di Edward S. Herman e David Peterson
Pubblicato in Z Magazine nel maggio 2006
(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)
“Il ventre dal quale è uscita la bestia immonda è ancora fecondo!” Bertolt Brecht
Milosevic era il demonio inserito fra due cicli di demonizzazione di Saddam Hussein (1990-1991 e 2002-2006). Allora, il “Macellaio dei Balcani” veniva elevato allo stesso pantheon dei mostri designati ufficialmente, come il “Macellaio di Baghdad”, mentre un altro soggetto come Ariel Sharon, anche se la sua invasione del Libano del 1982 e le conseguenti stragi di Sabra e Shatila da lui dirette venivano citate dal Tribunale Internazionale per i Crimini nella ex Jugoslavia (ICTY, o Tribunale per la Jugoslavia) come esempio emblematico di “genocidio”, [3] rimane un uomo di stato onorato, un “uomo di pace”, e certamente non verrà mai definito come il “Macellaio di Tel Aviv.”
Il fondamento politico di questi epiteti assume maggior chiarezza in quanto Milosevic era stato il partner di Richard Holbrooke per il conseguimento degli accordi di Pace di Dayton del 1995, con i leaders Serbo-Bosniaci Ratko Mladic e Radovan Karadzic, in seguito considerati suoi compagni di scellerataggini, ed inoltre imputati dall’ICTY come criminali di guerra.
“La gente continua a chiedersi se Milosevic si stia adoperando positivamente per un accordo di pace,” così dichiarava Holbrooke a Dayton. “È impossibile rispondere adesso a questa domanda. Tutti noi sappiamo come lui si sia ben adoperato su tutto... negli ultimi quattro mesi.” [4]
Parimenti, Saddam Hussein era stato un partner degli Stati Uniti e della Gran Bretagna per tutti gli anni ’80, ricevendo appoggio economico, aiuti militari e sostegno diplomatico da parte di questa coalizione Anglo-Americana. Allora non vi erano state designazioni di “macellaio”, sebbene proprio in questo periodo il comportamento di Saddam risultasse dei più implacabili e usasse realmente allora “armi di distruzione di massa”, comunque sempre con il sostegno dell’Occidente. Il suo risultare esente dal linguaggio offensivo e diffamatorio, così come da sanzioni, bombardamenti, processi presso corti internazionali di giustizia, derivava dall’offerta dei suoi servigi considerata positivamente, e naturalmente le stesse esenzioni venivano attribuite alla potenza che era in grado di guidare e/o di usare questi leaders subalterni![5]
Per quel che concerne Milosevic, inizialmente le sue imputazioni per crimini di guerra da parte dell’ ICTY, il 22 maggio 1999, non riguardavano per nulla la questione Bosniaca – si fondavano solamente su una sua supposta “autorità superiore” e sulla responsabilità di 344 morti in Kosovo, ma 299 di queste erano avvenute dopo che la NATO aveva dato inizio alla sua guerra di bombardamenti contro la Jugoslavia, il 24 marzo 1999. [6]
La Croazia e la Bosnia sono state tirate in ballo dalla Pubblica Accusa dell’ICTY solo diversi mesi dopo il rapimento di Milosevic del 28 giugno 2001 e il suo trasferimento all’Aja, probabilmente per il fatto che il numero dei corpi trovati in Kosovo dopo la fine della guerra di bombardamenti era deludentemente piccolo e certamente non sufficiente a sostenere un’accusa di “genocidio” [7]
Ecco dunque la Croazia e specialmente la Bosnia, anche se questo faceva sorgere un potenziale numero di problemi, e si presentava l’imbarazzo di aver aspettato sei anni per affibbiare a Milosevic la nomea di anima nera per questi casi, e per giunta veniva sollevato il problema del suo ruolo costruttivo a Dayton e dei suoi precedenti sforzi per la pace (descritti più avanti).
