Da "La Voce del popolo", Rijeka-Fiume, 30 luglio 2002
LETTERA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA CIAMPI
Stimatissimo signor Presidente,
Nella nostra opinione pubblica echeggia ancora sempre l'eco della sua
dichiarazione rilasciata durante la sua recente visita a Trieste nel
maggio 2002 e cioé che sloveni (e jugoslavi) hanno ucciso degli
italiani solo perché erano italiani, ovvero allo scopo di diminuire
l'italianità del territorio occupato dall'armata jugoslava.
Non si possono però ignorare i fatti storici, come a causa degli orrori
provocati e perpetrati dalla guerra, vi siano stati dei regolamenti di
conti con gli attori dei crimini di guerra. Basterebbe ricordare i
bombardamenti a tappeto delle città tedesche, come Dresda, con
centinaia di migliaia di vittime innocenti; o Hiroshima, dove in un
attimo sono state carbonizzate 70.000 persone e altrettante ne sono
state inguaribilmente contaminate; e ancora la brutale espulsione di 12
milioni di tedeschi dall'Europa orientale, di cui morivano centinaia al
giorno per violenze, esaurimento e malattie. Rientrano in tali rese di
conti anche oltre 20.000 collaborazionisti passati per le armi solo a
Milano e provincia. Secondo dati delle autorità anglo-americane e di
storici italiani, vi si possono aggiungere dalle 4.000 alle 6.000
persone scomparse dall'ex Venezia - Giulia, militari e civili, di cui
una parte finite nelle foibe carsiche, e altre in prigione e nei campi
di lavoro.
Per la zona di Trieste ad es. Claudia Cernigoj, nel suo
studio "Operazione foibe", ha potuto dimostrare, nome per nome, che il
numero complessivo degli scomparsi è stato 517 e non 1457, come
sostenuto dal pubblicista pordenonese Marco Pirina nel suo
libro "Genocidio", che, su ingiunzione del tribunale, ha dovuto
ritirare dal commercio, a causa di documentate false affermazioni.
Egualmente, nome per nome, l'autrice ha dimostrato che ben 412 degli
scomparsi erano appartenenti a famigerate e sanguinarie formazioni
collaborazioniste (ispettorato di pubblica sicurezza, X MAS, Milizia di
difesa territoriale, Guardia civica ed altre).
Va ricordato che Sloveni e Croati non solo hanno subìto un'invasione
militare, senza una dichiarazione di guerra, ma anche anni di soprusi e
devastazioni di ogni genere sulla propria terra, e vent'anni di terrore
fascista sul territorio che il trattato di Rapallo ha lasciato
all'Italia. Dai dati che l'allora governo jugoslavo ha inviato agli
alleati durante la Conferenza di pace di Parigi, risulta che nel
territorio dell'ex Venezia Giulia, la guerra ha provocato 42.800 morti,
7.000 invalidi, 95.460 internati e deportati, 19.460 edifici distrutti
e 16.837 parzialmente distrutti (Vedasi: "The struggle of the people
of Julian March for freedom and self determination" 1947). Una piccola
parte di tali violenze è descritta anche dalla lettera che l'ufficiale
italiano Dr Italo Gheza ha inviato al parroco del villaggio di Lozice,
nella valle di Vipava (Vipacco), e nel libro "Santa messa per i miei
fucilati - Diario di un cappellano" del curato militare, tenente Pietro
Brignoli, proposto dall'editore Longanesi nel 1973 a Milano.
Nell'occupazione italiana dell'allora "provincia di Lubiana" secondo
dati di Giuseppe Piemontese ("Ventinove mesi di occupazione italiana
della Provincia di Lubiana", 1946) vi sono state altre 12.087 vittime,
di cui solo circa 900 i partigiani, caduti in combattimento; tutti gli
altri sono stati ostaggi delle azioni di "rastrellamento" o sono
deceduti nei campi di concentramento italiani (Rab-Arbe, Gonars,
Monigo, Chiesanuove, Cairo-Montenotte, Alatri, Renicci, ed altri). Sono
stati distrutti 12.773 edifici e danneggiati altri 8.509, compresi
ospedali, biblioteche, scuole, case di cultura ed altri. Per non
parlare dell'ingente danno materiale provocato nella "provincia di
Lubiana" da parte delle truppe italiane, cagionato dalle forzate
confische dei beni, e delle sofferenze fisiche e psichiche delle
vittime, degli invalidi, dei familiari. Questi dati stanno dietro la
resa dei conti avvenuta alla fine della guerra, specie nei confronti
dei collaborazionisti. Dopo l'8 Settembre '43 infatti, l'esercito
italiano disarmato, è potuto tornare indisturbato in Italia. Sul
percorso principalmente seguito dalle formazioni in rotta le nostre
madri offrivano del cibo caldo ai soldati stremati.
