DOPO LA MADDALENA VIA TUTTE LE BASI STRANIERE
1. Comunicato stampa: dopo La Maddalena via tutte le basi straniere
(Comitato nazionale per il ritiro dei militari italiani dall’Iraq)
2. REPORT DELL’INCONTRO NAZIONALE “SMOBILITIAMO LE BASI MILITARI E GLI
ARSENALI NUCLEARI”
(Comitato nazionale per il ritiro dei militari italiani dall’Iraq)
3. UNA BUONA GIORNATA PER LA SARDEGNA E PER IL MOVIMENTO CONTRO LA
PRESENZA DI BASI MILITARI USA E NATO IN ITALIA (Bruno Steri)
4. Ma in Italia rimangono 10 porti nucleari / Un ritiro all'ombra delle
urne / Il disastro nucleare nel 2003 alla Maddalena fu vicino alla costa
da Il Manifesto del 22 e 23/11/2005
=== 1 ===
COMUNICATO STAMPA
DOPO LA MADDALENA VIA TUTTE LE BASI STRANIERE
Le recenti dichiarazioni del ministro Martino sull’intenzione, da parte
dell’amministrazione statunitense, di rinunciare all’approdo per i
sommergibili nucleari della Maddalena e all’ampliamento di quella base,
rappresenta un segnale positivo, frutto essenzialmente della
mobilitazione delle popolazioni sarde che da sempre si oppongono alla
militarizzazione del proprio territorio.
Per ora l’annuncio del ministro italiano della Difesa rappresenta
soltanto un primo passo, seppur importante, ma occorre vigilare e
continuare a mobilitarsi in tutte le forme possibili affinché gli
apparati militari statunitensi e della Nato avvertano costantemente la
richiesta di smilitarizzazione dei territori che proviene da alcune
forze politiche e sindacali del nostro paese, ma in particolare dai
comitati e dalle comunità locali che da anni si sono organizzate per
chiedere la chiusura delle innumerevoli basi militari imposte al nostro
paese da una relazione di sudditanza nei confronti di Washington e che
trasformano la penisola in una enorme portaerei al servizio della
strategia di guerra statunitense.
Occorre continuare a mobilitarsi affinché la dichiarazione di Martino
abbia un seguito concreto e affinché allaauspicabile chiusura della
base della Maddalena segua anche lo smantellamento dei poligoni
militari italiani in Sardegna e delle basi USA e NATO in territorio
italiano.
Comitato nazionale per il ritiro dei militari italiani dall’Iraq
viadaliraqora @ libero.it
348 - 7213312
=== 2 ===
REPORT DELL’INCONTRO NAZIONALE “SMOBILITIAMO LE BASI MILITARI E GLI
ARSENALI NUCLEARI”
Giovedì 17 novembre, presso la Sala delle Colonne della Camera dei
deputati, si è tenuto un importante e riuscito incontro nazionale teso
a rilanciare la mobilitazione democratica e popolare contro le basi
militari straniere e le armi nucleari in Italia. Partendo dal convegno
di Pisa del dicembre scorso (“Mediterraneo para bellum”), si è avviata
in Italia unainteressante fase di confronto e iniziativa che ha
l’obiettivo di portare la questione della smobilitazione delle basi
militari dentro l’agenda politica e di trasferirla dal piano della
denuncia a quella della vertenza concreta.
Due Progetti di Legge come strumento di iniziativa
Per l’occasione sono stati presentati due progetti di legge a firma del
deputato dei Verdi Mauro Bulgarelli. Il primo (PdL n. 5971) riguarda
l’indizione di un referendum consultivo sullo smantellamento degli
armamenti nucleari presenti sul territorio nazionale, teso a dare ai
cittadini la possibilità di esprimersi sull’opportunità di mantenere
negli insediamenti militari italiani e stranieri, nonché nei poligoni
di tiro, a costi elevatissimi per l’intera collettività, dispositivi
nucleari che comportano, per tipologia e caratteristiche intrinseche,
un elevato rischio per la popolazione, sia sotto il profilo ambientale
che sotto il profilo sanitario. Il secondo (PdL n.6100), propone la
desecretazione automatica di tutti i documenti coperti da segreto di
stato la cui stipula risalga ad oltre 25 anni fa. Nel nostro paese,
infatti, poco o nulla si è fatto per garantire che i cittadini
potessero avere accesso reale alle informazioni, in particolare a
quelle che riguardano i rapporti e i patti di collaborazione stipulati
negli anni dal Governo italiano con altre nazioni o organismi
sovranazionali e a quelle inerenti le attività dei servizi di
sicurezza. La nostra storia recente dimostra che, proprio riguardo a
questi ultimi due temi, l’apposizione sistematica del segreto di Stato
ha inciso negativamente sia sui rapporti tra l’opinione pubblica e
l’esecutivo – come dimostra la crescente ostilità di quelle popolazioni
costrette a convivere sul proprio territorio con basi militari
straniere insediate grazie a patti bilaterali segreti - sia
sull’accertamento della verità riguardo a una serie di tragici
avvenimenti che sconvolsero la vita del Paese negli anni settanta e
ottanta del secolo scorso, durante il periodo della cosiddetta «
strategia della tensione », e di cui ancora nulla si conosce per quanto
concerne le responsabilità e i ruoli ricoperti da apparati dello Stato
in seno alle trame eversive che segnarono quegli anni.