Comunque, il Tribunale può contare sul sistema mediatico che non crea attenzione su questi scomodi argomenti, e di questi argomenti voi non troverete traccia sul New York Times nei numerosi articoli di Marlise Simons sul processo a Milosevic. [8]
Rispetto ai numerosi problemi, l’atteggiamento troppo favorevole a resoconti demonizzanti da parte del sistema dei media avveniva ad alto livello.
Per il Kosovo, i Dipartimenti della Difesa e di Stato degli USA a varie riprese avevano dichiarato durante la guerra di bombardamenti che 100.000, 225.000 e in una conferenza stampa addirittura 500.000 Albanesi Kosovari erano stati uccisi dall’esercito Jugoslavo.[9] Alla fine il numero si riduceva a 11.000, sebbene dopo una ricerca eccezionalmente intensiva venivano trovati solo circa 4.000 corpi, compresi un numero imprecisato di corpi di combattenti e di vittime delle azioni della NATO e dell’UCK (Esercito di Liberazione del Kosovo); e fino ai primi di marzo 2006 solo 2.398 persone delle liste della Croce Rossa risultavano ancora scomparse.[10]
Mai vi è stato qualche cenno di criticismo nel sistema dei media sui numeri gonfiati forniti ufficialmente dagli USA, non vi è stato mai alcun dubbio espresso sull’esattezza della cifra di 11.000 morti, sebbene questa cifra fosse fornita da fonti di provata inaffidabilità e fosse del 70% più alta della cifra ufficiale dei corpi, comprendente anche quelli dell’elenco degli scomparsi, complessivamente una cifra pari a 6.398.
Sul New York Times, Michael Ignatieff spiegava che se il numero dei corpi trovati era stato inferiore agli 11.000, allora la causa era dovuta al fatto che i Serbi avevano rimosso i cadaveri.[11] Costui non ha spiegato mai che il numero dei corpi e degli scomparsi complessivamente era crollato ben sotto agli 11.000, ma non aveva nulla da preoccuparsi: quando si ha a che fare con un nemico da demonizzare, tutto va bene.
Nel gennaio 1993, ufficiali Bosniaco-Musulmani andavano asserendo che 200.000 o, qualche volta, un numero più alto di Musulmani di Bosnia erano stati massacrati dai Serbi, [12] e malgrado le cifre fossero non verificate ed emesse da una fonte prevenuta, questi numeri venivano immediatamente accettati e resi ufficiali dal sistema mediatico e da quei giornalisti che conducevano la campagna in favore della guerra, come David Rieff, Ignatieff, Christopher Hitchens, Ed Vulliamy.
Le valutazioni al ribasso, sotto i 100.000, dell’ex funzionario del Dipartimento di Stato George Kenney e di altri che avevano accesso ai dati di intelligence, venivano semplicemente ignorate. Comunque, nel 2003, uno studio di Ewa Tabeau e Jakub Bijak, ricercatori per conto dell’Unità Demografica dell’Ufficio della Pubblica Accusa dell’ICTY, e una successiva ricerca di Mirsad Tokaca, del Centro Documentazioni e Ricerche di base a Sarajevo e finanziato dai governi della Bosnia e della Norvegia, entrambi concordavano su una stima complessiva di morti Bosniaci dell’ordine dei 100.000.[13] Secondo lo studio di Tabeau-Bijak, solo 55.000 fra questi erano di civili, compresi più di 16.000 Serbi.
Certamente si tratta di numeri non trascurabili, ma molto meno dei 200.000 (o più) Musulmani di Bosnia soddisfacenti ad appagare la smania di montare un caso sul fatto che quelli fossero stati vittime di “genocidio” e per giustificare l’intensa concentrazione di attenzione su questa area di uccisioni in confronto ad altre, alcune delle quali vedevano implicati numeri di vittime a sette cifre.[14]
Si dovrebbe sottolineare che allora vi era stata come una sfida a rivendicare il numero degli ammazzamenti avvenuti durante il massacro di Srebrenica, che dagli eventi del luglio 1995 era rimasto costante sugli 8.000. In questo caso, come in Kosovo, il numero dei corpi trovati nei dintorni precipitava ben al disotto del numero complessivo inizialmente reclamato ( e a lungo sostenuto) – solamente circa 2.600, compreso un numero imprecisato di vittime che potevano essere state uccise in azione o prima del luglio 1995.
