Basovica / Basovizza
(Fonte dei testi che seguono è il periodico triestino Nuova Alabarda:
http://www.nuovaalabarda.org/)
1) Basovizza: Denuncia
2) Imbrattata la Foiba? Quale Foiba è stata imbrattata?
Galleria fotografica:
il luogo - http://www.nuovaalabarda.org/foto-gallery/
galleria5_pagina1.php
come cambiano le lapidi da un anno all'altro - https://www.cnj.it/
FOIBEATRIESTE/Appendici.htm#_Toc28102472
Per approfondire:
Operazione foibe a Trieste. Come si crea una mistificazione storica:
dalla propaganda nazifascista attraverso la guerra fredda fino al
neoirredentismo (versione online integrale della edizione 1997 del
libro di Claudia Cernigoi)
https://www.cnj.it/FOIBEATRIESTE/index.htm
La pagina sulle "foibe" ed il neo-irredentismo italiano
https://www.cnj.it/documentazione/paginafoibe.htm
=== 1 ===
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-una_denuncia_per_la_%
27foiba%27_di_basovizza.php
Una denuncia per la 'foiba' di Basovizza
RIAPRITE LA FOIBA DI BASOVIZZA!
In data 25 ottobre 2005 i ricercatori storici Samo Pahor e Claudia
Cernigoi hanno presentato ai Carabinieri un esposto indirizzato alla
Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trieste relativo ai
“lavori di riqualificazione” inerenti al sito della cosiddetta Foiba
di Basovizza, finanziati con i fondi stanziati per i cinquanta anni
del ritorno dell’Italia a Trieste. Eccone il testo:
OGGETTO: esposto relativo alle attività previste con deliberazione
comunale n. 68 d.d. 3 ottobre 2005 variante n. 86 al vigente PRGC –
recupero dell’area e del monumento della Foiba di Basovizza.
I sottoscritti Claudia CERNIGOI (n. Trieste 17/2/1959, ivi residente
in via San Primo 20) e Samo PAHOR (n. Trbovlje 22/5/1939, residente a
Trieste in Salita di Vuardel 21) espongono quanto segue in
riferimento ai lavori di cui alla delibera comunale in oggetto.
Da decenni il pozzo della Miniera sito nella proprietà della
comunella di Boršt risulta dichiarato monumento nazionale e luogo di
manifestazioni di vario carattere con riferimento ad esecuzioni
sommarie che sarebbero avvenute in loco nel periodo immediatamente
successivo al 1° maggio 1945.
Dopo i recuperi effettuati dalle autorità anglo-americane nell’estate/
autunno 1945, non risultano effettuati altri recuperi di salme,
nonostante da più parti si parlasse della presenza di “centinaia” o
“migliaia” di persone uccise sommariamente e gettate nella voragine.
Citiamo a questo proposito una relazione del direttore della
Divisione terza della XII Ripartizione (lavori pubblici) del Comune
di Trieste, datata 13/9/1954, in cui si legge che
< fuori del Cimitero si è a conoscenza della giacenza dei resti non
riconoscibili nella foiba denominata della “Miniera” di Basovizza,
frammisti a munizioni ed armi, di difficile raccolta, presumibilmente
n. 4000 >. (allegato 1)
Successivamente nel 1959 il Ministero della Difesa predisponeva una
sistemazione del fondo con l’apposizione dell’attuale copertura allo
scopo di impedire l’uso a discarica della voragine mineraria.
All’epoca il deputato Giorgio Almirante, capogruppo del partito
denominato “Movimento Sociale Italiano”, presentò un’interrogazione
parlamentare
< in ordine al pietoso recupero delle salme degli infoibati nelle
zone della Venezia Giulia rimaste all’Italia, anche in relazione al
fatto che due tra le più grandi foibe, quelle di Basovizza e di
Monrupino, contenenti migliaia di cadaveri, sono state rozzamente
tappate con un solettone di cemento >.
Il ministro della Difesa pro tempore, on. Giulio Andreotti, rispose:
< I lavori eseguiti (...) hanno esclusivamente funzione protettiva,
per evitare che continui lo scarico delle immondizie nelle foibe. La
chiusura è del tutto provvisoria. Essa è costituita da lastre di
cemento poggiate su travi di ferro e munite di anelloni per il loro
sollevamento. La chiusura non preclude quindi la possibilità del
recupero delle salme giacenti nel fondo del pozzo, recupero che sarà
effettuato quando sarà possibile superare le molteplici e serie
difficoltà di ordine igienico e di sicurezza. Occorre tener presente
(...) anche il fatto ormai accertato, che (...) sono stati gettati
ingenti quantitativi di esplosivo e residuati di nafta, il che
aumenta notevolmente il rischio delle operazioni >
Analoga interrogazione fu presentata dal deputato Gefter-Wondrich e
risposta simile a quella sopra citata fu data dal Sottosegretario di
Stato per la difesa Caiati nella seduta del 12/12/59.
(Le due interrogazioni si trovano in “Atti parlamentari anno 1959-60.
Risposte scritte ad interrogazioni dal 13/10/59 al 25/1/60”. Seduta
4/12/59, allegato 2)
Da dette risposte si evince chiaramente che i recuperi stante
l’attuale sistemazione sono tecnicamente possibili; ma nel caso in
questione sono anche giuridicamente dovuti ai sensi del comma 2
dell’art. 116 delle norme di attuazione c.p.p. che recita:
< Il disseppellimento di un cadavere può essere ordinato, con le
dovute cautele, dall’autorità giudiziaria se vi sono gravi indizi di
reato >.
I recuperi dei resti mortuari sono inoltre resi obbligatori dall’art.
50 del Regolamento di Polizia Mortuaria (DPR 10/9/90 n. 285) che recita:
< Nei cimiteri devono essere ricevuti quando non venga richiesta
altra destinazione:
- i cadaveri delle persone morte nel territorio del Comune, qualunque
ne fosse in vita la residenza; (omissis)
- i resti mortali delle persone sopra elencate >.
Le ripetute affermazioni relative a massacri avvenuti presso il Pozzo
della miniera, nonché le costanti manifestazioni che vi si svolgono
da decenni costituiscono di per se stesse “notitia criminis” nonché
“gravi indizi di reato”, così come previsti dalle normative vigenti.
Che nel Pozzo della miniera si trovino resti umani, risulta inoltre
dal fascicolo RGNR 631/00 della Procura della Repubblica presso il
Tribunale Ordinario di Trieste, a firma del PM dott. Dario Grohmann,
nel quale si legge che < il monumento indicato > è < da considerarsi
sepolcro > (allegato 3).
La copertura prevista dal progetto approvato dal Comune di Trieste
con la deliberazione in oggetto specificata, qualora realizzata,
costituirà un grave ostacolo ai recuperi dei resti umani di cui con
tanta costante iterazione si afferma l’esistenza, possibili invece
con l’attuale sistemazione; la mancanza di questi accertamenti
causerebbe inoltre impedimento alla Magistratura di acquisire prove
fondamentali per le valutazioni giudiziarie dell’accertamento dei
fatti avvenuti e delle eventuali responsabilità penali conseguenti.
I sottoscritti ritengono opportuno che venga sentito in qualità di
persona informata sui fatti l’onorevole Giulio Andreotti, o, in
subordine, l’onorevole Caiati.
Si chiede pertanto a codesta spettabile Autorità Giudiziaria di voler
emettere un’ordinanza di sospensione dei lavori di cui alla delibera
in oggetto, e di voler procedere ad un’esplorazione del contenuto del
pozzo della miniera di Basovizza, per verificare la presenza di resti
umani, e provvedere alla loro dignitosa sepoltura in luogo all’uopo
preposto.
I sottoscritti chiedono inoltre di venire avvisati dell’eventuale
richiesta di archiviazione ai sensi dell’art. 408 c.p.p..
In data 7/11/05 l’esposto è stato archiviato, su indicazione del
dottor Nicola Maria Pace, Procuratore della Repubblica di Trieste,
nel Registro degli “atti non costituenti reato”; tale tipo di
archiviazione, ci è stato spiegato negli Uffici della Procura, non
obbliga il Procuratore a motivare la propria decisione, né a darne
notizia ai denuncianti. Di conseguenza, nel fascicolo relativo,
abbiamo trovato solo copia della documentazione da noi presentata, la
lettera di trasmissione alla Procura della Stazione dei Carabinieri
di Basovizza e nel frontespizio le seguenti annotazioni a penna: “al
Procuratore per Sue valutazioni, data la peculiarità dell’esposto...
io non credo si debba provvedere a sospendere (sic) un atto
amministrativo, né c’è alcun reato in corso”. Data 2/11/05, firma
illeggibile (non è quella del dottor Pace).
