Jugoslavia ovvero:
la coscienza sporca del centrosinistra


(Riflessioni e materiali sparsi, quattro anni dopo la interruzione
della aggressione della NATO e la occupazione militare della provincia
del Kosmet)


0. Preambolo: LA MEMORIA CORTA DI MASSIMO D'ALEMA

1. LA COMPOSIZIONE DEL PRIMO GOVERNO D'ALEMA
(21 ottobre 1998)

2. SERBIA: ORDIGNI NATO INESPLOSI IN 40 SITI, ANCHE IN FABBRICA
(ANSA del 14 febbraio 2003)

3. LE ANALISI
La "grande scacchiera" e la guerra della Nato
(Fausto Sorini su Liberazione del 5 giugno 1999)
La guerra del Kosovo, o dei Balcani...
(Angelo d'Orsi su "Liberazione)
E il dollaro va alla guerra contro l'euro
(Rita Madotto su Liberazione del 29 aprile 1999)

4. GLI UMORI DELLA BASE
Comunicato del Gruppo Zastava Trieste in occasione del quarto
anniversario dell'inizio della aggressione.
La macchia mai rimossa (Edgardo Bonalumi sul Manifesto del 26 marzo
2003).
Un commento di Roberto dalla lista Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..
Uno scambio di vedute tra un iscritto del PRC ed uno del PdCI.

5. GUERRA CONTRO L'INFORMAZIONE
Chi ricorda la tv serba bombardata? L'informazione negata. Ieri come
oggi
(da L'Unita' del 25/3/2003)
Giornalismo target. Dalla tv di Belgrado all'Hotel Palestine. Quel
«vicino» 23 aprile
(Domenico Gallo sul Manifesto del 23 aprile 2003)

6. DIRITTO
Sull'immodificabilita' dell'articolo 11 della Costituzione Italiana e
sulla necessita' di perseguire penalmente ai sensi di legge i golpisti
e gli stragisti
(Peppe Sini sul bollettino La nonviolenza e' in cammino, dicembre 2002)
PROCESSIAMOLI!
Noi sottoscritti firmatari di questo appello accusiamo le massime
autorità della Repubblica in carica nel marzo 1999 - in particolare il
presidente del Consiglio dei Ministri Massimo D'Alema e i membri del
Governo...
(Sezione Italiana del "Tribunale Clark", 1999)


SI VEDANO ANCHE:

* JUGOINFO 12 marzo 2001:
La vigilia della guerra: Come gli Usa hanno operato, attraverso la Cia,
per trascinare l'Italia nell'aggressione contro la Jugoslavia (di
Domenico Gallo)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/823
oppure
http://www.lernesto.it/5-00/Gallo-5.htm
* JUGOINFO 7 giugno 2001:
Il governo D'Alema nacque per rispettare gli impegni Nato
(ex ministro della difesa Carlo Scognamiglio Pasini)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1035
* JUGOINFO 10 giugno 2001:
Attacco contro Milosevic: fu il mio governo a dire sì
(ex pres. del consiglio Romano Prodi)
Prodi diede solo le basi, noi inviammo gli aerei
(ex ministro della difesa Carlo Scognamiglio Pasini)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1042
* JUGOINFO 16 giugno 2001:
Onorevole Prodi, non tolga a D'Alema il "merito" della guerra!
(comunicato Peacelink - allegati atti governo Prodi)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1060
* JUGOINFO
Prodi non aveva i voti per rispettare gli impegni Nato
(ex- presidente e sen. a vita Francesco Cossiga)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1067


=== 0. PREAMBOLO ===


LA MEMORIA CORTA DI MASSIMO D'ALEMA

<<Vorrei ricordare che quanto a impegno nelle operazioni militari noi
siamo stati, nei 78 giorni del conflitto, il terzo Paese, dopo gli USA
e la Francia, e prima della Gran Bretagna. In quanto ai tedeschi, hanno
fatto molta politica ma il loro sforzo militare non è paragonabile al
nostro: parlo non solo delle basi che ovviamente abbiamo messo a
disposizione, ma anche dei nostri 52 aerei, delle nostre navi. L'Italia
si trovava veramente in prima linea.>>

(On. Massimo D'Alema)

<<E' difficile definire le regole di appartenenza al giro nobile dei
grandi, non esiste uno statuto. Di fatto ti rendi conto di essere
entrato in una certa agenda di telefonate del presidente degli Stati
Uniti>>

(tratto da: M. D'Alema "Gli italiani e la guerra", Mondadori)

---

172 missioni in Kosovo dell'Aeronautica militare italiana

Dal "Giornale di Brescia", Sabato 10 Luglio 1999

A guerra conclusa, svelati dal colonnello Francesco Latorre
i numeri dell'operazione "Alled Force"

Sesto Stormo, 172 missioni per il Kossovo
Da Ghedi sono stati schierati in Puglia 85 uomini e 12 velivoli, per
418 ore di volo.
Missioni di ricognizione e di attacco a terra.

(...) L'altra sera il colonnello Latorre ha svelato tutti i numeri
della cosiddetta operazione Aled Force conclusasi il 10 Giugno con la
resa di Milosevic (sic). Lo ha fatto davanti ai militari del VI Stormo
e alle loro famiglie (cui e' andato il sincero ringraziamento del
comandante...) ma anche davanti al Generale Gargini, al prefetto, al
vicequestore e al comandante provinciale dei Carabinieri.
Il colonnello ha cominciato spiegando che, a causa della posizione
centrale in una zona perennemente in crisi (....), "l'Italia e'
considerata una sorta di portaerei nel Mediterraneo. Non a caso, nel
corso dell'Allied Force, l'85% delle missioni ha decollato dalle nostre
basi". (...)
Naturalmente, gli uomini e i mezzi del VI stormo hanno fatto la loro
parte. Anzi hanno fatto molto.
"L'impegno operativo del VI Stormo - ha detto Latorre - s'e'
concretizzato in missioni di ricognizione (2 sortite per due giorni la
settimana) e in missioni d'attacco effettuate in un primo periodo da
Ghedi, poi da una cellula schierata a Gioia del Colle (6/8 sortite
giornaliere per 6 giorni la settimana)".
(...) da Ghedi in Puglia sono arrivati 85 uomini, 12 velivoli e 12
laser pod. ll rischieramento ha consentito di effettuare 418 ore di
volo, che si traducono in 172 sortite: 6 di ricognizione e 166 di
attacchi veri e propri, sferrati contro obiettivi selezionati di tipo
prettamente militare: depositi di munizioni, caseme, aeroporti. V'e'
inoltre da specificare che, per gli attacchi, sono state utilizzate
bombe a puntamento laser e a caduta libera.
Il colonnello Latorre ha anche spiegato come tecnicamente avvenivano le
missioni. Dopo la preparazione alla base, "i nostri aerei decollavano
da Gioia del colle, quindi, fatto rifornimento in volo sull'Adriatico,
si mettevano in "zona d'attesa" su cieli non ostili, tipo la Macedonia
e l'Albania: l'attesa dipendeva dal fatto che si viaggiava in pacchetti
di
aerei e che ogni pacchetto aveva tempi precisi per entrare in azione.
Poi, quand'era il nostro turno, si andava sull'obiettivo, quindi,
seguendo rotte prestabilite, si tornava. Anche grazie alla preparazione
dei nostri equipaggi, tutto ha funzionato a meraviglia, tant'e' vero
che, nel 100% delle operazioni, uomini e mezzi sono rientrati alla base
(....)

Vedi anche:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1026
Dal Corriere della Sera del 22 maggio 2001
«Così l' Italia vinse la sfida in Kosovo»
Il generale Usa Clark: «Volevo usare i vostri elicotteri per prendere
Pristina». In un libro di memorie elogi al governo di Roma...

---

http://www.panorama.it/italia/indiscrezioni/articolo/ix1-A020001018102

La memoria (corta) di D'Alema
"Panorama" del 17/3/2003

Mentre si avvicina il giorno cruciale nel quale il Parlamento deve
votare sulla concessione agli Usa delle basi italiane (e il
centro-sinistra prepara le barricate), a Montecitorio qualcuno ha
tirato fuori una interessante fotocopia.

«Chiedo al Parlamento di non sacrificare in un momento così cruciale il
valore della coesione politica nazionale possibile, di non sacrificare
la consapevolezza trasversale ai diversi schieramenti di una comune
responsabilità verso gli interessi del Paese. Credo sia essenziale, in
momenti come questi, la ricerca della più larga unità intorno
all'azione e al ruolo internazionale dell'Italia». Parole del
presidente del Consiglio Silvio Berlusconi di fronte al Parlamento
chiamato a decidere se appoggiare o no la linea del governo sulla crisi
irachena? Sbagliato: sono le parole risuonate alla Camera il 26 marzo
del 1999 (di fronte ad un intervento, quello in Kosovo, ugualmente
privo della copertura Onu) e pronunciate da Massimo D'Alema, allora
capo del governo ma adesso in prima fila nel contrastare l'appello di
Palazzo Chigi per una linea bipartisan.