Altre prove in appoggio alla cifra di 8.000 sono state insignificanti, e malgrado la dichiarazione di Madeleine Albright dell’agosto 1995 che “noi vi osserveremo” via satellite, nessuna prova satellitare di rimozione o riseppellimento di corpi mai è stata fornita all’opinione pubblica. Vi è un buon motivo che questo non sia stato possibile farlo, che vi siano state certamente centinaia di esecuzioni e forse un migliaio o più, la cifra di 8.000 resta un costrutto politico ed eminentemente criticabile.[15]
Ma dubitare sui resoconti su Srebrenica è pericoloso e anche approvare il lavoro di chi ha sollevato una qualsivoglia questione in merito può scatenare aggressioni. Questo ha avuto drammatica evidenza in un’intervista a Noam Chomsky da parte di Emma Brockes, pubblicata nel Guardian di Londra il 31 ottobre 2005, dove il titolo dell’intestazione dell’intervista recitava: [16] "The Greatest Intellectual? (Il più grande fra gli intellettuali?)"
Le false affermazioni della Brockes erano risultate sufficientemente palesi e numerose, tanto che The Guardian pubblicava un serie di commenti dal titolo “Correzioni e chiarimenti” e rimuoveva l’intervista dal suo sito web.[17] Per contro, questo provocava una risposta furibonda da parte di quella che possiamo definire come la “Lobby del Genocidio Bosniaco”, un insieme ben organizzato di istituzioni ed individui che fanno riferimento a George Soros, ai governi Occidentali e ad altri, che attaccano qualsiasi argomentazione sfidi il resoconto degli avvenimenti stabilito ufficialmente. Una delle più importanti reazioni alle “correzioni” era stata una lettera sottofirmata da 25 scrittori ed analisti politici, un gruppo di affiliati alle organizzazioni della Lobby - il Balkan Investigative Reporting Network (che pubblica Balkan Insight), il Bosnian Institute, e l’Institute for War and Peace Reporting – e giornalisti come David Rieff, David Rohde, e Ed Vulliamy; tutti insieme contestavano le “correzioni” e pretendevano il loro ritiro da parte del The Guardian.[18]
Forse la più evidente caratteristica di questa lettera era l’uso delle parole “revisionismo” e “negazionismo” con riferimento ad ogni interrogativo sul numero stabilito, e il considerare ogni accento di dubbio come intollerabile. L’“autorità” su questo argomento, se vi fosse stato “genocidio”, era l’ICTY , “un tribunale internazionale insediato dalle Nazioni Unite” – quindi presumibilmente un organismo indipendente ed autorevole, malgrado le tante prove che evidenziavano il contrario ( vedi più avanti). Particolare interessante, lo stesso ICTY indicava che la cifra di 8.000 esecuzioni poteva essere stata gonfiata, dato che i suoi giudici avevano dichiarato che le prove “suggerivano” solo che la maggior parte dei 7.000-8.000 classificati come “scomparsi” potevano essere stati giustiziati o altresì morti in combattimento, e che la cifra possibile di giustiziati poteva aggirarsi solo sui 3.600-4.100, e così i giudici andavano ad appartenere alle categorie del “revisionismo” e del “negazionismo”.[19]
Naturalmente, anche i documenti relativi allo studio Tabeau-Bijak e la ricerca di Tokaca coordinata dal Centro Documentazioni e Ricerche costituivano casi nitidi di “revisionismo” e di “negazionismo”, secondo l’uso peculiare della Lobby di questi termini. Ma, dato il fatto che il lavoro dei primi aveva avuto il sostegno dello stesso ICTY e i secondi quello dei governi di Bosnia e Norvegia, l’analogo ricorso della Lobby a questo tipo di accuse non poteva essere messo in atto. In questo caso la strada scelta è stato il silenzio, una strada presa anche dal sistema dei mezzi di informazione e dai funzionari Statunitensi.[20]
