Inizio del messaggio inoltrato:

> Da: "Abconlus" <info @ abconlus.it>
> Data: Lun 7 Giu 2004 06:38:32 Europe/Rome
> A: ABC - A, B, C, Solidarietà e pace <abcsolidarieta @ tiscalinet.it>
> Oggetto: da ABC - Relazione viaggio in Serbia e Repubblika Sprspa
> maggio 2004
> Rispondere-A: <info @ abconlus.it>
>
> Gentili amici,
> in allegato la relazione del recente viaggio nelle Repubbliche di
> Srbja i Cerna Gora e Srpska.
> Cordiali saluti. ABC


Relazione sul viaggio di maggio in Serbia e Bosnia
(15 – 27 maggio 2004)

Colpiti al cuore e… un po’ fuori di testa!

Colpiti al cuore e… un po’ fuori di testa! Cosa vuol dire?
Semplicemente che stiamo facendo una cosa fuori dell’ordinario, almeno
per “A, B, C, solidarietà e pace - ONLUS”: stiamo tentando di mantenere
il numero di giovani affidati a qualunque costo, anche chiedendone
altri senza prima avere sentito, come facciamo di solito, i vecchi
sostenitori se vorranno affidarne un altro o lasciare il progetto.
Proseguiranno? Speriamo di sì.
Oggi, tra Serbia e Bosnia, siamo a quasi 600 bambini (595 per
l’esattezza), due anni fa erano 700.

Oggi diciamo:
non vogliamo scendere sotto i 600 bambini affidati.

dobbiamo, quindi, recuperarne cinque e mantenere gli altri. Stiamo
tentando di fare questo perché c’è ancora bisogno di aiuto.

Non possiamo dimenticare alcune cose: quanto è accaduto a quella gente
è anche colpa nostra; due, sono nostri vicini e ci divide da loro un
braccio di mare; tre, ci amano, nonostante tutto; quattro, hanno
passato un sacco di guai e ancora ne passano.

Non sappiamo quello che sarà possibile fare nel futuro prossimo.
Dipende da voi, dalla vostra volontà di continuare a sostenere il
progetto di affido a distanza di giovani serbi e bosniaci; dalla nostra
capacità di comunicare come stanno veramente le cose.


Scusate, ora cominciamo a raccontarvi quello che abbiamo visto.


Domenica 16 - Siamo a Backa Topola, in Vojvodina. Seduti davanti al
televisore, in casa di amici, facciamo lezione di Politica. Vediamo
scorrere sul piccolo schermo le immagini di quelli che saranno i
protagonisti delle elezioni presidenziali del 13 giugno. Il favorito,
Tomislav Nikolic del Partito radicale serbo (per intenderci quello di
Seselj, in prigione all’Aja) accreditato, secondo uno degli ultimi
sondaggi, con il 29,9% dei voti, seguito da Boris Tadic (18,8%) del
Partito democratico (quello di Zoran Djindjic), arriva, buon ultimo, il
“Signor nessuno”, come lo hanno ribattezzato alcuni giornali serbi,
vale a dire Dragan Marsicanin, candidato di governo del Partito
democratico serbo (quello di Kostunica). Si attaccano tra loro e ognuno
parla male dell’altro. I problemi sono tanti, enormi! Riusciamo a
capire che l’attuale governo, di minoranza, è formato dal DSS (Partito
Democratico Serbo, conservatore), dal G17 (centrista liberale) e dal
SPO (Movimento per il Rinnovamento Serbo, monarchici conservatori), il
tutto con l’appoggio esterno del SPS (Partito socialista serbo, quello
di Milosevic). Nonostante il numero limitato dei seggi ottenuti (il
primo partito alle ultime politiche dello scorso dicembre è stato Il
Partito Radicale Serbo, ultranazionalista, che ha conquistato 82 dei
250 seggi del parlamento serbo, mentre il secondo, appunto quello di
Kostunica, ne ha presi 53 e quello del defunto Djindjic 37) Kostunica è
stato capace di assicurare al suo partito nove ministeri su 17 e
controlla, così, le cose importanti: economia, polizia, scuola ed
esercito. Anche a Backa Topola si usa fare lo “zapping” e così ci
ritroviamo sulla rete (una delle due che ha) di Bogoljub Karic,
candidato outsider alle presidenziali e uomo più ricco della Serbia,
proprio nel momento in cui nomina il partito che, comunque andranno le
presidenziali, intende fondare: “Napred Serbia”, vale a dire: “Forza
Serbia”. Sentiamo anche il nome del nostro primo ministro, Silvio
Berlusconi, quando, rispondendo alla domanda di un giornalista, Karic
dice: “abbiamo molto in comune”.
I politici hanno i macro-problemi da risolvere, la gente comune,
invece, deve confrontarsi con i maxi-problemi quotidiani. Quali?
Semplificando, pane e lavoro. Ce ne rendiamo conto quando cominciamo il
nostro giro nelle scuole e nelle fabbriche per consegnare le borse di
studio.

