da Mauro Gemma riceviamo e giriamo:


EUROPA DELL’EST: LA SECONDA ESPANSIONE DELLA NATO E LE SUE CONSEGUENZE
POLITICHE E MILITARI

www.cubasocialista.cu, maggio 2004

Francisco Brown Infante

Centro di Studi Europei

 
Il sito internet della rivista teorica e politica del Comitato Centrale
del Partito Comunista di Cuba ha pubblicato il seguente saggio, in cui
si analizzano in profondità le caratteristiche e le conseguenze
dell’allargamento della NATO verso l’Est europeo

 
Il 2 aprile scorso i Capi di Stato e di Governo di Bulgaria, Estonia,
Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia si sono dati
appuntamento a Washington per ratificare, insieme ai loro soci
statunitensi, l’ingresso formale di questi paesi nella NATO, dando il
via in tal modo alla seconda espansione verso l’est europeo di questa
organizzazione, nata agli albori della Guerra Fredda.

Sebbene fosse già noto da qualche tempo, questo processo, formalmente
iniziato con la cerimonia ufficiale dell’accordo che aumenta da 19 a 26
il numero dei membri della NATO, registra un inquietante passo in
avanti nei piani di espansione militare promossi su scala globale
dall’Amministrazione Bush, che sono conseguenza della più recente
dottrina militare degli Stati Uniti basata sul principio delle “guerre
preventive”. (1)   

Questo secondo allargamento avviene, senza dubbio, nel nuovo contesto
internazionale emerso dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre
alle “Torri Gemelle” di New York, il conseguente scatenamento della
“guerra contro il terrorismo”, le aggressioni statunitensi
all’Afghanistan e all’Iraq quali passi iniziali della stessa guerra e,
infine, dopo il contenzioso apertosi tra gli USA, da una parte, e,
dall’altra, Francia, Germania e Russia, nazioni che si sono opposte
senza successo all’aggressione anglo-statunitense contro il paese arabo.

Quanto appena detto spiega perché agli obiettivi iniziali che
giustificarono l’allargamento se ne sommino altri e, di conseguenza, si
assumano altre misure – non previste in precedenza – in sintonia con i
citati piani militaristi di Washington.

Gli aspetti “di novità”: 1) aumentare in modo considerevole la presenza
nordamericana nei paesi dell’Est europeo prossimi all’Asia centrale e
al Medio Oriente ( nei territori della Romania e della Bulgaria, che
entrano nell’alleanza); 2) garantire anche una presenza militare nella
regione baltica (Lituania, Estonia e Lettonia); e 3) completare tale
dispiegamento bellico con una presenza significativa anche in Asia
centrale.

Nel primo caso, si tratta del trasferimento – già iniziato – delle
truppe nordamericane delle basi militari attualmente esistenti nei
paesi dell’Europa occidentale – fondamentalmente dalla Germania – fino
alla Polonia, alla Romania e alla Bulgaria, tre importanti nuovi membri
appartenenti alla “nuova Europa” nella concezione del Segretario alla
Difesa Rumsfeld.

Nelle argomentazioni del Pentagono, questo movimento si produce in
sintonia con i piani della lotta contro il terrorismo, per dotare
l’Europa di maggiore sicurezza e stabilità e per accrescere le
potenzialità di difesa di fronte alle “minacce globali”.

Numerosi analisti pensano che in realtà tali argomenti obbediscano ad
una riconsiderazione strategica del ruolo assegnato ai nuovi e vecchi
membri della NATO a favore dei primi, dal momento che l’atteggiamento
di opposizione alla guerra contro l’Iraq di Francia e Germania ha
stimolato entrambe le nazioni a muoversi nella direzione di dare
concretezza alla “Politica Estera e di Sicurezza Comune” e, come parte
di questo progetto, di cominciare a dotarsi in tempi brevi di capacità
militari proprie.

