzione tecnica che avrebbe consentito di registrare
lo Statuto di un partito “fittizio” per poter accedere ai finanziamenti
previsti (milioni di euro); lasciando che la funzione vera e propria di
un nuovo soggetto politico europeo fosse svolta da un coordinamento
strutturato e permanente di tutti i partiti interessati, su scala
continentale, indipendentemente dai regolamenti UE e dall’appartenenza
o meno dei partiti a Paesi dell’UE.
Così del resto si è fatto per anni coi partiti del GUE-NGL e collegati
(compresi quelli senza deputati europei, ma politicamente affini, e non
necessariamente membri dell’Ue, come è stato per anni il caso dell’AKEL
di Cipro o del Partito della Sinistra socialista di Norvegia).
Si consideri inoltre che il regolamento del Parlamento europeo non
impone ai “partiti europei” di registrarsi col nome di “partiti”, per
cui sarebbe bastato iscriversi come “Sinistra unitaria europea” (lo
stesso nome del GUE) evitando controversie formali e sostanziali,
destinate inevitabilmente a sorgere dalla definizione stessa di
“partito europeo”.

3) Tali “partiti europei”, diversamente dal ruolo previsto per i
partiti politici nelle Costituzioni nazionali (dove essi sono libera
espressione della società civile e non emanazioni dello Stato), sono
invece vincolati alle istituzioni della UE. Per cui è il Parlamento
europeo che ne approva l’esistenza, che giudica se il loro Statuto è
conforme o no coi principi di “democrazia liberale” su cui si fonda
l’UE, e che può quindi al limite deciderne lo scioglimento, qualora
essi non “rispettino le proposte fondamentali dell’Unione riguardo
libertà, democrazia, diritti umani, libertà fondamentali e norme di
legge… in accordo con il Trattato e la Carta dei Diritti Fondamentali
dell’UE”.
Faccio notare che - al limite - politiche di solidarietà con Cuba o con
paesi dove vigono criteri di “democrazia” diversi rispetto a quelli
vigenti nell’UE, potrebbero essere motivo per impugnare la legittimità
del “partito europeo” che dovesse praticarle; e così per una linea di
solidarietà con la resistenza irakena o con le FARC colombiane, che
l’UE definisce “organizzazioni terroriste”; o per uno statuto di un
partito europeo che ad esempio si richiamasse al leninismo, a principi
cioè ritenuti incompatibili con la “democrazia liberale”.

SOVRANITA’ LIMITATA

Tali “diritti di interferenza” non preoccupano i partiti dominanti,
interni alle compatibilità del sistema UE, né quei partiti di “sinistra
alternativa” che, pur critici delle politiche attuali dell’UE, non ne
mettono in discussione i presupposti e non oltrepassano talune
“compatibilità”. Mentre vi sono partiti comunisti, rivoluzionari,
antimperialisti, con un certo profilo identitario ed una collocazione
internazionale “poco compatibile”, che hanno più di un motivo per non
attendersi alcuna “benevola tolleranza” da parte dei gruppi dominanti
di questa Unione europea e dei meccanismi “bipartizan” che sulle
questioni di fondo e di sistema dominano a larghissima maggioranza
l’attuale Parlamento europeo, come si è visto ad esempio sulla vicenda
di Cuba (4).
Dunque, e cito ancora dal regolamento UE, “se il Parlamento europeo
giudica, nella maggioranza dei suoi membri, che la condizione non è più
soddisfatta, lo statuto del partito politico in questione sarà rimosso
dal registro… e sospeso ogni finanziamento..., i finanziamenti erogati
indebitamente saranno restituiti… e con identica procedura potranno
essere comminate adeguate sanzioni finanziarie”. (5)

4) Come si vede, questi “partiti europei” godono di “sovranità
limitata” e sono per molti versi dipendenti dalle istituzioni UE, che
non sono neutrali, ma configurano un processo di concentrazione
neo-imperialistica del capitalismo europeo nella competizione globale.
Cambia la natura del partito politico. Ed anche per questo sarebbe
preferibile una soluzione tecnica, volta ad assicurarsi i
finanziamenti; per poi operare in piena autonomia – sul piano politico
– per la costruzione di un soggetto politico europeo, su basi
continentali, che esprima un coordinamento efficace, permanente e
strutturato, svincolato dalle istituzioni UE. Ad esempio, un Forum
tipo quello di San Paolo, che comprende tutta la sinistra
antimperialista latino-americana. Un forum aperto ai partiti comunisti
e di sinistra anticapitalistica di tutto il continente europeo,
collegato ai movimenti sociali e di lotta, non solo dei paesi dell’UE.
(6)
Si obietta che la formula del “coordinamento “ tra i partiti si è
dimostrata, nell’esperienza decennale del GUE, una formula inefficace,
incapace di produrre vere e proprie campagne di massa coordinate su
scala europea. E non si vuole comprendere che l’origine di tale
inefficacia, che è reale, non nasce dalle formule organizzative, ma da
divergenze politiche di fondo che in molti casi hanno diviso i partiti
del GUE e cito il solo esempio della guerra contro la Jugoslavia, dove
alcuni partiti, pur criticando l’intervento militare, facevano parte di
governi belligeranti (Francia, Italia), altri erano all’opposizione e
frontalmente avversi alla guerra, altri ancora (penso ad alcune
formazioni nordiche, che non cito per pudore…) erano addirittura
possibilisti sull’opportunità dell’intervento “umanitario” della Nato
“contro il regime di Milosevic”. C’è qualcuno disposto a credere che se
tutte queste forze fossero state riunite in un unico “partito europeo”,
la paralisi dell’iniziativa congiunta sarebbe stata minore?
Viceversa, un organismo non partitico come il Forum di San Paolo, che
raggruppa oltre cento formazioni politiche, ed è coordinato a rotazione
da un gruppo ristretto, ha dimostrato di saper dare impulso - quando
c’è accordo politico –a campagne di massa su scala continentale, come
quella contro l’ALCA (l’accordo di libero scambio, sostenuto dagli
Stati Uniti, che farebbe delle Americhe un unico grande mercato
ultra-liberista, subordinato al capitalismo USA).