Lunedì 17 - La nostra prima tappa è Kriavaja, una scuola ad una decina
di chilometri da Backa Topola. Tutti, come sempre, gentili e cordiali.
Ci aspetta una sorpresa: tre fratellini, Nicola Gianluca (10 anni),
Stefano (9) e Cinzia (8), oriundi italiani. Mamma serba e padre
italiano (evidentemente molto prolifico, in tre anni tre figli). Mamma
ora in Serbia, sola e povera e senza alcun aiuto, papà italiano
“riparato” chissà dove. Situazione disperata, come tante altre. Non
possiamo fare finta di niente anche perché restiamo interdetti a
sentirli parlare italiano! Li aiutiamo in qualche maniera. Le cose non
sono quasi mai semplici e le emergenze si rincorrono, così, nella
scuola ungherese “Caki Lajos”, veniamo a sapere che c’è un bambino
pressoché denutrito. Ma perché non ci pensano loro? Ci pensano, ma i
casi sono tanti e se possono coinvolgere qualcun altro, tanto meglio.
E’ giusto! Interveniamo anche qui. Pensiamo: è un bambino
serbo-ungherese (ne abbiamo affidati anche altri) e, nel nostro
“piccolissimo”, vogliamo dare il nostro contributo al dialogo tra la
comunità ungherese e quella serba in una cittadina, Backa Topola, e in
una regione, la Backa (che insieme alla Srem e alla Banat forma la
Vojvodina), che si sta complicando la vita. Infatti, le forze
autonomiste sono aumentate, tanto che nello scorso aprile hanno
organizzato una “convention” con lo scopo di formare una coalizione
unitaria in vista delle prossime elezioni locali. Cosa chiedono? Alcuni
di andare, con tutta la terra, in Ungheria, altri si rivolgono alla
comunità internazionale perché difenda le ambizioni della provincia
autonoma a divenire “una moderna regione europea”, mentre i serbi, la
maggioranza assoluta, cominciano a temere la vichiana teoria dei corsi
e ricorsi storici, anche perché la ferita del Kosovo è ancora aperta.
Non vogliamo interferire in nulla, non è nel nostro modo di lavorare,
ma, alla prima occasione, vorremmo chiedere alla direttrice della “Caki
Lajos” (VEDERE CHI E’) perché va in Ungheria a comprare i libri
scolastici per i suoi alunni quando ce ne sono di serbi, naturalmente
in ungherese, ottimi. In questo contesto, sarebbe anche interessante
capire perché il governo ungherese eroga crediti agli ungheresi in
Vojvodina per consentirgli di comprare le aziende serbe che con la
privatizzazione sono in svendita. Chi ha ragione? Tutti e nessuno, come
il solito.
Anche con i bambini funziona così. Ci sono cose incomprensibili che
ormai accettiamo rassegnati: la mamma di una bambina di nome Jelena
rifiuta la nostra offerta di far controllare da un dermatologo la sua
piccola che ha la guancia sinistra rovinata da una dermatite o da un
angioma. Ci dice semplicemente e graziosamente: “No grazie!”. Perché?
Sembrerebbe appartenere ad una non meglio identificata setta (forse
quella del “Golgota”? Alcuni dicono sovvenzionata da servizi segreti
occidentali) che gli ha insegnato la rassegnazione, ad accettare quel
che arriva dal Cielo, in questo caso, probabilmente, le conseguenze
ambientali dell’inquinamento da bombardamenti o per colpa dell’acqua
inquinatissima del Canale grande di Backa, parte integrante
dell’idrosistema Danubio-Tisa-Danubio, che non si riesce a bonificare
per un conflitto di competenze, anche se il governo norvegese ha già
stanziato un milione e mezzo di Euro per l’opera di risanamento.

