CENERE
Jugoslavia, due anni dopo

Da Fulvio Grimaldi per "L'Ernesto" settembre 2002

Cenere radioattiva di decine di migliaia di
proiettili e bombe all'uranio che si stanno
mangiando la vita di serbi, bosniaci, albanesi.
Cenere tossica di polveri chimiche e di
idrocarburi combusti sollevata dai 78 giorni di
sterminio bombarolo e aiutata a viaggiare, a
insediarsi in terre, acque, polmoni, sangue da
un embargo che solo nell'ipocrita disattenzione
dei media è davvero finito. Cenere di uno Stato
che godeva della stima del mondo e per mezzo
secolo aveva indicato ai popoli in lotta di
liberazione una via di fuga dalla tenaglia
dell'allineamento con le superpotenze, aiutando
a costituire un secondo polo planetario della
lotta per l'emancipazione umana. Una cenere che
ha accecato, intorpidito, avvelenato una gran
parte della popolazione di questo Stato.. Ma
sotto la quale, forse, covano e si rianimano
braci irriducibili.

ANTEFATTO

La Sinistra e le menzogne di guerra

Cenere sulla testa di una sinistra, soprattutto
italiana, che si è fatta travolgere e
addirittura rendere complice di una devastazione
imperialista in Europa, a cinquant'anni
dall'"Ultima e più terribile delle guerre", e
per coprire la vergogna storica del suo
tradimento ha sostenuto, anche al di là di ogni
evidenza contraria, le più turpi invenzioni
delle centrali della disinformazione e della
menzogna. Da un sacrosanto bagno di cenere non
dovrebbe andare esente quasi nessuno. Non certo
la pseudosinistra che, con il "sergente D'Alema"
(per gli USA meno di un vivandiere), ha voluto
farsi co-protagonista di un crimine per tutti i
versi assimilabile all'assalto nazista ai paesi
liberaldemocratici e socialisti. Oggi, svuotata
di ogni credibilità da quello su tutti dei suoi
arretramenti sistemici, tragicamente per il
nostro paese ma opportunamente sul piano
dell'equità, quei "moderati" (termine
paradossale) pagano il prezzo del crescente
rifiuto di massa di ogni genere di organismi
geneticamente modificati. Non si salva nessuno
perché nessuno ha saputo vedere l'evidenza,
neppure dopo le puntuali smentite a valanga,
ovviamente reperibili solo in trafiletti
mimetizzati o su selezionati media esteri, della
più colossale operazione di mistificazione dai
tempi del rovesciamento paolino del messaggio
nazareno. C'era chi, a sinistra, serrando gli
occhi sulla matrice nazifascista del progetto
Grande Albania , "Croazia dei croati", Bosnia
della Sharìa, Montenegro della mafia, e
ostinatamente ignorando soldi e ceffi del
narcotraffico e dei servizi occidentali che
guidavano la marcia dei secessionisti,
sproloquiava di "autodeterminazione" nei termini
esatti di un Bossi. C'era chi, paludandosi di
ecumenico movimentismo, tesseva reti di
complicità, "dal basso", tra centri sociali e
forze e personaggi serbi creati e guidati dal
superboss della destabilizzazione
finanziario-politica dei paesi liberi, George
Soros, dalla CIA al BND tedesco: le ONG
filo-occidentali di "Alleanza Civica", i
teppisti fascisti di Otpor, il partito del
quisling Zoran Djindjic, il gruppo
giovanilistico raggruppato attorno a Radio B92,
del circuito USA di Radio Free Europe,