Dopo il duro alterco sulla crisi irachena avvenuto tra D'Alema e il
ministro per i Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi, a
Montecitorio hanno cominciato a circolare tra i deputati del
centro-destra le fotocopie del vecchio discorso dalemiano. E tutti
hanno notato come molte delle affermazioni contenute in quel discorso
sono improntate esattamente allo stesso spirito di quelle che in queste
ore si sentono da parte degli esponenti del governo in carica.
Esempio: «E' certamente legittimo» disse il 26 marzo 99 l'attuale
presidente della Quercia «sostenere che, sul piano strettamente
giuridico, l'intervento della Nato avviene senza mandato specifico
delle Nazioni Unite. Al contempo è impossibile negare purtroppo che ciò
dipende da una sostanziale paralisi del Consiglio di sicurezza,
bloccato nelle sue deliberazioni dai reciproci veti dei suoi membri».
Commento di molti deputati di lungo corso: «Peccato che in politica non
si utilizzino più spesso gli archivi...».


=== 1 ===


La composizione del governo D'Alema I (21 ottobre 1998)


Governo D'Alema I

Presidente del Consiglio: Massimo D'Alema (Ds)
Vice Presidente: Sergio Mattarella (Ppi)
Sottosegretario alla presidenza: Franco Bassanini (Ds)
Bilancio e Tesoro: Carlo Azeglio Ciampi
Finanze: Vincenzo Visco (Ds)
Industria: Pier Luigi Bersani (Ds)
Esteri: Lamberto Dini (Ri)
Giustizia: Oliviero Diliberto (Pdci)
Interno: Rosa Russo Jervolino (Ppi)
Commercio estero: Piero Fassino (Ds)
Riforme costituzionali: Giuliano Amato
Beni Culturali Spettacoli e Sport: Giovanna Melandri (Ds)
Sanità: Rosy Bindi (Ppi)
Ambiente: Edo Ronchi (Verdi)
Funzione Pubblica: Angelo Piazza (Sdi)
Comunicazioni: Salvatore Cardinale (Udr)
Pubblica Istruzione: Luigi Berlinguer (Ds)
Ricerca Scientifica e Università: Ortensio Zecchino (Ppi)
Trasporti: Tiziano Treu (Ri)
Difesa: Carlo Scognamiglio (Udr)
Lavori Pubblici: Enrico Micheli (Ppi)
Lavoro e Mezzogiorno: Antonio Bassolino (Ds)
Pari opportunità: Laura Balbo
Solidarietà sociale: Livia Turco (Ds)
Politiche agricole: Paolo De Castro (Ulivo)
Rapporti parlamento: Guido Folloni (Udr)
Politiche comunitarie: Enrico Letta (Ppi)
Affari regionali: Katia Belillo (Pdci)

(21 ottobre 1998)


=== 2 ===


SERBIA: ORDIGNI NATO INESPLOSI IN 40 SITI, ANCHE IN FABBRICA

(ANSA) - BELGRADO, 14 FEB - Ordigni inesplosi dei raid
della Nato della primavera 1999 sono stati individuati in 40 siti
serbi, di cui uno e' il cortile di una grande fabbrica di Pancevo (10
chilometri a est di Belgrado) tuttora in attivita'. Lo ha detto il
direttore del centro di sminamento serbo Petar Mihajlovic, precisando
che ''la maggior parte delle bombe inesplose sono nei sotterranei
dell'ambasciata cinese a Belgrado, nel quartiere belgradese di
Zvezdara, sul monte Avala e nel sobborgo di Batajnica, dove c'e'
l'aeroporto militare''. Recentemente, i tecnici incaricati dei progetti
di bonifica del Danubio avevano indicato nove siti in prossimita' di
altrettante
cittadine e villaggi lungo il fiume. Per l'ambasciata cinese, esperti
americani avevano recentemente offerto aiuto nel disinnescare gli
ordigni, ma Pechino ha rifiutato. Secondo la stampa serba, la sede
diplomatica - bombardata nel maggio del 1999 con un bilancio di quattro
morti e dieci feriti - avrebbe nascosto un centro di comando delle
forze armate di Slobodan Milosevic o forse delle gallerie di
comunicazione con i centri del vecchio potere. (ANSA). OT14/02/2003
17:32