Martedì 18 – Andiamo a Nov Sad, alla scuola “Svetozar Markovic Toza”.
Novi Sad, seconda città serba e capoluogo della Vojvodina, presenta un
quadro politico opposto a quello nazionale: sono i Ds (quelli di
Diindjic, per intenderci) a governare, mentre chi gestisce il governo
centrale qui è all’opposizione. La Vojvodina, e in particolare Novi
Sad, è un po’ il bastian contrario dl Paese: il partito di maggioranza
relativa a livello nazionale, i Radicali, qui è stato emarginato con
successo, ed anche i Dss, che governano insieme con altri il Paese,
sono all’opposizione. Sarà forse perché tre dei sessanta ponti
bombardati sono a Novi Sad? L’”infarto” fluviale, come qualcuno chiama
il danno economico causato dallo sprofondamento di sei ponti sul
Danubio, ha complicato la vita un po’ a tutti: serbi, per ovvi motivi,
ungheresi, perché sono costretti a far fare a grano e mais assurdi
itinerari via terra, tedeschi e austriaci perché non arrivano più,
dall’Ucraina e dalla Romania cemento e materiale siderurgico.

Comunque: a dicembre, grazie soprattutto agli aiuti dei paesi
“danubiani” saranno ultimati i lavori al ponte della Libertà. Gli
altri ponti? Uno è finito e il terzo è in progetto. Ancora oggi, il
ponte provvisorio che unisce la collina all’università, ogni due
giorni, è aperto per consentire il passaggio delle chiatte con i loro
carichi.
Arriviamo davanti alla scuola. Abbiamo una foto fatta pochi giorni dopo
i bombardamenti (maggio ’99) dove si vedono i danni causati da una
bomba impazzita. Un’auto con le ruote verso il cielo ribaltata dallo
spostamento d’aria ricoperta di terra. Dietro, le finestre dissestate
della scuola. Cerchiamo lo stesso luogo e facciamo una foto, il prima e
il dopo, il passato, da non dimenticare, e il presente da cambiare.
Il direttore, Dragan, lentamente sta cominciando ad apprezzare la
nostra presenza. S'intrattiene a parlare con noi e ci accompagna a
visitare la scuola. Arranchiamo dietro di lui arrampicandoci sui due
piani dell’edificio: aula di fisica, di chimica, tecnica, inglese,
ungherese, lingua madre, ecc. E’ orgoglioso e frettoloso! Sempre meglio
del freddo distacco di due anni fa quando subentrò al signor Milorad
costretto a fare un bel salto indietro “degradato” a fare il maestro!
Ci accompagna persino all’esterno della scuola per mostrarci il luogo
dell’esplosione della bomba e racconta che ha aperto un cratere con un
diametro di 15 metri. Le aule di chimica e fisica ne portano, ancora
oggi, i segni. Distribuiamo le quote ed una bambina, alla domanda
cattiva “cosa farai con la borsa di studio?”, risponde: “ho promesso ad
una mia amica di pagargli il gelato”. Servono altre parole? Si parte
subito per Belgrado.

A Belgrado approdiamo dopo due ore. Belgrado è caotica, ed anche la
scuola non si sottrae a questa testimonianza di vita. La scuola è nel
sobborgo di Rakovica dove, il 17 aprile 1999, in una notte di “intenso
fuoco” fu bombardata una caserma che sorgeva in mezzo alle abitazioni,
a poche decine di metri dalla scuola “Nikola Tesla”. Per non fare
aspettare i genitori già raccolti in una grande aula andiamo subito a
consegnare le borse di studio. Riconosciamo quasi tutti. Qui, come
sempre, non riusciamo a sottrarci alle tradizionali mini-controversie:
alla fine della distribuzione delle borse di studio si presentano delle
mamme e dei papà di ragazzi ormai usciti dal progetto. Più o meno
consapevolmente, e comunque comprensibilmente, come diciamo a Roma, “ci
provano”. Spieghiamo loro che non abbiamo il denaro e non possiamo
consegnare loro alcuna quota. Lo sanno e, con cordialità, nonostante il
diniego, ci salutano e se ne vanno. Andiamo nell’ufficio del direttore.
C’è anche una vecchia amica di ABC, che ha avuto importanti
responsabilità nel dicastero della Sanità serba. Cominciamo a parlare
con il direttore e definiamo tutte le situazioni lasciate in sospeso a
novembre. Molte famiglie sono state costrette a cambiare casa ed è
stato impossibile rintracciarle, altre verranno la prossima volta. I
problemi non mancano. Ne parliamo tutti insieme. La vita è difficile, i
prezzi sono stabili (inevitabilmente), ma la vita delle famiglie è
sempre più difficile e, anche se l’infazione è sotto controllo e in tre
anni è scesa dal 40,7% del 2001 al 7,8% del 2003 (dati ufficiali della
Banca Nazionale Serba), chi si alza la mattina e deve mangiare non è
confortato da questo dato. Ci sono, infatti, sempre meno soldi e, da un
documento della Banca che ci siamo portati dietro, emerge un elemento
molto negativo: rispetto al 2002 la percentuale dei disoccupati è
aumentata dal 31,2% al 33,9% della forza lavoro (in realtà è di almeno
il 40% con punte pià alte in alcune aree del Paese). Troveremo
conferma di questi dati a Kragujevac dove arriviamo la sera.