In seguito a questa dichiarazione, che non essendo più
particolareggiata non ci permette di comprendere a fondo il motivo
per cui quanto da noi denunciato non raffiguri alcun reato, dobbiamo
per forza cercare di dare delle interpretazioni a quanto la Procura
ha inteso sostenere.
Se la Procura non ritiene necessario procedere ad un recupero delle
salme presenti nel Pozzo della Miniera prima dell’ultimazione dei
lavori che potrebbero inibirne la successiva possibilità, nonostante
tutte le notizie di presenza di dette salme (che potrebbero
costituire i “gravi indizi di reato”), ciò può significare soltanto,
a parere nostro, che la Procura non ritenga che vi siano salme ancora
giacenti nel Pozzo suddetto: altrimenti ne avrebbe dovuto ordinare il
recupero.
A questo punto, però, dobbiamo ritenere che, oltre a quanto fu
recuperato dalla voragine nel 1945 a cura degli angloamericani (il
verbale di tali recuperi fu pubblicato sul “Piccolo” di Trieste il
31/1/95, e fu sintetizzato nelle seguenti parole scritte dal
giornalista: < Ma una decina di corpi smembrati e irriconoscibili non
dovevano sembrare un risultato soddisfacente e alla fine si preferì
sospendere i lavori >.
Di conseguenza, possiamo essere portati a pensare che oltre alla
“decina di corpi smembrati e irriconoscibili”, già recuperati nel
1945, nel Pozzo della miniera non ci sono mai stati altri resti
umani; che tutto quanto apparso sulla stampa, in testi storici, in
dichiarazioni di intellettuali e di uomini politici rispetto alle
“centinaia”, “migliaia” di infoibati, agli eccidi di Basovizza e via
di questo passo, siano soltanto voci inconsistenti, non degne di
essere considerate notizie di reato (chi parla di massacri avvenuti
in un certo posto e di cadaveri ancora lì giacenti, cosa fa, se non
comunicare di essere a conoscenza di un reato consumatosi?) da parte
della nostra Procura della Repubblica.
Però a questo punto potremmo anche ritenere che non solo la foiba di
Basovizza non dovrebbe più essere considerata un monumento nazionale
(monumento a ricordo di fatti che non sono avvenuti?), ma potremmo
anche chiedere che le voci, non degne di fede, di coloro che
continuano a parlare di eccidi avvenuti a Basovizza, quando la
Procura non ritiene di dover agire per recuperarne i resti delle
presunte vittime, vengano fatte tacere, in quanto false ed
inattendibili, ed atte a turbare l’ordine pubblico.
E potremmo anche chiederci e chiedere alle autorità competenti, se
sia congrua la spesa di 805.000 Euro, tratte dai fondi per le
celebrazioni del cinquantenario del ritorno di Trieste all’Italia,
per “riqualificare” un monumento che non ha ragione di esistere, in
quanto propaganda un falso storico
Per opportuna conoscenza ai nostri lettori, pubblichiamo la lettera
inviata dai sottoscritti Pahor e Cernigoi al senatore Giulio Andreotti.
Egregio Signore
Giulio ANDREOTTI
Senatore a vita
Senato della Repubblica
Palazzo Madama
00186 - ROMA
Nell’ormai lontanissimo 1959 Ella, nella veste di Ministro della
Difesa, ha assicurato, rispondendo ad una interrogazione parlamentare
dell’on. Giorgio Almirante, che la copertura delle foibe di Basovizza
e di Monrupino è provvisoria, già predisposta per essere tolta, ed ha
promesso che tale copertura sarebbe stata tolta non appena le
condizioni sanitarie e di sicurezza l’avrebbero permesso.
Il progresso della medicina e della tecnologia civile e militare, ha
fatto tali passi da rendere del tutto possibile il promesso recupero
dei resti mortali, rispetto al quale l’on. Almirante ha posto
l’interrogazione parlamentare nell’interesse dei congiunti delle
persone che colà sarebbero state uccise nel 1945.
L’amministrazione comunale di Trieste ha deciso di coprire la
copertura fatta nel 1959 a cura del Commissariato generale per le
onoranze ai caduti in guerra sulla voragine di Basovizza con un
enorme cofano di ferro, annullando così la possibilità di recupero
delle salme che ivi si troverebbero.
Le chiediamo pertanto di intervenire nelle sedi competenti affinché
quanto promesso dal Ministro della difesa dell’epoca ai familiari
delle persone uccise in quelle località venga fatto prima della
collocazione di detto cofano di ferro.
Oltre che per il fatto di veder mantenuta una promessa che Ella ha
fatto ai congiunti, rappresentati dall’on. Almirante, riteniamo che
sia Suo interesse che la copertura delle due voragini venga tolta ed
i resti mortali colà giacenti recuperati, anche per un altro motivo.
Infatti dalle nostre parti corre voce, specialmente dopo che il
dottor Giorgio Rustia ha scritto, nel 2000, che “la foiba di
Monrupino è un eccesso della nostra storiografia che ha voluto creare
una foiba in cui saranno stati buttati una dozzina o una ventina di
soldati tedeschi”, che Ella sapeva benissimo, già prima della
decisione di far chiudere le due voragini, che esse non contenevano
resti mortali di italiani, uccisi solo perché italiani, ma ha voluto
impedire che le operazioni di recupero di resti mortali inesistenti
dimostrassero l’infondatezza delle accuse nei confronti delle forze
armate jugoslave, accuse che sono servite per decenni come pretesto
per negare alla minoranza linguistica e nazionale slovena quella
tutela che, secondo le sentenze della Corte Costituzionale, le
spettava fino dal 1° gennaio 1948. Sarebbe quindi auspicabile un Suo
intervento per evitare che i lavori in corso sul monumento di
Basovizza rendano non realizzabile il recupero delle salme da Lei a
suo tempo promesso.
In attesa di un gentile riscontro porgiamo distinti saluti.
Dobbiamo a questo punto precisare che fino a questo momento non
abbiamo avuto alcun riscontro. Abbiamo quindi deciso di rendere
pubbliche queste nostre note.
Marzo 2006.
=== 2 ===
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-il_caso_dell%
27imbrattamento_delle_due_foibe.php
Il Caso Dell'Imbrattamento Delle Due Foibe
QUALE FOIBA E' STATA IMBRATTATA? QUELLA DI BASOVIZZA O QUELLA DI
MONRUPINO?
“Imbrattata ancora una volta la Foiba di Basovizza dove è ancora
aperto il cantiere per il rinnovamento del sito”, leggiamo sul
“Piccolo” del 18/10/06, e più avanti: “l’atto vandalico ha subito
provocato la reazione del presidente provinciale di AN Gilberto Paris
Lippi” (Lippi, lo ricordiamo, è anche vicesindaco del Comune di
Trieste). Leggiamo poi che Lippi si è dichiarato “sconcertato e
allibito di fronte alla notizia che alcuni vandali hanno nuovamente
imbrattato il cippo dei Volontari (...) con la scritta in vernice
nera, Ozna, con la stella rossa, falce e martello, hanno rimarcato la
loro mancanza di coraggio”; seguono altre affermazioni del
vicesindaco che accusa i “vandali” di “viltà e vigliaccheria” e di
essere “capaci di comunicare le loro idee” solo con “l’atto
vandalico”, ed in tal modo “oltraggiano il ricordo dei nostri
cittadini e danneggiano contemporaneamente il patrimonio comune”;
inoltre Lippi stigmatizza la “mancanza di cultura” dei “vandali”, di
quella “cultura che oggi ci induce ad intraprendere un percorso che
porti il nostro Paese verso una memoria condivisa e non ad una
costante dimostrazione di intolleranza, risentimento e violenza”.
Stanti queste affermazioni di Lippi contrarie ad “intolleranza,
risentimento e violenza”, auspichiamo che quest’anno il nostro
rappresentante istituzionale si sia astenuto dal festeggiare la
ricorrenza della marcia su Roma, come era invece uso fare in un
passato neanche tanto remoto. Del resto è proprio da alcune sue
dichiarazioni a proposito della serata di festeggiamenti (pubblicate
sul “Piccolo” del 31/10/00) che possiamo forse comprendere meglio il
concetto di memoria condivisa propugnato dall’oggi vicesindaco ed
allora consigliere regionale:
“Abbiamo passato una bella serata. Un modo come un altro per stare
assieme. Il 26 ottobre si celebra la seconda redenzione di Trieste,
quella del 1954, e visto che il 28 ottobre era vicino, lo abbiamo
ricordato collettivamente (...) La marcia su Roma del resto fa parte
del nostro passato, perché fingere di essercene dimenticati?”.