Questo punto di vista suggerisce come la mancanza di fiducia nelle
relazioni transatlantiche costituisca il fattore che ha determinato la
scelta nordamericana dei paesi dell’est europeo, dal momento che questa
stessa scelta è l’espressione di un rifiuto del fatto che l’UE possa
contare su una struttura militare con cui competere e occupare il ruolo
della NATO nella regione.

Dichiarazioni fatte nel dicembre scorso da Colin Powell sembrano
avallare tali considerazioni: “non è possibile accettare una forza
militare europea indipendente” – ha rilevato in una visita al Quartier
Generale dell’Alleanza a Bruxelles, aggiungendo: (…) “Tale idea
significherebbe la duplicazione dei sistemi di difesa e metterebbe in
dubbio l’esistenza della NATO”. (2)

Altri rilievi, più radicali, indicano che il dispiegamento di truppe
statunitensi verso la parte orientale del Vecchio Continente, può
essere spiegato dal timore di Washington -, in ultima analisi, possiamo
aggiungere che ciò ha rappresentato anche una delle cause
dell’aggressione all’Iraq – per il crescente potere economico europeo,
la cui espressione attuale è rappresentata dalla superiorità dell’euro
rispetto al dollaro. Ciò è il preludio a un nuovo tipo di relazioni con
gli Stati Uniti, i quali, in maniera previdente, stanno realizzando un
nuovo dispiegamento di truppe, che avrà un sensibile impatto nel
continente europeo.

Che siano valide o meno tali considerazioni, è certo comunque che
Washington non abbandona, bensì approfondisce l’unilateralismo e la
crescente militarizzazione che caratterizzano la sua politica estera,
subordinando ai propri interessi quelli dei propri alleati e
trasformando sempre di più la NATO in una sorta di strumento armato al
servizio dei suoi obiettivi di egemonia mondiale.(3) E’ proprio in
questo contesto che devono essere analizzate le conseguenze militari e
politiche dell’allargamento dell’Alleanza verso est.

Sotto l’aspetto prettamente militare, Washington ha già negoziato con
il governo romeno la creazione di cinque “enclave” militari che
andranno a sommarsi alla base aerea che già possiede nella città di
Cogalniceanu, trasformata in un importante centro di rinforzo per le
sue truppe in Iraq. La maggiore base di questo paese sarà installata
nell’aeroporto di Otopeni, vicino a Bucarest, e sarà simile a quella di
Torrejon de Ardoz in Spagna, e di Aviano in Italia.

Alcuni organi di stampa hanno informato che nella menzionata base di
Otopeni e in quella di Tropaisar sul litorale del Mar Nero, saranno
piazzati sistemi di difesa antimissilistica “Patriot”, i più
sofisticati dell’arsenale statunitense.

Un altro passo controverso compiuto dalla NATO è rappresentato dalla
decisione di dislocare nei paesi baltici installazioni radar e di
ascolto, così come da quella di “proteggere” lo spazio aereo degli
stessi, a partire dal 29 marzo scorso. E’ un compito che richiede la
realizzazione di voli di ricognizione da parte di aerei radar del tipo
AWACS (che esistono solo nell’arsenale del Pentagono) e il
dispiegamento nella zona di caccia F16, in questo caso forniti da
Belgio, Danimarca, Norvegia e Gran Bretagna. Simile decisione è stata
presa anche nei confronti della Slovenia, paese balcanico, dove verrà
portata a compimento da aerei italiani.

A queste dislocazioni nella regione baltica e nel sud-est europeo si
deve aggiungere la presenza militare già concretizzata, dopo
l’aggressione all’Afghanistan, in Asia centrale e nel Caucaso. In
paesi, come la Kirghisia, il Tagikistan e l’Uzbekistan, si sono già
installati contingenti militari USA.

Forze della NATO sono ugualmente presenti in altri paesi balcanici come
l’Albania e la Bosnia-Herzegovina, così come nel Kosovo, che appartiene
alla Serbia, ma che è stato trasformato in un protettorato
internazionale dopo l’aggressione militare alla Jugoslavia nel 1999. La
Georgia, da parte sua, ha presentato il 7 aprile scorso un programma
per il suo ingresso nell’Alleanza Atlantica, che è stato accolto
positivamente dal suo Segretario generale Jaap de Hoop Scheffer, il
quale ha garantito tutto l’appoggio per realizzare il progetto nei
tempi più brevi.

