(english / italiano)

U238

0. LINKS

1. Balkan syndrome - cause of death of 28 Italian soldiers
2. Uranio impoverito, 28 soldati italiani morti, 158 casi di tumori
tra i militari nei Balcani (CdS)
3. Leggiero (Om): «La Difesa mente: i morti sono 45» (Il Manifesto)
4. Uranio impoverito: conclusi i lavori della commissione. Intervista
a Gigi Malabarba (OB)

5. Sulla tossicità dell'uranio / Understanding uranium toxicity


=== LINKS ===

Relazione finale della Commissione d'inchiesta del Senato sull'uranio
impoverito

http://www.senato.it/documenti/repository/commissioni/uranio/22-bis-n4.PDF

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URANIO: storia di un'Italia IMPOVERITA

22 marzo 2006 presso la sede del Gruppo Abele di Torino si è tenuta la
conferenza stampa sul tema dell'uranio impoverito organizzata da
Legambiente in collaborazione con Gruppo Abele, Libera, Emergency e
Osservatorio Militare.
All'incontro hanno preso parte, tra gli altri, Rita Borsellino,
candidata dell'Unione alla Presidenza della Regione Sicilia, Tana de
Zulueta, senatrice e candidata dei Verdi alla Camera dei Deputati e
Domenico Leggiero, responsabile comparto difesa dell'Osservatorio
Militare.
Cosa sta avvenendo nei teatri di guerra? La recente commissione
d'inchiesta ha finalmente deliberato che le nanopolveri provocate
dagli armamenti bellici sono altamente nocive. I nostri soldati e la
popolazione civile sta subendo, oltre all'orrore della guerra, la
tragedia collaterale, fin dai Balcani e, nei tempi recenti, in
Afghanistan e Iraq. Bimbi malformati, feti abortiti, centinaia di
soldati affetti da patologie neoplastiche, 44 decessi (ufficiali) solo
nel nostro Paese. È il risultato di una delle peggiori pagine di storia.
L'obiettivo della coalizione di centrosinistra è quello di far piena e
definitiva luce sulla questione. Lo ritiene un dovere nei confronti
delle vittime, di chi è malato e dei loro familiari.

Per vedere il filmato :
http://www.arcoiris.tv/modules.php?name=Unique&id=4504

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The Impacts of Radioactive Uranium Contamination on Human DNA
(Globalresearch.ca)

The use of depleted uranium in munitions and weaponry is likely to
come under intense scrutiny now that new research that found that
uranium can bind to human DNA. The finding will likely have
far-reaching implications for returned soldiers, civilians living in
what were once war-zones and people who might live near uranium mines
or processing facilities. Uranium - when manifested as a radioactive
metal - has profound and debilitating effects on human DNA. These
radioactive effects have been well understood for decades, but there
has been considerable debate and little agreement concerning the
possible health risks associated with low-grade uranium ore
(yellowcake) and depleted uranium...

http://www.uruknet.info/?s1=1&p=22427&s2=11


=== 1 ===

http://www.makfax.com.mk/look/agencija/article.tpl?IdLanguage=1&IdPublication=1&NrArticle=19613&NrIssue=429&NrSection=20

MakFax (Macedonia)
April 5, 2006

Balkan syndrome - cause of death of 28 Italian soldiers

Rome - As many as 28 Italian soldiers involved in UN
missions in the Balkans have died of the so-called
Balkan syndrome and other 158 soldiers have been
reportedly ill, Italian newspaper Corriere della Sera
quotes extracts from Defense Ministry's annual report
submitted to parliament.
The report says testicular cancer, nephropathy and
Hodgkin's lymphoma have been identified as cause of
death of the Italian peacekeepers serving in the
Balkans.
The report says the above mentioned diseases are
likely to have been induced by exposure to depleted
uranium.
The trigger of the disease has not been scientifically
confirmed thus far; nonetheless, cancer incidence
among military personnel in the Balkans is said to be
linked with uranium-tipped weapons.
The report further says that Pentagon has already
acknowledged that during NATO-led air strikes on
Yugoslavia, alliance's planes had fired nearly 11,000
missiles containing depleted uranium.
Falco Accame, Chairman of Defense Ministry's Board
investigating cancer cases among Italian peacekeepers,
said nobody could tell for sure that the diseases are
linked to depleted uranium exposure; however, "we
cannot rule out the link between DU weapons and the
death of young people".


