riceviamo e volentieri giriamo
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From: miraglia @...
Subject: Comunicato sulla campagna razzista di Repubblica
Date: May 11, 2007 1:56:58 AM GMT+02:00
COMUNICATO STAMPA
Cara Repubblica, perché alteri i dati per sostenere una tesi politica?
Da giorni uno dei principali quotidiani italiani alimenta
una preoccupante campagna stampa contro i migranti
Dichiarazione di Filippo Miraglia, responsabile immigrazione Arci
Da alcuni giorni è in atto, da parte di uno dei principali quotidiani italiani, un’offensiva culturale davvero preoccupante sul tema dell’immigrazione, ancora una volta affrontato come strettamente connesso a quello della sicurezza e dell’ordine pubblico.
Questo avviene a pochi giorni dal varo, da parte del Consiglio dei Ministri, di un Disegno di legge sostitutivo della Bossi-Fini, che ribalta l’impianto culturale e politico della destra, mettendo al centro il migrante come persona, con la sua storia e il suo bagaglio di diritti, oltre che di doveri.
Ed avviene mentre si concretizza il progetto di partito democratico e si apre la discussione sui contenuti che dovrebbero caratterizzare questo nuovo contenitore, contenuti su cui forse anche Repubblica vorrebbe esercitare un’influenza.
Ci sembra utile sottolineare il contesto in cui viene mossa quest’offensiva culturale, perché in qualche modo la rende ancora più preoccupante.
I fatti. Si parte con il grande spazio dato alla nazionalità e all’attività della ragazza che ha ucciso la povera Vanessa nella metropolitana di Roma. Si prosegue con la lettera in prima pagina dell’ormai famoso dipendente del Quirinale che lamenta come la maleducazione, i furtarelli, i comportamenti fastidiosi di migranti e rom rischino di far diventare lui, persona perbene e di sinistra, un razzista. Angius gli risponde rassicurandolo: si può continuare ad essere perbene e di sinistra e sì, provare fastidio per questi teppistelli stranieri. Si prosegue il giorno dopo con una lettera, sempre in prima pagina, di Veltroni che con tono rassicurante spiega ai lettori che legalità e sicurezza sono valori in sé, né di destra né di sinistra, e che sì, oltre a godere di diritti (quali?) i migranti devono rispettare i doveri.
Infine oggi, titolo di prima: “un reato su tre commesso da immigrati”. Salvo poi leggere i dati dell’indagine conoscitiva del Ministero degli Interni cui si fa riferimento nell’articolo, per scoprire che gli immigrati hanno rappresentato nel 2005 il 33,41 % del totale delle persone denunciate, denunciate, non condannate. Chiunque abbia un minimo di cultura giuridica sa che la denuncia è solo il primo atto di un procedimento giudiziario che può concludersi con l’assoluzione, l’archiviazione o la condanna. Presumerne automaticamente, come fa Repubblica, la colpevolezza è un’operazione di disinformazione, tanto più grave in quanto utilizzata per sostenere una tesi politica: e cioè che in Italia i migranti rappresentano un grave problema di sicurezza. Il che alla fine ci riporta alla lettera da cui siamo partiti: si può diventare razzisti perché ci si sente insicuri.
Insomma, un’operazione culturale e politica regressiva che respingiamo. Tanto più preoccupante in quanto avviene nel contesto di cui prima dicevamo e da parte di una testata di cui fin’ora avevamo apprezzato il rigore e l’onestà intellettuale, pur non condividendone sempre le opinioni. Ma una cosa è la normale dialettica tra punti di vista diversi, una cosa è montare una campagna di stampa che altera, in questo caso, la verità dei dati.
Roma, 10 maggio 2007
Filippo Miraglia
Responsabile Immigrazione ARCI
Via dei monti di pietralata 16
00151 Roma+
tel. +39.3484410860
e mail miraglia @ arci.it
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Caro direttore, dottor Augias,
se persone anche di sinistra come il signor Polverini, si sentono così esasperati, fino al punto di “chiedere aiuto” nel tentativo di soffocare le pulsioni razziste non più contenibili nel suo addomesticato corpo, è anche la dimostrazione di quanto sia radicato il processo di banalizzazione della xenofobia e del razzismo.