Una partecipazione ampia a qualificata alla discussione
La discussione dell’incontro del 17 novembre è stata introdotta da
Sergio Cararo a nome del Comitato per il ritiro dei militari italiani
dall’Iraq. Sono poi intervenuti i parlamentari Mauro Bulgarelli
(deputato dei Verdi, firmatario e presentatore dei due Progetti di
Legge), Luigi Malabarba (PRC), Luciano Pettinari (DS). Hanno portato il
loro contributo Giovanni Franzoni (Associazione l’Iraq agli iracheni),
Gavino Sale (IRS, Sardegna), Valter Lorenzi (Comitato per la
riconversione di Camp Darby), Lisa Clark (Beati Costruttori di pace),
Angelo Baracca e Mauro Cristalli (Scienziate/i contro la guerra),
Massimo Paolicelli (LOC), Alessandro Bombassei (CPA, Firenze), Bruno
Steri (L’Ernesto), Alfonso Navarra (pacifista storico), Fulvio
Grimaldi, Vincenzo Miliucci (Cobas), Orsola Mazzola (Comitato gettiamo
le basi di Bologna). Messaggi sono giunti dal consiglio comunale di
Colle Solvetti (Livorno) che ha approvato un ordine del giorno per lo
smantellamento della base di Camp Darby, da Raniero La Valle (autore
nel 1984 di una proposta di legge analoga a quella presentata
quest’anno), dai consiglieri del PRC della Sardegna, dal Comitato
contro l’allargamento della base diEderle (Vicenza), dallo Slai Cobas
di Taranto.
Proposte di lavoro per i prossimi mesi
1) Il Comitato nazionale per il ritiro dei militari dall’Iraq da tempo
è impegnato affinché lo smantellamento delle basi militari e delle armi
nucleari diventi un punto centrale nell’iniziativa del movimento contro
la guerra. Con questoobiettivo invita tutti i comitati locali e le
realtà del movimento contro la guerra a gestire questi due progetti di
legge sia a livello nazionale che nei territori con assemblee popolari,
inclusive ed aperte in cui la presentazione dei progetti di legge possa
essere una occasione di confronto e di proposte operative.
2) Interessante in tal senso è il questionario approntato dal Comitato
di Camp Darby con cui indagare il rapporto tra le comunità locali e la
presenza delle basi militari. Il questionario è disponibile per chi
fosse interessato a utilizzarlo nella propria situazione (adeguandolo
ovviamente alla propria realtà specifica).
3) Invita inoltra a fare della giornata del 3 febbraio (anniversario
della strage del Cermis) una data simbolica per iniziative in tutte le
città contro la presenza delle basi militari USA/NATO con presidi, sit
in, mostre sotto le sedi delle Regioni, avviando così una fase di
pressing stretto teso a farle pronunciare contro l’allargamento e/o la
presenza delle basi militari e delle armi nucleari.
Nei prossimi giorni invieremo una bozza di programma per dettagliare la
giornata del 3 febbraio.
In calendario anche la proposta diiniziative contro le armi nucleari
per l’8 luglio, data del pronunciamento della Corte Internazionale
secondo cui le armi nucleari sono illegali.
Comitato nazionale per il ritiro dei militari italiani dall’Iraq
viadaliraqora @ libero.it
348 - 7213312
=== 3 ===
UNA BUONA GIORNATA PER LA SARDEGNA E PER IL MOVIMENTO CONTRO LA
PRESENZA DI BASI MILITARI USA E NATO IN ITALIA
La lotta comincia a pagare. Beninteso: nessuna facile illusione, poiché
sappiamo che la strada è ancora lunga e per nulla agevole. Ma
l’annuncio di ieri del ministro della Difesa Antonio Martino circa il
ritiro dei sommergibili nucleari Usa da La Maddalena è in ogni caso da
considerarsi una vittoria del movimento sardo contro le basi e i
poligoni militari e, in generale, del movimento contro la guerra nel
nostro paese.
E’ veroinfatti che, benché preannunciato, non è stato ancora
esplicitato un calendario preciso in attuazione della suddetta
decisione; che, ritirati dalle nostre acque territoriali, i
sommergibili nucleari restano tuttavia quali strumenti essenziali nella
ridislocazione delle forze Usa in Europa; che la base della Maddalena
permane comunque attiva nel cuore di un parco naturalistico nazionale;
e, infine, che resta il peso intollerabile delle servitù militari, che
fanno della Sardegna la regione più militarizzata d’Italia.
Tuttavia, non può sfuggire - accanto all’effetto pratico di liberare le
coste sarde da veicoli di morte, pericoli potenziali per la popolazione
residente e l’ambiente - il significato politico, altamente
emblematico, di tale decisione. Le operazioni militari hanno bisogno di
complicità e silenzio dei mezzi diinformazione: precisamente il
contrario di quel che molti cittadini sardi sono ormai disposti a
concedere. Le lotte, nonché la pubblicità e l’informazione dettagliata
che si riesce a raccogliere attorno ad esse, sono un ingombro che può
risultare insopportabile. E quando le istituzioni locali mostrano -
come in questo caso - la necessaria determinazione, offrendo
un’adeguata sponda politica, ancor più sabbia può entrare a minare
l’ingranaggio bellico. Il ministro ha tra l’altro negato che fossero
operativi piani per un consistente ampliamento della stessa base de La
Maddalena. In realtà il progetto c’era (comprovato da relativa
documentazione riservata): e ora è tutt’altro che trascurabile il fatto
che vi sia una retromarcia formalmente impegnativa.