formazioni femministe della "società civile"
guidata da Sonia Licht (Fondazione Soros) che
riuscivano a imbrigliare compagne straniere in
convegni nientemeno che sul "Fascismo serbo",
all'ombra di un presidente narcotrafficante
come Milo Djukanovic del Montenegro. C'era chi,
pilatescamente, si attestava dietro il
famigerato "né-né", lo squallido limbo di chi
deprecava i macelli Nato, ma sodale della
satanizzazione in virtù di ignoranza, pigrizia e
settarismi ideologistici, s'impegnava
soprattutto a bastonare Milosevic e i serbi.
Importanti esponenti di questo trasversale
schieramento della collusione, indiretta, ma
determinante, arrivarono addirittura a
costringere i manifestanti per la Jugoslavia e
per la pace a cacciare dai cortei e dalle veglie
sui ponti le comunità serbe che, con noi,
volevano piangere e imprecare sulla patria
uccisa. L'imperialismo, soprattutto europeo
nella prima fase dello squartamento balcanico
nel segno del marco e poi a totale egemonia
statunitense, deve molto a questi "agevolatori".
Deve loro l'aver soffocato sul nascere un fronte
compatto e coraggioso di controinformazione -
per scardinare l'architettura di menzogne su
"pulizia etnica", "fosse comuni" "nazionalismo
serbo", "dittatura" o "tesoro" di Milosevic",
"Milosevic, già uomo degli americani" (falsità
assoluta, molto efficace a sinistra), "giovani
democratici anti-regime"- e, dunque, di lotta
contro la guerra a quello che era forse il paese
multietnico e multiculturale più democratico,
pluralistico e socialmente avanzato, pur nelle
intemperie e nei ricatti dell'imperialismo
finanziario, del nostro continente. Oggi i
protagonisti di questa aberrazione storica non
si coprono il capo delle ceneri che hanno
contribuito a disseminare, neppure davanti allo
smascheramento delle cosiddette "stragi serbe"
di Sarajevo (grande trombettiere, Adriano
Sofri), Sebrenica, Racak, al crollo dai 500.000
albanesi del Kosovo secondo il Dipartimento di
Stato "probabilmente uccisi", alle 2080 vittime
di tutte le etnie, effettivamente individuate
dal Tribunale Penale per la Jugoslavia. Eppoi,
"Hitlerosevic", quel capolavoro
dell'identificazione, con un falso fotografico,
tra nazisti e serbi nel comune allestimento di
"campi di sterminio" ( risultati campi di
raccolta per profughi cui gli operatori della TV
inglese ITV avevano messo davanti un
reticolato). Senza parlare del pellegrinaggio di
ONG, buonisti sciolti e provocatori in perfetta
malafede (un nome per tutti, Adriano Sofri) a
"Sarajevo multietnica assediata dai serbi",
servito da copertura alla pulizia etnica
bosniaca di metà città, abitata da serbi.
Stanno in silenzio, cronisti ed esperti, voltano
il capo dall'altra parte, mentre sia dalla
straordinaria lotta di Slobodan Milosevic nel
tribunale-agenzia USA dell'Aja, sia da
testimonianze incontrovertibili (vedi
soprattutto "Menzogne di guerra", di Juergen
Elsaesser, Città del Sole, 11 euro) escono
confermate le verità sul complotto per
l'amputazione e la distruzione di un grande
pezzo d'Europa. Struzzi. Code di paglia lunghe
dalle protette poltrone dei loro collateralismi
fino alle ossa del tremillesimo serbo trucidato
in Kosovo dopo l'occupazione Nato.