Mercoledì 19 e giovedì 20 – Siamo a Kragujevac. Abbiamo l’intenzione di
cercare dati precisi sulla situazione sanitaria dei lavoratori, che
sono poi i papà e le mamme di tutti i ragazzi affidati. Non ne
troviamo. C’è “legittima reticenza” e chi promette documenti (analisi e
altro) ci delude. Pazienza! Abbiamo notizia, verbalmente, che i morti
ci sono e che le malattie sono in aumento. Spesso, nel giro di un mese,
si svelano patologie letali e piccoli manifesti mortuari tappezzano gli
alberi che conducono al cancello della Zastava. Riusciamo però, in ogni
caso, a trovare il testo trascritto e tradotto di un’intervista, andata
in onda sull’emittente serba B92 il 15 aprile scorso, fatta ad alcuni
operai che hanno partecipato al risanamento della Zastava. Dragan
Stojanovic, responsabile di una delle équipe che ha partecipato alla
bonifica della fabbrica, spiega che la rimozione delle macerie è stata
fatta senza alcuna precauzione e che in un mese ci sono stati sei
funerali. Paunovic, invece, è stato operato ed ha un polmone in meno.
Con i 4.500 dinari (circa 65 euro) del sussidio deve sopravvivere e
comprare le medicine. In tutto questo, asseriscono entrambi, l’aspetto
che dispiace di più è che l’azienda non riconosce l’esistenza di questi
problemi e si defila da qualsiasi sostegno agli operai che hanno avuto
patologie derivate dal lavoro all’interno della fabbrica. Dice Matic:
“se l’uranio si può bere come una limonata io mi scuserò”. Ma,
evidentemente, l’uranio delle bombe non è limonata anche perché, non a
caso, lo scorso novembre siamo stati testimoni diretti della presenza
di una delegazione dell’UNEP (United Nations Environmental Programme,
Programma Ambientale delle Nazioni Unite). La commissione dell’UNEP
cosa stava facendo a Kragujevac? Era in ferie? Probabilmente ha ragione
Knut Krusewitz, professore all’università di Berlino di Pianificazione
ambientale, che ha tentato, inascoltato, di spiegare al mondo quello
che era accaduto, contrapponendo la sua relazione a quella dell’UNEP.
Riportiamo soltanto le ultime righe del suo lavoro: “si tratta del
significativo danneggiamento delle risorse naturali ed economiche, in
un caso per lo sprigionamento di PCDDs (la diossina di Seveso) e di
PCDs e per l’altro per l’effetto di prodotti radiotossici e
chemiotossici derivati dalla disintegrazione delle munizioni all’uranio
impoverito. I cancerogeni saranno immagazzinati prevalentemente nei
prodotti agricoli e, al 95%, introdotti nella catena alimentare”. Siamo
propensi a dare ragione a lui e all’operaio Matic: l’uranio e la
diossina non sono limonata.