Ovviamente non sta a me definire la linea editoriale di Repubblica, tuttavia, vorrei sottolineare quanto la scelta di dare spazio in prima pagina ad un così imponente concentrato di stereotipi, luoghi comuni e generalizzazioni, testimoni quanto i media, anche quelli progressisti, si prestino ad essere strumenti di amplificazione di pregiudizi basati su episodi ai quali vengano dati carattere generale e di conferma, megafono di sentimenti e reazioni che fanno completa astrazione di elementi di contesto e diventano sentenza, come appunto le esternazioni del signor in questione.
Sono una donna nera, proveniente da un paese del profondo terzo mondo che da 17 anni vive in Italia, sarei quindi tentata a sfoderare un elenco interminabile di episodi, atteggiamenti, frasi, dalle quali potrei desumere che gli italiani sono tutti xenofobi o ancora di più, razzisti. So che la questione è più complessa e non esistono dei blocchi monolitici per nazionalità, né per provenienza, né per “razza”, né per religione, né per orientamento sessuale: ci sono italiani come ci sono persone e a maggior ragione, ci sono immigrati come ci sono persone, con tutte le loro diversità in quanto individui e in quanto componenti delle diverse collettività. E questo essere individui e allo stesso tempo parte di uno o più collettivi non è di per sé un valore né un disvalore.
É l'etnicizzazione delle persone, e ancor di più, l'etnicizzazione dei fatti deplorevoli, il percorso che porta alle cristallizzazione del pregiudizio e quindi al razzismo. La caratteristica rilevante diventa la nazionalità o i tratti fenotipici e il fatto acquisisce una nazionalità. Siamo sicuri che i fatti elencati nello sfogo del autore siano compiuti soltanto o prevalentemente da stranieri? Oppure la colpa di essere stranieri rende più visibili e inaccettabili i fatti di devianza e maleducazione segnalati?
Fino ad arrivare all'ultimo paragrafo, si direbbe che secondo il signor polverini, prima dell'avvento degli immigrazione l'Italia fosse una specie di giardino dell'innocenza.
Ho fatto un'intera gravidanza viaggiando in autobus in Toscana e non ho mai trovato una persona che si fosse alzata per cedermi il posto; mi sono vista maggiorare i prezzi in un bar centrale con il chiaro messaggio di allontanarmi per sempre, e mi fermo quà.
La questione più sconcertante del discorso alla “io non sono razzista ma...” del quale il giornale si è fatto veicolo, è il riferimento alla violenza degli stranieri nei confronti di donne italiane e straniere; sembra curioso che sfugga a questo signore, che più del 90% degli episodi di violenza che subiscono le donne avvengono in ambito familiare, parentale e degli amici e, che le aggressioni avvengono trasversalmente e indipendentemente della nazionalità, classe sociale, livello di istruzione. Un anno fa in Veneto, un uomo seppellì viva una giovane donna di 20 anni incinta di 9 mesi dopo averle inflitto violente percorse; dovrei dedurre che gli italiani, o i veneti sono massacratori di donne? Poco dopo un altro gettò sua moglie in un cassonetto della spazzatura avvolta in un sacchetto di plastica, questo è un tratto culturale degli italiani? La lista sarebbe lunghissima.
Vi ricordo tre fatti di cronaca troppo sferrati per essere compiuti da italiani, che avevano già indotto le folle a manifestare contro i barbari della violenza inaudita:
la suora uccisa a Chiavenna, presumibilmente da stranieri. Poi si è scoperto si è scoperto che erano state due italianissime ragazze di buona famiglia.
il massacro di Novi Ligure, era partita la fiaccolata contro gli albanesi, prima di scoprire che a uccidere era stata la figlia e sorella delle vittime;
Erba, per quello lascio a voi gli aggettivi.
Vi siete chiesti come mai una ragazzina di 12 anni simula uno stupro e accusa un cittadino marocchino? Sa di essere credibile se è straniero il mostro che costruisce.
Per quando riguarda il discorso sulla legalità, considerare la condizione di migrante come un'attenuante per giustificare atti di devianza è buonismo e paternalismo pericoloso; considerare però tale condizione un aggravante, è razzismo senza aggettivi. Non occorre un codice penale speciale, basta applicare le leggi a tutti con le stesse modalità.
Leggi e legalità ci riconducono tutti e tutte ad un universo amplio che, semplificando potremmo definire di doveri e di diritti. E se è un dovere non compiere reati e rapportarsi civilmente agli altri, è un diritto per chi ha scelto di vivere in Italia non dover tremare ogni volta che da un giornale o da una televisione si rinnova l'allarme immigrazione?
Mercedes Frias