=== 2 ===

Corriere della sera, 5 aprile 2006

Il caso
Uranio impoverito, 28 soldati italiani morti

La relazione del ministero della Difesa: 158 casi di tumori tra i
militari nei Balcani

ROMA — In Bosnia e Kosovo sono morti 28 militari italiani. Non hanno
perso la vita in operazioni belliche, sono deceduti perché colpiti da
malattie inguaribili durante la loro missione nei territori della ex
Jugoslavia. Il dato impressionante è contenuto nella relazione annuale
che il ministero della Difesa trasmette al Parlamento. È un documento
col quale si fornisce un dettagliato resoconto sulla situazione del
personale delle forze armate. Uno «statino» che per la prima volta
venne istituito da Giovanni Spadolini, quand'era ministro della
Difesa. Lo «statino» attuale fa il punto al 31 dicembre scorso. A
quella data risultano accertati 158 casi di neoplasie maligne (alla
fine del 2004 erano 99) che hanno provocato, appunto, 28 decessi. In
base alle verifiche mediche le affezioni più diffuse riguardano il
tumore alla tiroide (24 casi), il tumore al testicolo (21 casi) e il
linfoma di Hodgkin, con 20 colpiti.

*LA MALATTIA* — L'hanno definita «Sindrome dei Balcani» e si è sempre
sospettato che la causa delle malattie mortali potesse essere
collegata al famigerato depleted uranium, l'uranio impoverito. In
realtà non è stato mai possibile attribuire con certezza scientifica
una completa responsabilità a questo metallo che era contenuto nei
proiettili sparati dai caccia durante la guerra del Kosovo. Ne furono
lanciati, come ha ammesso il Pentagono, ben 11 mila. Venivano
scagliati contro i mezzi blindati per perforarli, grazie alla enorme
forza d'impatto dell'uranio impoverito.
La commissione presieduta dal professor Mandelli arrivò alla
conclusione che il numero dei decessi era nella media nazionale.
Tuttavia la lista delle malattie mortali e dei militari deceduti negli
ultimi 5 o 6 anni si è allungata in misura allarmante. «Effettivamente
— dice Falco Accame, che fu presidente della commissione Difesa — far
risalire con certezza la morte all'uranio impoverito è impossibile. Ma
nemmeno abbiamo la certezza contraria, che cioè l'uranio impoverito
sia innocente, estraneo alla tragica fine di tanti giovani».

*LE RICERCHE *— La «Sindrome dei Balcani», secondo gli esperti,
potrebbe essere determinata da un insieme di cause, che vanno
dall'ambiente in cui i militari operano, allo stress che le missioni
all'estero comportano. Il Pentagono ha riconosciuto negli ultimi tempi
che lo stress psicofisico dei militari può dare origine a patologie
gravi, l'hanno chiamato battle fatigue, stress da battaglia.

Sia colpa dello stress o dell'uranio impoverito, le ricerche, ritiene
Falco Accame, non dovrebbero limitarsi ai militari impiegati in Bosnia
e Kosovo, ma andrebbero estese anche a quelli che operano in Albania e
soprattutto dovrebbero partire dalla prima guerra del Golfo, che
risale al 1991. «Si sono verificati casi mortali sia tra i militari
mandati a quell'epoca nel Kuwait sia fra quelli spediti in Somalia nel
1993. In entrambe le missioni potrebbero essere avvenuti contatti con
l'uranio impoverito».
Il ministero della Difesa creò una commissione d'inchiesta nel 2000 in
seguito a preoccupanti segnalazioni di decessi fra gli uomini inviati
all'estero. Da allora chi torna da una missione viene sottoposto ad
accurate verifiche mediche. Finora gli accertamenti sono avvenuti su
65.701 militari che si sono alternati in Bosnia e Kosovo.