5) Troppo spesso si dimentica che l’UE non è tutta l’Europa.
Ma, mentre i partiti europei conservatori, socialdemocratici e verdi
lavorano sull’insieme del continente (7), Russia compresa (Gorbaciov è
uomo che lavora a stretto contatto dell’Internazionale socialista); e
così fanno le borghesie più lungimiranti (si pensi all’asse
franco-tedesco e alla ricerca di convergenze con la Russia), i partiti
comunisti e di sinistra alternativa (alcuni di essi) operano come se ci
fosse ancora il Muro di Berlino e ignorano l’altra parte dell’Europa.
Eppure i maggiori partiti comunisti e di sinistra anticapitalistica si
trovano ad est, nella Repubblica ceka, nelle repubbliche europee
dell’ex Urss, ma vengono sistematicamente esclusi dai processi di
aggregazione della sinistra europea, sulla base di veti di natura
ideologica, di segno anti-comunista. Veti che sono venuti soprattutto
(ma non solo) dai partiti della Sinistra Verde Nordica, ma che gli
altri partiti del GUE, con la sola eccezione dei comunisti greci (Kke)
e portoghesi (Pcp), hanno avuto la colpa di subire passivamente, per
oltre dieci anni, o di accettare in silenzio senza troppi turbamenti…
(8).
Si consideri inoltre che nel Consiglio d’Europa (organismo dove sono
presenti delegazioni dei Parlamenti nazionali di tutti i paesi europei,
non solo UE) esiste un gruppo parlamentare che si chiama anch’esso GUE,
che comprende non solo i partiti del GUE del Parlamento europeo, ma
anche rappresentanti comunisti e di sinistra di Russia, Ucraina,
Bielorussia, Moldavia... Basterebbe far funzionare questo GUE-bis ed
ecco che già esisterebbe bella e pronta una sede politica e
istituzionale in cui coordinare tutte le forze su base continentale,
senza preclusioni nei confronti di alcuno. Solo che è mancata e manca
la volontà politica, da parte di alcune forze della sinistra
dell’Europa occidentale, di operare in questo senso. Mentre si vuole
procedere a tappe forzate alla fondazione e strutturazione di un tipo
di “partito europeo” che non solo lascia fuori la maggioranza dei
partiti comunisti dell’Est e dell’Ovest, ma crea fratture profonde tra
gli stessi partiti del GUE-NGL (diviso almeno in quattro pezzi) e
all’interno di alcuni di essi (9).

6) Vediamo meglio, in sintesi, la geografia politico-identitaria dei
partiti del GUE-NGL, e i quattro “poli” che sono venuti formandosi, a
partire non solo da valutazioni diverse sul “partito europeo”,
questione in ultima analisi di tipo “sovrastrutturale”, ma da
differenti impianti strategici di analisi e di proposta rispetto
all’Unione europea e alle prospettive di “un’altra Europa”.

QUATTRO POLI DI AFFINITA’

- Un primo polo comprende i partiti che premono, sia pure con modalità
e intensità diverse, per una fondazione formale del nuovo “Partito
della Sinistra Europea”, e che - con incertezze ed esitazioni
soprattutto nella leadership del Pcf - sembrano disposti a procedere
alla svelta, anche se ciò crea divisioni. Questo polo comprende, come
“gruppo di testa”, le leadership di Izquierda Unida, Prc, Pds tedesca e
Pcf.
Questi quattro partiti (erroneamente definiti “eurocomunisti”, benchè,
eccetto la Pds, provengano alla lontana da quella storia) stanno
vivendo – con forme e modalità diverse – processi interni di mutazione
identitaria. Tali processi non sono omogenei, ma certamente hanno in
comune - e cerco di sintetizzare senza caricature - per alcuni (Iu,
Pds) un esplicito e dichiarato distacco dall’identità comunista, per
altri (soprattutto il Prc) una “rottura” col leninismo e con una serie
di riferimenti “classici” del cosiddetto “marxismo novecentesco” . Sono
essi a dare il “segno” e la “prospettiva” identitaria del “Partito
della Sinistra Europea”.
IU si definisce oggi come una formazione “eco-socialista”, e il ruolo
indipendente dei comunisti del Pce è venuto negli anni sempre più
indebolendosi e diluendosi come sua componente interna, più che come
partito che opera con un suo rapporto autonomo con la società.
La Pds tedesca si definisce da tempo un “partito socialista”, “né
comunista, né socialdemocratico”.
Una parte della maggioranza attuale della dirigenza Pcf punta, insieme
alla componente dei “rifondatori”, allo scioglimento del Pcf in un
nuovo “polo di radicalità”, una sorta di Izquierda Unida alla francese.
Il dibattito nel Prc è noto ai lettori di questa rivista, e non c’è
dubbio che esso abbia forti valenze identitarie; e, nell’ iniziativa
del suo Segretario, di forte rottura e discontinuità con la tradizione
comunista, italiana e internazionale.
I partiti che si sommano a questo “gruppo di testa” sono marginali, dal
punto di vista della consistenza : il Pc austriaco (0,…% in termini
elettorali); il Synaspismos greco (2-3%), che anch’esso dichiara una
identità eco-socialista; il Partito socialdemocratico del lavoro di
Estonia (0,…%); la Sinistra democratica della Repubblica ceca (0,…%),
sorta da una miniscissione “occhettiana” del PC ceko di chi voleva
cambiare il nome comunista; la Sinistra del Lussemburgo (un deputato
su 60 alle ultime elezioni nazionali), minuscola coalizione di varie
componenti, con una forte corrente trotzkista interna.
Al di là dei profili identitari, queste nove formazioni politiche
esprimono, sul piano strategico e politico-programmatico, due
importanti convergenze : la ricerca, nel contesto attuale, di alleanze
di governo con le socialdemocrazie dei rispettivi Paesi, e
l’accettazione dell’Unione europea come quadro strategico
imprescindibile della propria collocazione. Ovvero : le critiche anche
forti che vengono condotte alle politiche concrete dell’UE (soprattutto
in tema di liberismo) non configurano a medio termine un progetto
strategico di Europa alternativa all’UE e comprensiva di tutti i Paesi
del continente, dal Portogallo agli Urali (includente la Russia).