In due giorni a Kragujevac distribuiamo più di 250 borse di studio. I
ragazzi ci sono quasi tutti. La maggior parte dei non presenti sono
impegnati nei compiti in classe. Continuamo a fare foto. Alla fine del
viaggio saranno più di 1.200. I ragazzi assenti le consegneranno al
sindacato che le spedirà in Italia. Durante la distribuzione delle
quote vediamo le stesse persone. C’è “il ministro” (il suo soprannome
deriva dal fatto che ha preso a schiaffi il vecchio ministro del
Lavoro), il marito della signora Al Mamuri tornato dall’Iraq in Serbia
per eludere il destino beffardo, dopo un periodo di “riposo” con le tre
mogli irachene e per sfuggire alla situazione locale. La sera partiamo
per Nis.

Venerdì 21 – Tomasevic Bojana, alla Min Fitip, una delle affidate,
arriva accompagnata dal nonno. Sì, lo riconoscono, è proprio lui, l’ex
direttore generale della fabbrica. Un signore simpatico e dimesso che
sorride senza alcun compiacimento e che firma la ricevuta della borsa
di studio per sua nipote come uno dei tanti operai che sono stati suoi
dipendenti. Arrivano tutti, pian piano. Ci salutano. Vorremmo scattare
qualche foto all’interno della fabbrica. Ci spiegano che non è
possibile. Lo sapevamo, ma abbiamo tentato. Probabilmente anche la
Min-Fitip è nell’elenco delle aziende, grandi e piccole, in vendita.
Nel luglio 2001 è stata creata, appositamente, un’Agenzia per le
Privatizzazioni e, secondo i dati ufficiali che ha pubblicato, nel
2002, su 366 aziende in privatizzazione, 274 sono state vendute con un
introito di 350 milioni di dollari (fonte: Banca Nazionale Serba). A
quanto saranno vendute la Min-Fitip e l’Elktronska Industria? Ogni
volta che una fabbrica o un’azienda sono alienate aumentano il numero
dei disoccupati, la povertà, le malattie, la disperazione, la sfiducia
nelle istituzioni, la rabbia, e chi più ne ha più ne metta. Si è poveri
e lo si diventa sempre di più.
A Nis siamo ospiti di amici a Niska Banja dove, nel pomeriggio, andiamo
a distribuire le “skolska stipendia” nella scuola “Ivan Goran Kovacic”.
Nell’atrio ci attendono i ragazzi. Non appena entriamo
cominciano a cantare. Sono tornati da poco da una “gara canora” tra
tutte le scuole della Serbia e sono arrivati secondi. Sono bravi!
Subito dopo cominciamo a consegnare le borse di studio. I problemi
anche qui non mancano: cerchiamo di capire come affrontare tre
emergenze. Un bambino leucemico, un secondo con problemi di crescita e
la terza operata al cuore e con una deformazione del palato.
Tenteremo di trovare tra i tanti amici dell’associazione una
possibilità di cura per il piccolo leucemico, un farmaco, il
Genotropin, per il secondo, e faremo controllare in Serbia la terza dal
medico che l’ha in cura e che, coincidenza positiva, è il figliolo di
una nostra cara amica serba. Ci capita di chiedere a molti affidati se
hanno corrispondenza con i loro amici italiani, alcuni dicono di sì,
altri no, altri ancora ci dicono di avere scritto ma di non avere avuto
risposta. Spieghiamo a tutti che come per loro non c’è alcun obbligo a
corrispondere con i loro sostenitori, così non c’è per chi li aiuta.
Comunque, la “skolska stipendia” è già un segno d’amicizia importante e
tangibile.

Sabato 22, riposo. Con alcuni amici parliamo del Kosovo partendo da una
domanda: cosa ne pensate della possibilità, prefigurata da Kostunica,
di una cantonalizzazione (un’ amministrazione serba e albanese
all’interno della provincia sul modello della divisione interna della
Bosnia ed Erzegovina) partendo dal presupposto che un “paradiso
multietnico” non è realizzabile? Quasi tutti sono convinti che è
impossibile convivere con gli albanesi, la maggior parte vede nella
cantonalizzazione l’unica strada, pochi pensano che si debbano mandare
(dimenticando gli accordi internazionali che lo impediscono) esercito e
polizia serbi. Molti parlano bene dei militari italiani che hanno
difeso i serbi e i loro monasteri, dove possibile. Tutti dimentichiamo
due cose: 1) la Ue continua a sostenere un’unica soluzione: una regione
multietnica; 2) contro la cantonalizzazione si è schierato il leader
albanese Rugova il quale ha detto che è una cosa impossibile. Rugova,
d’altra parte, ormai si comporta da verso e conciliante padrone di
casa: ha promesso ai serbi che farà ricostruire le loro case e le loro
chiese distrutte dai suoi amici lo scorso marzo.