Già, perché Lippi e Menia non dovrebbero festeggiare il proprio
passato, soltanto perché vorrebbero che altri rinnegassero il proprio?
Ma torniamo alla questione dell’imbrattamento della foiba, così come
denunciato da Lippi. Innanzitutto non ci risulta che presso il
monumento esista alcun “cippo dei volontari” (volontari in quale
Corpo, ci chiediamo innanzitutto): c’è un cippo posto dagli alpini,
uno dalla Guardia di Finanza ed uno dalla Federazione grigioverde a
ricordo di tutti i militari. Inoltre non ci sembra molto chiara la
descrizione della scritta in vernice nera che comprende anche una
stella rossa: o gli ignoti “vandali” si sono dedicati alla policromia
nell’imbrattamento, o forse per Lippi tutte le stelle sono rosse per
definizione se si trovano presso una falce e martello.
Alla protesta di Lippi è seguita una nota del capogruppo dei DS in
Consiglio comunale, Tarcisio Barbo, che sostiene essere il fatto “più
che un atto vandalico una vera e propria provocazione (...) ne è
evidente dimostrazione il richiamo all’Ozna” (dal “Piccolo” del 19
ottobre).
Anche qui c’è qualcosa che non ci convince. L’Ozna era un organo
istituzionale di polizia jugoslavo esattamente come all’epoca dei
presunti “infoibamenti” erano organi istituzionali di polizia l’OSS
statunitense e la FSS britannica, tutti di paesi che erano alleati
nella guerra contro il nazifascismo. Dove stia la provocazione nel
richiamo all’Ozna, Barbo ce lo dovrebbe spiegare meglio; ma rileviamo
che anche lui conclude il comunicato con un richiamo alla
“pacificazione in atto”, proprio come Lippi.
Fin qui le notizie sulla stampa: però a questo punto noi andiamo
oltre perché abbiamo avuto delle informazioni interessanti da parte
del professor Samo Pahor, che, non risultandogli l’esistenza di alcun
“cippo dei volontari” presso la foiba di Basovizza, si è recato con
un altro testimone sul luogo per verificare lo stato dei luoghi.
Ricordiamo che l’intera area è ancora recintata per i lavori di
“riqualificazione” a cura del Comune di Trieste, ma lo stato dei
luoghi è visibile anche dall’esterno. Sentiamo ora cosa ci ha
raccontato Pahor.
“Siamo andati fino al cantiere per verificare cosa fosse stato
effettivamente imbrattato, però non abbiamo visto alcuna scritta o
imbrattamento. Così, pensando che si fosse già provveduto, nel corso
dei tre giorni intercorsi, alla pulizia del sito, ci siamo recati
presso la stazione dei Carabinieri di Basovizza, per chiedere
chiarimenti. Alle nostre domande il maresciallo ci ha risposto che
loro non hanno constatato alcun imbrattamento, e la ditta che sta
effettuando i lavori ha negato che vi sia stato alcun atto vandalico”.
A questo punto ci siamo chiesti, noi come il professor Pahor, come
abbia potuto il vicesindaco Lippi denunciare, oltretutto con tale
dovizia di particolari, un imbrattamento che non è avvenuto. Così,
mentre noi ci limitiamo a segnalare all’opinione pubblica questa
palese contraddizione, Pahor ha invece presentato una denuncia alla
Procura della Repubblica, avente come oggetto: “denuncia penale per
il reato previsto e punito dall’art. 656 del c.p. con l’aggravante ai
sensi dell’art. 3 della legge 13/10/75 n. 654 e della legge 25/6/93
n. 205 (...)”.
Pahor si richiama all’art. 656 (“pubblicazione o diffusione di
notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine
pubblico”) poiché “l’atto che non è stato commesso è però tale che
avrebbe turbato l’opinione pubblica ed avrebbe causato il disturbo
dell’ordine pubblico”, e quindi chiede vengano acquisite dalla
magistratura le note inviate sia da Lippi sia da Barbo.
Per la cronaca, diciamo subito che questa denuncia è stata quasi
immediatamente archiviata dalla Procura triestina tra quelle “non
costituenti notizia di reato”.
Un’altra denuncia, di simile tenore, è stata presentata anche da
Paolo Parovel; a queste denunce sono seguiti comunicati stampa, che
sono stati peraltro ignorati sia dal “Piccolo”, sia dalle emittenti
radiotelevisive locali, mentre hanno trovato spazio sulla stampa
slovena di Trieste ed in alcuni siti internet nazionali. Va però
rimarcato che, ancora il 9 ed il 14 novembre scorsi, il “Piccolo” ha
pubblicato, all’interno di elenchi di atti vandalici avvenuti in
città negli ultimi mesi (soprattutto danneggiamenti a strutture
scolastiche) anche l’annotazione che il 17 ottobre la foiba di
Basovizza è stata imbrattata con la scritta “Ozna”.
Fin qui abbiamo trattato delle notizie apparse sulla stampa
triestina. Se però andiamo a leggere la stampa friulana, scopriamo
che l’intreccio si complica e le contraddizioni aumentano: infatti il
2 novembre (quindi alcuni giorni dopo le denunce presentate da Pahor
e Parovel, ed i relativi comunicati stampa – inviati anche a testate
regionali), sul “Gazzettino” troviamo in prima pagina il seguente
titolo “Foiba di Opicina (il corsivo è nostro, n.d.r.) sfregiata la
stele”, ed il rimando alle pagine interne, dove due articoli, firmati
dai giornalisti Maurizio Bait e Roberto Urizio, ci rendono edotti del
fatto che, in seguito ad una segnalazione inviata al
“Gazzettino” (diciamo subito che la stessa lettera è apparsa
integralmente sul “Messaggero Veneto” dello stesso giorno) dal
generale in congedo Luciano Santoro, la stele “che ricorda le vittime
della foiba di Monrupino” era stata “imbrattata con la scritta Ozna
accompagnata da una grossa stella e dalla falce e martello”.
Prendiamo atto che all’interno dell’articolo è pubblicata anche una
foto della lapide imbrattata (in vernice nera, come segnala
l’articolo), dalla quale possiamo dedurre che la scritta non deve
essere stata fatta con una bomboletta spray in fretta e furia ma con
un pennello e, data l’accuratezza e la precisione del disegno della
stella rossa in vernice nera, l’anonimo “artista” deve averci messo
un po’ di tempo per realizzare la sua “opera”. Nell’articolo leggiamo
anche che il Comune di Trieste ha provveduto immediatamente alla
pulizia della stele e che le cerimonie dei giorni seguenti si sono
svolte regolarmente.
Tralasciamo di commentare tutti gli annessi e connessi degli articoli
dei due cronisti, che per l’ennesima volta ci presentano le solite
falsità sulla questione delle “foibe”, mettendo in evidenza solo il
fatto che una volta ancora non viene detto che nella foiba 149 di
Monrupino sono stati sepolti sommariamente i militari germanici
caduti nella battaglia di Opicina, i cui corpi sono poi stati
traslati dapprima al cimitero triestino di S. Anna e successivamente
a quello militare germanico di Costernano in provincia di Verona,
quindi la stele posta a ricordo degli “istriani fiumani e dalmati”
ivi caduti è un falso storico che non rende giustizia a nessuno.
L’atto vandalico è stato denunciato alla stampa, abbiamo detto, dal
generale Santoro, che, leggiamo, si era recato il 14 ottobre (notiamo
che le notizie sull’imbrattamento di Basovizza lo datano invece al 17
ottobre) con “un gruppo dell’Anupsa (Associazione nazionale ufficiali
provenienti dal servizio attivo) di Udine che, composto da una
cinquantina di persone, dopo una visita al laboratorio di luce al
sincrotrone Elettra di Basovizza, ha deciso di recarsi alla foiba in
questione (cioè quella di Monrupino, n.d.r.) poiché quella, più
famosa, di Basovizza è oggetto in questo periodo d’interventi di
riqualificazione”.
A questo punto ci troviamo di fronte a diversi fattori da valutare.