Visti i fatti elencati ed altri elementi storici, che dimostrano
incontestabilmente chi è stata la vittima e chi il carnefice, vediamo
con notevole disappunto le affermazioni, con le quali anche lei signor
Presidente, purtroppo con leggerezza, speriamo suggerita, ci rinfaccia
offensive affermazioni di genocidio.
La sua dichiarazione, al contrario, riafferma la constatazione di come
l'Italia non ha avuto il coraggio intellettuale e la forza morale di
fare i conti con il proprio passato. Per cui i crimini del regime
monarcofascista sul nostro territorio ed altrove, non sono potuti
entrare nella memoria collettiva degli italiani. Ed è così che è potuto
sorgere il mito delle storiche ingiustizie nei loro confronti, il che
rappresenta un sostrato di possibili pericolosi sviluppi. I tentativi
di demonizzazione dei vicini orientali durano da più di mezzo secolo,
ed hanno segnato una recrudescenza dopo lo smembramento della
Jugoslavia. Per questo ci appelliamo a Lei, signor Presidente, di non
contribuirvi aggiungendo benzina al fuoco, e la preghiamo di trattare
il passato con maggior amore per la verità e rispettando i dati della
storia.
Vediamo di conciliarci e perdonare il male fatto, e non così
dimenticare i crimini a noi perpetrati, i misfatti e le sofferenze
causate, come anche non permettiamo la falsificazione degli eventi
storici. Sarebbe tempo che lo Stato italiano si giustificasse per tutto
il male fatto a noi ed agli altri popoli. Pertanto vi invitiamo a
prendere il coraggio a piene mani e sull'esempio del signor Italo Gheza
quanto prima emularlo.
Voglia accogliere, signor Presidente, i sensi del nostro rispetto.
Associazione combattentistica dei comuni del litorale sloveno di
Capodistria, Isola e Pirano
Ciril Pelicon
Associazione per le tradizioni patriottiche TIGR
Karlo Kocjancic
Club culturale Istria. Movimento d'opinione per l'Istria slovena
Milan Gregoric, Lucijan Pelicon
LETTERA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA CIAMPI
Stimatissimo signor Presidente,
Nella nostra opinione pubblica echeggia ancora sempre l'eco della sua
dichiarazione rilasciata durante la sua recente visita a Trieste nel
maggio 2002 e cioé che sloveni (e jugoslavi) hanno ucciso degli
italiani solo perché erano italiani, ovvero allo scopo di diminuire
l'italianità del territorio occupato dall'armata jugoslava.
Non si possono però ignorare i fatti storici, come a causa degli orrori
provocati e perpetrati dalla guerra, vi siano stati dei regolamenti di
conti con gli attori dei crimini di guerra. Basterebbe ricordare i
bombardamenti a tappeto delle città tedesche, come Dresda, con
centinaia di migliaia di vittime innocenti; o Hiroshima, dove in un
attimo sono state carbonizzate 70.000 persone e altrettante ne sono
state inguaribilmente contaminate; e ancora la brutale espulsione di 12
milioni di tedeschi dall'Europa orientale, di cui morivano centinaia al
giorno per violenze, esaurimento e malattie. Rientrano in tali rese di
conti anche oltre 20.000 collaborazionisti passati per le armi solo a
Milano e provincia. Secondo dati delle autorità anglo-americane e di
storici italiani, vi si possono aggiungere dalle 4.000 alle 6.000
persone scomparse dall'ex Venezia - Giulia, militari e civili, di cui
una parte finite nelle foibe carsiche, e altre in prigione e nei campi
di lavoro.
Per la zona di Trieste ad es. Claudia Cernigoj, nel suo
studio "Operazione foibe", ha potuto dimostrare, nome per nome, che il
numero complessivo degli scomparsi è stato 517 e non 1457, come
sostenuto dal pubblicista pordenonese Marco Pirina nel suo
libro "Genocidio", che, su ingiunzione del tribunale, ha dovuto
ritirare dal commercio, a causa di documentate false affermazioni.
Egualmente, nome per nome, l'autrice ha dimostrato che ben 412 degli
scomparsi erano appartenenti a famigerate e sanguinarie formazioni
collaborazioniste (ispettorato di pubblica sicurezza, X MAS, Milizia di
difesa territoriale, Guardia civica ed altre).