I FATTI

Nel vasto panorama dei media italiani la
Jugoslavia - oggi ufficialmente ridotta a
"Serbia-Montenegro", fino a quando gli USA,
schiacciando le riserve della tardivamente
preoccupata Europa, non otterranno che
Djukanovic imponga la rottura totale - è un buco
nero. I pochissimi inviati che hanno seguito, da
febbraio, le udienze del processo dell'Aja a
Milosevic, hanno smesso quasi subito, quando si
sono accorti che riferire correttamente
sull'andamento degli interrogatori e
contrinterrogatori, come sulle condizioni di
detenzione dell'imputato, avrebbe minato alla
base tutto quanto erano andati raccontando di
Slobo e del suo governo fin dall'inizio della
crisi. Un'onta alla quale ovviamente preferire,
da bravi professionisti, "the voice of silence".
Tocca all'Ernesto, tra le poche pubblicazioni
che siano riuscite ad evitare la tagliola
dell'inganno imperialista, a fare un po' di cronaca.

IL PROCESSO

Organizzato, finanziato e diretto dagli USA,
alla fine di luglio è stato sospeso dal giudice
Richard May e aggiornato a settembre, dopo una
visita medica, cui finalmente ha potuto
assistere anche il medico di fiducia di
Milosevic, che ha confermato le gravi condizioni
di salute del detenuto, affetto da ipertensione
e da seri problemi cardiocircolatori, aggravati
dall'inumane trattamento riservatogli
(illuminazione costante, isolamento, negato
accesso a medici personali, negati rapporti
regolari con avvocati e famigliari, negata
terapia durante due settimane di "influenza",
negato accesso a qualsivoglia documentazione,
tempi e ritmi massacranti delle udienze imposti
dalla riunione in uno solo dei processi per i
fatti di Croazia, Bosnia e Kosovo. Due imputati
serbi sono già deceduti in prigionia, uno con
misterioso "suicidio" per impiccagione). Per la
procuratrice Carla Del Ponte, nota per la
sollecitudine con cui seppe far coincidere le
imputazioni a Slobo con i più rovinosi
contraccolpi alla Nato del macello in corso di
esecuzione (errori collaterali), le cose non
erano andate bene. Dopo la contraccusa iniziale
di Milosevic, alla mano di documentazione
audiovisiva, sui crimini Nato nelle guerre
balcaniche, si era assistito a una sfilza di
testimoni d'accusa, perlopiù albanesi del Kosovo
o ex-membri delle istituzioni jugoslave,
frantumati dal controinterrogatorio di
Milosevic, che si difendeva da solo e negava il
riconoscimento al Tribunale, smascherati come
bugiardi, scoperti indottrinati dai servizi
inglesi o membri dell'UCK, affogati nelle
contraddizioni, a volte in crisi di nervi, a
volte addirittura in fuga dal
controinterrogatorio di Milosevic, pretendendo
di star male.. Al punto che il governo USA,
esasperato, ha incominciato a criticare la Del
Ponte per non aver saputo mettere in piedi un
decente gruppo di testimoni credibili e, mandato
al diavolo il Tribunale contro i crimini di
guerra appena istituito a Roma, ha fatto
intendere che anche il Tribunale dell'Aja poteva
aver fatto il suo tempo. Preoccupante per la
squadra di magistrati pinocchieschi dell'Aja,
visto che i quattrini per il funzionamento del
tribunale e di loro stessi arrivano soprattutto
dal Tesoro USA e dal solito Soros, cioè da una
delle parti in causa.

Un'inarrestabile caduta di credibilità che è
diventata tonfo finale con le dichiarazioni, in
una delle ultime udienze, del testimone Rade
Markovic. In quel momento, si può dire, il
Tribunale Internazionale per la Jugoslavia è
esploso. Stupefacentemene, ma mica tanto, nessun
organo di informazione o comunicazione ne ha
dato conto. Rade Markovic era stato il capo dei
servizi di sicurezza dell'ex-presidente. Dopo 17
mesi di prigionia a Belgrado era stato convocato
all'Aja come testimone per l'accusa. Un
testimone-bomba, si diceva nei corridoi del
Tribunale, che avrebbe finalmente rovesciato il
vento in faccia a quell'irriducibile confutatore
di Milosevic e raddrizzato il "processo del secolo".

Invece questo testimone "della corona" ha ferito
a morte l'obbrobrio giuridico dell'Aja rivelando
una verità che molti già sospettavano essere la
prassi del Tribunale: tortura e ricatto.
Rovesciando non solo le carte, ma l'intero
tavolino, Radovic ha denunciato che a Belgrado
era stata ininterrottamente torturato dagli
sgherri di Djindjic perché si risolvesse a
dichiarare il falso contro Milosevic. Un giorno
lo venne a trovare addirittura il ministro degli
interni, Mihailovic, insieme al capo dei servizi
segreti, Petrovic. Violando la legge, se lo
portarono a una cena privata dove offersero a
lui e famiglia un cambio d'identità e una vita
di agi in un paese straniero, insieme alla fine
delle torture. Radovic finse di accettare, ma
all'Aja denunciò tutto. Non solo, negò tutte le
accuse che avrebbe dovuto avvallare: Milosevic
non ha mai promosso una politica di espulsione
degli albanesi dal Kosovo, ha insistito che gli
autori di violenze contro civili albanesi
venissero arrestati e processati, non ha mai
abusato di fondi dello Stato, non ha mai
ordinato assassinii politici... Non male per un
testimone "d'accusa". Radovic ha concluso il suo
intervento, ripetutamente e come d'abitudine,
quando le cose diventavano imbarazzanti per
l'Accusa, interrotto dal giudice May,
illustrando con documenti la ferma opposizione
dell'ex-presidente jugoslavo a qualsiasi forma
di odio etnico e il suo costante, alla fine
disperato, impegno per la convivenza dei popoli
balcanici, contro i nazionalismi regionali,
esasperati dalle manovre imperialiste e favoriti
dal civilismo "umanitario" di molte ONG (oggi
totalmente assenti tra i più reietti delle
vittime dell'aggressione: il milione e passa di
profughi serbi cacciati da Croazia, Bosnia e
Kosovo). Oggi Markovic è in cella a
Scheveningen, alla mercè di coloro che ne
ordinarono la tortura e che da lui furono
svergognati. Un caso per Amnesty.