Domenica 23. La famiglia Zuza parte per l’America. Profughi dalla
Bosnia, per la precisione da Konjic, tra Mostar e Sarajevo, da più
dieci anni vivono, madre, padre e due figli, un maschio, Miroslav, 15
anni, e una femmina (affidata), Jovana, 16 anni, nell’hotel “Serbja” di
Niska Banja. Il Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite gli
ha dato questa possibilità. Partono per Las Vegas. Andiamo a salutarli,
insieme ad altri amici. Manca un’ora alla partenza. Piangono e noi con
loro. Ci tratteniamo il tempo per augurargli ogni bene. Lo meritano.
Hanno il coraggio della disperazione indispensabile per un passo del
genere. Vorremmo poter comunicare meglio di quanto non sappiamo fare
quello che percepiamo in loro: paura dell’ignoto e speranza in un
futuro migliore. Alle 8 prendono i loro bagagli. Arriva l’autobus per
Belgrado. La disperazione dei genitori, vecchi, che sanno di non poter
più vedere i loro figli; il pianto degli amici, giovani, che presto
dimenticheranno. Non rischiamo il patetico! Andiamo avanti!
Sono i ragazzi e i genitori della piccola scuola di Donja Vrezina, dove
andiamo dopo la partenza della famiglia Zuza, a farci dimenticare la
tristezza di queste prime ore di domenica. Mentre distribuiamo le quote
arriva, a piedi, un vecchio giornalista che vuole sapere qualcosa sul
nostro lavoro. E’ stato a Roma per diversi anni ed ora è rientrato in
Serbia e per arrotondare una pensione inesistente si è messo a fare il
“free-lance”. Fa foto e si informa. Il Comitato dei genitori della
scuolina ha preparato un gran rinfresco. Ci dicono che i serbi sono
fatti così: sono disposti a non mangiare pur di accogliere bene degli
amici. I bambini sono tutti lì ed anche i genitori che si prendono in
giro. Il “soggetto” è soprattutto il marito di una bella signora che
torna ogni due mesi dalla Slovenia dove è andato è riuscito a trovare
lavoro.
Facili allusioni, ma meno facile ironia quella del destino di Predrag:
trovare lavoro proprio dove avvennero i primi scontri, nel giugno del
1991, tra la Difesa territoriale slovena e l’armata jugoslava. Ma sono
passati 13 anni… e quasi tutti bambini che oggi hanno preso la “skolska
stipendjia” , per fortuna, a quel tempo non erano neanche nati. E
questa è la grande speranza, dimenticare e ricominciare!