Occhi aperti, dunque; non è che l’inizio. Questo passaggio serve a dare
forza per perseguire con crescente determinazione l’obiettivo della
chiusura totale della base. Nonché per estendere tale richiesta,
innanzitutto, ai poligoni di Quirra e Capo Teulada, restituendo i
relativi territori (oggi devastati dalle attività militari) a chi vi
abita e reimpiantandovi lavoro, salute e tutela dell’ambiente. Siamo
assolutamente soddisfatti di apprendere che “la Sardegna è territorio
ostile” (ovviamente, per i signori della guerra). Siamo fiduciosi che
si dimostrino “ostili” tutti i territori in cui ad oggi permangono (e
si allargano) basi militari Usa e Nato. Un caloroso saluto alle
compagne e ai compagni sardi
Bruno Steri
(Area Prc – Essere Comunisti)
Roma, 23 novembre 2005
=== 4 ===
Il Manifesto, 23/11/2005
Ma in Italia rimangono 10 porti nucleari
Quello della Maddalena non sarà il primo porto nucleare a chiudere i
battenti. Da quando il manifesto, nel febbraio 2000, portò alla luce
l'esistenza di ben 12 porti nucleari in Italia, rigorosamente tenuti
segreti, in ognuna delle città coinvolte si avviarono mobilitazioni per
la chiusura. La prima, e fino a ieri l'unica, a ottenerla, era stata
quella di Genova, in virtù dell'impegno diretto del comune e del fatto
che si tratta di una città d'arte. Ma questa volta non si tratta solo
del ritiro di una concessione all'approdo per imbarcazioni a
propulsione atomica. Alla Maddalena c'è una nave-appoggio Usa con un
migliaio di marines a bordo, e lì vengono effettuate anche riparazioni.
MADDALENA
Un ritiro all'ombra delle urne
MANLIO DINUCCI
Dopo aver annunciato, all'unisono con il presidente del consiglio
Berlusconi, che le truppe italiane si ritireranno dall'Iraq alla fine
del 2006 «secondo tempi e modi che saranno delineati entro il prossimo
gennaio», il ministro della difesa Martino ha fatto un altro
sensazionale annuncio: i sottomarini Usa di Santo Stefano, La
Maddalena, saranno trasferiti fuori dal territorio nazionale della
base. L'operazione, che «si inserisce nel quadro di ridislocazione
delle forze Usa in Europa», sarà compiuta «secondo tempi e modi che
dovranno essere definiti più avanti», come stabilito con il collega Usa
Rumsfeld. La notizia è stata definita dal presidente Soru «fantastica».
Soru ha indubbiamente tutte le ragioni per gioire: comunque sia,
l'annuncio del governo Berlusconi che i sottomarini Usa saranno
trasferiti «fuori dal territorio nazionale della base» è certamente
frutto del crescente movimento popolare le cui richieste sono state
fatte proprie dal consiglio regionale sardo. A far crescere la
preoccupazione e quindi l'opposizione popolare alla presenza della base
sono stati in particolare gli incidenti dei sottomarini a propulsione
nucleare, dei quali la popolazione e anche le autorità sono state
tenute all'oscuro. Tra questi, l'incidente del sottomarino Hatford
incagliatosi nelle acque dell'arcipelago maddalenino nell'ottobre 2003,
rivelatosi molto più grave (v. il manifesto di ieri [VEDI SOTTO]) di
quanto dichiarò allora il contrammiraglio Stanley, che parlò di
«incidente di piccola entità». Detto questo, occorre però recepire
l'annuncio del ritiro dei sottomarini Usa, così come quello del ritiro
delle truppe italiane dall'Iraq, con estrema prudenza.
Anzitutto, stando ai comunicati delle agenzie, non si parla di chiusura
della base della Maddalena ma di trasferimento dei sottomarini «fuori
dal territorio nazionale della base». In secondo luogo non si prende
alcun impegno sui tempi del presunto trasferimento, che dovrebbe essere
attuato «secondo tempi e modi che dovranno essere definiti più avanti».
Può apparire invece credibile che, «nel quadro di ridislocazione delle
forze», il Pentagono stia studiando una diversa dislocazione dei
sottomarini. Sarebbe invece pericolosamente illusorio pensare che il
Pentagono intenda diminuire la presenza di forze militari Usa in Italia
e nel Mediterraneo. Basti ricordare che la marina Usa ha il suo centro
principale a Napoli, dove è stato trasferito il quartier generale delle
Forze navali Usa in Europa che prima era a Londra, e che, oltre a La
Maddalena, dispone della base aeronavale di Sigonella e si sta
preparando a utilizzare più efficamente il porto di Taranto. In tal
modo il Pentagono sta trasformando sempre più l'Italia in trampolino di
lancio della «proiezione di potenza» statunitense verso sud e verso
est. Il fatto che il «ritiro» dei sottomarini Usa sia stato annunciato
contemporaneamente a quello delle truppe italiane dall'Iraq non è
casuale. Il governo di centrodestra vende in realtà la pelle dell'orso,
ben sapendo che a decidere non è Roma ma Washington e che a promettere
qualcosa da attuare dopo le elezioni non rischia nulla. Intanto, però,
con tali promesse spiazza il centrosinistra, il cui impegno sul ritiro
delle truppe dall'Iraq è estremamente titubante e quello sulle basi Usa
in Italia assolutamente assente. La sinistra si èinfatti da tempo
ritirata dalla lotta contro le basi Usa in Italia: questo è il vero
ritiro, che continua a pesare sul quadro politico italiano.