UN DIBATTITO CHE INVESTE
IDENTITA’ E STRATEGIA

Si tratta, in tale materia, di una posizione sostanzialmente affine a
quella delle correnti di sinistra della socialdemocrazia europea (e
questo è sostanzialmente l‘impianto politico-culturale dell’Appello di
Berlino e del Manifesto politico - che un giorno forse verrà reso noto
– del “Partito della Sinistra Europea); con un dibattito trasversale -
non solo alle forze di sinistra - tra chi propende (come Iu, la Pds
tedesca, il Synaspismos, la maggioranza del Prc) per un modello
federale di Unione europea, con relativo superamento del diritto di
veto nelle decisioni comunitarie; e chi invece (come ad esempio il Pcf)
propende per un modello confederale, in cui le prerogative e le
sovranità degli Stati nazionali (diritto di veto incluso, sulle
questioni di fondo come ad esempio la politica estera e di sicurezza)
siano salvaguardate.
Vi sono anche in questo polo, in materia europea, differenze politiche
e programmatiche importanti : primo fra tutte il giudizio sul progetto
di nuova Costituzione europea. Nessuno contesta il principio di una
costituzionalizzazione dell’UE, che tutti accettano come quadro
strategico : ma alcuni sono fortemente critici del progetto attuale in
campo, che accusano di “liberismo” e di forte ambiguità nel ripudio
della guerra (Prc, Pcf…), mentre altri appaiono assai più possibilisti
(Iu, Pds, Synaspismos…) se non addirittura favorevoli (4 deputati
europei su 5 della Pds tedesca hanno votato a favore, un quinto – il
presidente onorario Hans Modrow – ha chiesto in un secondo tempo di
modificare in astensione il suo iniziale voto favorevole…).
Il punto di forza di questo polo è che esso rimanda a quattro dei
principali paesi dell’UE (Germania, Francia, Italia, Spagna), al di là
della forza politica ed elettorale dei rispettivi partiti, che ruota
attorno al 5%.
Complessivamente questo polo conta un bacino di circa 300.000 iscritti
e 6 milioni di voti.

- Un secondo polo comprende la maggioranza dei partiti comunisti
dell’UE : greci (Kke), portoghesi, ciprioti (Akel), ceki (Kscm),
slovacchi (Kss), ungheresi (Munkaspart), tedeschi (Dkp), finlandesi
(Cpf), danesi (due piccoli partiti), irlandesi (Cpi e Workers’ Party),
belgi, luxemburghesi (Pcl), PdCI…
Con diversa intensità critica e preferenza di argomenti, sono critici
sul processo in atto : soprattutto perché divide invece di unire,
perché subordinato (secondo alcuni) alle istituzioni UE, perché guidato
ideologicamente da partiti con una identità non comunista o in
“mutazione”. Non è vero che questi partiti, o qualcuno tra essi,
chiedano un partito europeo o un coordinamento di soli comunisti, o una
nuova internazionale comunista, contrapposta all’esigenza di un
coinvolgimento più largo di forze di sinistra anti-capitalistica e
alternativa. Chi dice questo, o non è informato (e allora lo faccia,
prima di parlare) oppure fa consapevolmente della disinformazione. E
allora bisogna smetterla di fare delle caricature delle posizioni
altrui, soprattutto nei confronti del Kke.
Tutti i maggiori partiti comunisti europei sono d’accordo per un
coordinamento più largo (tipo Gue); alcuni di essi chiedono, non in
alternativa, ma in modo complementare, che i comunisti abbiano un luogo
(non un partito o un’internazionale) in cui discutere tra comunisti le
problematiche e le iniziative che sono proprie della peculiarità
comunista, e che non possono essere chieste e men che meno imposte a
chi comunista non è. Non si capisce perché la Sinistra verde nordica o
le formazioni trotzkiste possano avere luoghi propri e autonomi di
raccordo – anche in forma di sub-componenti del GUE-NGL, non
contrapposte o in alternativa ad esso - e questa esigenza debba essere
negata o esorcizzata nel caso dei partiti comunisti.
Sul piano strategico, politico e programmatico, questo polo – nella
quasi totalità delle forze che lo compongono (10) - si caratterizza per
una critica di fondo all’UE, considerata espressione di un progetto
strategico in cui il grande capitale europeo – imperniato sull’asse
franco-tedesco – si propone di favorire la formazione di un nuovo polo
imperialista, integrato sul piano economico, monetario (l’euro),
politico-istituzionale (la nuova Costituzione) e militare (l’esercito
europeo), più autonomo dall’egemonia Usa e in competizione globale con
le altre potenze emergenti, in un mondo dove le spinte al
multipolarismo evidenziano un processo irreversibile. Da questa
consapevolezza nessuno - tra i partiti comunisti - trae la conclusione
di prospettare oggi l’uscita dall’UE, che è un dato certamente non
congiunturale della realtà europea da cui sarebbe velleitario
prescindere. Ma neppure si sostiene (come invece fanno i
socialdemocratici ed anche alcune forze di sinistra alternativa) che
l’UE sia l’unico orizzonte possibile entro cui lavorare e lottare per
un'altra Europa. La quale, per essere “altra”, deve poggiare su basi
strategiche alternative al neo-imperialismo europeo e comprendere tutto
il continente, Russia compresa, non essendo oltretutto la Russia di
oggi una realtà omogenea a tale imperialismo, ma una realtà – come
dicono a Washington – dalla” transizione incerta” (11).
Complessivamente questo insieme di forze comuniste conta un bacino di
circa 400.000 iscritti e 3 milioni di voti.