A tutto ciò si aggiunge la creazione di un contingente militare sotto
comando NATO – “NATO Responce Force”, secondo la definizione ricevuta –
capace di intervenire in qualsiasi regione del pianeta in un lasso di
tempo che va dai 5 ai 30 giorni.

Il ventaglio di compiti che dovrà essere svolto dal NRF include il
sostegno e il “rafforzamento della diplomazia” (significa strumento di
pressione militare) dei paesi membri, l’appoggio a ciò che viene
chiamato “Consequence Management” (azioni “umanitarie” e contro la
presenza o il pericolo di utilizzo delle armi di distruzione di massa
esistenti e dell’arsenale delle nazioni definite “a rischio” o facenti
parte dell’ “Asse del Male”), compiti di “pacificazione” e, infine,
azioni militari come parte della lotta contro il terrorismo.

Con questo progetto si intende ottenere un contingente militare a
carattere permanente, di elevata mobilità e manovrabilità, basato sul
principio della rotazione delle truppe fornite dai paesi membri
dell’Alleanza e che sia in condizioni di operare con successo a partire
dal 2005.

Come si può osservare, l’insieme delle misure militari che Washington
promuove nel contesto dell’allargamento della NATO verso l’Est europeo
indica il rafforzamento del ruolo dell’Alleanza come organizzazione
bellica a carattere globale, con presenza militare in diversi scenari
del pianeta e che si appresta a dislocarsi anche in territorio iracheno
(“in caso di sollecitazione dell’ONU o del governo provvisorio
dell’Iraq”, secondo quanto ha segnalato recentemente il comando di
questa organizzazione)

CONSEGUENZE POLITICHE

Come appare logico, la reazione più significativa di segno contrario a
questo secondo allargamento della NATO è venuta dalla Russia, seppur
con toni diversi e senza arrivare realmente ad un’opposizione radicale
a quanto sta avvenendo.

La critica più acerba è stata formulata dal Partito Comunista della
Federazione Russa (PCFR). In dichiarazioni ad organi di stampa,
Ghennadij Zjuganov, leader di questo partito, ha
affermato:“l’espansione costituisce la minaccia più seria per la
sicurezza della Russia dopo la Grande GuerraPatriottica”. Altri
pronunciamenti del Cremlino e di settori accademici sono stati
senz’altro più cauti nella critica, e alcuni sono arrivati addirittura
a considerare l’allargamento come“un’opportunità per approfondire i
legami Russia-NATO”.(4)

Tutto fa pensare che il Cremlino, come ai tempi di Eltsin, sia
orientato ad adottare una politica di “limitazione dei danni” in
risposta a questo nuovo passo dell’Occidente, in considerazione del
percettibile rafforzamento della convinzione, in ampi strati della
popolazione e in settori del ceto politico, che la presenza militare
diretta della NATO alle frontiere occidentali della Russia indebolisca
le sue posizioni strategiche.

Le obiezioni di Mosca abbracciano un numero importante di questioni, le
più rilevanti delle quali possono essere così riassunte:

1. Nessuno dei paesi baltici – che in passato erano parte integrante
dell’URSS – ha firmato il “Trattato sulla limitazione dell’armamento e
delle forze armate convenzionali” del 1990, che servì a stabilire un
relativo equilibrio di forze tra la NATO e l’Organizzazione del
Trattato di Varsavia. Dopo la sparizione di quest’ultima e l’affermarsi
di questi paesi come Stati indipendenti e fino alla scadenza, il
trattato rimase in un limbo giuridico. E’ un aspetto che teoricamente
permette ora ai paesi baltici di dispiegare nuove forze ed armamenti
nei loro territori, senza violare alcun accordo internazionale. Ed è
quello che teme la Russia. (5)

2. Per Mosca, tale ampliamento e le misure che lo accompagnano si
propongono di spingerla ad adempiere alle intese in merito al “Trattato
sulla limitazione delle forze armate e del sistema di armamento” del
1999 (che ha adeguato e modificato quello del 1990), relativamente al
suo impegno a ritirare i contingenti militari russi stanziati in
Georgia, Moldova e Caucaso del nord (inclusa la Cecenia, in cui il
volume delle truppe e degli armamenti dispiegati oltrepassa ampiamente
i limiti stabiliti in tale trattato).