Per i media di tutto il mondo, una ricerca base di dati Nexis per i primi undici giorni a partire dalla morte di Milosevic [21] svela che il prezzo delle morti riportato nelle guerre in Bosnia-Erzegovina, o complessivamente nella ex Jugoslavia, veniva dichiarato essere di 200.000, o più, in almeno 202 differenti articoli, ( ad esempio, notiziari, necrologi, editoriali), e di 100.000 solo in 13 articoli. Anzi, in almeno 99 differenti articoli, il prezzo delle morti veniva valutato essere di 250.000; e di 300.000 in non meno di 27 differenti documenti. Per i soli mezzi di informazione USA il rapporto era di 76 a 2. Sebbene la conclusione dei ricercatori dell’ICTY, come pure di quelli del Governo della Bosnia, fosse che una cifra sull’intorno delle 100.000 vittime era una stima più accurata per le morti della guerra in Bosnia, questa cifra quasi mai veniva citata in documenti e commenti sulla guerra.
Questo rende testimonianza dell’inveterato pregiudizio dei media, e che il prezzo di morte fornito da fonti dell’establishment abbastanza erudite non è stato in grado di scalzare le vecchie cifre più elevate, dichiarate in precedenza dai funzionari Musulmani di Bosnia, notoriamente privi di scrupoli.[23]
I giornalisti odiano abbandonare i numeri che tanto bene hanno consentito ad alimentare i loro pregiudizi!
L’ICTY come braccio politico della NATO
Prima di prendere in esame le accuse che Milosevic ha dovuto affrontare nel suo processo, consentiteci di esaminare più attentamente l’organismo che ha mosso queste accuse, questa “corte internazionale istituita dalle Nazioni Unite”. Naturalmente risulta un fatto interessante, che gli Stati Uniti, leaders nell’organizzare e nel sostenere l’ICTY, hanno rifiutato di avere qualsiasi rapporto con la Corte Criminale Internazionale, ICC, di recente istituzione, presumibilmente per il fatto che questo tribunale rappresenta una minaccia di “politicizzazione”. [24] Commentatori obiettivi potrebbero chiedersi se il problema con l’ICC possa essere individuato nel fatto che l’ICC è meno soggetto al controllo Statunitense dell’ICTY, e se il merito dell’ICTY dal punto di vista degli USA possa essere stato quello di essere dominato dagli stessi Stati Uniti, e quindi la politicizzazione avviene in una conveniente direzione. Questo problema non si pone per i fautori dell’ICTY, come i 25 firmatari della lettera al The Guardian pro Brockes, o a Marlise Simons et al., in buona sostanza perché l’influenza dominante degli USA è considerata da loro come naturale, appropriata, e sicuramente usata per fini giusti. Il termine “politicizzazione” in questi casi di profondo pregiudizio interiorizzato non viene usato, più dei termini come “aggressione” o “terrorismo”.
Di fatto, la politicizzazione dell’ICTY è stata totale attraverso l’iniziale organizzazione, la fornitura del personale, i finanziamenti, e il controllo minuzioso del personale ai vertici attraverso alti funzionari della NATO, [25] con le potenze della NATO che forniscono ( o nascondono [26]) informazioni e servono come braccio poliziesco dell’ICTY, e, più essenzialmente, attraverso le azioni dell’ICTY strettamente conformate con le richieste della NATO.