Lunedì 24 – Fa un freddo cane! All’orizzonte vediamo le montagne
bulgare. Entriamo nell’Elektronska Indusrtrija, ex colosso locale e
nazionale che produceva elettrodomestici. All’E.I. le cose vanno ancor
peggio che alla Min- Fitip. Dei circa 20.000 dipendenti sono 800 quelli
che lavorano e 2.400 quelli a disposizione che sperano di essere
chiamati. Gli altri sono disoccupati. Le retribuzioni vanno dai 4.000
ai 18.000 dinari , vale a dire da 60 a 250 euro (a prendere 18.000
dinari sono soltanto 15 tecnici superspecializzati). Andiamo dai
bambini e dai genitori riuniti, come il solito, nella vastissima mensa.
Stiamo al buio: non si accende la luce e non c’è acqua. Ci si è
abituati a risparmiare in qualsiasi circostanza e per tutto. Cominciamo
a chiamare e, come abbiamo fatto, in tutte le scuole e le fabbriche,
spieghiamo che scatteremo due foto da spedire ai loro amici italiani.
Sono lì “docili” e pazienti. Cominciamo la consegna delle “skolska
stipendia” e, com’è avvenuto in tutti i posti dove siamo stati, anche
qui sul volto di questa gente rassegnazione. Parlando con loro sentiamo
che sono scoraggiati. Hanno poche speranze nel futuro e credono poco
nella classe politica che li governa. Sono sempre gli stessi (non
possiamo dargli torto), anche i partiti sono sempre gli stessi (anche
questo è vero), se capita la disgrazia di ammalarsi ci si può anche
rassegnare a morire (verissimo, tanto che tutt’intorno è tappezzato di
piccoli manifesti con l’annuncio della morte di qualcuno, spesso
prematuramente), il lavoro non c’è e i giovani non hanno un futuro. C’è
anche chi ha un sussulto e si arrabbia mentre parla, ma la maggior
parte sono quieti.
Da un caro amico, riusciamo ad avere, per la prima volta durante il
nostro viaggio, un documento ufficiale sottoscritto dal direttore
dell’Ufficio di collocamento. Proviamo a capirci qualcosa. Scopriamo
che i disoccupati a Nis, al 5 aprile scorso, sono 46.036 dei quali
24.488 donne. I posti disponibili, all’Ufficio di collocamento, sono
invece 5.540 (2.363 a tempo indeterminato e 3.177 a termine). Proviamo
a capire di quale tipo di lavori si tratta, ma non ci riusciamo.
Facendo i conti a “maniera nostra” la percentuale ufficiale dei
disoccupati a Nis, anche se non possiamo essere precisi perché non
conosciamo il totale della forza lavoro locale, dovrebbe essere di
circa il 40% (la Banca Nazionale Serba parla, per il 2003, di 33,7%).
Con i sindacalisti cerchiamo di capire poi la situazione politica. E’
praticamente dall’inizio del viaggio che andiamo in giro con un pezzo
di carta, dove abbiamo disegnato un semicerchio (il Parlamento serbo) e
scritto, cercando di collocarli nella loro posizione “fisiologica” , i
nomi dei partiti. Da questo schema esatto e semplice, ne viene fuori
un’immagine sbilanciata completamente a destra del Parlamento, anche se
il Partito democratico (ex Djindjic) lo scorso ottobre è entrato
nell’Internazionale socialista. A sinistra sembrerebbe essere presente
soltanto il Partito socialista serbo (ex Milosevic), messo storicamente
fuori gioco dagli eventi. Tutti, dopo aver osservato lo schema,
concordano che è una situazione sbagliata. Alcuni affermano che ci sono
dei piccoli partiti a sinistra, altri che hanno tentato di riempire
questo vuoto con un nuovo partito il “Labour”, ma per ora l’esperienza
è fallita, altri ancora che un partito di sinistra c’è, quello di
Milosevic. Tutti concordano su una cosa: non c’è nessuna figura
politica, a sinistra, capace di raccogliere consensi e democratizzare
così un parlamento sbilanciato e litigioso.

Martedì 25 – Partenza per la Bosnia. Nel primo pomeriggio siamo a
Rogatica alla scuola “Sveti Sava”. Sono 1.200 i bambini che la
frequentano distribuiti su tre turni (si comincia alle 7,20 e si
finisce alle 18 circa). Quest’anno hanno cominciato la scuola anche
bambini di sei anni. Qui, contrariamente a quanto avviene in Serbia (la
legge non ha trovato attuazione in seguito al cambiamento del governo),
la riforma della scuola è stata applicata. Siamo un po’ confusi!
Entriamo con bambini e genitori in un’aula per distribuire le quote di
affido. Una mamma sale al primo piano della scuola arracampicandosi con
l’aiuto di una stampella. Non sta bene, ma vuole salutarci egualmente.
Comincia la distribuzione delle “borse di studio”. Un Papà è solo: il
piccolo Mihali è all’ospedale. Pochi mesi fa è morta la moglie e ora il
bambino, paraplegico, sta accusando il colpo. Storie di disperazione.
Vorremmo evitare di raccontarle, ma sono testimonianze importanti. Ci
sono però anche i momenti lieti: l’accoglienza di genitori e ragazzi,
le letterine per gli affidatari, i piccoli regali fatti con il cuore e
il sacrifico, le foto fatte insieme.
Chiacchieriamo un po’ con il vice preside della scuola. Sarà il tempo
che passa, ma ci rendiamo conto che c’è una maggiore disponibilità, in
tutti, a parlare di più, ad affrontare argomenti da anni elusi (con
l’eccezione di Lukavica, dove il direttore, continua a dirci, in
italiano, “Milan, grande squadra”). Durante il colloquio annotiamo
delle cose significative dette dal nostro amico: “passo la frontiera
con la Serbia decine di volte al mese e ogni volta devo mostrare il
passaporto. Io sono serbo, come i serbi di Serbia! E’ umilitante!”.
“Davanti c’è una persona, ma dietro ce n’è sempre un’altra”. “In ogni
casa della Republika Srpska, anche la più sperduta, l’ospite è sacro e
ci sarà sempre per lui un pasto!”. Stereotipi? No.
Risaliamo in macchina e via verso Pale, ex roccaforte di Radovan
Karadzic, capo dei serbi di Bosnia e ricercato numero uno per crimini
di guerra. Pale, ex capitale della Republika scalzata dalla più
moderata Banja Luka. La casa dove siamo ospitati è vicinissima alla
chiesa e alla canonica dove il primo aprile scorso, un commando della
Sfor (veniamo a sapere casualmente da “alcuni italiani” che si sarebbe
trattato di militari americani che “non vanno per il sottile”) ha fatto
saltare la porta con una carica di esplosivo ferendo gravemente il
parroco e il figlio. “L’esplosione ha frantumato i vetri delle
abitazioni circostanti (ad una sessantina di metri perché chiesa e
canonica sono al centro di una piazza-giardino) e non ci si poteva
affacciare perché i militari che circondavano gli edifici puntavano i
fucili”, ci dicono. Ma lasciamo stare queste cose!