Va ricordato che Sloveni e Croati non solo hanno subìto un'invasione
militare, senza una dichiarazione di guerra, ma anche anni di soprusi e
devastazioni di ogni genere sulla propria terra, e vent'anni di terrore
fascista sul territorio che il trattato di Rapallo ha lasciato
all'Italia. Dai dati che l'allora governo jugoslavo ha inviato agli
alleati durante la Conferenza di pace di Parigi, risulta che nel
territorio dell'ex Venezia Giulia, la guerra ha provocato 42.800 morti,
7.000 invalidi, 95.460 internati e deportati, 19.460 edifici distrutti
e 16.837 parzialmente distrutti (Vedasi: "The struggle of the people
of Julian March for freedom and self determination" 1947). Una piccola
parte di tali violenze è descritta anche dalla lettera che l'ufficiale
italiano Dr Italo Gheza ha inviato al parroco del villaggio di Lozice,
nella valle di Vipava (Vipacco), e nel libro "Santa messa per i miei
fucilati - Diario di un cappellano" del curato militare, tenente Pietro
Brignoli, proposto dall'editore Longanesi nel 1973 a Milano.
Nell'occupazione italiana dell'allora "provincia di Lubiana" secondo
dati di Giuseppe Piemontese ("Ventinove mesi di occupazione italiana
della Provincia di Lubiana", 1946) vi sono state altre 12.087 vittime,
di cui solo circa 900 i partigiani, caduti in combattimento; tutti gli
altri sono stati ostaggi delle azioni di "rastrellamento" o sono
deceduti nei campi di concentramento italiani (Rab-Arbe, Gonars,
Monigo, Chiesanuove, Cairo-Montenotte, Alatri, Renicci, ed altri). Sono
stati distrutti 12.773 edifici e danneggiati altri 8.509, compresi
ospedali, biblioteche, scuole, case di cultura ed altri. Per non
parlare dell'ingente danno materiale provocato nella "provincia di
Lubiana" da parte delle truppe italiane, cagionato dalle forzate
confische dei beni, e delle sofferenze fisiche e psichiche delle
vittime, degli invalidi, dei familiari. Questi dati stanno dietro la
resa dei conti avvenuta alla fine della guerra, specie nei confronti
dei collaborazionisti. Dopo l'8 Settembre '43 infatti, l'esercito
italiano disarmato, è potuto tornare indisturbato in Italia. Sul
percorso principalmente seguito dalle formazioni in rotta le nostre
madri offrivano del cibo caldo ai soldati stremati.
Visti i fatti elencati ed altri elementi storici, che dimostrano
incontestabilmente chi è stata la vittima e chi il carnefice, vediamo
con notevole disappunto le affermazioni, con le quali anche lei signor
Presidente, purtroppo con leggerezza, speriamo suggerita, ci rinfaccia
offensive affermazioni di genocidio.
La sua dichiarazione, al contrario, riafferma la constatazione di come
l'Italia non ha avuto il coraggio intellettuale e la forza morale di
fare i conti con il proprio passato. Per cui i crimini del regime
monarcofascista sul nostro territorio ed altrove, non sono potuti
entrare nella memoria collettiva degli italiani. Ed è così che è potuto
sorgere il mito delle storiche ingiustizie nei loro confronti, il che
rappresenta un sostrato di possibili pericolosi sviluppi. I tentativi
di demonizzazione dei vicini orientali durano da più di mezzo secolo,
ed hanno segnato una recrudescenza dopo lo smembramento della
Jugoslavia. Per questo ci appelliamo a Lei, signor Presidente, di non
contribuirvi aggiungendo benzina al fuoco, e la preghiamo di trattare
il passato con maggior amore per la verità e rispettando i dati della
storia.
Vediamo di conciliarci e perdonare il male fatto, e non così
dimenticare i crimini a noi perpetrati, i misfatti e le sofferenze
causate, come anche non permettiamo la falsificazione degli eventi
storici. Sarebbe tempo che lo Stato italiano si giustificasse per tutto
il male fatto a noi ed agli altri popoli. Pertanto vi invitiamo a
prendere il coraggio a piene mani e sull'esempio del signor Italo Gheza
quanto prima emularlo.
Voglia accogliere, signor Presidente, i sensi del nostro rispetto.
Associazione combattentistica dei comuni del litorale sloveno di
Capodistria, Isola e Pirano
Ciril Pelicon
Associazione per le tradizioni patriottiche TIGR
Karlo Kocjancic
Club culturale Istria. Movimento d'opinione per l'Istria slovena
Milan Gregoric, Lucijan Pelicon