Disarmiamoli!
www.disarmiamoli.org
Sono passati più di due anni dalla costituzione del Comitato
nazionale per il ritiro dei militari italiani dall'Iraq e l'obiettivo
della nostra ragion d'essere ha assunto un ruolo sempre più centrale
nell'agenda politica italiana.
L'opinione pubblica del paese nella sua gran maggioranza è contraria
alla presenza dei soldati italiani in Iraq. Le forze politiche di
centro sinistra, tra mille contraddizioni, hanno vinto la campagna
elettorale inserendo il ritiro nel programma di governo.
L'obiettivo sembra acquisito, ma a Nassirya i soldati italiani
continuano a morire, al servizio degli interessi dell'ENI e dei
comandi anglo americani.
Si discetta sui tempi del ritiro dal Sud della Mesopotamia e nel
contempo si raddoppiano gli effettivi in Afghanistan, nelle zone più
conflittive, per "smarcare" le truppe U.S.A impantanate dalla
Resistenza irachena.
Intanto altre tensioni covano sotto le ceneri di un Kosovo mai
pacificato dopo i criminali bombardamenti N.A.T.O. dell'aprile 1999.
Che dire poi della nostra presenza in Albania, Congo, Egitto,
Macedonia, Libano, Marocco, Palestina/Egitto, Cipro, Sudan... In
tutto 28 missioni per 8.514 uomini in 19 paesi.
Ovviamente tutte missioni "di pace", per una spesa annua di miliardi
di euro, pagati dai soliti noti.
I vari governi succedutisi in questi ultimi 20 anni hanno lavorato
alacremente per la realizzazione di queste "proiezioni di pace",
dotando il paese di un esercito professionale guidato da "saldi
principi", sintetizzati nel Nuovo Modello di Difesa: Obiettivo
centrale del nuovo esercito la salvaguardia degli interessi italiani
in ogni area geografica nella quale maturino minacce concrete contro
di essi.
Il Pentagono ha fatto scuola e tracciato la strada, imponendo al
mondo una tabella di marcia fatta d'aggressioni unilaterali sempre
più ampie e devastanti, ora in procinto di investire altri paesi,
come l'Iran, e continenti, come l'America Latina e l'estremo Oriente.
L'Italia è stata da sempre trampolino di lancio delle avventure
belliche a stelle e strisce, attraverso la ragnatela di basi USA e
NATO sparse sul territorio.
Con la prima guerra d'aggressione all'Iraq del 1991 anche i nostri
soldati sono stati impiegati in uno scenario di guerra, alla ricerca
di ruolo e spazio fuori dei confini per il "belpaese".
I numeri odierni della proiezione bellica italiana dicono di quanta
strada è stata fatta in questi anni dalle nostre "imprese".
L'"Azienda Italia" anche in questo caso ha seguito le indicazioni
d'oltre Oceano, per cui se per l'economia statunitense McDonald non
può esistere senza McDonnell, così da noi l'ENI non ha mercato senza
l'ALENIA.
La richiesta a gran voce del ritiro delle truppe dall'Iraq è quindi
l'inizio di una grande battaglia antimilitarista, in grado di imporre
nell'agenda politica italiana una concezione della politica estera,
delle relazioni internazionali e con i popoli del vicino Medio
Oriente completamente diversa e opposta da quella attuale.
L'alternativa sarà un baratro di guerre devastanti, morte, lutti e
miseria.
In questo percorso abbiamo ragioni da vendere, ma non per questo
minori ostacoli da affrontare.
Per dare voce a queste ragioni, migliorare la comunicazione con le
varie realtà, diffondere e socializzare notizie, proposte, lotte e
mobilitazioni in Italia e nel mondo proponiamo un nuovo strumento di
comunicazione: il sito Internet
www.disarmiamoli.org
Il Comitato nazionale per il ritiro dei militati italiani dall'Iraq
viadalliraqora@...
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Sono passati più di due anni dalla costituzione del Comitato
nazionale per il ritiro dei militari italiani dall'Iraq e l'obiettivo
della nostra ragion d'essere ha assunto un ruolo sempre più centrale
nell'agenda politica italiana.
L'opinione pubblica del paese nella sua gran maggioranza è contraria
alla presenza dei soldati italiani in Iraq. Le forze politiche di
centro sinistra, tra mille contraddizioni, hanno vinto la campagna
elettorale inserendo il ritiro nel programma di governo.
L'obiettivo sembra acquisito, ma a Nassirya i soldati italiani
continuano a morire, al servizio degli interessi dell'ENI e dei
comandi anglo americani.
Si discetta sui tempi del ritiro dal Sud della Mesopotamia e nel
contempo si raddoppiano gli effettivi in Afghanistan, nelle zone più
conflittive, per "smarcare" le truppe U.S.A impantanate dalla
Resistenza irachena.
Intanto altre tensioni covano sotto le ceneri di un Kosovo mai
pacificato dopo i criminali bombardamenti N.A.T.O. dell'aprile 1999.
Che dire poi della nostra presenza in Albania, Congo, Egitto,
Macedonia, Libano, Marocco, Palestina/Egitto, Cipro, Sudan... In
tutto 28 missioni per 8.514 uomini in 19 paesi.
Ovviamente tutte missioni "di pace", per una spesa annua di miliardi
di euro, pagati dai soliti noti.
I vari governi succedutisi in questi ultimi 20 anni hanno lavorato
alacremente per la realizzazione di queste "proiezioni di pace",
dotando il paese di un esercito professionale guidato da "saldi
principi", sintetizzati nel Nuovo Modello di Difesa: Obiettivo
centrale del nuovo esercito la salvaguardia degli interessi italiani
in ogni area geografica nella quale maturino minacce concrete contro
di essi.
Il Pentagono ha fatto scuola e tracciato la strada, imponendo al
mondo una tabella di marcia fatta d'aggressioni unilaterali sempre
più ampie e devastanti, ora in procinto di investire altri paesi,
come l'Iran, e continenti, come l'America Latina e l'estremo Oriente.
L'Italia è stata da sempre trampolino di lancio delle avventure
belliche a stelle e strisce, attraverso la ragnatela di basi USA e
NATO sparse sul territorio.
Con la prima guerra d'aggressione all'Iraq del 1991 anche i nostri
soldati sono stati impiegati in uno scenario di guerra, alla ricerca
di ruolo e spazio fuori dei confini per il "belpaese".
I numeri odierni della proiezione bellica italiana dicono di quanta
strada è stata fatta in questi anni dalle nostre "imprese".
L'"Azienda Italia" anche in questo caso ha seguito le indicazioni
d'oltre Oceano, per cui se per l'economia statunitense McDonald non
può esistere senza McDonnell, così da noi l'ENI non ha mercato senza
l'ALENIA.
La richiesta a gran voce del ritiro delle truppe dall'Iraq è quindi
l'inizio di una grande battaglia antimilitarista, in grado di imporre
nell'agenda politica italiana una concezione della politica estera,
delle relazioni internazionali e con i popoli del vicino Medio
Oriente completamente diversa e opposta da quella attuale.
L'alternativa sarà un baratro di guerre devastanti, morte, lutti e
miseria.
In questo percorso abbiamo ragioni da vendere, ma non per questo
minori ostacoli da affrontare.
Per dare voce a queste ragioni, migliorare la comunicazione con le
varie realtà, diffondere e socializzare notizie, proposte, lotte e
mobilitazioni in Italia e nel mondo proponiamo un nuovo strumento di
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Il Comitato nazionale per il ritiro dei militati italiani dall'Iraq
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