Il ruolo politico dell’ICTY è stato perfino apertamente ammesso dall’ex giurista del Dipartimento di Stato Michael Scharf, che dichiarava nel 1999 che l’organizzazione era considerata dal governo come “poco più di uno strumento di pubbliche relazioni”, utile perfino “per isolare diplomaticamente i leaders da colpevolizzare” e per “rafforzare la volontà politica internazionale ad applicare sanzioni economiche o l’uso della forza.” [27] Il Professore di Diritto all’Università di York Michael Mandel ha esposto in modo persuasivo il caso nel suo How America Gets Away With Murder - (Come l’America la fa sempre franca), che l’ICTY era stato insediato “come uno strumento di opposizione al processo di pace e per giustificare la soluzione militare a cui loro, i dirigenti USA, accordavano la preferenza.”[28] Il giurista puntualizzava come il funzionario del Dipartimento di Stato Lawrence Eagleburger aveva definito i leaders al vertice della Serbia come criminali di guerra già nel dicembre 1992, poco prima che l’ICTY venisse creato nel 1993, e che funzionari USA già utilizzavano la supposta criminalità Serba per sovvertire i piani di pace che erano sotto considerazione nel 1992 e nel 1993. L’argomentazione era che “la giustizia” non poteva dare strada alla convenienza politica e al raggiungimento di obiettivi, come quello di portare a termine un conflitto senza più combattere. “In altre parole, il progetto per un tribunale per crimini di guerra veniva usato dagli Americani per giustificare la loro intenzione di entrare in guerra, con i conseguenti danni collaterali e tutto il resto, stigmatizzando come Nazisti i nemici che si erano prefigurati.”[29]
L’evidenza delle accuse di Mandel sta nell’evidenza della storia.
Gli Stati Uniti e Izetbegovic hanno fatto naufragare l’importante accordo di pace di Lisbona del febbraio 1992, ed hanno contribuito ad ostacolare la pace che si voleva realizzare attraverso i piani Vance-Owen ed Owen-Stoltenberg, come descritto nella memoria di David Owen, Balkan Odyssey.[30] Questo programma di prevenzione della pace ha permesso la continuazione delle guerre Bosniache per quasi quattro anni, con la conclusione degli accordi di Dayton che hanno ridotto la Bosnia ad una provincia coloniale della NATO.
Durante la rincorsa verso la guerra in Kosovo, il lavoro dell’ICTY si adattava veramente in modo stretto al piano di guerra della NATO (e in buona sostanza degli USA). Quando la NATO dette inizio alla pianificazione della guerra nel giugno 1998, l’ICTY scatenava una campagna parallela di accuse ben pubblicizzate e di inchieste sulle azioni dei Serbi in Kosovo e di denunce del comportamento dei Serbi.[31] In relazione ad uno degli avvenimenti cardine di preparazione alla guerra, le uccisioni a Racak del 15 gennaio 1999, il procuratore capo dell’ICTY Louise Arbour, immediatamente il giorno successivo, si precipitava sulla scena per cercare confessioni, dichiarando all’istante che si trattava di un “crimine di guerra”, solo sulla base di una comunicazione con il rappresentante USA e OSCE William Walker.[32] Due mesi più tardi, il 31 marzo 1999, proprio una settimana dopo l’inizio della guerra di bombardamenti, la Arbour teneva una conferenza stampa per rendere pubblica la messa in stato di accusa in precedenza stabilita di Zeljko Raznatovic ("Arkan"), un procedimento giudiziario preparato ben prima del settembre 1997, ma reso pubblico in tempo giusto, quando serviva necessariamente alla propaganda delle potenze della NATO. [33]