Il fatto che questo trattato non sia stato ancora ratificato a cinque
anni dalla sua firma, si trasforma in un importante fattore contrario
alla necessaria stabilità del continente europeo, dal momento che
lascia aperta la possibilità di una nuova corsa agli armamenti. Per gli
stati membri della NATO, la Russia ne è la principale responsabile,
cosa che le è stata ribadita nell’ultimo vertice dell’Organizzazione
per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE).

3. A partire da quanto esposto, la Russia ritiene che questo nuovo
allargamento della NATO sia anche contrario al proposito di limitare la
corsa agli armamenti e che rappresenti un impedimento alla stabilità
delle regioni, verso cui si estende: “Abbiamo già espresso forte
preoccupazione – ha dichiarato il presidente russo – di fronte alla
drastica espansione (della NATO) fino alle frontiere della Russia”. (6)

I colloqui avvenuti in seguito tra la Russia e la NATO, realizzati nel
corso della visita a Mosca del nuovo Segretario generale dell’Alleanza,
non sono andati oltre la riaffermazione della forza dei vincoli
esistenti tra entrambe le parti e le assicurazioni date al Cremlino che
tale ampliamento non è diretto contro la Russia, senza che, d’altra
parte, siano state fornite risposte chiare alle sue preoccupazioni.

Da parte sua, la Russia ha proseguito nell’approfondimento della
collaborazione militare con la Cina, mentre eminenti rappresentanti dei
circoli del potere a Mosca hanno dichiarato che esiste la possibilità
di adottare misure che fronteggino il virtuale accerchiamento alle
frontiere occidentali del paese, che si otterrebbe con il nuovo
allargamento: ciò avverrebbe attraverso il rafforzamento militare di
Kaliningrad e l’approfondimento della collaborazione militare con la
Bielorussia nell’ambito dell’opera di costruzione dello Stato federale,
in cui ambedue i paesi sono impegnati.

In tal modo viene a consumarsi una nuova scalata bellica di Washington,
che assicura agli USA una maggiore possibilità di concretizzazione dei
propri piani egemonici di dominio mondiale. Gli Stati Uniti non
sembrano aver risolto in modo definitivo il dilemma esistente nella
loro politica verso la Russia: contenerla, da un lato, e dall’altro
spingerla ad un’alleanza strategica in qualità di partner a cui
riconoscere propri legittimi interessi nazionali.

Quanto all’Europa, se qualcuno nutrisse dubbi circa le intenzioni
nordamericane nei confronti del Vecchio Continente, occorrerebbe
ricordargli uno dei principi basilari della dottrina militare
dell’Amministrazione Bush, che va nella direzione di impedire l’ascesa
di un concorrente sia sul piano economico che su quello
politico-militare. (7)

Non solo l’allargamento della NATO implica una minaccia diretta per la
Russia, ma ha anche rafforzato il ruolo degli Stati Uniti negli affari
riguardanti la sicurezza dell’Europa: ciò va contro i desideri di
indipendenza – in ambito politico-militare – dell’UE.

In ultima analisi, si potrebbe essere d’accordo con Brzezinski sul
fatto che un tratto caratteristico dell’attuale governo nordamericano
consiste nell’adozione, sempre più frequente ad ogni livello ufficiale,
di quella che può definirsi “una visione paranoica del mondo”. (8)

E il nuovo allargamento ne costituisce una prova evidente.