Mercoledì 26 – La scuola “Pale” di Pale nel 2005 compirà cent’anni! Non
pochi! I bambini affidati sono una trentina e quasi tutti per arrivare
a scuola devono percorrere, ogni giorno, diversi chilometri a piedi. Ad
attenderci c’è anche Donato, un socio di San Donato Milanese, che è
venuto a trovare il suo “figlioccio”, Bosko, ed è ospite della famiglia
del bambino. E’ entusiasta di questa esperienza e ci parla di come è
stato accolto e della situazione difficile della famiglia. Per lui è
stata organizzata una gran festa alla quale hanno partecipato tutti i
vicini.

Ognuno ha portato qualcosa e, in poco tempo, è stato allestito un vero
e proprio banchetto! Cominciamo a distribuire le borse di studio e
facciamo le foto. Al direttore chiediamo, come abbiamo fatto in tutte
le altre città, schede di nuovi ragazzi da affidare. Finiamo presto.
Vorremmo andare a fare una camminata nei boschi. Ce lo sconsigliano.
Ancora troppi posti contaminati da mine e ordigni inesplosi. Notizia
ufficiale: in Bosnia sono 1.366 i centri abitati contaminati e, secondo
il Centro per lo sminamento, sono registrati oltre 10.000 campi minati.
Meglio evitare per non correre il rischio di aumentare il numero delle
vittime, 1.048, registrate dalla fine della guerra (1995).

Nel pomeriggio andiamo a Lukavica, enclave serba alla periferia di
Sarajevo. Il direttore della scuola “Sveti Sava”, milanista
“sfegatato”, è alle prese con il Consiglio d’istituto e ci accoglie il
suo vice. Entriamo nell’aula dove ci aspettano i bambini con i
genitori. Tra loro Blazic Sasa, “recordboy”: undici tra fratelli e
sorelle. A vedere il papà, un poco malridotto, zoppica e si sostiene
con una stampella, non ci sembra possibile che sia così “prolifico”. Ci
asteniamo da commenti, anche se alcuni suggerimenti gli servirebbero.
Distribuiamo le quote e riceviamo tre baci da ciascun affidato. Arriva
anche il direttore e, dopo i saluti, ci chiede subito se vogliamo
aiutarlo a costruire una palestra. Infatti, la scuola di Pale è un dono
della cooperazione giapponese e loro costruiscono le scuole senza
palestre. Gli diciamo che siamo una piccola associazione che non può
permettersi una spesa del genere. Di fronte al diniego ci svela che ha,
comunque, un probabile donatore. E’ una vecchia volpe mr. Milovan. Uomo
eccezionale, capace di fare il bene dei suoi alunni senza esporre se
stesso e chicchessia. Cauto al punto di rispondere “tutto OK” alla
banale domanda: “come vanno le cose a Lukavica?”. Ma basta dare
un’occhiata ai bambini e ai genitori per capire che le cose non sono
per niente OK a Lukavica che, come tutta la Republika Srpska, ha
problemi enormi: 43% di disoccupazione, miseria e fame, sporcizia e
disperazione. Giovedì ripartiamo per l’Italia!