LA SINISTRA VERDE NORDICA

- Un terzo polo è formato dai partiti del Nord Europa (“Sinistra verde
nordica”), che non escludono di lasciare il GUE, da essi considerato
troppo segnato dalla presenza dei comunisti : una presenza che potrebbe
uscire rafforzata nel nuovo Parlamento europeo dall’ingresso di un
numero significativo di comunisti dell’Est, che questi partiti nordici
vedono come il fumo negli occhi. Il che potrebbe indurli a ricercare un
maggiore collegamento coi Verdi europei. Si vedrà, dopo le elezioni.
Sta di fatto che il 1° febbraio scorso, a Reykjavik (capitale
dell’Islanda), cinque partiti del Nord Europa hanno tenuto un meeting
per formalizzare la fondazione della “Alleanza della Sinistra Verde
Nordica” (NGLA), con tanto di Manifesto politico e di Statuto. Ne fanno
parte i quattro partiti finora collegati al GUE-NGL (il Partito della
Sinistra svedese, il Partito socialista popolare danese, l’Alleanza di
sinistra finlandese – facenti parte dell’UE – ed il Partito della
sinistra socialista di Norvegia (fuori dall’UE), cui si è aggiunto il
Movimento della sinistra verde d’Islanda, anch’essa fuori dall’UE (12).
Questo nuovo aggregato “gioca in proprio” e appare sempre più
disinteressato a qualsivoglia progetto di “partito europeo”.
Questi partiti sono contro l’Unione europea come tale: norvegesi e
islandesi si battono per starne fuori; svedesi, finlandesi e danesi
vorrebbero uscirne. La natura della critica che essi rivolgono all’UE
non coincide, nelle argomentazioni strategiche, con quella
anti-capitalistica e antimperialista dei comunisti, ma si configura
piuttosto come una difesa di tipo socialdemocratico di uno Stato
sociale avanzato, che essi vedono nei loro paesi minacciato (e con
ragione) dai parametri dell’UE di Maastricht, della Banca centrale
europea, dell’euro e del patto di stabilità. E a tale minaccia
reagiscono cercando di difendere spazi di autonomia nazionale e
regionale, fuori dall’UE.
Complessivamente questa Alleanza nordica conta circa 60.000 iscritti e
un milione e mezzo di voti.

- Un quarto polo è quello trotzkista, oggi escluso dal “partito
europeo” per l’opposizione di molti partiti, comunisti e non, inclusi
Pcf e Pds tedesca, che fanno parte del “gruppo di testa” dei fondatori.
L’argomentazione con cui viene motivata tale opposizione è che le
formazioni trotzkiste, diversamente dalle altre, dispongono già – oltre
alla Quarta internazionale - di un loro coordinamento permanente e
strutturato su scala europea (la “Conferenza europea della Sinistra
anticapitalista”), di cui fa parte – unico partito del GUE – anche il
Prc; Conferenza che esclude la quasi totalità degli altri partiti del
GUE. Per cui, obiettano alcuni, le formazioni trozkiste non possono
tenere il piede in due o tre scarpe contemporaneamente.
Sul piano strategico, queste formazioni giudicano l’UE - così come la
più parte dei partiti comunisti – come l’espressione di un progetto
neo-imperialista. Ma rispetto ai partiti comunisti tendono a
svalorizzare il tema della dimensione nazionale dello scontro di classe
e della necessaria difesa della sovranità degli Stati nazionali
dall’invadenza delle politiche reazionarie delle strutture
sovranazionali dell’UE. Come è caratteristico della tradizione dei
gruppi trotzkisti, pur diversi tra loro, essi tendono a spostare tutto
sul terreno di una “sovranazionalità alternativa” (scioperi europei,
coordinamento sovranazionale delle lotte, un programma di alternativa
socialista all’Europa del capitale…); il che, francamente, si presenta
allo stato come una fuga in avanti velleitaria, priva di solidi agganci
con la realtà nazionale e con i livelli di coscienza reali (non
immaginari) dei movimenti operai dei singoli paesi.
Complessivamente questo polo conta circa 15.000 militanti in tutta la
Ue, e 1 milione e mezzo di voti (forse due, forse meno, vista
l’imprevedibile e consistente oscillazione del voto francese alle
formazioni trotzkiste, come hanno dimostrato le consultazioni degli
ultimi anni).

7) Le modalità attraverso le quali si è giunti al meeting di Berlino
del 10-11 gennaio 2004 e poi all’incontro del 14-15 febbraio ad Atene,
sono a dir poco sconcertanti dal punto di vista del metodo democratico,
della correttezza e della pari dignità tra le diverse forze della
“sinistra alternativa”.