Un caso già sollevato dal Comitato
Internazionale per la Difesa di Slobodan
Milosevic (presidente Ramsey Clark) che ha anche
sollecitato i parlamentari europei a denunciare
a Strasburgo le pesanti violazione dei diritti
giuridici e umani del prigioniero Milosevic.

DOPO IL KOSOVO, LA MACEDONIA

Nel Kosovo, occupato per un buon pezzo dalla più
grande base militare USA costruita dopo la
guerra del Vietnam (costruita dalla società
Halliburton, di cui era presidente il
vicepresidente USA, Cheney), nè il formicaio di
ONG (oltre 900 a un certo punto), né
l'amministrazione ONU Unmik, né il presidio di
40.000 militari KFOR, né l'elezione a presidente
e primo ministro del razzista secessionista
"moderato" Rugova, insieme al razzista
secessionista mafioso e tagliagole Thaci, hanno
saputo - voluto - impedire il totale degrado
della provincia serba.

Provincia-bordello, a beneficio dei maschi in
"missione disagiata" di ONG e contingenti
amministrativi e militari, dove ogni cosa è
gestita, come nella Bosnia "liberata", da
funzionari ONU e NATO che affiancano, con potere
decisionale assoluto, le maschere politiche
delle "istituzioni". Funzionari che governano un
territorio totalmente sotto controllo delle
famigerate "Cinque famiglie" mafiose albanesi
che hanno fatto del Kosovo il centro mondiale
per lo smistamento dell'eroina proveniente dai
campi riattivati dai vincitori in Afghanistan,
il traffico di prostitute e di essere umani in
genere, o di loro pezzi. Funzionari che, in
compenso sono stati accusati dall'UE di aver
fatto sparire in loro conti nel paradiso fiscale
di Gibilterra almeno 4,5 milioni di Euro facenti
parte di pacchetti di "aiuti" per il protettorato kosovaro.

Ultimissime dal Kosovo ci riferiscono di
costanti devastazioni di cimiteri serbi
(Djakovica, Orahovac, Milosevo, Pristina), con
lapidi infrante e scritte inneggianti all'UCK;
di 400 desaparecidos serbi, in aggiunta ai 3000
trucidati e ai quasi 300.000 espulsi dopo
l'ingresso della KFOR, denunciati dal
Coordinamento per la riunione delle famiglie di
serbi rapiti o dispersi in Kosovo-Metohia;
dell'esumazione continua di cadaveri serbi da
fosse comuni (20 lo scorso 17 luglio, solo a
Dragodan, nei pressi di Pristina); di quotidiane
aggressioni al Monastero di Pec, sede del
patriarca Artemije, e tuttora di distruzioni di
luoghi di culto ortodossi (Artemije ha
denunciato la totale devastazione di 110 tra
chiese e conventi, perlopiù medioevali); di una
KFOR che accompagna attivamente il lavoro sporco
di pulizia etnica del Corpo di Protezione del
Kosovo (in cui si sono riciclati i banditi
dell'UCK) irrompendo nelle case dei 100.000
serbi rimasti (e tenuti in totale isolamento "a
difesa della propria incolumità"), nella
presunta ricerca di armi, terrorizzando gli
abitanti, minacciando la "soluzione finale" per
l'enclave serba di Mitrovica, cacciando dalle
loro case e dai loro uffici a Pristina (17
giugno) 57 famiglie di accademici e insegnanti
serbi, per mettere al loro posto unità
famigliari albanesi. Si trattava di quei
professori che, nonostante la costante minaccia
terroristica UCK, avevano fatto funzionare fino
all'ultimo giorno dell'aggressione NATO le
istituzioni scolastiche dello Stato federale, a
composizione, lingua e corsi multietnici,
all'incontro dell'apparato scolastico e
sanitario parallelo, etnicamente pulito
(riservato a frequentatori albanesi e alla sola
loro lingua) messo in piedi da Rugosa con i
finanziamenti di Gorge Soros e di Madre Teresa
di Calcutta.