Marco Nese


=== 3 ===

il manifesto
06 Aprile 2006

«Dati falsi sull'uranio»

Leggiero (Om): «La Difesa mente: i morti sono 45»
STEFANO MILANI

«I morti da uranio impoverito non sono 28 come afferma la relazione
del ministero della Difesa, ma 45. I malati 306 e non 158, e tra
questi ci sono anche tre donne». A parlare è Domenico Leggiero,
responsabile del comparto Difesa dell'Osservatorio Militare che,
all'indomani del resoconto parlamentare sullo stato di salute dei
militari italiani impiegati nei territori dell'ex Jugoslavia, non
riesce a trattenere l'indignazione per i dati diffusi l'altro ieri dal
dicastero di via XX settembre. La discrepanza tra il documento
«ufficiale» e le cifre in suo possesso è considerevole, quasi il
doppio. «L'errore di fondo del ministero della Difesa - denuncia
Leggiero - è quello di basarsi su una stima parziale dei decessi,
escludendone una parte, come i carabinieri e gli uomini della Croce
rossa, che hanno anch'essi partecipato alle missioni in Bosnia e
Kosovo». Secondo gli studi effettuati dall'Osservatorio Militare, il
problema non sarebbe però circoscritto solo ai Balcani. Tra i malati,
infatti, figurerebbero «una quindicina di militari in azione in Iraq e
in Afghanistan, ma che in precedenza non erano stati impiegati in
missione nei Balcani».
A confutare i dati della commissione d'inchiesta, costituita il 22
dicembre 2000 dall'allora ministro Mattarella e presieduta dal
professor Mandelli per accertare decessi sospetti di militari in
missione nei Balcani, è anche Falco Accame, presidente dell'Anavafaf,
associazione italiana assistenza vittime arruolate nelle forze armate.
Secondo l'ex presidente della commissione Difesa, da sempre in prima
linea nel denunciare i rischi per la salute legati all'esposizione di
proiettili all'uranio impoverito, il dato «è certamente molto
sottostimato e comunque i casi di infortunio grave o morte riguardano
non solo la Bosnia e il Kosovo ma, nei Balcani, anche Albania e
Macedonia dove hanno operato i nostri reparti».
Non solo, il numero crescerebbe se solo venissero presi in
considerazione tutti i casi che riguardano la Guerra del Golfo nel
1991, l'operazione Restore Hope in Somalia nel 1993 e ancora casi nei
poligoni interforze italiani. «Non è da sottovalutare - prosegue
Accame - che il numero di casi conosciuti è condizionato dal fatto che
molti colpiti da malattia per motivi di privacy non rendono nota la
loro situazione e molti militari, specie quelli a ferma breve, non la
rendano nota per paura di perdere il loro posto di lavoro e quindi lo
stipendio». Sul perché la Difesa abbia diffuso dati parziali e non
corrispondenti alla realtà, Leggiero non ha dubbi: «Semplice, siamo a
quattro giorni dalle elezioni e il governo era in forte ritardo sui
tempi di lavoro della commissione. Pur di fare uscire dati, lo ha
fatto senza verificarli. Questo è un atteggiamento a dir poco
inaccettabile, oltre ad essere offensivo verso gli ammalati e le
famiglie delle vittime».


=== 4 ===

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/5397/1/67/

Uranio impoverito: conclusi i lavori della commissione

16.03.2006 [Nicole Corritore] Lo scorso primo marzo la Commissione
d'inchiesta del Senato sull'uranio impoverito, ha chiuso i lavori con
l'approvazione della relazione finale. Un'intervista di Osservatorio
sui Balcani al senatore Luigi Malabarba, del Partito della
Rifondazione Comunista, membro della commissione

La Commissione d'inchiesta del Senato, che ha votato la relazione
finale dei lavori lo scorso primo marzo, era stata chiamata ad
indagare sui casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il
personale italiano impegnato nelle missioni internazionali di pace e
sulle loro cause, ma anche sulle condizioni della conservazione e
sull'eventuale utilizzo di uranio impverito nelle esercitazioni
militari sul territorio italiano. Dopo nemmeno dieci mesi di indagine,
costellati di difficoltà, si è arrivati alle tanto attese conclusioni.
Mentre il Presidente della Commissione Paolo Franco ha dichiarato che
"non sono emersi elementi per affermare una responsabilità diretta
dell'uranio impoverito" pur ammettendo il ritrovamento di
"nanoparticelle che potrebbero essere state prodotte dall'esplosione
dei proiettili", tutti i componenti di opposizione della stessa si
sono dichiarati non soddisfatti. Tra essi il senatore Luigi Malabarba
che a seguito della prima seduta di voto, interrotta a causa di forti
divergenze tra i membri della Commissione, aveva diramato un
comunicato dai toni accesi. Proprio Malabarba spiega a Osservatorio
sui Balcani i motivi di questa insoddisfazione e quali possibili
sviluppi si auspicano in futuro.