http://italy.indymedia.org/news/2005/11/929436.php
Il disastro nucleare alla Maddalena fu vicino alla costa. Notizia non
ripresa da nessuno
[da Il Manifesto del 22/11/2005]
Disastro nucleare vicino alla costa
Un istituto statale di studi francese rivela: il sottomarino Usa
Hartford il 25 ottobre 2003 si incagliò su uno scoglio tra La Maddalena
e Caprera, a pochi metri dal centro abitato e non in mare aperto come
avevano sostenuto gli americani. E i danni furono ingenti, mentre i
comandi minimizzarono
COSTANTINO COSSU
OLBIA
Il 25 ottobre del 2003 l'Uss 768 Hartford, un sommergibile ad armamento
atomico della Us Navy, lascia la base appoggio della Maddalena per
raggiungere il mare aperto, ma dopo poche miglia s'incaglia. Lo scafo è
gravemente danneggiato. Viene sfiorato il disastro nucleare. Tutto,
però, resta segreto sino al 18 novembre, quando, in una nota ufficiale,
i comandi americani annunciano: «Alle 12,40 del 25 ottobre il
sottomarino Uss Hartford della Marina degli Stati Uniti ha lievemente
toccato il fondale mentre navigava a est dell'isola di Caprera. Nessun
pericolo. Solo lievi graffi alla vernice dello scafo». Ora si scopre
che i militari Usa mentivano due volte. Mentivano sulla posizione del
sommergibile al momento dell'impatto e mentivano sulla gravità
dell'incidente. Il quotidiano La Nuova Sardegna ha pubblicato ieri un
rapporto dell'Irsn (Institut de radioprotection et de sureté
nucléaire), ente francese di controllo che risponde ai ministeri della
difesa, della sanità e dell'ambiente, che svela come l'incidente
dell'Hartford avvenne non ad oriente ma ad occidente di Caprera, e più
esattamente nello stretto braccio di mare che separa l'isola dalla
Maddalena, a poche centinaia di metri dalla città e dalla base di Santo
Stefano. A rischio è dunque stato, direttamente, il centro abitato della
Maddalena e la stessa base americana. Ma non basta. Dando un'occhiata
al sito web della Us Navy si scopre che è la stessa marina statunitense
ad ammettere che l'entità dei danni all'Hartford è stata molto grave.
Nel luglio del 2004, in occasione della cerimonia del cambio di
consegne della Emory Land, la nave appoggio intervenuta a riparare i
danni dell'Hartford il giorno dell'incidente, viene diffuso un
opuscolo, leggibile on line, che racconta alcuni episodi in cui i
membri dell'equipaggio si sono segnalati per la loro professionalità.
Si legge tra l'altro nel documento: «Nell'ottobre del 2003 l'equipaggio
della Emory Land ha eseguito lavori d'emergenza sull'Uss 768 Hartford
che si era incagliato. I sommozzatori, al lavoro ventiquattrore su
ventiquattro in condizioni di mare pessime e in tempi ristretti, hanno
effettuato lavori di riparazione che hanno richiesto saldature e tagli
per portare l'Hartford a condizioni di sicurezza tali da consentire il
ritorno del sottomarino negli Stati Uniti. L'equipaggio ha dimostrato
una qualità di primo livello e ha realizzato una delle imprese più
grandi di lavori subacquei mai eseguiti da una nave appoggio».
Altro che qualche graffio alla vernice del sottomarino, come ha tentato
di far credere il comando della Sesta Flotta. D'altra parte, la
versione che puntava a minimizzare la portata dell'incidente era già
stata smentita il 22 dicembre del 2003 da un piccolo quotidiano di
provincia americano, il The Day, che si stampa a New London, nel
Connecticut. Robert Hamilton, un cronista del giornale, andò a vedere
l'Hartford quando il sommergibile arrivò nei cantieri di Norfolk, in
Virginia, per essere riparato, e scoprì che metà del timone era stata
strappata via e che lo scafo era stato squarciato, tanto che venne
presa in considerazione l'ipotesi di rottamare il sottomarino. L'anno
scorso, poi, il 16 febbraio, il portavoce della Us Navy Robert Mehal,
dichiarò ai giornalisti: «I nostri tecnici hanno stimato che per
riparare l'Hartford occorreranno 9,4 milioni di dollari. I costi sono
stati sensibilmente ridotti perché non sarà costruito un timone nuovo;
sarà infatti utilizzato il timone del sommergibile, della stessa classe
Uss, Baltimore, dismesso nel 1998».
Insomma, che il 25 ottobre del 2003 alla Maddalena sia stato sfiorato
il disastro nucleare ormai non ci sono più dubbi. Ed è agghiacciante
scoprire ora, grazie al rapporto dei tecnici francesi, che un incidente
che poteva avere effetti devastanti sia avvenuto a poche centinaia di
metri dal porto della Maddalena, vicinissimo al centro della città, in
un tratto di mare che anche d'inverno è intensamente trafficato. Alla
Maddalena, intanto, la tensione cresce. Pochi giorni fa il consiglio
comunale all'unanimità ha respinto come inaccettabile il piano di
evacuazione dell'arcipelago in caso d'incidente nucleare presentato
dalla prefettura di Sassari. Il piano è largamente al di sotto della
gravità della situazione, che continua ad essere sottovalutata. Per
fare un solo esempio, il monitoraggio di eventuali fughe radioattive è
affidato all'Asl di Olbia, che si serve di strumenti vecchi e del tutto
inadeguati.