Mentre le truppe russe, giunte con 3.600 uomini
per prime a Pristina, nell'entusiasmo dei serbi
e dell'antimperialismo internazionale, si sono
gradualmente ritirate e ridotte a 600 unità,
avanzando riserve nei confronti della conduzione
dell' occupazione di una provincia che
nominalmente fa ancora parte della Jugoslavia, i
contingenti occidentali della KFOR assistono con
crescente indifferenza, che nel caso degli USA e
aperto compiacimento, al riscatenarsi
dell'espansionismo grandalbanese. Il parlamento
a totale dominio albanese approva (subito
imitato dal governo del fantoccio Djindjic a
Belgrado) un'amnistia per i terroristi
panalbanesi dell'UCK, e al polacco Marek
Nowicki, Difensore Civico ONU in Kosovo-Metohia,
viene cancellato il diritto di visitare i
detenuti nelle carceri, gli USA rilasciano
sistematicamente terroristi albanesi catturati
da altri reparti KFOR sul confine della
Macedonia e consegnati agli americani di Bondsteel.

Nella disattenzione dei media mondiali,
concentrati su altre carneficine imperialiste e
coloniali, dall'Afghanistan alla Palestina e
sull'imminente genocidio degli iracheni,
prosegue intanto, sempre sotto l'egida USA, il
lavoro di smembramento della Macedonia. Un paese
e un governo che alla Nato, durante
l'aggressione alla Jugoslavia, avevano concesso
tutto: la secessione, l'ospitalità alla truppe
Nato, le proprie basi, assistenza logistiche,
complicità politica. E ne sono stati ripagati
con la riduzione a colonia Nato, l'appoggio agli
invasori e separatisti albanesi, la
criminalizzazione (con il solito concorso di
certa disinvolta stampa di sinistra) dei
difensori dell'unità e sovranità dello Stato,
definiti derogatoriamente "nazionalisti".
Qualifica riservata in modo particolare al primo
ministro Ljubco Georgievski che, dopo aver fatto
passare una normativa che accedeva alle
richieste della minoranza albanese relative a
lingua, autonomie e istituzioni scolastiche, ha
pubblicamente denunciato in un discorso del 2
agosto la collusione della Nato con il
terrorismo separatista grandalbanese, attraverso
la fornitura di armi e il libero passaggio del
confine con il Kosovo concesso ai militanti
dell'UCK riciclati in Macedonia nell'Esercito di
Liberazione Nazionale.

"Molte cose sono state dette circa la
multietnicità in Kosovo, Macedonia e Bosnia, ma
quello che in effetti accade è la più vasta
pulizia etnica che i Balcani ricordino", ha
dichiarato Georgievski, denunciando anche la
continuata, per quanto taciuta dai media,
occupazione di larghe zone del Nord della
Macedonia da parte dei terroristi UCK con il
pieno appoggio degli USA. Affermazione difficile
da confutare quando si pensi che la MPRI
(Military Professional Resources Inc.), agenzia
statunitense di mercenari controllata dalla CIA,
ha il privilegio di armare, addestrare e
istruire entrambe le squadre in gioco:
l'esercito governativo macedone
e le bande secessioniste albanesi. E' il trucco
con il quale gli USA si propongono di gestire i
conflitti che gli interessa innescare.
Dall'esempio più clamoroso dell'Osama Bin Laden,
operativo CIA dal 1979, contrapposto ai
mercenari USA dell'Alleanza del Nord, si
potrebbe scendere fino alle varie situazioni
"bipartisan" di cui abbiamo ampia esperienza nel
mondo politico italiano.