http://www.ansa.it/balcani/serbiamontenegro/serbiamontenegro.shtml


=== 3 : LE ANALISI ===


La "grande scacchiera" e la guerra della Nato

Fausto Sorini
Liberazione 5 giugno 1999

"La grande scacchiera" è il titolo di un recensissimo libro di
Zbigniew Brzezinski, già consigliere per la sicurezza nazionale del
presidente Carter, una delle teste pensanti della politica estera degli
Stati Uniti. Esso espone, con esemplare chiarezza e senza infingimenti
"umanitari", il quadro strategico globale entro cui collocare e
comprendere le ragioni essenziali dell'aggressione della Nato alla
Repubblica Federale
Jugoslava, fortissimamente voluta dagli Stati Uniti. "Il crollo
dell'Unione Sovietica - scrive l'autore - ha fatto sì che gli Stati
Uniti diventassero la prima e unica potenza veramente globale, con una
egemonia mondiale senza precedenti e
oggi incontrastata. Ma continuerà ad esserlo anche in futuro? Per gli
Stati Uniti, il premio geopolitico più importante è rappresentato
dall'Eurasia, il continente più grande del globo", che "occupa,
geopoliticamente parlando, una posizione assiale, dove vive circa il
75% della popolazione mondiale ed è concentrata gran parte della
ricchezza del mondo, sia industriale che nel sottosuolo. Questo
continente incide per circa il 60% sul PIL mondiale e per 3/4 sulle
risorse
energetiche conosciute ... L'Eurasia - sintetizza Brzezinski - è
quindi la scacchiera su cui si continua a giocare la partita per la
supremazia globale".
"Ma se la Russia - prosegue l'autore - dovesse respingere
l'Occidente, diventare una singola entità aggressiva e stringere
un'alleanza con il principale attore orientale (la Cina) ", e con
l'India, "allora il primato americano in Eurasia si ridurrebbe
sensibilmente". E così pure se i partner euro-occidentali, soprattutto
Francia e Germania, "dovessero spodestare gli Stati Uniti dal loro
osservatorio nella periferia occidentale" (così viene definita l'area
dell'Unione Europea), "la partecipazione americana alla partita nello
scacchiere eurasiatico si concluderebbe automaticamente". Quindi,
conclude Brzezinski, "la capacità degli Stati Uniti di esercitare
un'effettiva supremazia mondiale dipenderà dal modo con cui sapranno
affrontare i complessi equilibri di forza
nell'Eurasia: e la priorità deve essere quella di tenere sotto
controllo l'ascesa di altre potenze regionali (predominanti e
antagoniste) in modo che non minaccino la supremazia mondiale degli
Stati Uniti". "Per usare una terminologia che riecheggia l'epoca più
brutale degli antichi imperi, tre sono i
grandi imperativi della geo-strategia imperiale: impedire collusioni e
mantenere tra i vassalli la dipendenza in termini di sicurezza,
garantire la protezione e l'arrendevolezza dei tributari e impedire ai
barbari di stringere alleanze". Gli Stati Uniti vogliono in primo luogo
evitare che in Russia si affermi un
potere politico influenzato dai comunisti, avverso al liberismo
selvaggio che ha precipitato il Paese nella crisi più nera e volto a
ristabilire una collocazione internazionale della Russia non subalterna
all'Occidente. Per questo il deposto premier Primakov era ed è
considerato un avversario temibile: è
sostenuto da una Duma dominata dai comunisti, sorretto da un consenso
popolare dell'80%, favorito alle elezioni presidenziali dell'anno
prossimo, mentre il consenso degli uomini di fiducia degli Stati Uniti,
come Eltsin e Cernomyrdin è precipitato al 5-10%.
Anche per questo Eltsin lo ha destituito (rendendo ormai drammatico il
fossato tra paese reale e paese "legale", ai limiti di uno scontro
interno che potrebbe precipitare in forme drammatiche), dopo avergli
sottratto il dossier "guerra in Jugoslavia" per affidarlo a
Cernomyrdin. In modo che l'eventuale successo di una mediazione
diplomatica russa avvenga su una linea più docile alle volontà della
Nato, e che sia il nucleo eltsiniano (e non Primakov e la sua squadra)
a trarne i maggiori benefici di immagine, in vista delle prossime
scadenze elettorali in Russia. Gli Usa vogliono inoltre favorire una
evoluzione della Cina per cui le forze espressione di una nuova
borghesia interna legata al mercato internazionale (che auspica un
legame preferenziale e docile con gli Stati Uniti) prendano
gradualmente il sopravvento sulle forze sociali e politiche che restano
legate a un progetto originale e inedito di lunga transizione al
socialismo, con una economia mista in cui il pubblico resti comunque
prevalente sul privato. Il bombardamento pianificato dell'ambasciata
cinese a Belgrado, era certo un test per vedere fino a che punto la
Cina era in grado di assumere sulla guerra in Jugoslavia un profilo
forte e autonomo dagli Usa e la reazione degli studenti cinesi (da
molti considerati ormai succubi del modello americano) è stato un
segnale più che incoraggiante di tenuta di un orientamento
antimperialista, di dignità nazionale, di autonomia di valori, che
parla alle nuove generazioni del mondo intero. Ma quelle bombe si
proponevano, da parte dei
fautori della guerra totale contro la Jugoslavia, anche l'obbiettivo di
inasprire le relazioni internazionali e rendere impossibile in sede Onu
una risoluzione ragionevole e negoziata (non imposta dalla Nato) tra
tutte le parti in causa del conflitto balcanico. Anche sull'India,
potenza nucleare, gli Usa premono per sottrarla alla sua storica
collocazione di non
allineamento, che conserva forti radici nel Paese, per imporle una
linea di privatizzazioni selvagge e di smantellamento del ruolo dello
Stato in economia (tuttora consistente) e omologarla al modello
neo-liberale. In Europa si cerca di
impedire che si affermi un modello sociale diverso da quello neo-
liberale ed un sistema di sicurezza alternativo alla Nato e alla tutela
americana sull'Europa.
Tanto più se ciò dovesse prefigurare un quadro di cooperazione
economica, politica e militare di tutta l'Europa, dall'Atlantico agli
Urali, passando per i Balcani. Il che configurerebbe una entità
economica geopolitica e di sicurezza di prima grandezza nel panorama
mondiale e scalzerebbe l'influenza predominante degli Usa sul vecchio
continente. Proprio Primakov è stato e rimane uno dei più convinti
assertori di questo asse Russia-Unione Europea ad Ovest, e di un altro
asse Russia-Cina-India ad oriente, che marcherebbero una evoluzione
multipolare degli assetti planetari e degli stessi rapporti in seno
alle Nazioni Unite, minando il progetto americano di egemonia globale
unipolare, che comporta invece l'affossamento dell'Onu e la
trasformazione della nuova Nato a guida americana in regolatore supremo
di ogni controversia internazionale. Sul solo terreno della
competizione economica l'imperialismo americano non è in grado oggi di
dominare il mondo e di subordinare i suoi stessi alleati/concorrenti
come Unione Europea e Giappone. Gli Usa incidevano nel dopoguerra per
il 50% del PIL mondiale: oggi la percentuale si è dimezzata, ed è di
poco inferiore a quella dell'Unione Europea. Spostare la competizione
sul terreno militare, dove la potenza Usa è ancora di gran lunga
preponderante, significa usare la guerra come strumento di egemonia
economica e politica. Anche contro l'Europa: costringendola a subire
l'iniziativa e l'interventismo anglo-americano o ad entrare nel gioco
della grande spartizione delle zone di influenza, ma in posizione
subalterna. Come appunto è avvenuto con questa guerra.
Siamo partiti, in apparenza, da lontano, ma la conclusione è sintetica
e ci tocca da vicino. Il controllo dei Balcani è strategico nella
competizione per il controllo dell'Eurasia. I Balcani sono storicamente
la porta per l'Oriente; da lì passano
oggi oleodotti e gasdotti che trasportano le vitali risorse energetiche
tra Europa e Asia. Nella contigua regione del Mar Caspio, del Mar Nero,
del Caucaso gli scienziati stimano esservi giacimenti di petrolio e di
gas naturale tra i maggiori del mondo. L'allargamento della Nato ad Est
si propone di inglobare gradualmente tutti i paesi dell'Europa
centro-orientale e dei Balcani, incluse le repubbliche europee dell'ex
Unione Sovietica, per farne un grande protettorato atlantico: per
controllarne le risorse e circondare una Russia non ancora
"normalizzata" e dal futuro incerto. Mentre all'altro capo del
continente eurasiatico, proprio in queste settimane, è andata
strutturandosi una "Nato asiatica", che comprende, in un sistema
militare e di "sicurezza" integrato, gli Stati Uniti, il Giappone, la
Corea del Sud e strizza l'occhio a Taiwan, cui si
assicura "protezione". Che cosa accadrebbe domani se gli Stati Uniti
decidessero di dare vita ad una nuova UCK in Cecenia, in Daghestan; in
Tibet o magari a Taiwan? La Jugoslavia rappresentava, agli inizi degli
anni '90, un ostacolo alla normalizzazione dei Balcani. Facendo leva su
processi disgregativi interni e ataviche tensioni etniche e nazionali,
alimentate dalla crisi dell'esperienza socialista jugoslava (che
richiederebbe un discorso a parte), la Germania prima e gli Usa poi
hanno spinto per la disintegrazione del paese (attizzare il fuoco,
disgregare, per poi intervenire, assumere il controllo, colonizzare).
Da qui la secessione della Slovenia, della Croazia, della Macedonia,
della Bosnia, e la trasformazione dell'Albania in una grande base Nato
nel Mediterraneo.
Restava ancora da spappolare la Repubblica Federale Jugoslava, e
soprattutto l'indocile Serbia. Così fu aperto il dossier Kossovo, dove
certo non mancavano i presupposti per gettare benzina sul fuoco. E dove
la parte più estrema
del nazionalismo serbo, con forti appoggi nel governo di Belgrado,
aveva colpevolmente contribuito ad esasperare i rapporti con la
popolazione kossovara di origine albanese: a sua volta sospinta
dall'UCK, armata dagli americani, a precipitare la regione nella guerra
civile, per poi invocare
l'intervento "liberatore" della Nato.. Ma questa è storia dei giorni
nostri; anzi, cronaca.