Innanzitutto ricordiamo che a Trieste Paris Lippi aveva denunciato,
come avvenuto alla foiba di Basovizza, un imbrattamento (che però non
risulterebbe essere avvenuto) la cui descrizione corrisponde a quello
che abbiamo visto nelle foto pubblicate dai giornali friulani come
riferito alla foiba di Monrupino. Dunque, se l’imbrattamento è
avvenuto a Monrupino, perché Lippi parla di Basovizza, e, anche
ammettendo che si sia confuso tra le due foibe, perché non ha fatto
una rettifica pubblica?
Secondo punto: perché sulla stampa triestina si è parlato solo ed
esclusivamente del presunto imbrattamento di Basovizza e mai di
quello (reale, supponiamo, stante la foto) di Monrupino, che invece è
stato trattato dalla stampa friulana con un forte risalto? Dato che
il “Messaggero” ed il “Piccolo” appartengono allo stesso gruppo
editoriale, ci risulta oscuro il motivo per cui la lettera del
generale Santoro sia stata pubblicata dal quotidiano friulano e non
da quello triestino, considerando soprattutto che il fatto denunciato
si sarebbe svolto in provincia di Trieste e non in quella di Udine.
Poi ci è sorto l’interesse di conoscere meglio i protagonisti di
questo “caso stampa”. L’associazione cui fa riferimento il generale,
innanzitutto. Cos’è l’Associazione nazionale ufficiali provenienti
dal servizio attivo (Anupsa)? Nel sito internet dell’Esercito abbiamo
trovato che l’atto costitutivo dell’Anupsa porta la data del 3
febbraio 1948; successivamente viene citata “una frase significativa
dello Statuto sociale” che “ne delineava gli scopi principali”.
Eccola: “La fiamma che per oltre un trentennio ha sorretto il nostro
animo non può e non deve spegnersi. Appare pertanto evidente la
necessità di organizzarsi sia per alimentare la fiamma sia per
garantire i nostri interessi presso le Autorità Militari sia per
valorizzare le nostre capacità lavorative in ogni campo”.
Questo richiamo al “trentennio” precedente al 1948 può forse far
pensare ad una sorta di “nostalgia” per il periodo storico
corrispondente al ventennio fascista, così come anche il concetto di
“alimentare la fiamma” ci ricorda altri simboli di movimenti politici
nostalgici della medesima epoca; ultima annotazione, leggiamo che il
loro primo “Notiziario interno” uscì il 31 luglio 1948 e “cambiò
veste e titolo” nel gennaio 1958, diventando “Tradizione Militare”.
Passiamo ora al generale Luciano Santoro, residente a Cividale, che,
da fonti Internet ci risulta “nel 1965 tenente proveniente
dall’accademia militare di Modena (...) in servizio nel 76° Rgt.
fanteria con sede in Cividale del Friuli” (segnalazione nel sito
Esercito italiano bacheca), nonché rappresentante di una
“Associazione di Studi Storici cividalesi”, della quale attività non
abbiamo trovato però molte notizie. Gli interventi del generale
Santoro sulla stampa, presenti in rete, sono per lo più tratti dal
“Gazzettino”, ed hanno come tema ricorrente i “pericoli identitari”
per Cividale e le valli del Natisone se fosse applicata la legge di
tutela per la minoranza slovena, in quanto, Santoro, come anche la
Lega Nazionale del Friuli, ritengono che nella zona non esista alcuna
comunità “slovenofona”. Non sappiamo inoltre se, e in quale legame di
parentela egli sia con la professoressa Piera Specogna Santoro, pure
di Cividale, che fu tra gli eredi del “gladiatore” Aldo Specogna che
querelarono gli autori del testo “Gli anni bui della Slavia” per
quanto essi avevano scritto su di lui.
È invece necessario ora riportare alcune delle espressioni usate dal
generale in congedo nella lettera pubblicata dal “Messaggero”, per
comprendere il suo pensiero. Riferendosi a varie scritte “anti-
italiane” che sarebbero comparse in vari tempi (non specifica quali)
e vari luoghi, egli sostiene che “sono segnali molto preoccupanti di
un revanscismo sloveno o filosloveno che probabilmente noi stiamo, a
causa del nostro solito buonismo e del menefreghismo politico,
sottovalutando. Se poi si aggiunge che si vuole riconoscere la
minoranza linguistica nazionale slovena anche dove lo sloveno non si
è mai parlato, né viene capito, e cioè nelle valli del Natisone,
Torre-Cornappo, Resia, dove si usano parlate molto particolari, ma
addirittura anche a Cividale del Friuli, che con gli sloveni, nella
sua bimillenaria storia, non ha avuto niente da spartire, allora ci
si domanda se, per caso, non c’è dietro qualche altro progetto, che
alla fine della seconda guerra mondiale non è stato, per nostra
fortuna realizzato (la formazione, con i territori italiani di
Trieste, di Gorizia e della provincia di Udine, della settima
repubblica della federazione jugoslava), ma che adesso piano piano
potrebbe attuare una qualche attuazione”.
Queste grottesche (nonché anacronistiche, stante che la Jugoslavia è
un bel po’ di tempo che non esiste più) affermazioni di Santoro ci
richiamano alla mente quelle, altrettanto curiose, espresse dal
triestino Giorgio Rustia in un volantino diffuso nel novembre 1998 a
firma di un “Comitato spontaneo di cittadini che non parlano
sloveno”: all’epoca, quando la legge di tutela non era ancora stata
approvata, Rustia, sosteneva che tramite essa gli sloveni sarebbero
riusciti ad ottenere per mano legale ciò che non riuscì loro “manu
militari” nel ‘45 con i carri armati: cioè occupare i “nostri”
territori. E come? Semplice, spiega Rustia: con questa legge di
tutela a Trieste ci sarà bisogno di circa 250/300 interpreti che
dovranno giocoforza venire qui da oltre confine perché “a Trieste non
ci sono sloveni disoccupati”; questi interpreti si porterebbero
dietro la propria famiglia (“moglie, due figli, genitori, fratelli”),
cosicché in men che non si dica a Trieste ci sarebbero un migliaio di
sloveni in più, dal che nascerebbe un ulteriore bisogno di
interpreti, che dovrebbero nuovamente venire “importati” da oltre
confine e via di seguito; in tal modo, secondo Rustia, si sarebbe
sviluppata a Trieste una “catena di Sant’Antonio” che avrebbe
riempito di sloveni la città costringendo gli italiani all’emigrazione.
Al di là delle facili ironie che si possono fare leggendo
affermazioni di questo tipo, noi riteniamo che esse siano invece
molto gravi, innanzitutto perché pretendono di negare, usando
argomenti falsi, la presenza storica della comunità slovena nella
Regione (è ben vero che lo sloveno che si parla nelle valli del
Natisone non è lo stesso che si parla a Lubiana, ma non è accettabile
che venga liquidato come “parlata molto particolare”, come se si
trattasse del grammelot di Dario Fo invece che di un idioma
sviluppatosi in un’isola linguistica e proprio per questo diverso
dallo sviluppo che ha avuto la lingua slovena “riconosciuta”); e poi
perché, tramite questa negazione, attribuiscono alla comunità slovena
(ed ai “filosloveni”, cioè a coloro che pur non essendo sloveni,
ritengono che la tutela delle lingue e culture minori sia doverosa
per uno stato democratico) intenzioni eversive che non esistono se
non negli incubi fantastorici di persone come Rustia o Santoro.
Tornando alla questione degli imbrattamenti, reali o presunti,
abbiamo visto come quella che poteva sembrare soltanto una bufala a
proposito di atti vandalici mai avvenuti, si è rivelata invece una
costruzione di falsità ed ambiguità, i cui fini non ci sono chiari,
ma che andrebbero indagati a fondo per le implicazioni che potrebbero
avere nella civile convivenza democratica tra popoli di diversa etnia.
Riteniamo necessario a questo punto che le autorità competenti aprano
un’indagine approfondita su tutta questa vicenda (comunicati,
lettere, articoli, testimonianze, verifiche sull’imbrattamento di
Monrupino, connessioni tra le persone e via di seguito), per chiarire
a fondo di quale tipo di provocazione si sia trattato. Ed auspichiamo
infine che, data l’interrogazione presentata in merito dal
consigliere comunale Barbo lunedì 6 novembre, il vicesindaco Lippi
voglia chiarire pubblicamente i motivi che lo hanno portato a
denunciare alla stampa un imbrattamento che è sì avvenuto nei termini
da lui descritti, ma non sulla foiba da lui indicata.