QUANDO IL METODO E’ SOSTANZA

Ciò ha prodotto un clima di crescente sfiducia reciproca, di non lealtà
e trasparenza nelle relazioni tra i partiti, che minano alla radice i
presupposti di una vera solidarietà e unità d’azione (13), già rese
complesse dall’esistenza, tra i partiti del GUE, di divergenze
politiche e programmatiche che da sempre rendono precaria l’unità e
l’iniziativa comune. Ciò dovrebbe consigliare a tutti di evitare
forzature, come è appunto quella, precipitosa, della costruzione
accelerata di un “partito europeo”, che presupporrebbe ben altre
convergenze strategiche (14).
Qual è stato invece l’iter del “partito europeo”?
Il primo incontro si è svolto nell’aprile 2003 ad Atene, su iniziativa
del Synaspismos, che ha invitato tutti i partiti collegati al GUE-NGL,
eccetto il PC greco (KKE), escluso d’ufficio prima ancora di
cominciare. Sarebbe come se il PdCI avesse convocato tale incontro a
Roma, invitando tutti meno Rifondazione.
Il secondo incontro si è svolto ancora in Grecia nel giugno 2003, con
la reiterata esclusione del KKE. Nel frattempo si elaboravano varie
bozze di Statuto e di Manifesto che a tutt’oggi – sullo Statuto – non
sono ancora pervenute a soluzioni unitarie, nemmeno tra i quattro del
“gruppo di testa”. A questo punto il KKE si è ritirato da ogni
partecipazione al processo e il rapporto non è stato più recuperato.
Sempre esclusi i partiti dell’Est.
Il terzo incontro si è svolto a Madrid, su iniziativa di IU, il quarto
a Bruxelles. Sempre esclusi i partiti dell’Est. Il quinto incontro si è
svolto a Berlino nel gennaio 2004, dove la Pds ha invitato, in qualità
di osservatori, alcuni partiti dell’Est (e questo è un passo avanti);
ma anche qui con criteri arbitrari (esclusi ad esempio i comunisti e
altre forze di sinistra alternativa ungheresi, polacche, bulgare,
rumene, dei Paesi baltici, della ex Jugoslavia, dell’Ucraina, della
Moldavia, della Bielorussia, della Russia europea…). Escluso, da
sempre, il PC tedesco (Dkp), sulla cui partecipazione a questi incontri
la Pds ha sempre posto il veto. Infine, ancora Atene, di cui si è detto.

8) Ben più realistica, unitaria ed elettoralmente efficace sarebbe oggi
la via di un manifesto politico e programmatico comune per le elezioni
europee, sui temi unificanti (salari, pensioni, stato sociale, pace e
cooperazione, ecc.). Lo hanno dimostrato recenti iniziative del Pcf e
del Pcp, prese con questo spirito, che hanno trovato un consenso assai
più largo e la disponibilità a sottoscrivere un manifesto comune da
parte di quasi tutti i partiti comunisti e di sinistra alternativa dei
25 Paesi che il 13 giugno prenderanno parte alle elezioni europee.
Mentre una divisione plateale tra questi partiti, alla vigilia delle
elezioni, sulla questione del “partito europeo” avrebbe un effetto
politico e di immagine sicuramente negativo per tutto lo schieramento,
che verrebbe sfruttato ed enfatizzato mediaticamente dai partiti
dell’Internazionale socialista e dai Verdi europei per presentare una
sinistra comunista e alternativa divisa e rissosa, e quindi poco
credibile.
Il minimo che si possa fare a questo punto, per non cristallizzare
divisioni irrimediabili e tenere aperto un processo unitario, è di
rinviare ogni formalizzazione fondativa del “partito europeo” a dopo le
elezioni. Per poi riprendere l’iter della discussione su basi
finalmente unitarie e di pari dignità, bandendo veti, pregiudiziali,
esclusioni di ogni tipo : aprendo a tutte le forze comuniste e di
sinistra alternativa del continente, per pervenire insieme, senza
precipitazioni né forzature organizzative, a soluzioni condivise da uno
schieramento assai più ampio di quello decisamente minoritario raccolto
fino ad oggi.


NOTE

(1) In una risoluzione del 4.10. 2003 del CC del Kscm, apertamente
critica del progetto in campo di “partito europeo”, si affermava già
quattro mesi fa che “la istituzionalizzazione della cooperazione tra i
partiti della Sinistra può essere conseguita solo come il naturale
approdo di una fase di unità d’azione praticata con successo. Bypassare
questo stadio non potrà, allo stato attuale, contribuire ad una reale
unità della Sinistra europea”. Nonostante alcune iniziative personali
di qualche esponente, prive di mandato degli organismi dirigenti, il
Kscm ha sempre riconfermato la sua posizione iniziale e segnatamente
nella sua Direzione del 16.1.2004, nel CC del 25.1.2004, nella
Direzione del 6 febbraio scorso, la cui risoluzione (resa pubblica)
sostiene che “i maggiori partiti dei Paesi dell’Europa orientale devono
essere coinvolti nel processo fondativo”, che “vanno respinti approcci
selettivi, che hanno finora dominato tale processo”, che “tempi e
modalità di fondazione non debbono compromettere l’effettiva unità del
movimento comunista in Europa e pertanto questo soggetto politico non
deve essere costituito prima delle elezioni europee”, che “ per il Kscm
la priorità è l’unità programmatica e l’unità d’azione della sinistra
in Europa”, che “ la sinistra europea non deve identificarsi con le
istituzioni dell’Unione Europea”, che “ i rappresentanti del Kscm
staranno in questo processo con la funzione di osservatori attivi, e
non decideranno alcun passo ulteriore senza l’approvazione del Comitato
centrale”.
Solo chi è disinformato, o ha preferito non vedere, ha potuto
diffondere in proposito interpretazioni prive di fondamento.

(2) Le divergenze, tra i promotori, sono tra chi (ad es. le leadership
del Prc, della Pds, del Synaspismos…) vuole uno Statuto “pesante”, da
vero e proprio organismo sovra-nazionale, che possa prendere decisioni
anche a maggioranza qualificata, e che preveda la possibilità di
iscrizione al partito europeo anche da parte di movimenti,
associazioni, addirittura singoli cittadini, anche iscritti o gruppi di
iscritti di altri partiti (correnti ?) che non fanno parte, come
partiti, del “soggetto europeo”; e chi, invece (ad esempio il Pcf, e
anche altri) chiede – pena la sua non adesione al progetto – che lo
Statuto rispetti appieno la sovranità di ogni partito nazionale, che
dunque preveda che le decisioni vengano presa su basi consensuali e non
a maggioranza, e che si oppone alle iscrizioni individuali (che
aprirebbero la via, tra l’altro, all’interferenza “sovranazionale”
nella vita interna degli altri partiti) e alla iscrizioni di non meglio
precisate associazioni, che renderebbero labili i confini tra partito e
movimenti, coi quali invece va stabilito un rapporto stretto di
cooperazione, nella reciproca autonomia.