> La guerra del Kosovo, o dei Balcani...
>
> Angelo d'Orsi (da "Liberazione)
>
> La guerra del Kosovo, o dei Balcani, che ha chiuso cronologicamente il
> Novecento, ha riproposto gli stessi meccanismi del Golfo, prova
> generale per la realizzazione del "nuovo ordine mondiale", con una
> peculiarità: si è trattato di un conflitto fomentato dall'Occidente,
> una guerra politicamente e giuridicamente evitabile, ma perseguita con
> lucidità dagli Stati Uniti e accetta più o meno volentieri
> dall'Europa. Peraltro, con la guerra a Milosevic, l'Europa per la
> prima volta da espressione geografica e koiné culturale si presentava
> come entità politica: si è trattato della prima guerra dell'Unione
> Europea, che ha così avuto un suo canonico "battesimo del fuoco",
> rimanendo perfettamente in linea con la tradizionale idea che senza
> sangue non si crea una nazione.
> Che poi la nazione europea abbia davvero potuto essere generata dal
> conflitto appare davvero dubbio, trattandosi anche di una guerra
> infraeuropea, di un'aggressione all'Europa da parte dell'Europa, per
> un verso, e di un attacco all'Europa proveniente d'Oltre Atlantico.
>
> In quella neoguerra, il ricorso all'uso politico della storia - forma
> estrema dell'uso pubblico della storia -, al suo inesauribile
> supermercato, è stato particolarmente forte e martellante. Filosofi,
> scienziati, politici e cultori professionali o dilettanti di storia
> sono stati mobilitati in massa per fornire alla classe politica e ai
> suoi propagandisti gli strumenti e gli argomenti di varia natura alla
> preparazione ideologica e alla successiva giustificazione
> dell'evento, che, nella buona sostanza, era semplicemente
> un'aggressione armata, condotta con mezzi aerei da cinquemila metri di
> altezza, da parte di una coalizione di diciannove Stati - quasi tutti
> i più potenti della Terra - contro una nazione di nove milioni scarsi
> di abitanti, più piccola della metà dell'Italia settentrionale. Di
> nuovo, come nel Golfo, ma con intensità assai maggiore e
> un'insistenza resa più facile da false analogie storico-geografiche,
> il ricorso al paradigma antifascista, alla più "giusta" delle guerre -
> quella condotta contro il nazifascismo da parte delle "democrazie" -
> serve a fare accettare all'opinione pubblica internazionale, europea
> soprattutto, un'azione militare inaccettabile sotto tutti i principi.
> Ancora una volta si riaffacciava il fantasma di Adolf Hitler, i cui
> panni erano fatti indossare al serbo Milosevic, con la connessa, falsa
> e moralmente ripugnante equiparazione della cosiddetta pulizia etnica
> (rimasta peraltro largamente indimostrata) al genocidio ebraico; e via
> di questo passo, in un incredibile repertorio fondato su false
> analogie, anacronismi, mezze verità e palesi menzogne: il tutto
> fornito da uomini di studio, di scienza, di cultura. E anche recenti,
> rigorosamente documentati lavori di studiosi autentici hanno finito
> per avallare, passando dal piano conoscitivo a quello valutativo, un
> giudizio di "colpevolezza" serba, pur con numerosi distinguo e con
> apprezzabili sforzi di corresponsabilizzazione degli altri attori,
> interni, ed esterni, in campo. Mentre, d'altro canto, statisti e
> commentatori professionali (pur con qualche lodevole eccezione, frutto
> talora di pentimento rispetto a posizioni pregresse), non si sono
> ritratti, nella "guerra al Terrore", dal riproporre una volta ancora
> l'equazione tra i "buoni" del momento, ossia gli americani e i loro
> alleati (succubi), e quelli del 1939-45 (ancora gli americani e i loro
> alleati), e, sul fronte opposto, i "cattivi", equiparati a Hitler e i
> suoi alleati (succubi).
>
> Insomma, anche quando non hanno agito in prima persona per costruzione
> di menzogne a fini di legittimare quel che era impossibile legittimare
> su ogni piano, gli intellettuali si sono assunti una responsabilità
> negativa, nel senso che non hanno fatto ciò che ad essi primariamente
> compete, o lo hanno fatto troppo poco, episodicamente: un'opera di
> demistificazione critica, di denuncia proprio delle manipolazioni,
> delle corruzioni e degli inquinamenti della verità, che, al comodo
> riparo di una storia bric-à-brac, sono alle nostre spalle, e,
> purtroppo, pur all'interno di un lento processo di presa di distanza
> dalle (dichiarate) ragioni del conflitto.
>
> Né sufficiente è apparsa la mobilitazione intellettuale davanti
> all'ultimo obbrobrio: la "guerra preventiva", estremo vulnus al
> diritto, alla logica, alla storia. Troppi chierici hanno taciuto,
> approvato, giustificato, colpevolmente.
>
> Pessimismo eccessivo? Catastrofismo (appunto)? Se si vuole una
> piccola nota di moderato ottimismo teorico si può ricordare che la
> teoria delle catastrofi applicata all'ambito politico - come per
> esempio fa Georges Sorel nelle sue Réflexions sur la violence (1908),
> riprendendo e sviluppando Marx a proprio modo - vede appunto una
> "catastrofe" a segnare il passaggio da un'epoca ad un'altra,
> superiore, per livello di civiltà. Tale sarà il passaggio dal
> capitalismo al socialismo; ma, egli aggiunge, non è poi certo e
> nemmeno necessario che ciò accada; basterà che l'evento catastrofico
> sia atteso come un mito vivificante per produrre conseguenze.
>
> Non abbiamo la fede di Sorel, ma piuttosto la passione per la ricerca
> e l'acribia: è piuttosto a Marc Bloch che si può guardare con
> reverente attenzione. Ponendoci sulla scia di un tale gigante della
> storia (dunque della ricerca appassionata della verità), ci chiediamo
> se un lavoro, insieme modesto e difficile, di scrupolosa raccolta di
> dati e di loro interpretazione (ci auguriamo corretta), non possa
> costituire un pur minimo contributo utile per evitare la "catastrofe".
>
> Con il che dall'accezione corrente del termine catastrofe ritorniamo
> alla sua origine: evento (perlopiù doloroso) o insieme di eventi che
> portano allo scioglimento della tragedia, fornendo un ammaestramento
> agli uomini (e alle donne). Non sta a chi scrive dire se qualche, pur
> piccolo e modesto "ammaestramento" possa uscirne per il lettore. Ma
> sia lecito almeno esprimere l'auspicio che in quel lettore sorga, da
> questo libro, il desiderio di capire e sapere di più.

http://digilander.libero.it/economiadiguerra/euro_kosovo_usa.htm

E il dollaro va alla guerra contro l'euro

Tina Menotti
(Rita Madotto)

Liberazione 29 aprile 1999

Della guerra della Nato in Kosovo ne sa piú Alan Greenspan - presidente
della Federal Reserve - che Bill Clinton. La natura di questa guerra,
infatti, è preminentemente economica e finanziaria. E il
disorientamento dei commentatori che
accettano passivamente la tesi della "guerra umanitaria" la dice lunga
sul processo di omologazione all'ideologia della superpotenza Usa
avvenuta negli ultimi due decenni e che non ha risparmiato la cultura
della "sinistra riformista". Il ruolo predominante degli Stati Uniti
nel decidere tempi e modalità della guerra è sotto gli occhi di tutti,
ed evidenzia che gli Usa non hanno alcuna fretta di chiudere il
conflitto, anzi hanno bisogno di allargarlo.

La rendita degli Usa

I Balcani e la pulizia etnica in Kosovo non sono la vera materia del
contendere, ma lo strumento attraverso cui gli Stati Uniti hanno deciso
di destabilizzare l'Europa: un'area economica che, dopo l'unificazione
monetaria, può minacciare la rendita di posizione degli Usa sui mercati
internazionali. Un'egemonia
incontrastata e rafforzata dal ruolo politico e militare degli Usa nel
mondo dopo la caduta del muro di Berlino. Erodere la supremazia del
dollaro significa, infatti, rompere quel meccanismo attraverso cui gli
Usa esportano sistematicamente le loro crisi economiche, godendo cosí
di un'economia in buona salute nonostante l'alto indebitamento delle
famiglie e il pazzesco indebitamento con l'estero. Lo scenario
economico che si è determinato negli ultimi due anni mostra con
chiarezza che tale rendita di posizione è seriamente minacciata.
Il terremoto finanziario partito dal Sud-est asiatico e il Giappone e
che ha investito la Russia e il Brasile è partito essenzialmente da
due fattori concomitanti. La liberalizzazione selvaggia del movimento
dei capitali, voluta dagli Usa per trovare collocazione alle ingenti
risorse finanziarie liberate dalle politiche di riduzione del debito
statale, che hanno determinato minori rendite sui titoli pubblici, e
soprattutto dalla
privatizzazione del sistema previdenziale. Ciò ha consentito ai
paesi emergenti forti indebitamenti a breve, mentre la veloce
rivalutazione del dollaro nell'estate del '97 (il secondo fattore
scatenante) ha fatto esplodere il debito estero di questi paesi
innescando la crisi a livello globale. I capitali sono ritornati sulle
piazze europee e su quella statunitense con l'effetto di alimentare
ancora di piú la bolla speculativa che da anni ormai incombe come una
bomba a orologeria. Greenspan metteva in guardia il sistema quando il
Dow Jones - l'indice azionario -
era a quota 6.500 (settembre). La successiva riduzione del tasso di
sconto per dar fiato al sistema del credito, dopo il crack del fondo
speculativo Long Term Credit Management che ha rischiato di innescare
una serie di fallimenti a catena, ha portato l'indice a oltre diecimila
punti. La sopravvalutazione dei corsi azionari oscilla cosí tra il 25 e
il 40% e ciò mette in crisi tutto il sistema. Crisi di questa natura
non sono una novità per il mercato ma la differenza con il passato l'ha
fatta il varo dell'euro: un progetto che, nell'intenzione dei
promotori, aveva la finalità di creare un mercato unico di merci e
capitali capace di competere con gli altri due blocchi economici, il
Giappone e le tigri asiatiche, e il Nafta (mercato unico del centro e
nord America).