Che, contrariamente agli europei, gli USA non
ritengano concluso il lavoro di squartamento
della Jugoslavia e dei Balcani, con particolare
attenzione a Montenegro, Macedonia, la provincia
serba di Vojvodina, Bulgaria, è stato confermato
nelle ultime settimane dal vicecapo della CIA
per i Balcani, Steven Mayer, in un'intervista
all'emittente "Voice of America" (stesso
circuito di Radio B92, amichevolmente
frequentata dalle Tute Bianche) e in un
seminario al prestigioso "Woodrow Wilson
International Center for Scholars" (Woodrow
Wilson è il padrino di numerosi genocidi USA: da
presidente degli Stati Uniti, bel 1919 proclamò
gli embarghi il mezzo più silenzioso, efficace e
letale per disfarsi di popoli di troppo).

Mayer ha annunciato l'intenzione del
Dipartimento di Stato di convocare una nuova
"conferenza di Berlino" per "ridefinire gi
confini dei Balcani" in termini di monoetnicità.
"Non ce l'ho con le entità multietniche. E' che
la gente non le vuole", ha detto e a indicato
come unità statali separate la repubblica serba
di Bosnia, l'Erzegovina (parte croata della
Bosnia), la Serbia senza il Kosovo, il
Montenegro e "alcune altre parti
dell'ex-Jugoslavia". Alla domanda se Mayer fosse
favorevole allo smembramento della Macedonia, la
risposta è stata:"Lasciamo per ora che la
sopravvivenza dello Stato macedone rimanga una
questione aperta". Mayer ha poi sostenuto la
necessità che gli USA rimangano a lungo la forza
principale nei Balcani, per proseguire la
battaglia contro il terrorismo integralista di
Al Qaida. Peccato che proprio Al Qaida - e Osama
in prima persona - è stata usata in Bosnia e
Kosovo e, a detta dei dirigenti della Sicurezza
macedone, viene attivata oggi nel nord di quel
paese, sempre all'interno del disegno strategico
statunitense di frantumazione dei Balcani

OGGI A BELGRADO

Rivedo, alle cinque del mattino, le lunghe e
stanche file di cittadini alla ricerca
esaperante di beni essenziali che oggi costano
cinquecento volte di più rispetto all'ottobre
2000 del colpo di Stato, come tutto tranne
l'apparato produttivo serbo divorato da
multinazionali e pescecani all'ombra della DOS
(Opposizione Democratica serba, il
raggruppamento di 18 partiti dominato dalla
formazione di Djindjic e da cui si è separato
quest'estate il Partito Democratico Serbo del
presidente Vojislav Kostunica). Dismissioni di
"razionalizzazione" e privatizzazioni sotto
l'egida del Gruppo dei 17, organismo economico
teleguidato dal FMI, hanno prodotto un milione
di senza lavoro. Cacciati anche 15.000 dei
33.000 lavoratori della Zastava, totalmente
ricostruita dagli operai in poco più di un anno,
con fondi statali per il 6% della spesa
complessiva. Il PIL, tornato in lievissima
crescita, nonostante il micidiale embargo,
nell'anno della ricostruzione sotto Milosevic, è
oggi a -28. Spaventosa la nuova divaricazione
delle classi, fortemente ridotta dallo stato
sociale difeso nella misura del possibile (sotto
il costante ricatto del debito rastrellato dal
FMI tra tutti i creditori di una Jugoslavia
sabotata e isolatissima fin dal 1980), con una
concentrazione di superricchi da economia
mafiosa sul tipo post-"liberazione" nei paesi
del socialismo reale e un dilagare vertiginoso
della povertà assoluta. Il 28% dei serbi vive
oggi con meno di un dollari al giorno, il 73%
con due dollari. L'ex-Jugoslavia, che ancora,
sotto sanzioni, nel 1996 in recupero economico è
precipitata al 10° posto nella classifica dei
paesi più poveri del mondo. Accanto a Ciad,
Haiti, Mozambico. Nessuna delle più celebri e
vociferanti ONG assiste questi nuovi "dannati
della Terra", e le offerte per l'adozione di
bambini serbi riguardano sconcertantemente
perlopiù la sola Zastava. E gli USA continuano a
trattenere una seconda tranche di aiuti - 40
milioni di dollari - in attesa "che il governo
di Belgrado mostri un maggiore grado di
collaborazione con il Tribunale dell'Aja e
acceleri le riforme della sua economia e del suo
apparato produttivo". Stessa condizione è stata
posta dal'UE e sospesa solo quando, l'inverno
scorso, un Djndjic alle corde avvertiva che il
mancato arrivo degli aiuti avrebbe compromesso
la stabilizzazione sociale e politica del paese
e rafforzato la crescente opposizione sociale,
in massima misura guidata dal rinato e riformato
(nel senso di epurato dai suoi elementi
compromessi con episodi di corruzione e
malgoverno) Partito Socialista di Serbia (PSS).
La prima tranche, di 30 -simbolici - milioni era
stata pagata all'atto del sequestro e rapimento
di Slobodan Milosevic, il 28 giugno del 2001,
tre giorni dopo quell'ultima intervista in
libertà concessa dall'ex-presidente, in cui mi
diceva che un suo eventuale processo all'Aja
avrebbe potuto innescare la rinascita del
patriottismo e dell'antimperialismo tra i suoi concittadini.