La messa in stato di accusa di Milosevic e di altri quattro dirigenti il 22 maggio 1999 ( sebbene non resa pubblica fino al 27 maggio),[34] costituiva un punto alto nei servizi di pubbliche relazioni dell’ICTY resi alla NATO, e chiaramente era stata fatta in collaborazione con funzionari NATO.[35] Avveniva nel bel mezzo della guerra di 78 giorni di bombardamenti della NATO contro la Jugoslavia, e più in particolare nel periodo in cui la NATO aveva dato inizio ai bombardamenti contro impianti ed infrastrutture civili della Serbia. Questa ultima fase aveva provocato inquietudine e dure critiche anche nei paesi NATO, e dunque l’atto di accusa serviva nell’ambito delle pubbliche relazioni a distrarre l’attenzione dalla nuova tornata di bombardamenti NATO, e a direzionarla verso l’infamia dei dirigenti della nazione presa di mira. Clinton, Madeleine Albright e James Rubin immediatamente richiamavano l’attenzione su questa implicazione, e la Albright dichiarava che gli atti di accusa “facevano chiarezza al mondo e all’opinione pubblica nei nostri paesi che questa politica della NATO è giustificata, dati i crimini commessi, ed inoltre penso che questo ci consentirà di portare a termine tutti questi processi [traduzione: bombardamenti]” [36]
Mentre la Arbour era estremamente allerta rispetto al crimine di guerra di Racak non comprovato, offrendo subito i suoi servizi il giorno successivo, quando Michael Mandel le aveva presentato un dossier di tre volumi sui crimini di guerra della NATO, questo portava via a lei e alla sua succeditrice Carla del Ponte un anno intero per considerare il caso, con alla fine la del Ponte dichiarare che una verifica preliminare aveva riscontrato che questa serie di accuse non aveva ancora fornito una base per aprire una inchiesta!
Un documento interno aveva dichiarato che con solo 495 vittime “semplicemente non esiste in questo caso prova del fondamento di un crimine essenziale per accuse di genocidio o di crimini contro l’umanità,” sebbene appena 45 morti di Racak avessero indotto la Arbour ad una mozione aggressiva, e la messa in stato di accusa di Milosevic del 22 maggio 1999 presentasse una lista di sole 344 vittime, non verificate dall’ICTY.[42]
L’ “indipendenza” dell’ICTY veniva ulteriormente messa in luce dal fatto che il principale esperto della del Ponte nello sviluppo del caso sulla mancata inchiesta indicava che lui aveva fatto assegnamento sulle rassegne stampa dei paesi della NATO come fonti di informazione, considerandole “generalmente affidabili e che fornivano delucidazioni in modo onesto.” [43]
Siamo costretti a ricordarvi le assicurazioni della pubblica accusatrice Arbour, citate in precedenza, che il suo ufficio applicava solo “regole probatorie estremamente stringenti”, che escludevano “accuse prive di sostanza, non verificabili, non avvalorate”, però con la netta esclusione delle accuse contro i suoi (e della del Ponte) datori di lavoro della NATO.
Queste prove evidenti della subordinazione politica dell’ICTY, come pure le induzioni ai crimini di guerra – i bombardamenti di impianti civili della Serbia venivano accentuati immediatamente in seguito alla messa in stato di accusa di Milosevic alla fine di maggio 1999 – e la sua ridicola impostazione per non investigare anche sui crimini di guerra della NATO, avrebbero dovuto gettare il discredito sull’ICTY come istituzione supposta giudiziale, se noi non avessimo a che fare con una macchina propagandistica ben lubrificata che può far ingoiare ogni cosa in nome del portare “giustizia” contro un nemico demonizzato. E la demonizzazione è facile avendo a che fare con una guerra civile, dove vi sono molte vittime di ingiustizie e/o di scuri politiche da brandire. Il trucco è quello di scegliere le vittime giuste, passarle in rassegna in gran numero e con ricchezza di emozioni, permettere un uso illimitato di prove per sentito dire, [44] attribuire le loro sofferenze allo scellerato demonio, stracciare il contesto e riscrivere la storia, e ne risulterà in maniera lampante che la “giustizia” deve richiedere la testa del demonio.