Senatore, Lei si è dichiarato insoddisfatto delle conclusioni della
Commissione d'inchiesta di cui ha fatto parte e che è arrivata alla
sua istituzione dopo notevoli difficoltà. Perché?

La valutazione dell'attività della commissione deve essere rapportata
agli obiettivi che erano stati indicati nel disegno di legge di
istituzione della commissione stessa. Questi erano di per sé
autolimitanti, tanto da rendere complicato il tentativo di affrontare
in maniera esaustiva la questione delle malattie dei militari e delle
conseguenze dei bombardamenti sulle popolazioni civili locali. Voglio
ricordare che l'istituzione della stessa era stata proposta alla fine
della scorsa legislatura, ma allora non si era arrivati alla
definizione neppure dei termini che avrebbero dovuto comportare quel
tipo di lavoro.
Una volta formata la commissione, c'è stato poi un sabotaggio
chiarissimo da parte del ministero della Difesa, ma anche da parte di
alcune lobby delle gerarchie militari dentro i vari partiti,
soprattutto della maggioranza. Esiste tutta la documentazione relativa
ai passaggi che denotano il blocco dell'attività attraverso il nucleo
sopratutto di Forza Italia, da un lato il ministro Martino, dall'altra
il Presidente del Senato. Essi hanno fatto un lavoro concertato per
impedire alla commissione di lavorare, seppure nel luglio di due anni
fa si fosse arrivati ad una posizione unanime per istituire una
commissione.

In effetti anche dai resoconti delle sedute della Commissione emerge
che è stato difficile reperire i dati di cui parla...

I limiti statistici sono stati tali, non penso casualmente, da
impedire alla commissione qualsiasi definizione approfondita di vario
tipo. Per cominciare dalle relazioni Mandelli. Laddove invece esistono
dei dati, vi è stato un boicottaggio diretto del ministero della
Difesa che non ha permesso ai distretti militari di fornirceli, dati
dei quali avevamo bisogno per poter avanzare sulla strada
dell'approfondimento.
Sottolineo che una commissione d'inchiesta ha potere inquirente. Se la
commissione fosse stata più coesa avrebbe dovuto, giustamente,
prendere un'iniziativa di carattere penale, indicare dunque sanzioni
nei confronti di chi non rispondeva alle richieste. Ma non c'erano le
condizioni per pretenderlo, ed è anche per questo che la relazione
finale è stata votata dalla maggioranza mentre noi ci siamo ovviamente
astenuti.
Una proposta da parte nostra di rafforzamento del documento finale
avrebbe comportato la vanificazione di qualsiasi conclusione. La
tattica parlamentare della maggioranza sarebbe stata quella di far
mancare il numero legale necessario al voto del testo conclusivo, non
obbligatorio invece durante le sedute di lavoro dove su 21 membri le
presenze non hanno mai superato le 3-4 persone e tutte
dell'opposizione. Dunque se in sede di voto avesse votato solo
l'opposizione, la relazione non sarebbe arrivata neppure agli atti del
Senato.

Nonostante tutto, avete pensato fosse utile istituire la Commissione e
avviare i lavori. Si sono comunque raggiunti dei risultati?