La concorrenza dell'Ue

Una solida moneta europea, capace di reggere, per dimensione delle
riserve, alle ondate speculative indurrebbe molte banche centrali e
istituti finanziari a rivedere la composizione delle proprie riserve
valutarie.
L'euro farebbe concorrenza al dollaro e, visto il livello
dell'indebitamento estero degli Usa (le stime dicono che nel 1999 il
debito commerciale potrebbe superare i 200 miliardi di dollari), ne
segnerebbe il declino. Un lusso che gli Stati Uniti non possono
concedersi. Come contrastare questo processo? L'unica possibilità per
gli Stati Uniti è quella di destabilizzare l'Europa.
L'occasione della guerra nel cuore dell'Europa deve essere apparsa
troppo ghiotta alla leadership statunitense per non essere colta al
balzo: certo è che questo non verrà mai scritto in nessuna
"dichiarazione di guerra". Una guerra che
destabilizza è una guerra lunga che soddisfa gli appetiti del complesso
militar-industriale degli Usa. Un terzo delle spese di bilancio degli
Stati Uniti sono spese per la "difesa" e il peso dell'economia di
guerra sul Pil è sempre stato il piú alto tra tutti i paesi a
capitalismo avanzato. L'aumento della spesa attraverso gli
investimenti nel settore militare, in un contesto di deflazione
strisciante, è la strada maestra per rilanciare l'economia in un paese
che ha demolito qualsiasi meccanismo di redistribuzione del reddito.
E l'Europa? E i governanti europei, in maggioranza socialdemocratici? È
possibile che si siano fatti parte attiva del loro stesso
depotenziamento? Intanto l'Europa politica non esiste ed è questa la
prima grande sottolineatura di questa guerra. Su questo punto hanno
investito in primis gli strateghi
statunitensi. A livello dei singoli governi è prevalsa, poi, la
politica di piccolo cabotaggio e/o gli interessi delle lobby
dell'industria degli armamenti. Gran Bretagna in testa, dove agli
interessi di potenza nel settore armi si aggiunge la
storica allergia al progetto di unificazione monetaria che toglie
a Londra lo scettro di piú grande piazza finanziaria europea. Altro
elemento di debolezza dell'Europa sono i governi della sinistra
moderata, la cui unica preoccupazione sembra quella di legittimarsi e
a cui sfugge l'inganno della paradossale "guerra umanitaria". Hanno
"dimenticato" le finalità prime del varo dell'euro, avendo essi stessi
piegato la moneta unica a strumento eccellente delle politiche
restrittive di bilancio di questi ultimi cinque anni. Il risultato è
che l'Europa non ha alcun ruolo autonomo, il conflitto in corso l'ha
ridotta a una mera espressione geografica, e nessuno può pensare, in
queste condizioni, che la sua moneta di riferimento possa essere
considerata un "equivalente generale" affidabile.


=== 4 : GLI UMORI DELLA BASE ===


--- In Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., "Gruppo Zastava - TS" ha scritto:

24 MARZO 1999 - 2003
"Chi e perché ha voluto distruggere la Jugoslavia"

Il 24 Marzo 1999 la NATO, l'Europa, gli USA, il governo D'Alema-Ulivo,
con l'appoggio delle destre e per conto delle potenze economiche
mondiali dominanti, nell'ambito di un disegno globale di
ricolonizzazione, scatenarono una micidiale pioggia di bombe sui popoli
della Federazione Jugoslava, violando Costituzione italiana, leggi e
trattati nazionale e internazionali. Migliaia di vittime sotto le
bombe, missili con uranio impoverito e grafite, il più grande disastro
ambientale mai avvenuto in Europa: 20.000 morti di tumore in 4 anni di
cui il 30% bambini. La Jugoslavia cancellata politicamente da un
governo fantoccio al servizio della NATO e dell'Unione Europea, che con
un consenso dell'8% applica oggi fedelmente le ricette liberiste con
licenziamenti e privatizzazioni.
L'aggressione italiana alla Jugoslavia, pur nella sua orrenda
specificità, non è stato un inizio né una fine: governi di centro-
sinistra e di centro-destra, in egual modo, hanno coinvolto il Paese in
altre aggressioni armate. L'esercito italiano è ad oggi impegnato in
Albania (2600 effettivi), Bosnia (1200), Serbia (Kosovo, 4900),
Macedonia (120), Afghanistan (1400), Eritrea (50), mentre l'Italia è
occupata militarmente da più di 140 basi USA e NATO.
Ma la "guerra umanitaria" alla Jugoslavia del 1999, preceduta da molti
altri "interventi di polizia internazionale" (Libano '82, Iraq '91,
Somalia '93, Albania '95) atti a tastare il polso alle potenze
"alleate" europee, è stata soprattutto il banco di prova generale USA
di una nuova politica egemonica, mirata a far saltare gli ultimi
residui del "diritto internazionale" ed a varare la politica USA delle
alleanze a "geometria variabile" definitivamente collaudato in
Afghanistan nel 2001, ed oggi tocca all'Iraq. E ancora una volta
l'Italia, sulla spinta dei suoi potentati economico-finanziari
bi-polari, vi vuole partecipare.
L'orizzonte, dopo e attraverso la distruzione della Jugoslavia, è
cambiato: dalle guerre "limitate" e "concordate" si è passati alla
guerra mondiale permanente. La feroce competizione fra gli stati
"alleati" membri del G8 sta sfociando inevitabilmente in nuove guerre,
costringendo gli Stati Uniti ad "alzare il tiro", pena la perdita
dell'egemonia mondiale.
Siamo di fronte ad uno scenario di guerra globale non solo militare e
non solo contro i popoli che rifiutano di farsi colonizzare. E' una
guerra sociale ed economica contro i lavoratori di tutto il mondo.
Contro i lavoratori italiani costretti a subire in questi ultimi 10
anni le politiche dei due poli che si sono alternate al governo: tagli,
privatizzazioni, bassi salari, cancellazione dei diritti.
C'è chi ha interesse che la data del 24 Marzo venga cancellata dalla
nostra memoria. Noi, invece, vogliamo farla vivere e contestualizzarla
dentro la giusta protesta, popolare e di massa, che in questo periodo
si esprime, finalmente in termini radicali, contro la guerra.
Invitiamo pertanto a partecipare alla giornata di mobilitazione di
domenica 23 Marzo, a ridosso del quarto anniversario dei bombardamenti
sulla Jugoslavia, contro la guerra, per la chiusura della base USA-NATO
di Aviano. Base da cui sono partiti, e partiranno, gli aerei con il
loro carico di morte.

GRUPPO ZASTAVA TRIESTE
(elaborato da un testo dei compagni romagnoli che ringraziamo per lo
spunto e per non aver dimenticato questa tragica data - yure)

---

«Colpito e terrorizzato»
La macchia mai rimossa

In questi giorni, come non bastasse l'incubo della guerra all'Irak, ci
tocca rivivere la vergogna della guerra del Kossovo, prevedibilmente e
non infondatamente rievocata dal centro-destra. Succede così divedere,
nelle tante maratone televisive, Melandri e Letta sostenere goffamente
che allora non fu violata la Costituzione, perché si agiva nell'ambito
Nato (cosa detta nello stesso giorno in cui Andreotti, al Senato,
dimostrava come persino il trattato della Nato fosse stato violato
nella guerra alla Jugoslavia). O di assistere al balbettio di Pecoraro
Scanio, il quale non trova di meglio che inventarsi che "allora era
d'accordo anche il Papa". Ed ecco, da Costanzo, l'esibizione di Massimo
D'Alema, che difende la sua guerra in un modo talmente supponente e
pretestuoso, da spingere il pubblico del Teatro Parioli, sempre così
benevolo verso l'Ulivo, ad indirizzare applausi liberatorii alle facili
confutazioni di un pensatore come Belpietro. E oggi riecco il Nostro
sulla Stampa, saldo come una roccia: "D'Alema non cambia idea". E' noto
che una memoria lunga è spesso d'ostacolo all'azione politica, nella
quale è utile a volte saper dimenticare: ma la ferita del Kossovo è
troppo recente e troppo profonda per essere archiviata o peggio,
rimossa. Anzi, è proprio in queste giornate drammatiche, dentro la
grande onda pacifista che ha sollevato il Paese, è proprio ora che
occorre ricordare, discutere, contestare quelle scelte, come garanzia
che non abbiano a ripetersi.E allora ripetiamolo fino alla noia:
l'Italia fu portata in una guerra di aggressione a uno Stato sovrano,
in violazione della Carta dell'Onu, del Trattato del Nord Atlantico,
della Costituzione repubblicana. Al Parlamento fu consentito votare
solo ad attacco già iniziato. Nei settantotto giorni di bombardamenti
devastanti i governi alleati si macchiarono di numerosi crimini di
guerra (uno per tutti: la strage proditoria di giornalisti, tecnici,
civili, compiuta con la scelta di bombardare la Torre sede della
televisione jugoslava a Belgrado). Bohumil Hrabal usava citare un
cartello esposto in una tintoria di Praga. C'era scritto: "Si avvisa la
Spettabile Clientela che alcune macchie non possono essere cancellate
senza intaccare le fibre del tessuto". La guerra del Kossovo è una di
queste macchie. E il tessuto va intaccato, con una riflessione
autocritica di fondo, o almeno con un rinnovamento della futura
leadership ristretta del centro sinistra che metta da parte i
principali responsabili di quel misfatto. Per ora il solo Cofferati,
che pure porta una responsabilità infinitamente minore, ha avviato un
ripensamento serio. Altri segnali non se ne vedono. Se su questo
terreno nulla dovesse cambiare di qui alle politiche, penso che non
saremmo in pochi ad incontrare qualche difficoltà a votare Ulivo,
indipendentemente dalle scelte che Rc deciderà di operare. Non tanto
per una condanna morale inappellabile riferita al passato, quanto per
una preoccupazione politica che riguarda il futuro: perché i D'Alema, i
Rutelli, i Fassino, ci stanno dicendo che, si ripresentassero
circostanze analoghe a quelle di allora, sarebbero pronti ad una nuova
guerra.