Nel frattempo il governo Djndjic ha adottato due
leggi fondamentali, entrambe giudicate
incostituzionali dalla Corte Suprema ma
nondimeno andate in vigore: quella
sull'incondizionata collaborazione con l'Aja e
quella sul lavoro. Entrambe hanno provocato,
oltre all'accentuazione del dissidio tra
Djndjic, premier serbo, e il presidente federale
Kostunica, esploso con la consegna di Milosevic
all'Aja, la spaccatura della maggioranza parlamentare,
con l'incostituzionale cacciata da parte di
Djndjic di 45 parlamentari del partito di
Kostunica "per assenteismo" e il ritiro di
questo dalla coalizione DOS. Infine, la crescita
di una protesta sociale che si è espressa, a
dispetto della nuova, dirigenza "moderata"
imposta ai sindacati, con uno sciopero generale
e una ininterrotta serie di scioperi di
categoria o territoriali. Protagonisti i
lavoratori delle aziende di Stato, o miste, che
ora vengono svendute, senza più l'osservanza
della vecchia legge di Milosevic che imponeva
che almeno il 60% delle azioni ottenute dalla
privatizzazione fosse riservato alle maestranze.

Sono presenti anche studenti e cittadini non
sindacalizzati, colpiti dalla privatizzazione di
sanità e pubblica istruzione, con tasse
universitarie e scolastiche che, decuplicate
rispetto al valore nominale del governo
precedente, rendono questi servizi vitali
inaccessibili alla maggioranza della
popolazione. C'è stato anche un "effetto
collaterale" delle misure del fantoccio Nato al
governo: Con una revolverata in testa, sui
gradini del Parlamento Federale, si è ucciso
Vlajko Stojiljkovic, ex-ministro degli Interni,
membro socialista del Parlamento Federale,
accusato dai sicofanti giuridici dell'Aja di
"crimini di guerra". Nella lettera d'addio, la
protesta contro le leggi liberticide e
sovranicide di Djindjic, la denuncia
dell'aggressione Nato, la frantumazione della
Jugoslavia, la capitolazione e il tradimento dei
nuovi dirigenti, le violazioni della
Costituzione, la svendita della dignità
nazionale. "I cittadini, i patrioti di questo
paese sapranno rispondere", sono le ultime
parole del messaggio.

E' su questo piano che si svolge la battaglia
politica del Partito Socialista di Serbia,
oltrechè sulla difesa e diffusione della verità
sulla guerra imperialista e sull'operato di
Slobodan Milosevic. A quest'ultimo fine si è
dato vita a Belgrado al Comitato Internazionale
per la Difesa di Slobodan Milosevic (il cui
referente in Italia è chi scrive) che, con
l'adesione di numerose personalità politiche e
della cultura di tutto il mondo, presiedute da
Ramsey Clark, ha cercato con numerose iniziative
e mobilitazione di contribuire all'emergere dei
fatti attraverso la cortina della diffamazione e
dei silenzi mediatici e politici occidentali.

