La guerra del quotidiano "Il Manifesto" contro i serbi della
Bosnia non e' ancora finita.

Oggi, 14 maggio 2002, a quasi sei anni e mezzo di distanza dagli
accordi di Dayton, con i quali la guerra fratricida in Bosnia si
interrompeva, una intera pagina di quotidiano pretende
di ricordare un poeta morto da pochi giorni. Invece,
riesuma quei luoghi comuni che speravamo di non dover
piu' leggere, e trasuda odio etnico come nei peggiori
momenti del conflitto.

E' la ciliegina sulla torta di molti giorni di cattiva
informazione, per il "Manifesto": nel silenzio ineffabile
(imbarazzato o complice, non sappiamo) sulle udienze del
Tribunale dell'Aia e sulla visita di Djindjic in Italia,
spunta la pagina "culturale": Sarajevo, of course.
Pagina 12. Il poeta da ricordare e' Izet Sarajlic. Dopo
alcune battute iniziali, che ci danno la misura precisa
del carattere dell'articolo, con sconforto e sofferenza
procediamo nella lettura.

Dell'autore dell'articolo, Emanuele Trevi, francamente
non sappiamo altro che il nome, ed una fugace impressione
del poeta stesso: <<molto divertito dal mio aspetto
trasandato, a un certo punto mi chiese se ero "un
fricchettone">>. Non sappiamo altro, eppure d'istinto
ci viene da pensare ad un giovane, uno qualsiasi in
"divisa" da intellettuale o militante della nostrana
sinistra post-comunista. "Societa' civile" e ben poche
altre paroline in codice, nel cervello, da rivendere
sulla Bosnia. Tantissimi come lui hanno girato per i
Balcani degli anni Novanta, senza conoscere niente
preventivamente della Jugoslavia e del mondo slavo, e
formandosi opinioni esclusivamente in base a quanto
letto per l'occasione, o ascoltato dalla bocca di
accompagnatori non esattamente imparziali. Viaggi
motivati da un misto di solidarieta' astratta, puramente
di principio, ed una forma di turismo "particolarmente
fico". Solo una impressione, che sicuramente nella
fattispecie, non corrisponde. Ma di persone cosi' ne
abbiamo conosciute tante, e ci viene da pensare. Andiamo
avanti.

Di Sarajlic, dall'articolo, veniamo a sapere solamente
due cose: primo, che scriveva poesie dai toni intimistici,
che parlano essenzialmente di affetti familiari; secondo,
che <<una granata serba aveva colpito in pieno la sua
biblioteca>>. Le due cose secondo Trevi sono strettamente
collegate, perche' <<un individuo dotato di un criterio
di verita' privato e inalienabile [cioe': un poeta] e' il
bersaglio preferito per ogni tipo di cecchino>>.
Scrivi "ogni tipo" ma leggi "serbo". Anche se i cecchini
che spararono sulla manifestazione antisecessionista del
6 aprile 1992 non erano serbi; anche se il cecchino che
uccise Moreno Lucatelli non era serbo. E' irrilevante:
il poeta abitava a Sarajevo, a Sarajevo c'erano i
cecchiniserbi, tutto attaccato. E' un luogo comune.

La vulgata vuole che Sarajevo sia la citta' che ha
<<polverizzato il record stabilito, durante la seconda
guerra mondiale, da Stalingrado>>. Infatti i serbi sono
peggio dei nazisti, mentre la resistenza dei "bosniaci"
(si intende solamente la parte musulmana) sarebbe stata
<<anche.... l'ultima pagina dell'anti-fascismo europeo
del Novecento>>. I fascisti: <<Milosevic, Karadzic ed i
loro lugubri complici e seguaci [cioe' la popolazione
serba della Bosnia] tentavano l'"urbicidio">>. Quelle
serbe erano <<forze di distruzione>>, anzi: <<forze di
distruzione serbe: obici, mortai, carri armati>>. Anche
se Sarajevo non era una citta' assediata, bensi' una
citta' divisa in due; anche se nei quartieri serbi di
Sarajevo la tragedia era simmetrica; anche se attorno a
Sarajevo furono ritrovate le fosse con i cadaveri dei
serbi; anche se in seguito agli accordi di Dayton i
quartieri serbi si svuotarono di circa 150mila abitanti;
anche se su tutto questo non merita scrivere una riga,
ne' in poesia, ne' in prosa, ne' sul "Manifesto", ne'
altrove. "Serbo", e hai detto tutto - e non ti devi
preoccupare: nessuno ti accusera' di essere razzista.

<<Nell'orrenda ipotesi di una conquista serba di
Sarajevo, sarebbero stati uomini come Izet e Divjak
[il "serbo buono" della favola, come Schindler] a
pagarla piu' cara degli altri: un poeta ed un soldato
capaci di ribellarsi alla demenza omicida
dell'appartenenza, al culto delle origini e
dell'identita' - culto sempre intimamente fascista, che
sia cucinato in salsa serba, croata, padana>>, musulmano-
bosniaca? Noo. Albanese? Macche': <<basca, corsa>>... E
magari anche kurda, irlandese, palestinese, perche' no?

Un grande calderone, affinche' tutto si trasformi nelle
vacche nere di una notte nera, e non si possa avere il
sospetto che fu anche proprio il secessionismo bosniaco-
musulmano, ed i suoi mentori all'estero, a generare la
tragedia della Bosnia-Erzegovina, dentro la piu' ampia
tragedia jugoslava. Lo disse Ivo Andric - selettivamente,
capziosamente, tendenziosamente citato nell'articolo:
<<la Bosnia e' "la terra dell'odio">>. Il giornalista del
"Manifesto", percio', si conforma: odia i serbi, e ci
presenta l'intera opera e messaggio di un poeta
parlandoci in sostanza solamente dei motivi per cui egli
doveva, soprattutto, odiare i serbi.

La Jugoslavia unitaria? Neanche un accenno. Il comunismo?
<<chi aveva sofferto di piu', nel comunismo reale, erano
stati i comunisti>>. Bugiardo! Izetbegovic, che durante
la seconda guerra mondiale aveva lavorato per la
Gioventu' Musulmana, alleata dei nazisti, e sotto il
comunismo non per caso era stato in galera, ha sofferto
sicuramente di piu'.

Italo Slavo