Edgardo Bonalumi
Il Manifesto - 26 marzo 2003
http://www.informationguerrilla.org/kossovo_e_la_sinistra.htm

------- Forwarded message follows -------
To: "no-ogm-ra" <Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.>
From: "amato.r"
Date sent: Tue, 15 Apr 2003 08:58:25 +0200
Subject: [no-ogm-ra] Re: Kosovo, gli ipocriti
Send reply to: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

----- Original Message -----
From: "glr"
Sent: Saturday, April 12, 2003 3:49 AM
Subject: Kosovo, gli ipocriti: La Melandri non c'era e se c'era
dormiva (Fwd) [JUGOINFO]

Gli ipocriti (2)
La Melandri non c'era e se c'era dormiva
___________

La contraddizione nelle dichiarazioni di D'Alema e altri esponenti DS è
quotidianamente sotto gli occhi e le orecchie di tutti, a me basta
ascoltare il giornale radio per sentirmi a disagio, e non credo di
essere il solo.
La mancanza di coerenza è il principale pericolo per la credibilità e
il futuro della Sinistra e deve superata.
Una netta sconfessione delle posizioni di allora e l'allontanamento dei
responsabili è indispensabile, per questo preciso motivo.
Errori così gravi non possono restare impuniti.
L'accusa di opportunismo e ipocrisia (ora o allora?) da parte
dell'opposizione e dell'elettorato, deve essere radicalmente
eliminata, eliminandone i fondamenti.
E' indispensabile e non più dilazionabile un chiarimento approfondito e
inequivocabile delle posizioni attuali dell'Ulivo rispetto alla
politica estera italiana e dei rapporti con l'"alleato" statunitense.

Roberto

---

Date: Mon, 20 Jan 2003 12:33:52 +0100
From: andrea
To: pci-epr
Subject: [Pci-epr] NO

Scusa Francesco, mi scusino gli iscritti a questa lista, ma la
ipocrisia del PdCI sulla questione della guerra e' veramente offensiva
ed inaccettabile. Non avete fatto nessuna autocritica sul vostro
comportamento nel 1999, sulla spaccatura del PRC e sulla partecipazione
ad un governo deciso a tavolino da Cossiga e Scognamiglio al solo scopo
di consentire la partecipazione italiana alla aggressione contro la
Jugoslavia (devo girare la documentazione al riguardo?), ed adesso
volete guidare voi il movimento contro la guerra??? (...)

Date: Mon, 20 Jan 2003 14:23:02 +0100 (NFT)
From: francesco
To: andrea, pci-epr
Subject: Re: [Pci-epr] NO

Caro Andrea,
rispondo pubblicamente (e non in privato, come sarebbe forse
piu' opportuno per la nostra vecchia amicizia) solo per evitare che le
compagne ed i compagni iscritti a questa lista possno avere
l'impressione che il PdCI, che io qui rappresento ufficialmente, non
sappia come affrontare queste critiche.
Nel merito quindi:

1) la partecipazione italiana alla guerra contro la Jugoslavia non
dipesa da alcun comportamento del governo D'Alema, perche' le
responsabilita' sono precedenti e collettive: essa infatti fu resa
inevitabile dalla improvvida decisione di cedere il comando delle
truppe italiane alla NATO nel caso "si fosse resa necessaria" una
operazione di "intervento umanitario" nella zona (le virgolette
specificano i termini
usati nella votazione parlamentare). Purtroppo, questa decisione fu
presa ALL'UNANIMITA' dalle Camere nell'ottobre del 1998 e fu votata
ANCHE DAL PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA: i Parlamentari che
successivamente hanno aderito al PdCI hanno riconosciuto, pochi mesi
dopo, che si tratto' di un tragico errore, dettato dalla mancanza di
approfondimento sulla situazione. I Parlamentari rimasti nel PRC hanno
solamente rimosso questo episodio e non ne hanno mai piu' parlato.
Tuttavia, da quel momento in poi, le operazioni NON SONO PIU' PASSATE
PER UN CONTROLLO PARLAMENTARE e neppure governativo in Italia: questo
e' stato, all'epoca e successivamente denunciato con forza dal PdCI,
che non ha mai riconosciuto, dalla sua nascita, ne' una validita' alla
cosiddetta "guerra umanitaria" del 1999 ne' alla demonizzazione della
Jugoslavia ne' a tutta la propaganda bellicista dell'epoca e successiva.

2) Quando la NATO (cioe' in pratica gli USA) diedero inizio alle
ostilita', senza che nessuno potesse piu' impedirlo (come e' noto, i
governi venivano informati, non coinvolti e neppure consultati) il PdCI
ha fatto tutto il possibile per far terminare il conflitto al piu'
presto e con il minore numero di vittime. So che sull'efficacia di
questi interventi abbiamo punti di vista diversi, perche' io continuo a
pensare che l'aver impedito il cosiddetto "intervento di terra" sia
stato utile, mentre, dalle diverse discussioni che abbiamo avuto
sull'argomento, so che tu pensi che se la NATO lo avesse tentato, si
sarebbe cacciata in un
"cul-de-sac" esiziale. Tuttavia nessuno puo' negare che questi
interventi ci furono e che ebbero un risultato: se si vuole, si tratta
di analizzare in dettaglio queso risultato ma non credo che si possa
fare per mail.

3) quanto alla nascita del PdCI, no, qui non discuto neppure: fu
un errore gravissimo, del quale scontiamo tutti ora le conseguenze, la
posizione di Bertinotti sul Governo Prodi, che non comprendeva alcun
punto sulla guerra (sai benissimo che l'ala trozkista di Rifondazione,
che faceva e fa parte integrante ed insostiuibile della maggioranza di
quel partito non ha mai avuto dubbi sulla realta' della "pulizia etnica
dei serbi", su quanto fosse cattivo Milosevic, ecc., tutte cose che
invece vanno adeguatamente ridiscusse) ma che riguardava solo il punto
assolutamente surrettizio della "svolta o rottura" sulla politica
sociale ed in particolare sulla legge relativa alle 35 h lavorative a
settimana.
Fu l'unica cosa da fare partecipare al governo che si formo' e sulla
nascita del quale chi vuol dare credito a Cossiga lo faccia pure (...)


=== 5 : GUERRA CONTRO L'INFORMAZIONE ===


CHI RICORDA LA TV SERBA BOMBARDATA?

mauri ti segnala questo articolo pubblicato sul sito
http://www.unita.it
e aggiunge il seguente commento:
<<Quando si dice di essere patetici,non sono sicuro di chi governava
nel 1999.Forse l'unita stava contro la NATO.
Forse le Bombe intelligenti non apprezzano la Televisione.
Forse La rai o la cnn o le reti mediaset sono la massima espressione
della libertà d'informazione...>>

Chi ricorda la tv serba bombardata? L'informazione negata. Ieri come
oggi
di an.ca.
 