Novembre 2006
(Fonte dei testi che seguono è il periodico triestino Nuova Alabarda:
http://www.nuovaalabarda.org/)
1) Basovizza: Denuncia
2) Imbrattata la Foiba? Quale Foiba è stata imbrattata?
Galleria fotografica:
il luogo - http://www.nuovaalabarda.org/foto-gallery/
galleria5_pagina1.php
come cambiano le lapidi da un anno all'altro - https://www.cnj.it/
FOIBEATRIESTE/Appendici.htm#_Toc28102472
Per approfondire:
Operazione foibe a Trieste. Come si crea una mistificazione storica:
dalla propaganda nazifascista attraverso la guerra fredda fino al
neoirredentismo (versione online integrale della edizione 1997 del
libro di Claudia Cernigoi)
https://www.cnj.it/FOIBEATRIESTE/index.htm
La pagina sulle "foibe" ed il neo-irredentismo italiano
https://www.cnj.it/documentazione/paginafoibe.htm
=== 1 ===
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-una_denuncia_per_la_%
27foiba%27_di_basovizza.php
Una denuncia per la 'foiba' di Basovizza
RIAPRITE LA FOIBA DI BASOVIZZA!
In data 25 ottobre 2005 i ricercatori storici Samo Pahor e Claudia
Cernigoi hanno presentato ai Carabinieri un esposto indirizzato alla
Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trieste relativo ai
“lavori di riqualificazione” inerenti al sito della cosiddetta Foiba
di Basovizza, finanziati con i fondi stanziati per i cinquanta anni
del ritorno dell’Italia a Trieste. Eccone il testo:
OGGETTO: esposto relativo alle attività previste con deliberazione
comunale n. 68 d.d. 3 ottobre 2005 variante n. 86 al vigente PRGC –
recupero dell’area e del monumento della Foiba di Basovizza.
I sottoscritti Claudia CERNIGOI (n. Trieste 17/2/1959, ivi residente
in via San Primo 20) e Samo PAHOR (n. Trbovlje 22/5/1939, residente a
Trieste in Salita di Vuardel 21) espongono quanto segue in
riferimento ai lavori di cui alla delibera comunale in oggetto.
Da decenni il pozzo della Miniera sito nella proprietà della
comunella di Boršt risulta dichiarato monumento nazionale e luogo di
manifestazioni di vario carattere con riferimento ad esecuzioni
sommarie che sarebbero avvenute in loco nel periodo immediatamente
successivo al 1° maggio 1945.
Dopo i recuperi effettuati dalle autorità anglo-americane nell’estate/
autunno 1945, non risultano effettuati altri recuperi di salme,
nonostante da più parti si parlasse della presenza di “centinaia” o
“migliaia” di persone uccise sommariamente e gettate nella voragine.
Citiamo a questo proposito una relazione del direttore della
Divisione terza della XII Ripartizione (lavori pubblici) del Comune
di Trieste, datata 13/9/1954, in cui si legge che
< fuori del Cimitero si è a conoscenza della giacenza dei resti non
riconoscibili nella foiba denominata della “Miniera” di Basovizza,
frammisti a munizioni ed armi, di difficile raccolta, presumibilmente
n. 4000 >. (allegato 1)
Successivamente nel 1959 il Ministero della Difesa predisponeva una
sistemazione del fondo con l’apposizione dell’attuale copertura allo
scopo di impedire l’uso a discarica della voragine mineraria.
All’epoca il deputato Giorgio Almirante, capogruppo del partito
denominato “Movimento Sociale Italiano”, presentò un’interrogazione
parlamentare
< in ordine al pietoso recupero delle salme degli infoibati nelle
zone della Venezia Giulia rimaste all’Italia, anche in relazione al
fatto che due tra le più grandi foibe, quelle di Basovizza e di
Monrupino, contenenti migliaia di cadaveri, sono state rozzamente
tappate con un solettone di cemento >.
Il ministro della Difesa pro tempore, on. Giulio Andreotti, rispose:
< I lavori eseguiti (...) hanno esclusivamente funzione protettiva,
per evitare che continui lo scarico delle immondizie nelle foibe. La
chiusura è del tutto provvisoria. Essa è costituita da lastre di
cemento poggiate su travi di ferro e munite di anelloni per il loro
sollevamento. La chiusura non preclude quindi la possibilità del
recupero delle salme giacenti nel fondo del pozzo, recupero che sarà
effettuato quando sarà possibile superare le molteplici e serie
difficoltà di ordine igienico e di sicurezza. Occorre tener presente
(...) anche il fatto ormai accertato, che (...) sono stati gettati
ingenti quantitativi di esplosivo e residuati di nafta, il che
aumenta notevolmente il rischio delle operazioni >
Analoga interrogazione fu presentata dal deputato Gefter-Wondrich e
risposta simile a quella sopra citata fu data dal Sottosegretario di
Stato per la difesa Caiati nella seduta del 12/12/59.
(Le due interrogazioni si trovano in “Atti parlamentari anno 1959-60.
Risposte scritte ad interrogazioni dal 13/10/59 al 25/1/60”. Seduta
4/12/59, allegato 2)
Da dette risposte si evince chiaramente che i recuperi stante
l’attuale sistemazione sono tecnicamente possibili; ma nel caso in
questione sono anche giuridicamente dovuti ai sensi del comma 2
dell’art. 116 delle norme di attuazione c.p.p. che recita:
< Il disseppellimento di un cadavere può essere ordinato, con le
dovute cautele, dall’autorità giudiziaria se vi sono gravi indizi di
reato >.
I recuperi dei resti mortuari sono inoltre resi obbligatori dall’art.
50 del Regolamento di Polizia Mortuaria (DPR 10/9/90 n. 285) che recita:
< Nei cimiteri devono essere ricevuti quando non venga richiesta
altra destinazione:
- i cadaveri delle persone morte nel territorio del Comune, qualunque
ne fosse in vita la residenza; (omissis)
- i resti mortali delle persone sopra elencate >.
Le ripetute affermazioni relative a massacri avvenuti presso il Pozzo
della miniera, nonché le costanti manifestazioni che vi si svolgono
da decenni costituiscono di per se stesse “notitia criminis” nonché
“gravi indizi di reato”, così come previsti dalle normative vigenti.
Che nel Pozzo della miniera si trovino resti umani, risulta inoltre
dal fascicolo RGNR 631/00 della Procura della Repubblica presso il
Tribunale Ordinario di Trieste, a firma del PM dott. Dario Grohmann,
nel quale si legge che < il monumento indicato > è < da considerarsi
sepolcro > (allegato 3).
La copertura prevista dal progetto approvato dal Comune di Trieste
con la deliberazione in oggetto specificata, qualora realizzata,
costituirà un grave ostacolo ai recuperi dei resti umani di cui con
tanta costante iterazione si afferma l’esistenza, possibili invece
con l’attuale sistemazione; la mancanza di questi accertamenti
causerebbe inoltre impedimento alla Magistratura di acquisire prove
fondamentali per le valutazioni giudiziarie dell’accertamento dei
fatti avvenuti e delle eventuali responsabilità penali conseguenti.
I sottoscritti ritengono opportuno che venga sentito in qualità di
persona informata sui fatti l’onorevole Giulio Andreotti, o, in
subordine, l’onorevole Caiati.
Si chiede pertanto a codesta spettabile Autorità Giudiziaria di voler
emettere un’ordinanza di sospensione dei lavori di cui alla delibera
in oggetto, e di voler procedere ad un’esplorazione del contenuto del
pozzo della miniera di Basovizza, per verificare la presenza di resti
umani, e provvedere alla loro dignitosa sepoltura in luogo all’uopo
preposto.
I sottoscritti chiedono inoltre di venire avvisati dell’eventuale
richiesta di archiviazione ai sensi dell’art. 408 c.p.p..
In data 7/11/05 l’esposto è stato archiviato, su indicazione del
dottor Nicola Maria Pace, Procuratore della Repubblica di Trieste,
nel Registro degli “atti non costituenti reato”; tale tipo di
archiviazione, ci è stato spiegato negli Uffici della Procura, non
obbliga il Procuratore a motivare la propria decisione, né a darne
notizia ai denuncianti. Di conseguenza, nel fascicolo relativo,
abbiamo trovato solo copia della documentazione da noi presentata, la
lettera di trasmissione alla Procura della Stazione dei Carabinieri
di Basovizza e nel frontespizio le seguenti annotazioni a penna: “al
Procuratore per Sue valutazioni, data la peculiarità dell’esposto...
io non credo si debba provvedere a sospendere (sic) un atto
amministrativo, né c’è alcun reato in corso”. Data 2/11/05, firma
illeggibile (non è quella del dottor Pace).
