il manifesto - 30 Luglio 2003

Il bel Danubio in mano agli affaristi

I paesi ricchi della Ue speculano sulla ricostruzione postbellica. A
danno dei popoli balcanici
IGOR FIATTI

Scorre di nuovo il fiume Danubio, anzi il Dunav: il nome in serbo dei
2860 chilometri d'acqua che collegano la Mitteleuropa all'Oriente. Dove
una volta c'erano detriti di cemento e acciaio, ora lussureggianti
distese d'erba delineano le rive. A Novi Sad, capoluogo della
Vojvodina, quel che restava dei ponti bombardati dalla Nato nel 1999,
arte astratta balcanica, macabre montagne russe, è stato rimosso; il
ponte Sloboda, il ponte della libertà, cartolina dell'ingerenza
umanitaria, si era spezzato ma non si era piegato sotto le bombe
dell'alleanza atlantica: la campata centrale si era afflosciata in due
tronconi immergendosi nelle acque cariche di limo e ostruendo il corso
del fiume. Dopo quattro anni, oltre sei mesi in ritardo sui tempi
previsti, la Commissione per il Danubio ha finalmente annunciato la
fine dei lavori: sono stati rimossi gli scheletri di cemento armato,
gli ordigni inesplosi, ed è stato ripulito il letto. Così, il fiume che
scorreva senza più traffici, ritorna al centro degli interessi politici
ed economici del vecchio continente. Già all'indomani della pioggia di
morte e distruzione - la Serbia ha subito approssimativamente danni per
cento miliardi di dollari dall'aviazione Nato, senza calcolare
l'incidenza del blocco fluviale - la Commissione del Danubio (organismo
cui aderiscono tutti i paesi bagnati dal fiume più la Russia e
l'Ucraina che sovrintende sui diritti di navigabilità e sullo statuto
internazionale) aveva quantificato in 90 milioni di euro la cifra per
rendere di nuovo percorribile il Danubio. L'Unione europea si era
impegnata a stanziare 30 milioni di euro. La Nato, irremovibile,
neanche un centesimo. Nel braccio di ferro intorno al Kosovo prima, e
al cambio di regime a Belgrado poi, i fondi sono rimasti congelati.
Alla fine, solamente dopo lo sbarco di Milosevic all'Aja - gradito
ospite di Carla Del Ponte - è stato avviato il progetto «Clearence of
the fairway of the Danube», pulizia del canale navigabile del Danubio.
Ventisei i milioni di euro stanziati. I maggiori contribuenti: l'Unione
europea, che con 22 milioni di euro ha coperto l'85% dei costi, la
Germania e l'Austria. Considerate le perdite della comunità danubiana
dovute alla paralisi dei traffici, all'incirca un milione di euro al
giorno, si è trattato di un investimento molto vantaggioso e
redditizio, soprattutto a medio e lungo termine.

Il Danubio rientra infatti appieno nella strategia della Commissione
europea per lo sviluppo delle infrastrutture nei Balcani. Proprio
nell'Europa del Sud-Est si gioca la partita più difficile: quella
dell'allargamento e dell'integrazione comunitari. L'impegno operativo
di Bruxelles, per dare nuovo slancio all'impresa, deve partire dagli
assi strutturali, quelli che la Ue ha definito corridoi privilegiati,
senza tuttavia creare economie dipendenti dai sussidi, non
autosufficienti - come ad esempio quella del protettorato bosniaco - e
senza lasciare mano libera ai forti nei confronti dei deboli,
permettendo l'affermarsi di egemonie e di sfere d'influenza più o meno
storiche.

In tale direzione non sembrano però orientate le misure proposte dal
libro bianco sulla politica dei trasporti europei fino al 2010; una
delle priorità del programma è infatti l'eliminazione delle strozzature
presenti sul corridoio Reno-Meno-Danubio a tutto vantaggio
dell'economia austriaca e, soprattutto, di quella tedesca. Proprio
Germania e Austria, che considerano i 3500 chilometri che collegano
Rotterdam al mar Nero come «Die blaue Autobahn», l'autostrada blu,
rivestono il ruolo principale nella realizzazione del piano. Sia il
quinto che il sesto programma quadro dell'Ue prevedono due progetti
danubiani (ALSO Danube, in fase esecutiva, e C4 Freight, appena
presentato) entrambi coordinati dalla Via Donau, Donau transport
Entwicklunggesellschaft, compagnia fondata dal ministero federale
austriaco per il trasporto l'innovazione e la tecnologia. Ad ALSO
Danube sono associate 23 società di sei nazioni: nove austriache, sei
tedesche, due olandesi, due slovacche, una finlandese, una spagnola,
una ungherese e una rumena. Niente serbo-montenegrini. Bruxelles ha
garantito un finanziamento di 3.250.000 euro a fronte di un costo di
6.800.000 euro. Invece, la spesa per l'intero progetto di miglioramento
della navigabilità dell'idrovia Reno-Meno- Danubio sarà di 1miliardo e
770 milioni di euro.

«La Germania e l'Austria sono i paesi più interessati alla navigazione
sul fiume a causa del canale Reno-Meno-Danubio e per ottenere ciò che
vogliono fanno pressioni sui paesi più deboli» afferma Velijko Komad,
funzionario del ministero dell'agricoltura nonché responsabile della
gestione delle acque della Vojvodina. E continua: «Lo stato serbo
sinora non ha guadagnato assolutamente nulla. Alla pulizia del fiume ha
partecipato solo una ditta di Belgrado, la Mostogradnija. E' vero, ora
il Danubio è pulito, grazie anche al contributo interessato di tedeschi
e austriaci, ma i problemi restano. Su tutti - dice Komad - la
questione delle tasse di navigazione: il governo serbo chiede 1 euro e
50 centesimi per ogni tonnellata lorda di carico, invece, chi transita
in Serbia vorrebbe pagare solo 15 centesimi o addirittura non pagare».
E quali sono le prospettive? «Abbiamo una classe politica
imprevedibile, sia essa serba o europea, quindi è difficile dire quali
progetti verranno finanziati e come si realizzeranno. Servirebbero 20
milioni di euro per ricostruire il ponte Sloboda, la principale arteria
del traffico regionale; in questo modo non si dovrebbe più aprire il
ponte galleggiante - che sostituisce quello distrutto dai raid Nato -
per consentire il passaggio dei cargo, così come vogliono i paesi
ricchi. Tuttavia - conclude Komad - finché i loro governi "doneranno"
miliardi di euro ai progetti comunitari, vedendoli poi rientrare con
gli appalti assegnati alle loro aziende, incuranti delle nostre
necessità, non si può esser ottimisti». Il fiume, anche nella sua
dimensione mitica, irridente al mutare di nomi e nazioni, sembra
arrendersi impotente al terreno mondo degli affari.