Diritto internazionale e informazione. Durante la guerra, il primo
viene spazzato via definitivamente dai rapporti di forza, la seconda
scivola sempre più nella propaganda. Mentre si susseguono notizie e
smentite dall’ Iraq, la presentazione di “Sedicipersone”, un
documentario di Corrado Veneziano realizzato con la consulenza
giuridica del giudice Domenico Gallo, dà questo contributo alla
riflessione sulle implicazioni di un conflitto armato. In 32 minuti,
attraverso le testimonianze di giornalisti e operatori, italiani e
serbi, si ricorda il bombardamento del palazzo della Radio Televizija
Srbije, la tv nazionale di Belgrado. Alle 2 e 16 del 23 aprile di
quattro anni fa, 16 persone che erano all’interno dell’edificio
rimangono uccise.
 Su quell’episodio , sostiene Domenico Gallo, il Tribunale
internazionale per la ex-Iugoslavia e la Corte Europea «dissero ai
giudici di tacere». Secondo il primo protocollo della Convenzione di
Ginevra del 49 il bombardamento di un obiettivo non militare è vietato.
La Corte di Cassazione italiana nel febbraio 2002 affermò che il
bombardamento su un edificio all’estero non rientra nella giurisdizione
italiana. Se la vicenda giudiziaria è conclusa, ha proseguito Gallo, la
vicenda storica rimane ancora aperta.
I Cruise della Nato che colpiscono il palazzo dell’informazione di
Belgrado sono un simbolo, ha ricordato Paolo Serventi Longhi,
segretario della federazione nazionale della stampa, che induce ancora
una volta a riflettere su come si possa costruire una democrazia con le
bombe e cosa significhi fare informazione. Nei giorni successivi, quel
bombardamento fu presentato come un errore, - ha ricordato Tana de
Zelueta, parlamentare Ds- e solo grazie ad una indiscrezione trapelò
che quella operazione fu voluta.
Davanti alla telecamera, un parente delle vittime spiega l’effetto,
l’unico, di una guerra: svuotare le cose e le parole. Anche i giornali,
ha aggiunto Lucio Caracciolo direttore di Limes, nel suo intervento.
Infine la denuncia di Ennio Remondino, per anni inviato della Rai dai
Balcani. Ormai le guerre si fanno per convincere, non per vincere, ed
il grande sconfitto per Remondino sembra essere l’informazione. Per
Remondino, o sei trombettiere o ti bombardano.
 
se vuoi leggerlo online:
http://www.unita.it/index.asp?topic_tipo=&topic_id=24422
(assicurati che l'indirizzo qui sopra sia riportato per intero nel
browser)
Vieni a trovarci su http://www.unita.it

---

il manifesto - 23 Aprile 2003
GIORNALISMO TARGET

Dalla tv di Belgrado all'Hotel Palestine. Quel
«vicino» 23 aprile

DOMENICO GALLO

Ksenija Bankovic aveva 28 anni il 23 aprile del 1999 ed era molto
contenta del suo lavoro di assistente al montaggio, anche Jelika
Munitlak aveva 28 anni ed era contenta del suo lavoro di
truccatrice.Oggi, dopo quattro anni, Ksenija e Jelika hanno ancora 28
anni. Infatti sono state spogliate della vita alle ore 2,06 del 23
aprile 1999, assieme ad altre quattordici persone, come loro addette al
lavoro presso gli studi della Rts (Radio Televisione Serba) di
Belgrado. Un missile «intelligente» della NATO aveva deciso di
impadronirsi della loro vita e c'è riuscito, centrando, con precisione
millimetrica, l'ala centrale dell'edificio della televisione, dove
ferveva il lavoro dell'equipe tecnica. I vertici dell'Alleanza sono
così riuscite a spegnere per sempre il sorriso di Ksenija e di Jelika
che, chissà per quale oscura ragione, dava loro tanto fastidio.
Quattro anni fa l'opinione pubblica non era ancora abituata a
considerare le equipe televisive ed i giornalisti addetti al loro
lavoro come obiettivi militari, come bocche e come occhi da chiudere
per sempre, con l'argomento irresistibile del tritolo. Per questo,
all'epoca si levò un fremito di indignazione che raggiunse,
addirittura, i vertici politici coinvolti in quella sciagurata impresa.
Il ministro italiano degli Esteri dell'epoca, l'on. Dini, da
Washington, dove si era riunito il Summit dell'Alleanza per celebrare i
50 anni della Nato, dichiarò ai giornalisti italiani «è terribile,
disapprovo, non credo che fosse neppure nei piani». Ma fu
immediatamente sconfessato dal suo Presidente del Consiglio, l'on.
Massimo D'Alema, che dichiarò: «Non si può commentare ogni giorno dov'è
caduta una bomba», precisando che la sua reazione alla notizia
risultava «attenuata dal fatto che in Jugoslavia non esiste
una stampa libera» (Corriere della Sera, 24 aprile 1999). Così il 23
aprile del 1999, nel processo della modernizzazione che incombe sul
nostro tempo, è entrato una preziosa acquisizione giuridica: il diritto
alla vita dei giornalisti (e di tutti coloro che lavorano nel mondo dei
media) è un diritto affievolito, dipende dal grado di libertà di stampa
esistente in un determinato contesto. Quando la televisione costituisce
uno strumento di propaganda di un regime politico autoritario, allora
può essere silenziata con la giusta dose di tritolo. D'altronde è
proprio quello che sostenevano i portavoce della Nato, nel briefing
quotidiano con la stampa. Il colonnello Konrad Freytag, sempre nella
fatidica giornata del 23 aprile, dichiarava che la Nato aveva
continuato gli attacchi volti a indebolire gli apparati di propaganda
della Jugoslavia e per questo aveva colpito gli studi radiotelevisivi
della Tv di Belgrado: «la più
grande istituzione dei mass media in Yugoslavia, che orchestra la
maggior parte dei programmi di propaganda del
regime».
Anche in Iraq, come tutti sanno, non esisteva una stampa libera, per
questo le forze dell'Alleanza del bene, il giorno prima della
capitolazione di Baghdad hanno distrutto il terrazzo da cui trasmetteva
la Tv Al Jazeera, uccidendone l'inviato, ed hanno bombardato l'Hotel
Palestine, uccidendo altri due giornalisti, che non avevano capito bene
che il regime di Saddam non garantisce la libertà di stampa. L'esempio
della Rts ha fatto scuola. Sono passati solo quattro anni da
quell'evento, ma sembra che sia trascorso un secolo. In Jugoslavia del
regime di Milosevic non è rimasta più traccia alcuna: i dignitari del
regime o sono morti per faide interne o sono finiti in prigione
all'Aja. La stessa Jugoslavia non esiste più, ha cambiato nome: adesso
si chiama Serbia e Montenegro. Apparentemente ci sono tutte le ragioni
per aprire una casella negli scaffali della storia dove archiviare
definitivamente la guerra Nato di Jugoslavia e passare ad altro. Ma i
conti non tornano, questa stagione non riesce a concludersi, perché
sino ad oggi nessuno ci ha dato conto della atroce morte di Ksenija e
dei suoi compagni. Nessuno ha pronunziato una parola di giustizia che
consentisse ai morti di riposare in pace. Di fronte a questo evento sta
il silenzio assordante delle Corti e dei sistemi giudiziari di cui
l'Occidente mena gran vanto.
In primo luogo il silenzio di quell'organo che l'Onu aveva creato per
proteggere gli abitanti della ex Jugoslavia dalla barbarie della
guerra. Il Tribunale penale per i crimini commessi nella ex Jugoslavia
non ha detto una parola.
Non ha potuto, in quanto il suo Procuratore, Carla Del Ponte, ha deciso
di non chiedere ai suoi giudici di giudicare ed ha dichiarato, il 5
giugno del 2000 al Consiglio di Sicurezza dell'ONU di essere «molto
soddisfatta» per aver archiviato le denunzie relative ai crimini
commessi dai vincitori - accuse depositate da Amnesty International e
Human Right Watch. In secondo luogo il silenzio di quella Corte Europea
dei Diritti dell'Uomo, che ha deciso, il 12 dicembre 2001,
pronunziandosi sul ricorso presentato dal papà di Ksenija Bankovic, di
non giudicare, decretando che i diritti dell'uomo non sono poi tanto
universali. In terzo luogo il silenzio della Cassazione, le cui Sezioni
unite civili hanno imposto, nel giugno del 2002, ai
giudici italiani di tacere, di non raccogliere il grido di dolore delle
vittime, per non disturbare la libertà di bombardamento del sovrano.
Com'è noto, al di sopra delle Sezioni Unite, c'è solo il Tribunale di
Dio. Quindi i sommi giudici credevano di mettere la parola fine a
questa vicenda, ma hanno commesso uno sbaglio. I morti non sono
d'accordo. Lo spettro delle sedici vittime innocenti (che tornano in
questi giorni d'attualità) continua ad aggirarsi nelle Cancellerie e
nelle Corti di Giustizia. I leaders politici, responsabili della morte
fisica, ed i magistrati, responsabili della morte giudiziaria, non se
ne potranno liberare e trasaliranno, vedendoseli comparire dinanzi,
come Macbeth quando vedeva riaffiorare lo spettro di Banquo.


=== 6 : DIRITTO ===


-------- Original Message --------
Subject: La nonviolenza e' in cammino. 454
Date: Mon, 23 Dec 2002 02:15:02 +0100
From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac@...>
To: "centro di ricerca per la pace" <nbawac@...>

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E,
01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@...