In seguito a questa dichiarazione, che non essendo più
particolareggiata non ci permette di comprendere a fondo il motivo
per cui quanto da noi denunciato non raffiguri alcun reato, dobbiamo
per forza cercare di dare delle interpretazioni a quanto la Procura
ha inteso sostenere.
Se la Procura non ritiene necessario procedere ad un recupero delle
salme presenti nel Pozzo della Miniera prima dell’ultimazione dei
lavori che potrebbero inibirne la successiva possibilità, nonostante
tutte le notizie di presenza di dette salme (che potrebbero
costituire i “gravi indizi di reato”), ciò può significare soltanto,
a parere nostro, che la Procura non ritenga che vi siano salme ancora
giacenti nel Pozzo suddetto: altrimenti ne avrebbe dovuto ordinare il
recupero.
A questo punto, però, dobbiamo ritenere che, oltre a quanto fu
recuperato dalla voragine nel 1945 a cura degli angloamericani (il
verbale di tali recuperi fu pubblicato sul “Piccolo” di Trieste il
31/1/95, e fu sintetizzato nelle seguenti parole scritte dal
giornalista: < Ma una decina di corpi smembrati e irriconoscibili non
dovevano sembrare un risultato soddisfacente e alla fine si preferì
sospendere i lavori >.
Di conseguenza, possiamo essere portati a pensare che oltre alla
“decina di corpi smembrati e irriconoscibili”, già recuperati nel
1945, nel Pozzo della miniera non ci sono mai stati altri resti
umani; che tutto quanto apparso sulla stampa, in testi storici, in
dichiarazioni di intellettuali e di uomini politici rispetto alle
“centinaia”, “migliaia” di infoibati, agli eccidi di Basovizza e via
di questo passo, siano soltanto voci inconsistenti, non degne di
essere considerate notizie di reato (chi parla di massacri avvenuti
in un certo posto e di cadaveri ancora lì giacenti, cosa fa, se non
comunicare di essere a conoscenza di un reato consumatosi?) da parte
della nostra Procura della Repubblica.
Però a questo punto potremmo anche ritenere che non solo la foiba di
Basovizza non dovrebbe più essere considerata un monumento nazionale
(monumento a ricordo di fatti che non sono avvenuti?), ma potremmo
anche chiedere che le voci, non degne di fede, di coloro che
continuano a parlare di eccidi avvenuti a Basovizza, quando la
Procura non ritiene di dover agire per recuperarne i resti delle
presunte vittime, vengano fatte tacere, in quanto false ed
inattendibili, ed atte a turbare l’ordine pubblico.
E potremmo anche chiederci e chiedere alle autorità competenti, se
sia congrua la spesa di 805.000 Euro, tratte dai fondi per le
celebrazioni del cinquantenario del ritorno di Trieste all’Italia,
per “riqualificare” un monumento che non ha ragione di esistere, in
quanto propaganda un falso storico
Per opportuna conoscenza ai nostri lettori, pubblichiamo la lettera
inviata dai sottoscritti Pahor e Cernigoi al senatore Giulio Andreotti.
Egregio Signore
Giulio ANDREOTTI
Senatore a vita
Senato della Repubblica
Palazzo Madama
00186 - ROMA
Nell’ormai lontanissimo 1959 Ella, nella veste di Ministro della
Difesa, ha assicurato, rispondendo ad una interrogazione parlamentare
dell’on. Giorgio Almirante, che la copertura delle foibe di Basovizza
e di Monrupino è provvisoria, già predisposta per essere tolta, ed ha
promesso che tale copertura sarebbe stata tolta non appena le
condizioni sanitarie e di sicurezza l’avrebbero permesso.
Il progresso della medicina e della tecnologia civile e militare, ha
fatto tali passi da rendere del tutto possibile il promesso recupero
dei resti mortali, rispetto al quale l’on. Almirante ha posto
l’interrogazione parlamentare nell’interesse dei congiunti delle
persone che colà sarebbero state uccise nel 1945.
L’amministrazione comunale di Trieste ha deciso di coprire la
copertura fatta nel 1959 a cura del Commissariato generale per le
onoranze ai caduti in guerra sulla voragine di Basovizza con un
enorme cofano di ferro, annullando così la possibilità di recupero
delle salme che ivi si troverebbero.
Le chiediamo pertanto di intervenire nelle sedi competenti affinché
quanto promesso dal Ministro della difesa dell’epoca ai familiari
delle persone uccise in quelle località venga fatto prima della
collocazione di detto cofano di ferro.
Oltre che per il fatto di veder mantenuta una promessa che Ella ha
fatto ai congiunti, rappresentati dall’on. Almirante, riteniamo che
sia Suo interesse che la copertura delle due voragini venga tolta ed
i resti mortali colà giacenti recuperati, anche per un altro motivo.
Infatti dalle nostre parti corre voce, specialmente dopo che il
dottor Giorgio Rustia ha scritto, nel 2000, che “la foiba di
Monrupino è un eccesso della nostra storiografia che ha voluto creare
una foiba in cui saranno stati buttati una dozzina o una ventina di
soldati tedeschi”, che Ella sapeva benissimo, già prima della
decisione di far chiudere le due voragini, che esse non contenevano
resti mortali di italiani, uccisi solo perché italiani, ma ha voluto
impedire che le operazioni di recupero di resti mortali inesistenti
dimostrassero l’infondatezza delle accuse nei confronti delle forze
armate jugoslave, accuse che sono servite per decenni come pretesto
per negare alla minoranza linguistica e nazionale slovena quella
tutela che, secondo le sentenze della Corte Costituzionale, le
spettava fino dal 1° gennaio 1948. Sarebbe quindi auspicabile un Suo
intervento per evitare che i lavori in corso sul monumento di
Basovizza rendano non realizzabile il recupero delle salme da Lei a
suo tempo promesso.
In attesa di un gentile riscontro porgiamo distinti saluti.
Dobbiamo a questo punto precisare che fino a questo momento non
abbiamo avuto alcun riscontro. Abbiamo quindi deciso di rendere
pubbliche queste nostre note.
Marzo 2006.
=== 2 ===
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-il_caso_dell%
27imbrattamento_delle_due_foibe.php
Il Caso Dell'Imbrattamento Delle Due Foibe
QUALE FOIBA E' STATA IMBRATTATA? QUELLA DI BASOVIZZA O QUELLA DI
MONRUPINO?
“Imbrattata ancora una volta la Foiba di Basovizza dove è ancora
aperto il cantiere per il rinnovamento del sito”, leggiamo sul
“Piccolo” del 18/10/06, e più avanti: “l’atto vandalico ha subito
provocato la reazione del presidente provinciale di AN Gilberto Paris
Lippi” (Lippi, lo ricordiamo, è anche vicesindaco del Comune di
Trieste). Leggiamo poi che Lippi si è dichiarato “sconcertato e
allibito di fronte alla notizia che alcuni vandali hanno nuovamente
imbrattato il cippo dei Volontari (...) con la scritta in vernice
nera, Ozna, con la stella rossa, falce e martello, hanno rimarcato la
loro mancanza di coraggio”; seguono altre affermazioni del
vicesindaco che accusa i “vandali” di “viltà e vigliaccheria” e di
essere “capaci di comunicare le loro idee” solo con “l’atto
vandalico”, ed in tal modo “oltraggiano il ricordo dei nostri
cittadini e danneggiano contemporaneamente il patrimonio comune”;
inoltre Lippi stigmatizza la “mancanza di cultura” dei “vandali”, di
quella “cultura che oggi ci induce ad intraprendere un percorso che
porti il nostro Paese verso una memoria condivisa e non ad una
costante dimostrazione di intolleranza, risentimento e violenza”.
Stanti queste affermazioni di Lippi contrarie ad “intolleranza,
risentimento e violenza”, auspichiamo che quest’anno il nostro
rappresentante istituzionale si sia astenuto dal festeggiare la
ricorrenza della marcia su Roma, come era invece uso fare in un
passato neanche tanto remoto. Del resto è proprio da alcune sue
dichiarazioni a proposito della serata di festeggiamenti (pubblicate
sul “Piccolo” del 31/10/00) che possiamo forse comprendere meglio il
concetto di memoria condivisa propugnato dall’oggi vicesindaco ed
allora consigliere regionale:
“Abbiamo passato una bella serata. Un modo come un altro per stare
assieme. Il 26 ottobre si celebra la seconda redenzione di Trieste,
quella del 1954, e visto che il 28 ottobre era vicino, lo abbiamo
ricordato collettivamente (...) La marcia su Roma del resto fa parte
del nostro passato, perché fingere di essercene dimenticati?”.