1. Comunicato stampa: dopo La Maddalena via tutte le basi straniere
(Comitato nazionale per il ritiro dei militari italiani dall’Iraq)
2. REPORT DELL’INCONTRO NAZIONALE “SMOBILITIAMO LE BASI MILITARI E GLI
ARSENALI NUCLEARI”
(Comitato nazionale per il ritiro dei militari italiani dall’Iraq)
3. UNA BUONA GIORNATA PER LA SARDEGNA E PER IL MOVIMENTO CONTRO LA
PRESENZA DI BASI MILITARI USA E NATO IN ITALIA (Bruno Steri)
4. Ma in Italia rimangono 10 porti nucleari / Un ritiro all'ombra delle
urne / Il disastro nucleare nel 2003 alla Maddalena fu vicino alla costa
da Il Manifesto del 22 e 23/11/2005
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COMUNICATO STAMPA
DOPO LA MADDALENA VIA TUTTE LE BASI STRANIERE
Le recenti dichiarazioni del ministro Martino sull’intenzione, da parte
dell’amministrazione statunitense, di rinunciare all’approdo per i
sommergibili nucleari della Maddalena e all’ampliamento di quella base,
rappresenta un segnale positivo, frutto essenzialmente della
mobilitazione delle popolazioni sarde che da sempre si oppongono alla
militarizzazione del proprio territorio.
Per ora l’annuncio del ministro italiano della Difesa rappresenta
soltanto un primo passo, seppur importante, ma occorre vigilare e
continuare a mobilitarsi in tutte le forme possibili affinché gli
apparati militari statunitensi e della Nato avvertano costantemente la
richiesta di smilitarizzazione dei territori che proviene da alcune
forze politiche e sindacali del nostro paese, ma in particolare dai
comitati e dalle comunità locali che da anni si sono organizzate per
chiedere la chiusura delle innumerevoli basi militari imposte al nostro
paese da una relazione di sudditanza nei confronti di Washington e che
trasformano la penisola in una enorme portaerei al servizio della
strategia di guerra statunitense.
Occorre continuare a mobilitarsi affinché la dichiarazione di Martino
abbia un seguito concreto e affinché allaauspicabile chiusura della
base della Maddalena segua anche lo smantellamento dei poligoni
militari italiani in Sardegna e delle basi USA e NATO in territorio
italiano.
Comitato nazionale per il ritiro dei militari italiani dall’Iraq
viadaliraqora @ libero.it
348 - 7213312
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REPORT DELL’INCONTRO NAZIONALE “SMOBILITIAMO LE BASI MILITARI E GLI
ARSENALI NUCLEARI”
Giovedì 17 novembre, presso la Sala delle Colonne della Camera dei
deputati, si è tenuto un importante e riuscito incontro nazionale teso
a rilanciare la mobilitazione democratica e popolare contro le basi
militari straniere e le armi nucleari in Italia. Partendo dal convegno
di Pisa del dicembre scorso (“Mediterraneo para bellum”), si è avviata
in Italia unainteressante fase di confronto e iniziativa che ha
l’obiettivo di portare la questione della smobilitazione delle basi
militari dentro l’agenda politica e di trasferirla dal piano della
denuncia a quella della vertenza concreta.
Due Progetti di Legge come strumento di iniziativa
Per l’occasione sono stati presentati due progetti di legge a firma del
deputato dei Verdi Mauro Bulgarelli. Il primo (PdL n. 5971) riguarda
l’indizione di un referendum consultivo sullo smantellamento degli
armamenti nucleari presenti sul territorio nazionale, teso a dare ai
cittadini la possibilità di esprimersi sull’opportunità di mantenere
negli insediamenti militari italiani e stranieri, nonché nei poligoni
di tiro, a costi elevatissimi per l’intera collettività, dispositivi
nucleari che comportano, per tipologia e caratteristiche intrinseche,
un elevato rischio per la popolazione, sia sotto il profilo ambientale
che sotto il profilo sanitario. Il secondo (PdL n.6100), propone la
desecretazione automatica di tutti i documenti coperti da segreto di
stato la cui stipula risalga ad oltre 25 anni fa. Nel nostro paese,
infatti, poco o nulla si è fatto per garantire che i cittadini
potessero avere accesso reale alle informazioni, in particolare a
quelle che riguardano i rapporti e i patti di collaborazione stipulati
negli anni dal Governo italiano con altre nazioni o organismi
sovranazionali e a quelle inerenti le attività dei servizi di
sicurezza. La nostra storia recente dimostra che, proprio riguardo a
questi ultimi due temi, l’apposizione sistematica del segreto di Stato
ha inciso negativamente sia sui rapporti tra l’opinione pubblica e
l’esecutivo – come dimostra la crescente ostilità di quelle popolazioni
costrette a convivere sul proprio territorio con basi militari
straniere insediate grazie a patti bilaterali segreti - sia
sull’accertamento della verità riguardo a una serie di tragici
avvenimenti che sconvolsero la vita del Paese negli anni settanta e
ottanta del secolo scorso, durante il periodo della cosiddetta «
strategia della tensione », e di cui ancora nulla si conosce per quanto
concerne le responsabilità e i ruoli ricoperti da apparati dello Stato
in seno alle trame eversive che segnarono quegli anni.