(...)

RIFLESSIONE. PEPPE SINI:
ANCORA SULL'IMMODIFICABILITA' DELL'ARTICOLO 11
DELLA COSTITUZIONE ITALIANA E SULLA NECESSITA' DI PERSEGUIRE PENALMENTE
AI SENSI DI LEGGE I GOLPISTI E STRAGISTI

Poiche' si persiste in un equivoco e una resa sciocchi e pusillanimi
sara' utile ripetere una volta di piu' quanto segue.
1. L'articolo 11 della Costituzione fa parte di quei "principi
fondamentali" (articoli 1-12) che costituiscono i "valori supremi" in
cui si sostanzia e su cui si fonda la Costituzione della Repubblica
Italiana.
L'ultimo articolo della Costituzione, il 139, stabilisce che tutta la
Costituzione puo' essere modificata secondo le procedure da essa stessa
previste, tranne la sua forma repubblicana. La Corte Costituzionale in
un memorabile pronunciamento di qualche decennio fa ha fornito
l'interpretazione autentica - e quindi inequivocabile e cogente - di
quanto disposto dall'articolo 139 Cost. sopra richiamato. Ovvero che
della
forma repubblicana sono elementi fondanti ed imprescindibili i valori
supremi definiti nei principi fondamentali.
Cosicche' l'articolo 11 della Costituzione non e' modificabile se non
con un colpo di stato. Ma chi fa un colpo di stato e' un fuorilegge e
va perseguito penalmente ai sensi di legge.
2. Il fatto che ripetutamente dal 1991 ad oggi l'articolo 11 della
Costituzione sia stato violato da governi, parlamenti e capi dello
stato golpisti e stragisti non significa che esso non vale piu', cosi'
come il fatto che vengano commessi degli omicidi in Italia non
significa che l'articolo del codice penale che punisce l'omicidio sia
da considerarsi per questo abolito.
3. Coloro che si arrendono ai golpisti e agli stragisti sono dei
vigliacchi e dei complici. Coloro che predicano la rassegnazione
all'illegalita' dei potenti sono dei provocatori che, per torpore
morale o perche' assoldati dai golpisti stragisti, vogliono renderci
tutti favoreggiatori del colpo di stato dei gangster al potere.
4. E' invece dovere morale e civile del movimento per la pace, ma anche
di ogni persona di volonta' buona e di ogni cittadino onesto, difendere
la vigenza della Costituzione della Repubblica Italiana, difendere lo
stato di diritto, la democrazia, la legalita', e denunciare coloro che
l'articolo 11 della Costituzione hanno gia' violato e coloro che hanno
gia' annunciato di apprestarsi a farlo di nuovo.
Dobbiamo denunciare alle competenti magistrature i golpisti stragisti e
chiedere che le forze dell'ordine intervengano per metterli in
condizione di non nuocere ed assicurarli all'amministrazione della
giustizia.
5. Ovviamente questo non basta; ma il fatto che non basti non ci esime
dal farlo: dobbiamo contrastare la guerra e i suoi apparati e i suoi
folli e criminali promotori anche con l'azione diretta nonviolenta,
anche con la disobbedienza civile di massa, anche con lo sciopero
generale, certamente; ma dobbiamo contrastarli anche in nome della
legge, con la forza del diritto stabilito nel nostro ordinamento
giuridico, denunciando i golpisti e gli stragisti alla magistratura per
i delitti di attentato alla Costituzione e crimini di guerra e contro
l'umanita'.

(Numero 454 del 23 dicembre 2002)


> P R O C E S S I A M O L I !!
>
> Il 31 luglio 1999 hanno avuto inizio a New York le attivita' del
> "TRIBUNALE INTERNAZIONALE INDIPENDENTE CONTRO I CRIMINI DELLA NATO IN
> JUGOSLAVIA", promosso da Ramsey Clark, con la stesura di 19 punti di
> accusa contro la NATO ed i governi occidentali.
>
> Le attivita' del "Tribunale" hanno trovato seguito in molti altri
> paesi del mondo. In Italia il primo novembre 1999 alla presenza di
> Ramsey Clark ha preso il via la sezione italiana del Tribunale. Nel
> corso di questi mesi, confortati dal crescente interesse suscitato e
> dalle numerose iniziative di presentazione del "Tribunale Italiano" in
> molte citta', abbiamo potuto verificare con dati oggettivi la
> veridicita' delle nostre accuse.
>
> A completamento del lavoro svolto in questi mesi, noi sottoscritti
> firmatari di questo appello accusiamo le massime autorità della
> Repubblica in carica nel marzo 1999 - in particolare il presidente del
> Consiglio dei Ministri Massimo D'Alema e i membri del Governo per la
> partecipazione alla guerra illegale e il Presidente della Repubblica
> Oscar Luigi Scalfaro per non aver difeso la Costituzione - nonchè i
> loro successori per quanto attiene ai crimini in continuità con
> l'aggressione armata, ciascuno secondo la personale
> responsabilità scaturente dalle diverse competenze, azioni e
> omissioni:
>
> - per avere collaborato attivamente all'aggressione contro la
> Repubblica Federale Jugoslava, paese sovrano da cui non era venuta
> nessuna minaccia nè all'Italia nè ai suoi alleati;
>
> - per aver liquidato e vanificato con l'aggressione militare le
> iniziative internazionali tendenti a favorire la soluzione con mezzi
> pacifici dei problemi esistenti nel Kosovo;
>
> - per avere violato tutti i principi del diritto internazionale e in
> particolare la Carta delle Nazioni Unite, i principi del Tribunale di
> Norimberga, le Convenzioni di Ginevra e i protocolli aggiuntivi sulla
> tutela delle popolazioni civili, nonchè lo stesso trattato istitutivo
> della NATO;
>
> - per aver consentito che dal proprio territorio partissero attacchi
> contro istallazioni e popolazioni civili, condotti su obiettivi e con
> armi appositamente studiate per infliggere il massimo danno, anche
> protratto nel tempo, alle persone e alle loro condizioni di vita
> (attacchi deliberati contro strutture civili, bombe a grappolo);
>
> - per aver consentito l'utilizzo massiccio di proiettili e missili
> all'uranio impoverito, causando danni incalcolabili e per un tempo
> indeterminato alle popolazioni della Federazione Jugoslava, con enormi
> rischi attuali anche per i volontari civili e per i militari italiani
> impegnati nel Kosovo.
>
> - per aver partecipato al bombardamento di impianti chimici e
> farmaceutici, causando deliberatamente danni ambientali di
> enorme rilevanza, tali da configurare una vera e propria guerra
> batteriologica, chimica e nucleare;
>
> - per aver danneggiato l'economia della Costa Adriatica con la
> chiusura degli aeroporti civili e per aver consentito e cercato di
> occultare lo smaltimento di ordigni bellici nelle acque territoriali
> italiane e in quelle immediatamente adiacenti, causando danni alle
> persone, all'ambiente, all'economia;
>
> - per aver violato la Costituzione italiana e ignorato le procedure
> che essa impone in caso di stato di guerra, guerra che non può mai
> essere intrapresa dall'Italia ma solo combattuta per difendere
> dall'aggressione altrui il nostro paese e i paesi di cui l'Italia sia
> impegnata a condividere la
> difesa;
>
> - per avere attivamente collaborato ad affamare e sacrificare la
> popolazione della Jugoslavia, sia nel corso della guerra sia con
> l'imposizione di misure di embargo internazionalmente illegittime;
>
> - per avere attivamente collaborato a esercitare pressioni e ingerenze
> contro un paese sovrano e le sue legittime istituzioni;
>
> - per avere inviato truppe e personale civile a governare territori
> ridotti di fatto a nuovi protettorati e colonie, senza peraltro
> impedire nel Kosovo la persecuzione sistematica e l'espulsione della
> popolazione di etnia serba e di altre etnie non albanesi, nonchè degli
> stessi abitanti di etnia albanese considerati non affidabili o
> dissidenti dal nuovo potere di fatto
> ivi insediato in violazione della risoluzione 1244 dell'ONU;
>
> - per aver usato la Missione Arcobaleno come operazione di promozione
> e legittimazione della guerra, e per avere allo stesso fine attivato o
> favorito una disinformazione e propaganda di guerra;
>
> - per avere rinunciato all'esercizio della sovranità del nostro paese
> e al diritto-dovere di controllo delle attività che vi svolgono
> comandi, strutture e mezzi militari stranieri;
>
> - per avere acconsentito a modificare, senza nessuna decisione del
> Parlamento, lo "status" politico e giuridico della NATO.
>
> ...