Infatti. Tutto lasciava intendere che non sarebbe stato facile il
lavoro che ci era richiesto e non era chiaro se valeva la pena
istituire la commissione con le autolimitazioni di cui ho già paralto.
Abbiamo optato per farlo, perché abbiamo valutato che la produzione di
documentazione sarebbe stata comunque utile a fronte, nel giro di un
anno, della possibilità di avere una nuova maggioranza.
Da questo punto di vista credo si possa fare un bilancio abbastanza
positivo, sia rispetto alle consulenze sebbene non siano state tutte
quelle che avremmo voluto, sia rispetto al materiale prodotto. Il
lavoro fatto ha rappresentato un'occasione importante per un'inchiesta
futura, da realizzarsi in seno ad una nuova commissione ad inizio
legislatura.
Ci sono degli aspetti contenuti nella relazione finale che riguardano
prettamente i militari e che sono importanti. Nella relazione infatti
è scritto un tracciato chiaro, per cui le conseguenze delle
esplosioni, non solo all'uranio impoverito, si manifestano con una
scansione abbastanza lineare. C'è un'esplosione ad alta temperatura,
poi una dispersione nell'aria del particolato (polveri sottili) che
inalato o ingerito passa nei tessuti. E la provocazione dei tumori ne
è la conseguenza.
Naturalmente la prova che anche queste nanoparticelle trovate nei
tessuti dei malati costituiscono elemento di creazione di patologie lo
dobbiamo ancora dimostrare, nel senso che non abbiamo avuto la
possibilità di produrre una serie di ricerche, ma rappresenta uno
studio sostanzialmente in corso che porterà a tali conclusioni.

In che senso questo tracciato diventa già importante per i militari? E
le ricerche di cui parla, una delle quali è allegata alla relazione
finale in forma di proposta, rappresentano indicazioni per una
prossima commissione oppure si realizzeranno prima di allora?

Mi riferisco all'accenno contenuto nella relazione rispetto al fatto
che l'uranio impoverito ha effetti indiretti sulla patologia, e che
dal punto di vista giuridico potrebbero diventare addirittura diretti.
Nelle parti che possono servire al contingente militare, la relazione
contiene una serie di indicazioni sufficienti per rafforzare le
iniziative legali in corso e a quelle che si stanno aprendo legate ai
malati e ai familiari dei militari deceduti. Cioè, in essa sono
indicate nero su bianco delle indicazioni per rivendicare risarcimenti
e garantire protezione e tutela a chi la richiede. Sia gli avvocati
che stanno seguendo il personale militare, sia i magistrati, in
particolare il magistrato Raffaele Guariniello (procuratore aggiunto
di Torino) stanno lavorando su questo terreno.
Abbiamo fin qui parlato di due piani di lavoro, quello
istituzionale/parlamentare e quello di coloro che hanno lavorato in
qualità di consulenti della commissione. Anche se non va mai
dimenticato il terzo livello, che personalmente ritengo fondamentale,
cioè quello della mobilitazione delle associazioni, delle persone,
delle popolazioni che abitano intorno alle basi in Sardegna, ma anche
i contatti diretti che ci sono con i teatri di guerra, importantissimi
per mantenere l'attenzione sull'argomento.
Ma torniamo ai consulenti. Essi rimangono in contatto con alcuni di
noi parlamentari e sebbene non ci sia più la commissione si continua a
fare ricerca direttamente, in qualità di singoli cittadini e
rappresentanti di istituzioni diverse da una commissione. Quindi anche
nei mesi che ci separano da una nuova commissione, potrà esserci una
continuità di attività che permetterà alla futura commissione di
riprendere sperimentazioni già in corso.
Rispetto alla nuova commissione sarà importante definire bene gli
obbiettivi, quindi non solo l'inserimento della popolazione civile
come ambito di ricerca, ma anche aprire lo scenario dei teatri di
guerra successivi ai Balcani. Ad esempio, sappiamo che ci sono già dei
malati che tornano dall'Iraq. Ma anche la questione dei poligoni di
tiro in Italia, le modalità di stoccaggio dell'uranio impoverito,
facendo indagini più pregnanti e a tutto campo.

Ha nominato la questione dei civili. A fine novembre 2005, in
prossimità della pubblicazione della relazione finale della
Commissione d'inchiesta bosniaca sul caso DU, siete stati in missione
nei Balcani. Avete incontrato la Presidente della Commissione - Jelena
Durkovic, oltre ai contingenti militari italiani di stanza in Bosnia
Erzegovina e Kosovo. Quali sono stati i risultati dell'incontro?