Già, perché Lippi e Menia non dovrebbero festeggiare il proprio
passato, soltanto perché vorrebbero che altri rinnegassero il proprio?
Ma torniamo alla questione dell’imbrattamento della foiba, così come
denunciato da Lippi. Innanzitutto non ci risulta che presso il
monumento esista alcun “cippo dei volontari” (volontari in quale
Corpo, ci chiediamo innanzitutto): c’è un cippo posto dagli alpini,
uno dalla Guardia di Finanza ed uno dalla Federazione grigioverde a
ricordo di tutti i militari. Inoltre non ci sembra molto chiara la
descrizione della scritta in vernice nera che comprende anche una
stella rossa: o gli ignoti “vandali” si sono dedicati alla policromia
nell’imbrattamento, o forse per Lippi tutte le stelle sono rosse per
definizione se si trovano presso una falce e martello.
Alla protesta di Lippi è seguita una nota del capogruppo dei DS in
Consiglio comunale, Tarcisio Barbo, che sostiene essere il fatto “più
che un atto vandalico una vera e propria provocazione (...) ne è
evidente dimostrazione il richiamo all’Ozna” (dal “Piccolo” del 19
ottobre).
Anche qui c’è qualcosa che non ci convince. L’Ozna era un organo
istituzionale di polizia jugoslavo esattamente come all’epoca dei
presunti “infoibamenti” erano organi istituzionali di polizia l’OSS
statunitense e la FSS britannica, tutti di paesi che erano alleati
nella guerra contro il nazifascismo. Dove stia la provocazione nel
richiamo all’Ozna, Barbo ce lo dovrebbe spiegare meglio; ma rileviamo
che anche lui conclude il comunicato con un richiamo alla
“pacificazione in atto”, proprio come Lippi.
Fin qui le notizie sulla stampa: però a questo punto noi andiamo
oltre perché abbiamo avuto delle informazioni interessanti da parte
del professor Samo Pahor, che, non risultandogli l’esistenza di alcun
“cippo dei volontari” presso la foiba di Basovizza, si è recato con
un altro testimone sul luogo per verificare lo stato dei luoghi.
Ricordiamo che l’intera area è ancora recintata per i lavori di
“riqualificazione” a cura del Comune di Trieste, ma lo stato dei
luoghi è visibile anche dall’esterno. Sentiamo ora cosa ci ha
raccontato Pahor.
“Siamo andati fino al cantiere per verificare cosa fosse stato
effettivamente imbrattato, però non abbiamo visto alcuna scritta o
imbrattamento. Così, pensando che si fosse già provveduto, nel corso
dei tre giorni intercorsi, alla pulizia del sito, ci siamo recati
presso la stazione dei Carabinieri di Basovizza, per chiedere
chiarimenti. Alle nostre domande il maresciallo ci ha risposto che
loro non hanno constatato alcun imbrattamento, e la ditta che sta
effettuando i lavori ha negato che vi sia stato alcun atto vandalico”.
A questo punto ci siamo chiesti, noi come il professor Pahor, come
abbia potuto il vicesindaco Lippi denunciare, oltretutto con tale
dovizia di particolari, un imbrattamento che non è avvenuto. Così,
mentre noi ci limitiamo a segnalare all’opinione pubblica questa
palese contraddizione, Pahor ha invece presentato una denuncia alla
Procura della Repubblica, avente come oggetto: “denuncia penale per
il reato previsto e punito dall’art. 656 del c.p. con l’aggravante ai
sensi dell’art. 3 della legge 13/10/75 n. 654 e della legge 25/6/93
n. 205 (...)”.
Pahor si richiama all’art. 656 (“pubblicazione o diffusione di
notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine
pubblico”) poiché “l’atto che non è stato commesso è però tale che
avrebbe turbato l’opinione pubblica ed avrebbe causato il disturbo
dell’ordine pubblico”, e quindi chiede vengano acquisite dalla
magistratura le note inviate sia da Lippi sia da Barbo.
Per la cronaca, diciamo subito che questa denuncia è stata quasi
immediatamente archiviata dalla Procura triestina tra quelle “non
costituenti notizia di reato”.
Un’altra denuncia, di simile tenore, è stata presentata anche da
Paolo Parovel; a queste denunce sono seguiti comunicati stampa, che
sono stati peraltro ignorati sia dal “Piccolo”, sia dalle emittenti
radiotelevisive locali, mentre hanno trovato spazio sulla stampa
slovena di Trieste ed in alcuni siti internet nazionali. Va però
rimarcato che, ancora il 9 ed il 14 novembre scorsi, il “Piccolo” ha
pubblicato, all’interno di elenchi di atti vandalici avvenuti in
città negli ultimi mesi (soprattutto danneggiamenti a strutture
scolastiche) anche l’annotazione che il 17 ottobre la foiba di
Basovizza è stata imbrattata con la scritta “Ozna”.
Fin qui abbiamo trattato delle notizie apparse sulla stampa
triestina. Se però andiamo a leggere la stampa friulana, scopriamo
che l’intreccio si complica e le contraddizioni aumentano: infatti il
2 novembre (quindi alcuni giorni dopo le denunce presentate da Pahor
e Parovel, ed i relativi comunicati stampa – inviati anche a testate
regionali), sul “Gazzettino” troviamo in prima pagina il seguente
titolo “Foiba di Opicina (il corsivo è nostro, n.d.r.) sfregiata la
stele”, ed il rimando alle pagine interne, dove due articoli, firmati
dai giornalisti Maurizio Bait e Roberto Urizio, ci rendono edotti del
fatto che, in seguito ad una segnalazione inviata al
“Gazzettino” (diciamo subito che la stessa lettera è apparsa
integralmente sul “Messaggero Veneto” dello stesso giorno) dal
generale in congedo Luciano Santoro, la stele “che ricorda le vittime
della foiba di Monrupino” era stata “imbrattata con la scritta Ozna
accompagnata da una grossa stella e dalla falce e martello”.
Prendiamo atto che all’interno dell’articolo è pubblicata anche una
foto della lapide imbrattata (in vernice nera, come segnala
l’articolo), dalla quale possiamo dedurre che la scritta non deve
essere stata fatta con una bomboletta spray in fretta e furia ma con
un pennello e, data l’accuratezza e la precisione del disegno della
stella rossa in vernice nera, l’anonimo “artista” deve averci messo
un po’ di tempo per realizzare la sua “opera”. Nell’articolo leggiamo
anche che il Comune di Trieste ha provveduto immediatamente alla
pulizia della stele e che le cerimonie dei giorni seguenti si sono
svolte regolarmente.
Tralasciamo di commentare tutti gli annessi e connessi degli articoli
dei due cronisti, che per l’ennesima volta ci presentano le solite
falsità sulla questione delle “foibe”, mettendo in evidenza solo il
fatto che una volta ancora non viene detto che nella foiba 149 di
Monrupino sono stati sepolti sommariamente i militari germanici
caduti nella battaglia di Opicina, i cui corpi sono poi stati
traslati dapprima al cimitero triestino di S. Anna e successivamente
a quello militare germanico di Costernano in provincia di Verona,
quindi la stele posta a ricordo degli “istriani fiumani e dalmati”
ivi caduti è un falso storico che non rende giustizia a nessuno.
L’atto vandalico è stato denunciato alla stampa, abbiamo detto, dal
generale Santoro, che, leggiamo, si era recato il 14 ottobre (notiamo
che le notizie sull’imbrattamento di Basovizza lo datano invece al 17
ottobre) con “un gruppo dell’Anupsa (Associazione nazionale ufficiali
provenienti dal servizio attivo) di Udine che, composto da una
cinquantina di persone, dopo una visita al laboratorio di luce al
sincrotrone Elettra di Basovizza, ha deciso di recarsi alla foiba in
questione (cioè quella di Monrupino, n.d.r.) poiché quella, più
famosa, di Basovizza è oggetto in questo periodo d’interventi di
riqualificazione”.
A questo punto ci troviamo di fronte a diversi fattori da valutare.