Una partecipazione ampia a qualificata alla discussione
La discussione dell’incontro del 17 novembre è stata introdotta da
Sergio Cararo a nome del Comitato per il ritiro dei militari italiani
dall’Iraq. Sono poi intervenuti i parlamentari Mauro Bulgarelli
(deputato dei Verdi, firmatario e presentatore dei due Progetti di
Legge), Luigi Malabarba (PRC), Luciano Pettinari (DS). Hanno portato il
loro contributo Giovanni Franzoni (Associazione l’Iraq agli iracheni),
Gavino Sale (IRS, Sardegna), Valter Lorenzi (Comitato per la
riconversione di Camp Darby), Lisa Clark (Beati Costruttori di pace),
Angelo Baracca e Mauro Cristalli (Scienziate/i contro la guerra),
Massimo Paolicelli (LOC), Alessandro Bombassei (CPA, Firenze), Bruno
Steri (L’Ernesto), Alfonso Navarra (pacifista storico), Fulvio
Grimaldi, Vincenzo Miliucci (Cobas), Orsola Mazzola (Comitato gettiamo
le basi di Bologna). Messaggi sono giunti dal consiglio comunale di
Colle Solvetti (Livorno) che ha approvato un ordine del giorno per lo
smantellamento della base di Camp Darby, da Raniero La Valle (autore
nel 1984 di una proposta di legge analoga a quella presentata
quest’anno), dai consiglieri del PRC della Sardegna, dal Comitato
contro l’allargamento della base diEderle (Vicenza), dallo Slai Cobas
di Taranto.
Proposte di lavoro per i prossimi mesi
1) Il Comitato nazionale per il ritiro dei militari dall’Iraq da tempo
è impegnato affinché lo smantellamento delle basi militari e delle armi
nucleari diventi un punto centrale nell’iniziativa del movimento contro
la guerra. Con questoobiettivo invita tutti i comitati locali e le
realtà del movimento contro la guerra a gestire questi due progetti di
legge sia a livello nazionale che nei territori con assemblee popolari,
inclusive ed aperte in cui la presentazione dei progetti di legge possa
essere una occasione di confronto e di proposte operative.
2) Interessante in tal senso è il questionario approntato dal Comitato
di Camp Darby con cui indagare il rapporto tra le comunità locali e la
presenza delle basi militari. Il questionario è disponibile per chi
fosse interessato a utilizzarlo nella propria situazione (adeguandolo
ovviamente alla propria realtà specifica).
3) Invita inoltra a fare della giornata del 3 febbraio (anniversario
della strage del Cermis) una data simbolica per iniziative in tutte le
città contro la presenza delle basi militari USA/NATO con presidi, sit
in, mostre sotto le sedi delle Regioni, avviando così una fase di
pressing stretto teso a farle pronunciare contro l’allargamento e/o la
presenza delle basi militari e delle armi nucleari.
Nei prossimi giorni invieremo una bozza di programma per dettagliare la
giornata del 3 febbraio.
In calendario anche la proposta diiniziative contro le armi nucleari
per l’8 luglio, data del pronunciamento della Corte Internazionale
secondo cui le armi nucleari sono illegali.
Comitato nazionale per il ritiro dei militari italiani dall’Iraq
viadaliraqora @ libero.it
348 - 7213312
=== 3 ===
UNA BUONA GIORNATA PER LA SARDEGNA E PER IL MOVIMENTO CONTRO LA
PRESENZA DI BASI MILITARI USA E NATO IN ITALIA
La lotta comincia a pagare. Beninteso: nessuna facile illusione, poiché
sappiamo che la strada è ancora lunga e per nulla agevole. Ma
l’annuncio di ieri del ministro della Difesa Antonio Martino circa il
ritiro dei sommergibili nucleari Usa da La Maddalena è in ogni caso da
considerarsi una vittoria del movimento sardo contro le basi e i
poligoni militari e, in generale, del movimento contro la guerra nel
nostro paese.
E’ veroinfatti che, benché preannunciato, non è stato ancora
esplicitato un calendario preciso in attuazione della suddetta
decisione; che, ritirati dalle nostre acque territoriali, i
sommergibili nucleari restano tuttavia quali strumenti essenziali nella
ridislocazione delle forze Usa in Europa; che la base della Maddalena
permane comunque attiva nel cuore di un parco naturalistico nazionale;
e, infine, che resta il peso intollerabile delle servitù militari, che
fanno della Sardegna la regione più militarizzata d’Italia.
Tuttavia, non può sfuggire - accanto all’effetto pratico di liberare le
coste sarde da veicoli di morte, pericoli potenziali per la popolazione
residente e l’ambiente - il significato politico, altamente
emblematico, di tale decisione. Le operazioni militari hanno bisogno di
complicità e silenzio dei mezzi diinformazione: precisamente il
contrario di quel che molti cittadini sardi sono ormai disposti a
concedere. Le lotte, nonché la pubblicità e l’informazione dettagliata
che si riesce a raccogliere attorno ad esse, sono un ingombro che può
risultare insopportabile. E quando le istituzioni locali mostrano -
come in questo caso - la necessaria determinazione, offrendo
un’adeguata sponda politica, ancor più sabbia può entrare a minare
l’ingranaggio bellico. Il ministro ha tra l’altro negato che fossero
operativi piani per un consistente ampliamento della stessa base de La
Maddalena. In realtà il progetto c’era (comprovato da relativa
documentazione riservata): e ora è tutt’altro che trascurabile il fatto
che vi sia una retromarcia formalmente impegnativa.
