OGNI MEZZO CHILOMETRO
UN MONUMENTO A MASSIMO D'ALEMA
Corriere della Sera
venerdì, 28 novembre, 2003
Pag. 15
Kosovo, la strage rimasta senza prove
Cinque anni dopo ancora introvabili le fosse comuni denunciate all' epoca.
Dal ' 99 a oggi l' Unione Europea ha speso qui due miliardi e 877 milioni
di euro, il più grande investimento mai fatto all' estero, senza contare
il costo dei 18 mila soldati inquadrati nella missione Kfor-Nato cui partecipano
38 Paesi. Questa regione per il momento non è nulla
Il mondo non ha deciso che farne
IL REPORTAGE: VIAGGIO NEI BALCANI. La provincia non più serba e non ancora
indipendente è in realtà governata dalle mafie locali e internazionali
Battistini Francesco
DAL NOSTRO INVIATO KACANIK (Kosovo) - Ci ha piantato la colza: «Cresce prima
e si vende meglio». Le gelate venture non spaventano Qamil Berani, 42 anni,
mani usurate d' un emigrato a Zurigo prima di tornare a questi campi di
Kacanik. A impensierirlo non è che tempo fa: è il tempo che lo separa
dal ritorno dei cercatori di fosse. Lui pianta solo roba che si raccolga
in fretta. Perché da quattro anni gli ripetono che sotto la sua colza ci
sono altri cadaveri, sepolti nel ' 99. Tutti sanno: «Però nessuno viene
mai a scavare». Ne trovarono alla pompa di benzina, nel pozzo della moschea,
sulle montagne. Erano poche decine di corpi, però, non le centinaia che
si
pensava. Da allora tutti giurano che è impossibile, a Kacanik ce n' è altri.
Basta cercare. Per esempio, sotto la colza di Qamil: «Io non ho mai trovato
neanche un osso. Che vengano a controllare, purché dicano quando: ho famiglia,
senza raccolto faccio la fame». Le grandi fosse comuni del Kosovo sono un
po' come le armi chimiche di Saddam: introvabili. Non che
servano prove, della pulizia etnica: in pochi mesi, Milosevic massacrò duemila
albanesi e ne provocò un esodo. Però gli stermini bosniaci tipo Srebrenica,
denunciati da Clinton e dall' Europa, non sono mai stati dimostrati. E nessuno
oggi ha troppa voglia d' indagare se è vero, come sosteneva l' Uck, che
all' appello mancano almeno 9mila persone. «Sono state scoperte solo le
piccole fosse, non quelle di massa - ammette Laurie Weisberg, commissario
Onu per i profughi -. Il problema principale è la mancanza d' informazioni
che ci mettano in grado d' identificare dove sono». Do you remember Kosovo?
Sono passati cinque anni da Racak, il massacro d' albanesi che finì per
scatenare i bombardamenti Nato su Belgrado; ne sono passati tre, dalla cacciata
del feroce Slobo. Eppure questa regione non è ancora nulla: non è più Serbia,
non è ancora uno stato. Governa (male) l' Onu, una folla strapagata di ghanesi
che organizzano i municipi o di pakistani che regolano il traffico. Un'
amministrazione così chiacchierata da obbligare a istituire perfino una
task-force d' investigatori sulla corruzione: è comandata da un finanziere
italiano, ha già scoperto una dirigente delle poste (kosovara) che intascava
decine di milioni di euro. Ci costa molto, stare in Kosovo: l' Ue
ha speso 2 miliardi e 877 milioni di euro, il più grande investimento all'
estero, senza contare i 18mila soldati Nato di 38 Paesi. I 2.800 militari
italiani, sistemati nel campo superlusso di Peja, sono il contingente più
grosso dopo quello americano. La nostra ambasciata a Belgrado ha aperto
una legazione diplomatica nuova di zecca, guidata da Pasquale Salzano, mille
metri quadri di palazzina e un enorme lavoro sui visti Schengen che altri
(i tedeschi) rilasciano con fin troppa disinvoltura. In Kosovo è l' Europa
a pagare, ma è New York a comandare. S' è visto in giugno, quand' era pronta
la nomina a governatore d' un italiano, Antonio Armellini, e invece è giunto
il veto di Kofi Annan che ha imposto un ex premier finlandese, Henry Holkeri,
entrato subito in collisione con Hashim Thaci, il
guerriero-liberatore del ' 99 che nei giorni scorsi ha ricominciato ad agitare
le piazze e lo spettro della Grande Albania, cortei per chiedere la cacciata
dell' Onu. Lo riconosce anche Rugova: c' è già una piccola Albania, qui.
Il progetto multietnico è fallito. I serbi non tornano e se lo fanno, li
ammazzano. Una trentina di morti negli ultimi sei mesi, bambini compresi.