Innanzitutto ricordiamo che a Trieste Paris Lippi aveva denunciato,
come avvenuto alla foiba di Basovizza, un imbrattamento (che però non
risulterebbe essere avvenuto) la cui descrizione corrisponde a quello
che abbiamo visto nelle foto pubblicate dai giornali friulani come
riferito alla foiba di Monrupino. Dunque, se l’imbrattamento è
avvenuto a Monrupino, perché Lippi parla di Basovizza, e, anche
ammettendo che si sia confuso tra le due foibe, perché non ha fatto
una rettifica pubblica?
Secondo punto: perché sulla stampa triestina si è parlato solo ed
esclusivamente del presunto imbrattamento di Basovizza e mai di
quello (reale, supponiamo, stante la foto) di Monrupino, che invece è
stato trattato dalla stampa friulana con un forte risalto? Dato che
il “Messaggero” ed il “Piccolo” appartengono allo stesso gruppo
editoriale, ci risulta oscuro il motivo per cui la lettera del
generale Santoro sia stata pubblicata dal quotidiano friulano e non
da quello triestino, considerando soprattutto che il fatto denunciato
si sarebbe svolto in provincia di Trieste e non in quella di Udine.
Poi ci è sorto l’interesse di conoscere meglio i protagonisti di
questo “caso stampa”. L’associazione cui fa riferimento il generale,
innanzitutto. Cos’è l’Associazione nazionale ufficiali provenienti
dal servizio attivo (Anupsa)? Nel sito internet dell’Esercito abbiamo
trovato che l’atto costitutivo dell’Anupsa porta la data del 3
febbraio 1948; successivamente viene citata “una frase significativa
dello Statuto sociale” che “ne delineava gli scopi principali”.
Eccola: “La fiamma che per oltre un trentennio ha sorretto il nostro
animo non può e non deve spegnersi. Appare pertanto evidente la
necessità di organizzarsi sia per alimentare la fiamma sia per
garantire i nostri interessi presso le Autorità Militari sia per
valorizzare le nostre capacità lavorative in ogni campo”.
Questo richiamo al “trentennio” precedente al 1948 può forse far
pensare ad una sorta di “nostalgia” per il periodo storico
corrispondente al ventennio fascista, così come anche il concetto di
“alimentare la fiamma” ci ricorda altri simboli di movimenti politici
nostalgici della medesima epoca; ultima annotazione, leggiamo che il
loro primo “Notiziario interno” uscì il 31 luglio 1948 e “cambiò
veste e titolo” nel gennaio 1958, diventando “Tradizione Militare”.
Passiamo ora al generale Luciano Santoro, residente a Cividale, che,
da fonti Internet ci risulta “nel 1965 tenente proveniente
dall’accademia militare di Modena (...) in servizio nel 76° Rgt.
fanteria con sede in Cividale del Friuli” (segnalazione nel sito
Esercito italiano bacheca), nonché rappresentante di una
“Associazione di Studi Storici cividalesi”, della quale attività non
abbiamo trovato però molte notizie. Gli interventi del generale
Santoro sulla stampa, presenti in rete, sono per lo più tratti dal
“Gazzettino”, ed hanno come tema ricorrente i “pericoli identitari”
per Cividale e le valli del Natisone se fosse applicata la legge di
tutela per la minoranza slovena, in quanto, Santoro, come anche la
Lega Nazionale del Friuli, ritengono che nella zona non esista alcuna
comunità “slovenofona”. Non sappiamo inoltre se, e in quale legame di
parentela egli sia con la professoressa Piera Specogna Santoro, pure
di Cividale, che fu tra gli eredi del “gladiatore” Aldo Specogna che
querelarono gli autori del testo “Gli anni bui della Slavia” per
quanto essi avevano scritto su di lui.
È invece necessario ora riportare alcune delle espressioni usate dal
generale in congedo nella lettera pubblicata dal “Messaggero”, per
comprendere il suo pensiero. Riferendosi a varie scritte “anti-
italiane” che sarebbero comparse in vari tempi (non specifica quali)
e vari luoghi, egli sostiene che “sono segnali molto preoccupanti di
un revanscismo sloveno o filosloveno che probabilmente noi stiamo, a
causa del nostro solito buonismo e del menefreghismo politico,
sottovalutando. Se poi si aggiunge che si vuole riconoscere la
minoranza linguistica nazionale slovena anche dove lo sloveno non si
è mai parlato, né viene capito, e cioè nelle valli del Natisone,
Torre-Cornappo, Resia, dove si usano parlate molto particolari, ma
addirittura anche a Cividale del Friuli, che con gli sloveni, nella
sua bimillenaria storia, non ha avuto niente da spartire, allora ci
si domanda se, per caso, non c’è dietro qualche altro progetto, che
alla fine della seconda guerra mondiale non è stato, per nostra
fortuna realizzato (la formazione, con i territori italiani di
Trieste, di Gorizia e della provincia di Udine, della settima
repubblica della federazione jugoslava), ma che adesso piano piano
potrebbe attuare una qualche attuazione”.
Queste grottesche (nonché anacronistiche, stante che la Jugoslavia è
un bel po’ di tempo che non esiste più) affermazioni di Santoro ci
richiamano alla mente quelle, altrettanto curiose, espresse dal
triestino Giorgio Rustia in un volantino diffuso nel novembre 1998 a
firma di un “Comitato spontaneo di cittadini che non parlano
sloveno”: all’epoca, quando la legge di tutela non era ancora stata
approvata, Rustia, sosteneva che tramite essa gli sloveni sarebbero
riusciti ad ottenere per mano legale ciò che non riuscì loro “manu
militari” nel ‘45 con i carri armati: cioè occupare i “nostri”
territori. E come? Semplice, spiega Rustia: con questa legge di
tutela a Trieste ci sarà bisogno di circa 250/300 interpreti che
dovranno giocoforza venire qui da oltre confine perché “a Trieste non
ci sono sloveni disoccupati”; questi interpreti si porterebbero
dietro la propria famiglia (“moglie, due figli, genitori, fratelli”),
cosicché in men che non si dica a Trieste ci sarebbero un migliaio di
sloveni in più, dal che nascerebbe un ulteriore bisogno di
interpreti, che dovrebbero nuovamente venire “importati” da oltre
confine e via di seguito; in tal modo, secondo Rustia, si sarebbe
sviluppata a Trieste una “catena di Sant’Antonio” che avrebbe
riempito di sloveni la città costringendo gli italiani all’emigrazione.
Al di là delle facili ironie che si possono fare leggendo
affermazioni di questo tipo, noi riteniamo che esse siano invece
molto gravi, innanzitutto perché pretendono di negare, usando
argomenti falsi, la presenza storica della comunità slovena nella
Regione (è ben vero che lo sloveno che si parla nelle valli del
Natisone non è lo stesso che si parla a Lubiana, ma non è accettabile
che venga liquidato come “parlata molto particolare”, come se si
trattasse del grammelot di Dario Fo invece che di un idioma
sviluppatosi in un’isola linguistica e proprio per questo diverso
dallo sviluppo che ha avuto la lingua slovena “riconosciuta”); e poi
perché, tramite questa negazione, attribuiscono alla comunità slovena
(ed ai “filosloveni”, cioè a coloro che pur non essendo sloveni,
ritengono che la tutela delle lingue e culture minori sia doverosa
per uno stato democratico) intenzioni eversive che non esistono se
non negli incubi fantastorici di persone come Rustia o Santoro.
Tornando alla questione degli imbrattamenti, reali o presunti,
abbiamo visto come quella che poteva sembrare soltanto una bufala a
proposito di atti vandalici mai avvenuti, si è rivelata invece una
costruzione di falsità ed ambiguità, i cui fini non ci sono chiari,
ma che andrebbero indagati a fondo per le implicazioni che potrebbero
avere nella civile convivenza democratica tra popoli di diversa etnia.
Riteniamo necessario a questo punto che le autorità competenti aprano
un’indagine approfondita su tutta questa vicenda (comunicati,
lettere, articoli, testimonianze, verifiche sull’imbrattamento di
Monrupino, connessioni tra le persone e via di seguito), per chiarire
a fondo di quale tipo di provocazione si sia trattato. Ed auspichiamo
infine che, data l’interrogazione presentata in merito dal
consigliere comunale Barbo lunedì 6 novembre, il vicesindaco Lippi
voglia chiarire pubblicamente i motivi che lo hanno portato a
denunciare alla stampa un imbrattamento che è sì avvenuto nei termini
da lui descritti, ma non sulla foiba da lui indicata.
Novembre 2006