(1) Questa è l’essenza della cosiddetta “Dottrina Wolfowitz”,
illustrata per la prima volta al Pentagono, nel documento “Defence
Planning Guidance” per il 1994-1999, filtrato alla stampa per la prima
volta nel 1992. Il documento invita ad un intervento militare
preventivo degli USA, al fine di paralizzare e prevenire l’ascesa di un
pari (o uguale) concorrente, affermando che gli USA devono fare di
tutto per impedire che ciò avvenga. Dopo l’arrivo al potere di Bush II,
questa “dottrina” è stata incorporata come principio centrale nel
documento conosciuto come “National Security Strategy of the United
States of America” (settembre 2002), in cui si dichiara esplicitamente
che il proposito finale della potenza nordamericana è di prevenire
l’ascesa di una grande potenza concorrente, e che gli USA schiereranno
tutti i mezzi necessari per impedire che ciò avvenga, compresa la forza
militare preventiva quando sia necessaria ed anche aumenti della spesa
militare di misura tale che nessun concorrente sia in grado di
sostenerli. Per maggiori dettagli si veda:

Klare, Michael, “La nueva geopolitica”, in

http://www.cip.cu/webcip/servicios/estasem/titulares/2003/
estasem091903.html

(2) Si veda a tal proposito il dispaccio dell’Agenzia di stampa
NOTIMEX, diffuso a Belgrado il 24.12.2003

(3) Per l’analista spagnolo Daniel Reboredo, si tratta “dell’utilizzo
della NATO come di una cassetta degli attrezzi che gli USA impiegano a
seconda delle loro necessità”.”Necesita un Esercito la Union Europea?”
http://www.lasprovincias.es/ , 4 maggio 2004.

(4) Così ha dichiarato Konstantin Kosachyov, presidente della
Commissione per le Relazioni Internazionali della Duma russa, in piena
sintonia con una simile valutazione espressa da John Barley,
consigliere politico dell’Ambasciata statunitense in Russia, che ha
assicurato che le relazioni bilaterali non saranno influenzate
negativamente, perché l’espansione della NATO non implica
l’installazione di nuove infrastrutture militari: “E’ possibile che
certe persone esprimano qualche disaccordo”, ha affermato, precisando
che “l’ampliamento dell’alleanza aiuterà a dissipare antichi miti sulle
relazioni tra Mosca e Washington e aprirà una nuova fase dei legami
russi con la NATO”. Per maggiori dettagli si veda:

Kester, Klomegah “Cercania de la OTAN preocupa a Moscu”. Dispaccio
dell’agenzia IPS, diffuso a Mosca, 15.4.2004 

(5) Negli anni conclusivi della Guerra Fredda, stabilire – mediante
questo Trattato – i limiti massimi delle forze armate e dei sistemi di
armamento a disposizione di entrambe le organizzazioni (NATO, Patto di
Varsavia), ha portato ad una limitazione dei potenziali dei due blocchi
contrapposti. Senza dubbio, la finalità originale del porre limiti alla
capacità di entrambi di colpire militarmente l’avversario non è stata
realizzata, dal momento che la dissoluzione del Patto di Varsavia
(febbraio 1991) ha fatto perdere di significato a questo trattato. Il
successivo ingresso di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca nella NATO
(luglio 1999) lo ha reso definitivamente obsoleto. Al suo posto, in
quell’anno venne adottato un nuovo Trattato che si proponeva di
riflettere le nuove realtà geopolitiche e militari sorte dopo il
collasso del socialismo europeo e la disintegrazione dell’URSS, non
stabilendo di conseguenza limiti tra blocchi, ma un complicato sistema
di misure su scala nazionale e territoriale, che non sono state
ratificate dai paesi baltici che entrano nella NATO.

(6) Brzezinski, Zbignew:  “La seguridad de EEUU en un mundo unipolar”.
Revista Politica Exterior, Madrid, No 97, enero/febrero del 2004

(7) Kester, Klogemah, op. cit.

(8) Klare, Michael, op. cit.

 
Traduzione di Mauro Gemma