«Il nostro è un piccolo martirio che si consuma nell' indifferenza del mondo»,
enfatizza padre Sava, storica voce della comunità ortodossa. L' albanesizzazione
è fatta di mille segni e l' unica cosa in cirillico che puoi ancora trovare,
a Pristina, è l' edizione russa di Playboy. Le strade si chiamano via Madre
Teresa, le statue sono dedicate all' eroe albanese Skanderbeg, le macellerie
non vendono maiale, il logo della lotteria nazionale è l' aquila su fondo
rosso, l' aula del Parlamento viene ristrutturata da Pacolli, l' ex marito
di Anna Oxa. I partigiani dell' Uck hanno finto di disarmarsi, ma intanto
è comparsa anche qui l' Ana, la falange albanese che mette bombe nella Serbia
meridionale. Quando la polizia slovena ha arrestato un capo storico dell'
Uck, Agim Ceku, braccio destro di Thaci ricercato per crimini vari, i commercianti
di Pristina hanno rovesciato in strada tutti i prodotti importati da Lubiana.
Chi risolverà il cubo di Rubik kosovaro? L' 11 settembre ha accelerato tutto.
Impazienti di sterzare sull' Iraq, gli americani hanno fissato una data:
indipendenza nel 2005. Gli interessi dell' America non sono quelli dell'
Europa, però. Il Kosovo è uno stato-canaglia di droga, armi, nuovi schiavi.
La strada Skopje-Pristina è una mappa del potere mafioso, ogni mezzo chilometro
c' è un motel di ragazze moldave o una pompa di benzina: «Sono i soldi riciclati
dal partito di Thaci - spiega un funzionario Onu -. Ma c' è anche gente
di Rugova che s' arricchisce con questi affari. Qui non esiste un' economia
e i soldi arrivano solo da due canali: quello che spendiamo noi delle missioni
internazionali, quello che vendono loro alla mafia russa, italiana, turca».
Gli affari interessano più delle fosse, in Kosovo. E la visita di Bloomberg,
sindaco di New York, sui giornali ha più spazio di quella del segretario
Nato. «Il nostro sogno è diventare un paradiso fiscale nel cuore d' Europa»,
ha le idee chiare Edi Limani, 36 anni, che fa soldi con le Mercedes taroccate
in Albania. Mica per niente, lui come tutti, usa un cellulare col prefisso
00377: quello del Principato di Monaco.
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UN MONUMENTO A MASSIMO D'ALEMA
Corriere della Sera
venerdì, 28 novembre, 2003
Pag. 15
Kosovo, la strage rimasta senza prove
Cinque anni dopo ancora introvabili le fosse comuni denunciate all' epoca.
Dal ' 99 a oggi l' Unione Europea ha speso qui due miliardi e 877 milioni
di euro, il più grande investimento mai fatto all' estero, senza contare
il costo dei 18 mila soldati inquadrati nella missione Kfor-Nato cui partecipano
38 Paesi. Questa regione per il momento non è nulla
Il mondo non ha deciso che farne
IL REPORTAGE: VIAGGIO NEI BALCANI. La provincia non più serba e non ancora
indipendente è in realtà governata dalle mafie locali e internazionali
Battistini Francesco
DAL NOSTRO INVIATO KACANIK (Kosovo) - Ci ha piantato la colza: «Cresce prima
e si vende meglio». Le gelate venture non spaventano Qamil Berani, 42 anni,
mani usurate d' un emigrato a Zurigo prima di tornare a questi campi di
Kacanik. A impensierirlo non è che tempo fa: è il tempo che lo separa
dal ritorno dei cercatori di fosse. Lui pianta solo roba che si raccolga
in fretta. Perché da quattro anni gli ripetono che sotto la sua colza ci
sono altri cadaveri, sepolti nel ' 99. Tutti sanno: «Però nessuno viene
mai a scavare». Ne trovarono alla pompa di benzina, nel pozzo della moschea,
sulle montagne. Erano poche decine di corpi, però, non le centinaia che
si
pensava. Da allora tutti giurano che è impossibile, a Kacanik ce n' è altri.
Basta cercare. Per esempio, sotto la colza di Qamil: «Io non ho mai trovato
neanche un osso. Che vengano a controllare, purché dicano quando: ho famiglia,
senza raccolto faccio la fame». Le grandi fosse comuni del Kosovo sono un
po' come le armi chimiche di Saddam: introvabili. Non che
servano prove, della pulizia etnica: in pochi mesi, Milosevic massacrò duemila
albanesi e ne provocò un esodo. Però gli stermini bosniaci tipo Srebrenica,
denunciati da Clinton e dall' Europa, non sono mai stati dimostrati. E nessuno
oggi ha troppa voglia d' indagare se è vero, come sosteneva l' Uck, che
all' appello mancano almeno 9mila persone. «Sono state scoperte solo le
piccole fosse, non quelle di massa - ammette Laurie Weisberg, commissario
Onu per i profughi -. Il problema principale è la mancanza d' informazioni
che ci mettano in grado d' identificare dove sono». Do you remember Kosovo?