Rimane invece in discussione un'eventuale
alleanza anti-DOS tra il PSS e il partito del
presidente Kostunica. Molte restano le domande
circa l'affidabilità del rivale del fantoccio
tedesco-statunitense Djindjic. Kostunica si è
opposto alla legge sull'estradizione di
Milosevic e altri serbi, ma poi ha acconsentito
e ha promesso collaborazione con l'Aja.
Kostunica denuncia l'aggressione Nato, ma non
esonera Milosevic dalla false accuse e non
spende parola sulla persistente persecuzione dei
Serbi in Kosovo, né sul futuro della provincia,
né sulle terrificanti notizie, documentate da
ricerche di scienziati e istituti privati e
statali, circa il dilagare delle patologie
tumorali provocate dai bombardamenti all'uranio
e dall'inquinamento chimico. E' vero che contro
la legge sul lavoro, che disintegra i diritti
dei lavoratori, introduceva la
turboflessibilità, riduceva i salari,
liberalizzava i licenziamenti e le
privatizzazioni senza salvaguardia per gli
operai, Kostunica è arrivato fino a staccarsi
dalla coalizione di governo e ritirare i suoi
ministri. Ma è anche il politico che queste cose
le aveva previste nel suo programma elettorale
del 2000. Rimane il sospetto che il
liberaldemocratico, filomonarchico Kostunica
tenda solo a operazioni d'immagine, a
rappresentarsi, in vista delle elezioni
programmate per il 29 settembre, come
l'antagonista onesto, patriottico, dotato di
sensibilità sociale di Zoran Djndjic, definito
"corrotto, autoritario, venduto e mafioso". Una
tattica che, il 5 ottobre del 2000, gli fruttò i
voti di tanti serbi massacrati dal terrorismo
militare ed economico di 10 anni di aggressione
Nato. Una tattica portata avanti anche con il
clamoroso arresto di uno spione USA, con le
insegne dell'ambasciatore, mentre complottava
segretamente con il vice-primo ministro serbo
Momcilo Perisic, che gli stava consegnando
documentazioni sugli estradandi all'Aja e su
possibili testimoni "buoni" contro Milosevic
(Perisic ha dovuto successivamente dimettersi,
con grave scorno della coalizione guidata da
Djndjic). L'arresto è stato fatto eseguire
all'esercito, ancora considerato cuore della
resistenza serba.

Numerose sono state, negli ultimi mesi, le
manifestazioni organizzate dal PSS, partito di
Milosevic in difesa della sovranità serba, dei
diritti dei lavoratori e della liberazione di
Milosevic. La crescita nei sondaggi di quello
che rimane numericamente il primo partito di
Serbia non è stata compromessa, a luglio, da una
miniscissione di un gruppo di destra del partito
(30 su 190 membri del Comitato Centrale) che ha
allestito un congresso straordinario in cui ha
rimosso Milosevic dalla presidenza del partito e
dichiarato la sua disponibilità a collaborare
con Djindjic e le sue politiche economiche. La
più recente -all'atto di scrivere -
manifestazione di protesta ha visto riunite a
Belgrado circa 50.000 aderenti a quattro
formazioni: il PSS, con grande maggioranza, il
partito liberalnazionale di Vuk Draskovic, la
Sinistra Unita (JUL) di Mira Markovic e il Nuovo
Partito Comunista di Kitanovic.

VLADIMIR KRSLJIANIN

Pensiamo entrambi a Karzai, già consigliere
d'amministrazione della petrolifera USA UNOCAL,
che all'atto dell'insediamento da presidente
dell'Afghanistan "liberato", assegna all'UNOCAL
l'incarico di costruire - e sfruttare -
l'oleo-gasdotto dal Caucaso all'Afghanistan al
Pakistan all'India agli USA, quando leggiamo i
titoli che annunciano la conclusione a Zagabria
di un accordo tra serbi, croati e rumeni, per la
costruzione di un oleodotto dall'Asia centrale
a Vienna. L'esecuzione dell'accordo con le
proprie multinazionali verrà curato dall'Agenzia
USA per il Commercio e lo Sviluppo (USTDA) che
avrà la prima e l'ultima parola sull'opera e
sulla sua gestione. Il mio interlocutore è
Vladimir Krsljianin, membro della segreteria del
PSS, suo responsabile per gli esteri e portavoce.