(3) La scelta della sede diventa un problema politico serio se si
pretende di tenere il congresso fondativo prima delle elezioni europee.
E se si vuole rispettare il principio aureo della non interferenza,
andrebbero esclusi quei Paesi dove si svolge una competizione
elettorale tra partiti che fanno entrambi parte del GUE, ma sono divisi
sul “partito europeo”. Ad esempio andrebbero escluse la Grecia
(competizione tra Kke, Synaspismos e Dikki), la Francia (Pcf e liste
trotzkiste), e anche l’Italia (competizione Prc e PdCI). Mentre non vi
sarebbero problemi di tale natura in Spagna, in Germania, in
Austria…Non a caso, in un intervista a Neues Detschland del 16
febbraio, a commento dell’incontro di Atene, uno dei maggiori esponenti
della Pds tedesca, Wolfgang Gehrcke, rileva che nel processo di
discussione “in Italia il PdCI partecipa come osservatore, accanto al
partito di Bertinotti e – come da nostra richiesta – entrambi i partiti
dovranno cooperare nel congresso di fondazione”. Ve lo immaginate ?
Come si vede, tutto sarebbe più semplice dopo le elezioni.

(4) Si noti invece che la messa fuorilegge di alcuni partiti comunisti
nei Paesi baltici (i cui dirigenti sono in galera da anni) che stanno
per entrare nell’UE, o la persistenza in Paesi UE come l’Ungheria, la
Repubblica ceka, la Slovacchia, di legislazioni che vietano e
perseguono penalmente l’uso dei simboli e della “propaganda comunista”,
per cui si sono istruiti veri e propri processi, ultimo quello a carico
di Attila Vajnai, vice-presidente del Partito dei lavoratori ungheresi
(Munkaspart) perché portava all’occhiello un distintivo con la stella
rossa, non è invece stato ritenuto motivo sufficiente per contestare la
conformità di questi Paesi ai principi “democratici” sanciti dai
Trattati Ue.
Sono note le recenti dichiarazioni allucinanti di alcuni esponenti del
Partito Popolare Europeo, secondo cui dovrebbe essere vietata la
possibilità di candidarsi al Parlamento europeo a quanti hanno
rivestito ruoli di responsabilità nei passati regimi “totalitari”
dell’Est europeo.
Viene da chiedersi quali interferenze nella vita interna, negli
ordinamenti statutari e nei finanziamenti pubblici (con relative
sanzioni) potrebbe esercitare un Parlamento europeo ove prevalessero
orientamenti reazionari di tale natura. Eventualità questa tutt’altro
che fantascientifica, nel contesto attuale, dove un membro della
Commissione UE (il “governo” dell’Unione europea) come il tedesco
Gunter Verheugen - socialdemocratico SPD, già alto funzionario dei
Ministeri degli Interni e degli Esteri del suo Paese, oggi Commissario
responsabile per l’allargamento dell’UE ad altri Paesi - nella
discussione avvenuta il 30 settembre 2003 nella seduta del Comitato per
gli affari esteri del Parlamento europeo, rispondendo a una domanda
circa le clausole che mettono fuori legge i partiti comunisti e i loro
simboli in alcuni Paesi dell’Est europeo membri della UE, ha replicato
: “Se mi è consentito esprimere un commento politico, posso affermare
che se personalmente avessi sperimentato ciò che i popoli hanno
sperimentato in Europa orientale, sarei il primo a chiedere che il
Partito Comunista sia messo al bando in quei paesi” (questo si chiama
parlar chiaro!). A seguito di una lettera di protesta per queste
dichiarazioni, inviata dal deputato europeo del PC greco (Kke) Stratis
Korakas al Presidente della Commissione europea Romano Prodi,
quest’ultimo ha replicato che “la messa al bando del Partito Comunista
in un paese che sta per entrare nell’UE, in nessun caso può
rappresentare causa di particolare dibattito nell’ambito dei criteri
politici prima menzionati” (il riferimento è ai criteri espressi dal
vertice UE di Copenaghen del 12-13 dicembre 2002, che ha dato il via
libera all’allargamento dell’UE da 15 a 25 Paesi, dove otto su dieci
dei nuovi ingressi riguardano Paesi dell’Est europeo e dell’ex Unione
Sovietica). “Tali dichiarazioni – commenta una nota della Sezione
esteri del Kke – non solo legittimano le clausole non democratiche, le
interdizioni e le persecuzioni anticomuniste in una serie di Paesi UE,
ma creano le condizioni per una potenziale estensione di tali misure ad
altri Stati membri, dal momento che introducono l’idea che la
democrazia e la messa al bando dei partiti comunisti sono compatibili”.

(5) Interferenze nella vita interna dei partiti, dei loro Statuti,
delle modalità di auto-finanziamento, cominciano a manifestarsi anche
nelle legislazioni nazionali di alcuni Paesi UE. Ad esempio il Partito
comunista portoghese è impegnato da tempo in sede nazionale in una dura
lotta politico-istituzionale contro leggi sostenute con logica
“bipolare” da conservatori e socialisti, che prevedono pesanti
interferenze nella vita interna dei partiti, nella definizione dei loro
Statuti, e giungono a limitarne ai minimi termini le possibilità di
autofinanziamento non derivante dal contributo dello Stato
(autofinanziamento militante che nel caso del Pcp raggiunge percentuali
del 70% e rende tale partito non così dipendente dal finanziamento
statale).

