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il manifesto, 28 Dicembre 2005

BALCANI

Da Eltsin al Kosovo, la marcia di Pacolli

GIULIETTO CHIESA

Sorpresa! Mentre tra Belgrado, Pristina, Bruxelles, Tirana, Washington
e Mosca è in corso il preparativo-scontro finale pro o contro
l'indipendenza del Kosovo, ecco apparire sulla scena politica del
Kosovo il signor Behgjet Pacolli, il proprietario della Mabetex, colui
che - stando alla magistratura di Lugano - aiutò Boris Eltsin non solo
a dotarsi di una sontuosa carta di credito appoggiata a una banca
svizzera, ma - secondo la magistratura di Trento - fu il riciclatore di
alcune decine di milioni di dollari per conto della «Famiglia» di Boris
Eltsin , più specificamente della figlia di Pavel Borodin, ex capo
dell'Amministrazione del Cremlino, nonché per la compravendita di
alcuni aerei militari venduti da Rosvooruzhenie a un paese
latino-americano attraverso i servizi segreti dello stesso, e che
fruttarono tangenti per altre decine di milioni di dollari. Siamo, come
ben si vede, al centro di un vorticoso movimento di capitali mafiosi
dalla Russia verso banche occidentali e offshore vari, tutti facenti
capo ai vertici politici della Russia eltsiniana, passati tutti, di
riffa o di raffa, attraverso il signor Pacolli, ex marito, tra le altre
cose, della signora Anna Oxa.

Adesso Pacolli entra direttamente in politica, non senza essersi
conquistato appalti perfino nella lontana Astana, capitale nuova di
zecca del Kazakhstan di Nursultan Nazarbaev. Da cui, visti i
precedenti, ci si può aspettare di veder uscire verso ignote
destinazioni altre decine, centinaia, di milioni di dollari, riciclati
per conto dell'altra «Famiglia» presidenziale asiatica.

Behgjet Pacolli è a suo modo un genio, uno che sa cogliere lo spirito
dei tempi, uno che ambisce a far parte del superclan mondiale e
probabilmente ci riuscirà. Ibrahim Rugova è in fin di vita e non è a
lui che potrà essere affidato il futuro del Kosovo, una volta reso
indipendente dalla Serbia. Gli unici leader kosovari disponibili sulla
piazza sono rinomati assassini ed ex terroristi dell'Uck, alcuni
perfino (formalmente) sotto inchiesta da parte del tribunale dell'Aja
come Ramush Haradinaj. Impresentabili dunque perfino di fronte a una
Europa disposta a chiudere entrambi gli occhi e le orecchie.

Qualcuno bisognerà trovare. E il «nostro» Pacolli è già pronto a fare
il grande salto. Per intanto si è offerto di costruire - di tasca
propria, i lavori già fervono - la nuova università americana di
Pristina. Circa venti milioni di dollari. L'università americana di
Pristina nascerà con i proventi dei furti perpetrati ai danni dei
cittadini russi. Gli europei mandano in giro, a fare da mediatore, l'ex
presidente finlandese Martti Ahtisaari; gli americani, oltre alla più
grande base militare europea, si fanno costruire a Pristina, gratis, la
loro università, quella con cui costruiranno i «quadri» della futura
indipendenza kosovara. Osservare la differenza e la divisione dei
compiti.

Non c'è da stupirsi dunque se le azioni di Pacolli sono in veloce
crescita anche a Washington, visto che è là che si decide la sorte del
Kosovo. Con i soldi guadagnati riciclando i denari che Eltsin rubava ai
russi, il dinamico Behgjet ha messo in piedi una grande lobby negli
Usa, denominata «Alleanza per un nuovo Kosovo», che annovera tra i suoi
sponsor l'ex segretario alla Difesa Frank Carlucci, presidente emerito
del Gruppo Carlyle; Samuel Hoskinson, ex vice-capo del National
Intelligence Council; la impresa di pressione politica Jefferson
Waterman International, e alcuni analisti del Centre for International
Strategic Studies (Csis) di Washington, il più rinomato dei quali è
Janusz Bugajski, la cui provenienza est europea è resa evidente dal
nome e cognome.

Le idee dell'«Alleanza per un nuovo Kosovo» sono state messe a punto
alla fine del mese di novembre in una riunione tenutasi nel rinomato
Metropolitan Club di Washington. Ne ha riferito qualche settimana fa il
Financial Times. Si tratta di alcuni concetti semplici e chiari: se
Belgrado cerca di resistere alla prospettiva di abbandonare
definitivamente il Kosovo, bisognerà imporglielo senza perdere altro
tempo. L'Europa recalcitrante dovrà essere opportunamente «spintonata».
E si deve tenere conto anche che nemmeno a Washington tutti sono dello
stesso avviso, per il momento.

L'essenziale, però, è far sapere che l'Amministrazione Bush ha rotto
gl'indugi e si sta muovendo decisamente verso quella prospettiva. Per
questo motivo diverse ambasciate est europee di paesi membri
dell'Unione, e un nutrito gruppo di deputati del parlamento di
Bruxelles, di eguale origine, sono in movimento per promuovere
un'accelerazione della politica europea in quella stessa direzione.
Ahtisaari è premuto e preme a sua volta su Belgrado e sul presidente
Boris Tadic perché accettino «l'inevitabile». Se Tadic resisterà è già
pronta l'accelerazione del referendum che separerà il Montenegro dalla
Serbia.

Nel frattempo si lavora sotto banco per trasformare l'«inevitabile» in
realtà. Come dimostra la fuga ormai irrefrenabile dei serbi rimasti in
Kosovo. Chi rimane rischia la vita. La pulizia etnica alla rovescia -
cioè degli albanesi contro i serbi - non ha sosta, mentre le forze
europee che presidiano il territorio non fanno quali nulla per
fermarla. Secondo i dati della stessa amministrazione Onu del Kosovo,
il numero dei serbi che rimangono asserragliati in Kosovo, in enclaves
sempre più ridotte nelle vicinanze della frontiera serba, è più che
dimezzato rispetto alla situazione della fine del 1999.

Behjiet Pacolli è il cacio sui maccheroni. Sarà bene prepararsi a
vederlo apparire a Pristina in pompa magna, scortato dalle guardie del
corpo del gruppo Carlyle.