Le accuse contro Milosevic
Nella demonizzazione di Milosevic, alcune delle più importanti affermazioni sostenenti il suo status demoniaco venivano formulate attraverso le accuse spiegate dettagliatamente nei diversi procedimenti processuali, [45] insieme alle prove prodotte in appoggio a queste accuse. Tutte queste erano state o divenivano le premesse del sistema di informazioni e dei membri della Lobby.
Torniamo a queste accuse e analizziamo come oggi si sostengono, avendo l’accusa alla fine di febbraio 2004 portato a termine i suoi argomenti processuali, e avendo Milosevic impostato la sua difesa dalla fine di agosto 2004, bloccata poi dalla sua morte.[46]
1. Autore di quattro guerre ed orchestratore di queste guerre.
Centrale nel processo dell’ICTY, e di fatto reiterata in tutti gli articoli sulla sua morte, è l’affermazione che Milosevic non era solamente responsabile personalmente per le guerre dei Balcani degli anni Novanta, ma che forse era per queste l’unico responsabile. Infatti i processi a Milosevic sono pieni zeppi di accuse che lui aveva partecipato ad “una associazione a delinquere come co-esecutore materiale,” e che, in relazione al territorio in discussione (Kosovo, Croazia, o Bosnia), lo “scopo” di ognuna di queste imprese criminali era la “espulsione di una porzione sostanziale delle,” o la “rimozione violenta della maggioranza delle,” o la “rimozione forzata e permanente della maggioranza delle,” popolazioni di etnia non-Serba da ciascun territorio, o di “assicurare un continuo controllo Serbo,” o di creare un “nuovo stato dominato dai Serbi” – la cosiddetta “Grande Serbia”, cosa che ha mandato in estasi i commentatori Occidentali.[47] Milosevic “portava la responsabilità della disgregazione della Jugoslavia... e delle conseguenti guerre,” questo sosteneva costantemente Misha Glenny in tutta una serie di necrologi su Milosevic.[48] Anche Richard Holbrooke riassumeva il concetto di demonio in una rubrica giornalistica, la morte di Milosevic in una cella della sua prigione, “sapendo che non avrebbe mai più visto la libertà”, era una “giusta fine per uno che aveva scatenato quattro guerre (perdendole tutte), causando 300.000 morti, lasciando senza casa più di due milioni di persone, e mandando in pezzi i Balcani.” [49] Dopo la morte di Milosevic, sentimenti di questo tipo costituivano un refrain quasi costante nei mezzi di informazione Occidentali. Gli altri nazionalismi che erano venuti a galla in queste guerre erano stati presumibilmente una reazione; solo quello di Milosevic e dei Serbi era stato la causa scatenante.
Questa interpretazione da diabolico scellerato nella storia recente dei Balcani non è semplicemente sciocca, ma viene contraddetta da un gran numero di testimonianze.
Per prima cosa, falsifica il ruolo degli altri nazionalismi nei Balcani – il nazionalismo Croato era forte e i suoi fautori come il Presidente Franjo Tudjman bramavano e progettavano la secessione ben prima dell’andata al potere di Milosevic [50]; e la spinta del Presidente Musulmano di Bosnia Alija Izetbegovic's verso la dominazione Musulmana in Bosnia datava da tanto tempo prima, dalla sua Dichiarazione Islamica del 1970.[51]
Secondariamente, viene esagerato il nazionalismo di Milosevic, questo sì risposta alle minacce percepite verso gli interessi Serbi e ai sentimenti nazionalisti scaturiti dalle altre componenti; e i famosi discorsi di Milosevic ultra-nazionalisti del 1987 e del 1989 non sono stati assolutamente ultra-nazionalisti. In vari passaggi di questi discorsi, veniva sottolineata l’importanza della “fratellanza e dell’unità” per la sopravvivenza della Jugoslavia; Milosevic metteva in guardia contro tutte le forme di “separatismo e di nazionalismo” come anti-moderne e contorivoluzionarie; ed invocava una mutua tolleranza e “la completa uguaglianza fra tutte le nazioni” all’interno di una Jugoslavia multinazionale, usando un linguaggio accuratamente censurato negli articoli di informazione su questi discorsi.[52] Fra i miti costruiti per spiegare la dissoluzione della Jugoslavia e la sua incorporazione nell’assetto dell’ Occidente, sicuramente quello che accusa Milosevic di aver usato questi due discorsi per attizzare i fuochi del nazionalismo che avrebbero accompagnato il crollo della Jugoslavia si classifica come il più resistente.