(6) La Tesi 35 e il documento politico conclusivo del 5° Congresso
nazionale del Prc prospettano la “costruzione di un nuovo soggetto
politico europeo (non si parla di un partito – ndr) per UNIRE… le forze
della sinistra comunista, antagonista e alternativa SU SCALA
CONTINENTALE … nelle loro diversità politiche e organizzative” e senza
pensare “né ad una fusione organizzativa, né ad un compattamento su
base ideologica”.
In realtà le modalità scelte per il dibattito su scala europea e le
accelerazioni impresse dalle leadership di alcuni partiti hanno
prodotto una situazione di divisione profonda e preoccupante tra i
maggiori partiti comunisti e di sinistra alternativa europei, e in
molti casi all’interno di essi, persino tra i partiti promotori
dell’”Appello” di Berlino (come è il caso del Pcf e dello stesso Prc);
e divisioni profonde all’interno del GUE-NGL che rischiano, se non si
cambia strada, di pregiudicarne una ricomposizione unitaria nella
prossima legislatura.
Invece di UNIRE, si moltiplicano le divisioni e le dissociazioni; e
questo sì contraddice lo spirito e la lettera della Tesi 35.
Su oltre 40 partiti comunisti e di sinistra alternativa attivi nei
paesi dell’UE, che diventano oltre 60 se si considera l’Europa SU SCALA
CONTINENTALE, solo 11 hanno sottoscritto l’Appello di Berlino, e già
due di essi (il Partito comunista ceko e il Partito comunista slovacco)
hanno rivisto la loro posizione, non hanno partecipato all’incontro di
Atene del 14-15 febbraio 2004, e hanno preso visibilmente le distanze
da ipotesi precipitose di Congresso costituente.
Per valutare appieno la portata delle decisioni dei partiti dell’Est,
va detto che – nonostante le divergenze politiche e ideologiche con
l’ipotesi in campo di “Partito della sinistra europea” – essi avrebbero
un interesse pragmatico a parteciparvi, per avvalersi dei finanziamenti
(e si tratta di partiti in condizioni finanziarie assai più precarie
dei loro “cugini” dell’Europa occidentale), ed anche un interesse a
utilizzare la “protezione” del “partito europeo” rispetto alle
legislazioni ferocemente anti-comuniste dei loro Paesi. In questo senso
la loro scelta politica di non aderire al progetto in campo – comunque
la si voglia valutare - assume un peso politico di grande rilevanza e
coerenza con le proprie posizioni di principio.
I nove partiti i cui leader sembrano disposti a partecipare ad un
congresso costituente del “partito europeo” prima delle elezioni
europee, contano complessivamente circa 300.000 iscritti, con un bacino
elettorale di circa 6 milioni di voti. Gli altri contano nella sola UE
circa 400.000 iscritti e circa 6 milioni di voti; e complessivamente,
considerando l’insieme del continente, circa 1 milione di iscritti e
oltre 20 milioni di voti. Ovvero : gli “inclusi” contano in voti e
iscritti circa il 20% dell’insieme della sinistra comunista e
alternativa europea. Se questo vuol dire UNIRE, sarà bene ripensarci.

(7) Il 20-22 febbraio si terrà a Roma il congresso di fondazione del
Partito dei Verdi Europei, che riunirà 32 partiti membri effettivi (più
7 osservatori) di 36 paesi di tutto il continente (membri e non membri
UE). Un soggetto politico che effettivamente unifica e coordina
l’insieme della galassia ecologista europea, e che vede tra i suoi
membri effettivi i Verdi di Russia, che raccordano in forma
interregionale, una serie di formazione ecologiste i Georgia, Ucraina,
Romania; e , come osservatori, i Verdi di Serbia, Albania, Slovenia,
Moldavia… Così si lavora e si unisce !
“ Si dice che le altre “famiglie” (Verdi, Socialisti) hanno i loro
partiti europei e che noi non possiamo farne a meno. Ma in quelle tutti
partecipano, tutti si riconoscono, anche se sostengono posizioni
totalmente diverse. Sono stati, quelli, processi di unificazione e non
di rottura. Noi dobbiamo lavorare per trovare le forme di unità
possibile, inclusive e non escludenti. Ed ogni precipitazione è
dannosa, soprattutto se viene fatta in funzione elettorale “ (Claudio
Grassi, intervento alla Direzione del Prc, 28.1.2004).

(8) Sono semmai questi veti, o la loro passiva accettazione, che
contraddicono la Tesi 35 del 5° congresso nazionale del Prc, che chiede
appunto di “unire le forze della sinistra comunista, antagonista e
alternativa su scala continentale”.