L'incontro da parte nostra era doveroso perché non era possibile fare
un'inchiesta sulle conseguenze dell'uso dell'uranio impoverito senza
avere nemmeno un contatto formale con la realtà dei Balcani, sia con
il contingente militare in Bosnia e in Kosovo, sia con i parlamentari
della commissione di Bosnia Erzegovina.
La missione è durata un giorno e mezzo e dunque si è trattato di un
primo contatto, che aveva l'obiettivo di sottolineare che questa è una
realtà fondamentale, centrale per continuare l'inchiesta. La
conoscenza e lo scambio con coloro che hanno lavorato come noi a
livello istituzionale, ma anche con i medici, gli ospedali, tuttele
realtà della comunità locale, avrebbe richiesto un maggior livello di
apprfondimento.
Nel caso si aprirà con una nuova commissione il campo di ricerca sulle
popolazioni, noi saremo in grado di interloquire con coloro che
possiamo dire di avere già incontrato. L'incontro di novembre
rappresenta dunque una traccia di lavoro che potrà dare i suoi frutti
solo in una seconda fase. Inoltre, considerando la difficoltà di
reperire statistiche prima, durante, e dopo i bombardamenti sia a
causa di massicci esodi della popolazione sia della distruzione degli
archivi, mi auguro che l'Italia possa in futuro dare delle risorse
affinché i paesi dei Balcani producano quelle importanti evidenze
statistiche che oggi hanno difficoltà a raccogliere.

Vai alla Relazione finale
http://www.senato.it/documenti/repository/commissioni/uranio/22-bis-n4.PDF


=== 5 ===

Roma, 10 aprile 2006.

Una ricerca della Arizona Northern University (USA) ha dimostrato
che l'uranio (riferimento: http://www.onlinepressroom.net/nau/) è in
grado di provocare tumori in quanto metallo pesante, oltre che, come
già largamente dimostrato, per essere un elemento radioattivo.

La ricerca, finanziata dall'Arizona Cancer Center, sede locale del
National Cancer Institute, è stata pubblicata sull'ultimo numero
della rivista "Mutagenesis and Molecular Carcinogenesis".

E' risultato che l'uranio, anche quello "impoverito", in quanto da
esso è stata eliminata buona parte dell'isotopo U 235, è capace di
danneggiare il DNA, indipendentemente dalla radioattività, in quanto
metallo pesante.

Quando le cellule vengono esposte a microparticelle di uranio,
queste possono penetrarvi fino a raggiungere il nucleo, dove sono in
grado di legarsi al DNA.

In tal caso le cellule producono proteine alterate o in quantità
sbagliate. Alcunne di queste cellule possono crescere e divernire
cancerose.

Nella comunità degli indiani Navajo, che dagli anni 40, per diverse
decadi, ha estratto l'uranio dalle miniere situate fra gli stati
dello Utah, dell'Arizona e del Nuovo Messico, ha mostrato di subire
una maggior incidenza di patologie tumorali, fra cui il cancro al
polmone. Ciò è stato verificato sia fra i minatori, sia fra
la popolazione vivente nel territorio.

Qui di seguito alleghiamo l'art. tratto dal sito dell'Università
americana in cui è stata eseguita la ricerca.

Saluti,

Coordinamento dei Comitati di Roma Nord.

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Study may help slay 'Yellow Monster' Research pioneers understanding
of uranium toxicity

Flagstaff, ARIZ. (Feb. 23, 2006)—Low-grade uranium ore is
nicknamed "yellowcake" for its color and powdered consistency. The
Navajos have another name: Leetso, or "yellow monster."

The yellow monster surfaced on the Navajo Nation with uranium mining
that started in the 1940s and continued for the next several
decades. In its aftermath came illnesses such as lung cancer among
mine workers and worries about environmental contamination among
people who live on that land.

The Navajos believe you must gain knowledge of a monster to slay it
and restore nature's balance.

Northern Arizona University biochemist Diane Stearns and her Navajo
students are not only gaining knowledge, they are adding to that
knowledge with new discoveries about uranium.

The fact that uranium, as a radioactive metal, can damage DNA is
well documented. But what Stearns and her collaborators recently
have found is that uranium can also damage DNA as a heavy metal,
independent of its radioactive properties.

A cell with damaged DNA takes on the appearance of a comet with
a "tail" of fragmented DNA. (photo available upon request)

Stearns and her team are the first to show that when cells are
exposed to uranium, the uranium binds to DNA and the cells acquire
mutations. When uranium attaches to DNA, the genetic code in the
cells of living organisms, it can change that code. As a result, the
DNA can make the wrong protein or wrong amounts of protein, which
affects how the cells grow. Some of these cells can grow to become
cancer.