Occhi aperti, dunque; non è che l’inizio. Questo passaggio serve a dare
forza per perseguire con crescente determinazione l’obiettivo della
chiusura totale della base. Nonché per estendere tale richiesta,
innanzitutto, ai poligoni di Quirra e Capo Teulada, restituendo i
relativi territori (oggi devastati dalle attività militari) a chi vi
abita e reimpiantandovi lavoro, salute e tutela dell’ambiente. Siamo
assolutamente soddisfatti di apprendere che “la Sardegna è territorio
ostile” (ovviamente, per i signori della guerra). Siamo fiduciosi che
si dimostrino “ostili” tutti i territori in cui ad oggi permangono (e
si allargano) basi militari Usa e Nato. Un caloroso saluto alle
compagne e ai compagni sardi
Bruno Steri
(Area Prc – Essere Comunisti)
Roma, 23 novembre 2005
=== 4 ===
Il Manifesto, 23/11/2005
Ma in Italia rimangono 10 porti nucleari
Quello della Maddalena non sarà il primo porto nucleare a chiudere i
battenti. Da quando il manifesto, nel febbraio 2000, portò alla luce
l'esistenza di ben 12 porti nucleari in Italia, rigorosamente tenuti
segreti, in ognuna delle città coinvolte si avviarono mobilitazioni per
la chiusura. La prima, e fino a ieri l'unica, a ottenerla, era stata
quella di Genova, in virtù dell'impegno diretto del comune e del fatto
che si tratta di una città d'arte. Ma questa volta non si tratta solo
del ritiro di una concessione all'approdo per imbarcazioni a
propulsione atomica. Alla Maddalena c'è una nave-appoggio Usa con un
migliaio di marines a bordo, e lì vengono effettuate anche riparazioni.
MADDALENA
Un ritiro all'ombra delle urne
MANLIO DINUCCI
Dopo aver annunciato, all'unisono con il presidente del consiglio
Berlusconi, che le truppe italiane si ritireranno dall'Iraq alla fine
del 2006 «secondo tempi e modi che saranno delineati entro il prossimo
gennaio», il ministro della difesa Martino ha fatto un altro
sensazionale annuncio: i sottomarini Usa di Santo Stefano, La
Maddalena, saranno trasferiti fuori dal territorio nazionale della
base. L'operazione, che «si inserisce nel quadro di ridislocazione
delle forze Usa in Europa», sarà compiuta «secondo tempi e modi che
dovranno essere definiti più avanti», come stabilito con il collega Usa
Rumsfeld. La notizia è stata definita dal presidente Soru «fantastica».
Soru ha indubbiamente tutte le ragioni per gioire: comunque sia,
l'annuncio del governo Berlusconi che i sottomarini Usa saranno
trasferiti «fuori dal territorio nazionale della base» è certamente
frutto del crescente movimento popolare le cui richieste sono state
fatte proprie dal consiglio regionale sardo. A far crescere la
preoccupazione e quindi l'opposizione popolare alla presenza della base
sono stati in particolare gli incidenti dei sottomarini a propulsione
nucleare, dei quali la popolazione e anche le autorità sono state
tenute all'oscuro. Tra questi, l'incidente del sottomarino Hatford
incagliatosi nelle acque dell'arcipelago maddalenino nell'ottobre 2003,
rivelatosi molto più grave (v. il manifesto di ieri [VEDI SOTTO]) di
quanto dichiarò allora il contrammiraglio Stanley, che parlò di
«incidente di piccola entità». Detto questo, occorre però recepire
l'annuncio del ritiro dei sottomarini Usa, così come quello del ritiro
delle truppe italiane dall'Iraq, con estrema prudenza.
Anzitutto, stando ai comunicati delle agenzie, non si parla di chiusura
della base della Maddalena ma di trasferimento dei sottomarini «fuori
dal territorio nazionale della base». In secondo luogo non si prende
alcun impegno sui tempi del presunto trasferimento, che dovrebbe essere
attuato «secondo tempi e modi che dovranno essere definiti più avanti».
Può apparire invece credibile che, «nel quadro di ridislocazione delle
forze», il Pentagono stia studiando una diversa dislocazione dei
sottomarini. Sarebbe invece pericolosamente illusorio pensare che il
Pentagono intenda diminuire la presenza di forze militari Usa in Italia
e nel Mediterraneo. Basti ricordare che la marina Usa ha il suo centro
principale a Napoli, dove è stato trasferito il quartier generale delle
Forze navali Usa in Europa che prima era a Londra, e che, oltre a La
Maddalena, dispone della base aeronavale di Sigonella e si sta
preparando a utilizzare più efficamente il porto di Taranto. In tal
modo il Pentagono sta trasformando sempre più l'Italia in trampolino di
lancio della «proiezione di potenza» statunitense verso sud e verso
est. Il fatto che il «ritiro» dei sottomarini Usa sia stato annunciato
contemporaneamente a quello delle truppe italiane dall'Iraq non è
casuale. Il governo di centrodestra vende in realtà la pelle dell'orso,
ben sapendo che a decidere non è Roma ma Washington e che a promettere
qualcosa da attuare dopo le elezioni non rischia nulla. Intanto, però,
con tali promesse spiazza il centrosinistra, il cui impegno sul ritiro
delle truppe dall'Iraq è estremamente titubante e quello sulle basi Usa
in Italia assolutamente assente. La sinistra si èinfatti da tempo
ritirata dalla lotta contro le basi Usa in Italia: questo è il vero
ritiro, che continua a pesare sul quadro politico italiano.