Sono passati cinque anni da Racak, il massacro d' albanesi che finì per
scatenare i bombardamenti Nato su Belgrado; ne sono passati tre, dalla cacciata
del feroce Slobo. Eppure questa regione non è ancora nulla: non è più Serbia,
non è ancora uno stato. Governa (male) l' Onu, una folla strapagata di ghanesi
che organizzano i municipi o di pakistani che regolano il traffico. Un'
amministrazione così chiacchierata da obbligare a istituire perfino una
task-force d' investigatori sulla corruzione: è comandata da un finanziere
italiano, ha già scoperto una dirigente delle poste (kosovara) che intascava
decine di milioni di euro. Ci costa molto, stare in Kosovo: l' Ue
ha speso 2 miliardi e 877 milioni di euro, il più grande investimento all'
estero, senza contare i 18mila soldati Nato di 38 Paesi. I 2.800 militari
italiani, sistemati nel campo superlusso di Peja, sono il contingente più
grosso dopo quello americano. La nostra ambasciata a Belgrado ha aperto
una legazione diplomatica nuova di zecca, guidata da Pasquale Salzano, mille
metri quadri di palazzina e un enorme lavoro sui visti Schengen che altri
(i tedeschi) rilasciano con fin troppa disinvoltura. In Kosovo è l' Europa
a pagare, ma è New York a comandare. S' è visto in giugno, quand' era pronta
la nomina a governatore d' un italiano, Antonio Armellini, e invece è giunto
il veto di Kofi Annan che ha imposto un ex premier finlandese, Henry Holkeri,
entrato subito in collisione con Hashim Thaci, il
guerriero-liberatore del ' 99 che nei giorni scorsi ha ricominciato ad agitare
le piazze e lo spettro della Grande Albania, cortei per chiedere la cacciata
dell' Onu. Lo riconosce anche Rugova: c' è già una piccola Albania, qui.
Il progetto multietnico è fallito. I serbi non tornano e se lo fanno, li
ammazzano. Una trentina di morti negli ultimi sei mesi, bambini compresi.
«Il nostro è un piccolo martirio che si consuma nell' indifferenza del mondo»,
enfatizza padre Sava, storica voce della comunità ortodossa. L' albanesizzazione
è fatta di mille segni e l' unica cosa in cirillico che puoi ancora trovare,
a Pristina, è l' edizione russa di Playboy. Le strade si chiamano via Madre
Teresa, le statue sono dedicate all' eroe albanese Skanderbeg, le macellerie
non vendono maiale, il logo della lotteria nazionale è l' aquila su fondo
rosso, l' aula del Parlamento viene ristrutturata da Pacolli, l' ex marito
di Anna Oxa. I partigiani dell' Uck hanno finto di disarmarsi, ma intanto
è comparsa anche qui l' Ana, la falange albanese che mette bombe nella Serbia
meridionale. Quando la polizia slovena ha arrestato un capo storico dell'
Uck, Agim Ceku, braccio destro di Thaci ricercato per crimini vari, i commercianti
di Pristina hanno rovesciato in strada tutti i prodotti importati da Lubiana.
Chi risolverà il cubo di Rubik kosovaro? L' 11 settembre ha accelerato tutto.
Impazienti di sterzare sull' Iraq, gli americani hanno fissato una data:
indipendenza nel 2005. Gli interessi dell' America non sono quelli dell'
Europa, però. Il Kosovo è uno stato-canaglia di droga, armi, nuovi schiavi.
La strada Skopje-Pristina è una mappa del potere mafioso, ogni mezzo chilometro
c' è un motel di ragazze moldave o una pompa di benzina: «Sono i soldi riciclati
dal partito di Thaci - spiega un funzionario Onu -. Ma c' è anche gente
di Rugova che s' arricchisce con questi affari. Qui non esiste un' economia
e i soldi arrivano solo da due canali: quello che spendiamo noi delle missioni
internazionali, quello che vendono loro alla mafia russa, italiana, turca».
Gli affari interessano più delle fosse, in Kosovo. E la visita di Bloomberg,
sindaco di New York, sui giornali ha più spazio di quella del segretario
Nato. «Il nostro sogno è diventare un paradiso fiscale nel cuore d' Europa»,
ha le idee chiare Edi Limani, 36 anni, che fa soldi con le Mercedes taroccate
in Albania. Mica per niente, lui come tutti, usa un cellulare col prefisso
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