"Essentially, if you get a heavy metal stuck on DNA, you can get a
mutation," Stearns explained. Other heavy metals are known to bind
to DNA, but Stearns and her colleagues are the first to identify
this trait with uranium. Their results were published recently in
the journals Mutagenesis and Molecular Carcinogenesis.

Their findings have far-reaching implications for people living near
abandoned mine tailings in the Four Corners area of the Southwest
and for war-torn countries and the military, which uses depleted
uranium for anti-tank weapons, tank armor and ammunition rounds.
Depleted uranium is what is left over when most of the highly
radioactive isotopes of uranium are removed.

"The health effects of uranium really haven't been studied since the
Manhattan Project (the development of the atomic bomb in the early
1940s). But now there is more interest in the health effects of
depleted uranium. People are asking questions now," Stearns said.

The questions include whether there is a connection between exposure
to depleted uranium and Gulf War Syndrome or to increased cancers
and birth defects in the Middle East. Stearns said it is estimated
that more than 300 tons of depleted uranium were used during the
first Gulf War. Military uses of depleted uranium in weapons
continue today.

Closer to home, questions continue to be asked about environmental
exposure to uranium from mine tailings that dot the landscape across
the Navajo Nation.

"When the uranium mining boom crashed in the '80s, it really crashed
and there wasn't much cleanup," Stearns said. Estimates put the
number of abandoned mines on the Navajo Nation at more than 1,100.

NAU senior Hertha Woody grew up on the Navajo Nation in Shiprock,
N.M. Before joining Stearns' research group, Woody said she was not
very aware of heavy metal contamination of soil and water from a
large uranium tailing pile near her hometown. But now she wonders
about the ongoing health problems of her uncle who worked in the
uranium mine at Shiprock. And she worries about others living in the
area.

"My parents still live there and drink the water," she noted.

There's another Navajo word that Woody shares. It is hozho, which
relates to harmony, balance and beauty. Woody explained that the
yellow monster disrupts hozho and that uranium should remain in the
ground to ensure balance. In fact, in the spring of 2005, Navajo
Nation President Joe Shirley, Jr., signed the Diné Natural Resources
Protection Act, which bans uranium mining and processing on the
Navajo Nation.

Woody said she has learned a great deal and not just in the realm of
science. "It opens up doors and windows everywhere else," she said,
noting that the work has raised her awareness about mine safety,
tribal issues and reclamation efforts.

"When we first heard of the yellow monster, it was scary and not
much was understood until the research began and it was passed on to
the people through booklets and talks at the chapter houses," said
Sheryl Martinez, a junior in NAU's nursing program and another
member of Stearns' research group. Martinez, also a native of
Shiprock, hopes to return to her community and put her knowledge to
work after graduation.

The funding for Stearns' work is tied to improving health among
Native American communities. Stearns is the NAU principal
investigator of a grant jointly awarded to NAU and the Arizona
Cancer Center by the National Cancer Institute. Louise Canfield is
the principal investigator on the grant for the Arizona Cancer
Center. Collectively, these two grants comprise the Native American
Cancer Research Partnership, a consortium of cancer researchers and
educators at NAU and the Arizona Cancer Center. NACRP is one of only
five such partnerships in the nation and the only one focused on
Native American issues.

"The data on Native Americans for cancer evidence is very poor,"
Stearns said. "Navajo and Hopi may not get cancer to a greater
extent, but the survival rate is lower than the general population."
Stearns said the lower survival rate might be more the result of
limited access to care or cultural boundaries that may prevent
people from seeking care.

A goal of the partnership is to address these disparities by
training Native students for cancer-related careers.

In this way, Stearns and her students can help slay the yellow
monster, whether on the Navajo Nation or abroad.

CONTACT:
Lisa Nelson
Director, NAU Office of Public Affairs
(928) 523-6123
Lisa.Nelson @ nau.edu


Fonte: FORUM ELETTROSMOG NAZIONALE INDIPENDENTE
http://www.elettrosmog.com/forum/index.html
http://it.groups.yahoo.com/group/forum-elettrosmog/