(9) La divisione è presente, in misura diversa, anche tra i quattro
partiti “di testa” del progetto in campo di partito europeo: Prc, Pcf,
Izquierda Unida, Pds tedesca.
Pcf e Prc su questo tema sono divisi a metà nei loro stessi gruppi
dirigenti.
Nel Prc la Direzione nazionale del 28 gennaio 2004 ha approvato la
linea indicata dal Segretario nazionale con 21 voti contro 18. Mi
domando : in quale altro partito, comunista o non, si procederebbe
spediti in un progetto di tale portata come la fondazione in pochi mesi
di un “partito sovranazionale” con una maggioranza così incerta e
risicata, come se da ciò dipendessero le sorti del partito?
Nel Pcf la questione sta provocano malesseri e divisioni non minori. E
c’è un mandato congressuale che impone agli organismi dirigenti di
consultare in modo formale tutti gli iscritti, prima di una decisione
definitiva. Una consultazione che si presenta dall’esito assai incerto,
ove si consideri che, nella consultazione congressuale degli iscritti
nell’ultimo congresso del Pcf, le due componenti di sinistra (critiche
del progetto in campo di partito europeo, e oggi all’opposizione
dell’attuale gruppo dirigente, hanno ottenuto complessivamente il 45%;
mentre riserve e obiezioni di fondo sul progetto sono presenti anche in
settori tutt’altro che marginali dell’attuale maggioranza). E non è
certo un caso se la Segretaria nazionale del Pcf, nonostante gli
annunci della vigilia, non ha partecipato all’incontro di Atene del
14-15 febbraio scorsi, dove secondo alcuni i quattro leader nazionali
di Pcf, Prc, Izquierda Unida e Pds tedesca avrebbero dovuto
congiuntamente dare l’annuncio del Congresso di fondazione del nuovo
“partito europeo”, da svolgersi a Roma alla vigilia delle elezioni
europee.
In Izquierda Unida la discussione sul “partito europeo” non è ancora
cominciata. IU ha tenuto a fine dicembre il suo congresso nazionale,
tutto in chiave unanimistica e pre-elettorale (in Spagna si vota il 14
marzo per le politiche). Per cui, al fine di evitare di sollevare
discussioni su un tema controverso, il tema è stato rimosso dal
dibattito congressuale, nessuno ne ha parlato, non lo si trova neppure
nei documenti congressuali e nelle risoluzioni conclusive (così come
quello della Costituzione europea, su cui Iu e il suo gruppo dirigente
sono divisi).
Nella Pds tedesca c’è un’opposizione interna che viene dalle tendenze
comuniste e da quelle che si rifanno al Forum marxista. Ma va detto che
in quel partito è soprattutto forte l’illusione (e l’ansia) che il
lancio del “partito europeo” prima delle prossime elezioni europee
possa aiutare il partito a raggiungere la soglia del 5% (oggi i
sondaggi collocano la Pds al 3,9%) al di sotto della quale il partito
sparirebbe dal Parlamento europeo, come già è sparito dal Parlamento
nazionale, e vedrebbe in forse la sua stessa sopravvivenza, data la
natura prevalentemente istituzionale e d’opinione di tale partito.

(10) Un discorso a parte andrebbe fatto per la posizione del PdCI
sull’UE, per molti versi simile a quella della maggioranza del Prc, e
affine – su questo punto – agli orientamenti delle componenti di
sinistra della socialdemocrazia europea. Ma non mi addentro…

(11) Non casualmente, nel documento presentato nella Direzione
nazionale del 28 gennaio 2004 dai compagni e dalle compagne che si
rifanno “all’area de l’Ernesto”, si evidenzia che “l’UE non è tutta
l’Europa” e che “le istituzioni dell’UE non sono neutrali, ma
configurano un processo di concentrazione neo-imperialistica del
capitale europeo”.

(12) I materiali (in inglese) di questa nuova Alleanza nordica –
Manifesto politico, Statuto, altre informazioni – possono essere
richiesti a : mads.nikolajsen@...

(13) In una risoluzione del 20 ottobre 2003, “il CC del Partito
comunista portoghese esprime serie preoccupazioni per la direzione
presa dal processo relativo alla creazione di un “partito politico
europeo” e ai danni che tale processo può causare alla necessaria
cooperazione delle forze che, nonostante alcune differenze importanti,
hanno collaborato nel GUE e in altre iniziative multilaterali.
Il PCP giudica negativamente la istituzionalizzazione di “partiti
europei” nei Trattati della UE e non considera questa una tematica
prioritaria. Detto questo, il PCP si sente impegnato per una soluzione
unitaria del problema, una soluzione basata sui partiti, che tenga
conto dell’esperienza del GUE, rispetti la sovranità di ognuno e
l’uguaglianza di tutti, con una struttura minima flessibile, lavorando
collegialmente su basi di consenso e di rotazione delle responsabilità,
con una piattaforma sintetica strettamente legata a questioni concrete
di lotta.
Gli sviluppi recenti di tale processo hanno fatto emergere questioni di
metodo inaccettabili che contraddicono principi elementari nelle
relazioni tra partiti, evidenziano discriminazioni e minano la
necessaria fiducia reciproca. Sviluppi che potrebbero precipitare verso
una costruzione artificiale che ignori le differenze di cui bisogna
tener conto, e opti per criteri ristretti di affinità
politico-ideologica che il PCP non può condividere.”
Tale risoluzione è stata inviata a tutti i partiti interessati con
lettera di accompagnamento della Segreteria del PCP, in cui si
ribadisce “sorpresa e riprovazione per metodi che creano danni seri
alla necessaria cooperazione dei comunisti e di altre forze
progressiste”.
La decisione ufficiale del Pcp di non partecipare al progetto in campo
di “partito europeo”, pubblicata su Avante (22 gennaio 2004), è
reperibile integralmente, tradotta in italiano, in :
www.resistenze.org : Nuove resistenti, n.69.
Anche la Direzione nazionale del PdCI ha inviato, il 20 novembre 2003,
una lettera ai partiti interessati in cui si critica il fatto che
“sembra configurarsi una relazione speciale tra alcuni partiti, o tra i
loro leader, e quindi il nuovo partito non nascerebbe più su base
paritaria”.

(14) In una lettera del CC del KKE inviata a tutti i partiti
interessati (settembre 2003) si rileva che “la fondazione di un Partito
della Sinistra Europea non aiuta la cooperazione e il coordinamento
effettivo delle forze comuniste e di altre forze di sinistra radicale…
Tale progetto prescinde dalle profonde differenze politiche e
ideologiche – e anche contrasti – tra i punti di vista dei nostri
partiti su temi cruciali : quale unificazione europea, quale giudizio
sull’UE; il ruolo dell’attuale UE capitalistica nel contesto mondiale;
i programmi; il tipo di società per cui lottiamo; il superamento del
capitalismo e la prospettiva socialista;…la politica delle alleanze e
il rapporto con la socialdemocrazia. Differenze già emerse più volte
nel GUE.
Ignorare questa realtà e prospettare la creazione di un partito europeo
significa alimentare false illusioni e aspettative presso i lavoratori
e i popoli; ferire i principi di eguaglianza, sovranità e indipendenza
che devono caratterizzare le relazioni tra i nostri partiti. E ciò alla
fine si ritorcerà contro tutti noi…”.