http://italy.indymedia.org/news/2005/11/929436.php
Il disastro nucleare alla Maddalena fu vicino alla costa. Notizia non
ripresa da nessuno
[da Il Manifesto del 22/11/2005]
Disastro nucleare vicino alla costa
Un istituto statale di studi francese rivela: il sottomarino Usa
Hartford il 25 ottobre 2003 si incagliò su uno scoglio tra La Maddalena
e Caprera, a pochi metri dal centro abitato e non in mare aperto come
avevano sostenuto gli americani. E i danni furono ingenti, mentre i
comandi minimizzarono
COSTANTINO COSSU
OLBIA
Il 25 ottobre del 2003 l'Uss 768 Hartford, un sommergibile ad armamento
atomico della Us Navy, lascia la base appoggio della Maddalena per
raggiungere il mare aperto, ma dopo poche miglia s'incaglia. Lo scafo è
gravemente danneggiato. Viene sfiorato il disastro nucleare. Tutto,
però, resta segreto sino al 18 novembre, quando, in una nota ufficiale,
i comandi americani annunciano: «Alle 12,40 del 25 ottobre il
sottomarino Uss Hartford della Marina degli Stati Uniti ha lievemente
toccato il fondale mentre navigava a est dell'isola di Caprera. Nessun
pericolo. Solo lievi graffi alla vernice dello scafo». Ora si scopre
che i militari Usa mentivano due volte. Mentivano sulla posizione del
sommergibile al momento dell'impatto e mentivano sulla gravità
dell'incidente. Il quotidiano La Nuova Sardegna ha pubblicato ieri un
rapporto dell'Irsn (Institut de radioprotection et de sureté
nucléaire), ente francese di controllo che risponde ai ministeri della
difesa, della sanità e dell'ambiente, che svela come l'incidente
dell'Hartford avvenne non ad oriente ma ad occidente di Caprera, e più
esattamente nello stretto braccio di mare che separa l'isola dalla
Maddalena, a poche centinaia di metri dalla città e dalla base di Santo
Stefano. A rischio è dunque stato, direttamente, il centro abitato della
Maddalena e la stessa base americana. Ma non basta. Dando un'occhiata
al sito web della Us Navy si scopre che è la stessa marina statunitense
ad ammettere che l'entità dei danni all'Hartford è stata molto grave.
Nel luglio del 2004, in occasione della cerimonia del cambio di
consegne della Emory Land, la nave appoggio intervenuta a riparare i
danni dell'Hartford il giorno dell'incidente, viene diffuso un
opuscolo, leggibile on line, che racconta alcuni episodi in cui i
membri dell'equipaggio si sono segnalati per la loro professionalità.
Si legge tra l'altro nel documento: «Nell'ottobre del 2003 l'equipaggio
della Emory Land ha eseguito lavori d'emergenza sull'Uss 768 Hartford
che si era incagliato. I sommozzatori, al lavoro ventiquattrore su
ventiquattro in condizioni di mare pessime e in tempi ristretti, hanno
effettuato lavori di riparazione che hanno richiesto saldature e tagli
per portare l'Hartford a condizioni di sicurezza tali da consentire il
ritorno del sottomarino negli Stati Uniti. L'equipaggio ha dimostrato
una qualità di primo livello e ha realizzato una delle imprese più
grandi di lavori subacquei mai eseguiti da una nave appoggio».
Altro che qualche graffio alla vernice del sottomarino, come ha tentato
di far credere il comando della Sesta Flotta. D'altra parte, la
versione che puntava a minimizzare la portata dell'incidente era già
stata smentita il 22 dicembre del 2003 da un piccolo quotidiano di
provincia americano, il The Day, che si stampa a New London, nel
Connecticut. Robert Hamilton, un cronista del giornale, andò a vedere
l'Hartford quando il sommergibile arrivò nei cantieri di Norfolk, in
Virginia, per essere riparato, e scoprì che metà del timone era stata
strappata via e che lo scafo era stato squarciato, tanto che venne
presa in considerazione l'ipotesi di rottamare il sottomarino. L'anno
scorso, poi, il 16 febbraio, il portavoce della Us Navy Robert Mehal,
dichiarò ai giornalisti: «I nostri tecnici hanno stimato che per
riparare l'Hartford occorreranno 9,4 milioni di dollari. I costi sono
stati sensibilmente ridotti perché non sarà costruito un timone nuovo;
sarà infatti utilizzato il timone del sommergibile, della stessa classe
Uss, Baltimore, dismesso nel 1998».
Insomma, che il 25 ottobre del 2003 alla Maddalena sia stato sfiorato
il disastro nucleare ormai non ci sono più dubbi. Ed è agghiacciante
scoprire ora, grazie al rapporto dei tecnici francesi, che un incidente
che poteva avere effetti devastanti sia avvenuto a poche centinaia di
metri dal porto della Maddalena, vicinissimo al centro della città, in
un tratto di mare che anche d'inverno è intensamente trafficato. Alla
Maddalena, intanto, la tensione cresce. Pochi giorni fa il consiglio
comunale all'unanimità ha respinto come inaccettabile il piano di
evacuazione dell'arcipelago in caso d'incidente nucleare presentato
dalla prefettura di Sassari. Il piano è largamente al di sotto della
gravità della situazione, che continua ad essere sottovalutata. Per
fare un solo esempio, il monitoraggio di eventuali fughe radioattive è
affidato all'Asl di Olbia, che si serve di strumenti vecchi e del tutto
inadeguati.