Terzo, questo punto di vista sottovaluta grossolanamente il ruolo della Germania, degli Stati Uniti e delle altre potenze straniere nel provocare e nel sottoscrivere le guerre. La Germania ha aperto la strada incoraggiando la Slovenia e la Croazia alla secessione dalla Jugoslavia, in violazione degli accordi di Helsinki e della Costituzione Jugoslava. Ogni azione dell’esercito Jugoslavo ad impedire questa secessione illegale e per proteggere l’integrità dello stato comune di Jugoslavia doveva essere considerata come una “reazione”, e la Germania e i leaders dei paesi secessionisti dovevano essere visti come “artefici” delle guerre successive.
Quarto, le grandi potenze erano inoltre pesantemente responsabili per queste guerre a causa del loro rifiuto a permettere ai “popoli” all’interno di queste repubbliche nate artificialmente e secessioniste di trasferirsi e di rimanere con la Jugoslavia o di essere incorporate pacificamente nella Serbia o nella Croazia. La Commissione Badinter (1991-1992) promossa dalla Unione Europea si era dichiarata contraria a tale separazione, sebbene considerasse plausibile il diritto alla secessione, e quindi la secessione delle repubbliche veniva per lo meno giustificata da questa Commissione. Questa dichiarazione imposta dall’esterno risultava gravemente responsabile per le lotte e le pulizie etniche che ne seguirono.
Quinto, Milosevic, alla fine di giugno 1991, al tempo della secessione della Slovenia, era Presidente della Serbia, ma non della Jugoslavia, e non aveva avuto nulla a che vedere con la reazione dell’esercito Jugoslavo.[53] Questa reazione era stata disordinata ed estremamente modesta, con scaramucce che erano durate solo una decina di giorni. Ma che “guerra”! E per la responsabilità di Milosevic per la guerra in Kosovo, ora è chiaro che gli Stati Uniti e i loro alleati, e fra questi anche l’ICTY, stavano preparandosi alla guerra già dall’aprile 1998, [54] con gli Stati Uniti che alla fine porgevano aiuto all’UCK (KLA-Esercito di Liberazione del Kosovo) e fornivano a costoro ragione di pensare che la NATO alla fine sarebbe arrivata in loro aiuto con un intervento militare diretto. Inoltre, risulta ben fondato che la conferenza di pace di Rambouillet del 1999 era una frode, con la “sbarra” deliberatamente sollevata per assicurare l’emarginazione e il rifiuto della Jugoslavia e per giustificare un’aggressione militare.[55] Milosevic non aveva dato inizio a questa guerra, erano stati gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO a farlo, e avevano fatto questo in evidente violazione della Carta delle Nazioni Unite.
2. Il piano per creare una “Grande Serbia”
Nella serie di accuse dell’ICTY a Milosevic, l’affermazione che egli aveva messo in atto tutti gli sforzi per dare luogo alla “Grande Serbia” si impone fortemente come giustificazione delle guerre Jugoslave. Sei anni fa, Tim Judah scriveva che era una “crudele ironia” che tutto fosse cominciato con la parola d’ordine “Tutti i Serbi in un Solo Stato”; e in un necrologio sul Washington Post dello scorso marzo si leggeva ancora che “l’impegno di Milosevic di unificare tutti i Serbi in un unico Stato si era rivelato come una ironica promessa.” [56
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