Il compagno Veltroni, il più abile agente della Cia

 

Dopo il dossier Mitrokhin, dagli archivi dello spionaggio internazionale arriva il dossier Kuriakhin, con una rivelazione sensazionale: Walter Veltroni fin da ragazzo è stato reclutato dalla CIA per infiltrarsi nel PCI e conquistarne la leadership. Secondo Kuriakhin solo così si spiegano le abissali differenze tra quanto afferma oggi e quanto sosteneva in passato. Il dossier analizza metodicamente i suoi scritti e i discorsi, dai primi passi nella FGCI a oggi. E scopre che mentre il Veltroni del 2000 dice di non essere mai stato comunista, di aver dissentito dalla linea del PCI e di aver sempre odiato l’URSS e amato gli USA, in precedenza affermava l’esatto contrario.
Tra il gioco della satira politica e il rigore del saggio documentato, il dossier Kuriakhin ci porta a una domanda cruciale: chi è il compagno Veltroni? Il suo è un fantastico caso di spionaggio oppure un esempio insuperabile di trasformismo?
 
Ovviamente, Ilya Kuriakhin non esiste, e il reclutamento di Walter Veltroni nella CIA è solo un espediente satirico. Ilya Kuriakhin, infatti, è il nome di un personaggio televisivo, un agente segreto che appariva nella celebre serie di telefilm The Man From U.N.C.L.E. (trasmessa dalla RAI anche in Italia), prodotta tra il 1964 e il 1967. Per Il compagno Veltroni sotto lo pseudonimo di Ilya Kuriakhin si nasconde in realtà un giornalista che ha militato a lungo nel PCI e che conosce bene, dall’interno, le vicende di quel partito.

 

 

MILLELIRE STAMPA ALTERNATIVA
Direzione editoriale Marcello Baraghini
 
Graphic designer Daisy Jacuzzi
 
Stampato per conto della Nuovi Equilibri srl
presso la tipografia Union Printing spa (Viterbo) nel mese di marzo 2000
 
 
Premessa
 
La politica italiana è stata bersagliata sempre di dossier e rivelazioni a sorpresa. Da ultimo, ci ha pensato il dossier Mitrokhin a elencare i nomi di vere o presunte spie del KGB. Ma dopo il dossier Mitrokhin, ecco arrivare dai segreti archivi dello spionaggio internazionale il dossier Kuriakhin, che si annuncia ancor più esplosivo.
Secondo questo nuovo dossier, infatt i, il leader diessino Walter Veltroni sarebbe da anni un agente della CIA.
Le rivelazioni sono inquietanti e si basano su una metodica analisi delle dichiarazioni pubbliche di Veltroni nei decenni passati, mettendole a confronto con le sue tesi attuali. Altri ex-comunisti, come Enzo Bettiza nel lontano passato, o Giuliano Ferrara in tempi più vicini, hanno teorizzato e spiegato la loro scelta di cambiare opinione, ad un certo punto della vita e dell’esperienza politica. Walter Veltroni, invece, nel condannare la “tragedia” del comunismo ha cercato di accreditare un’immagine di sé “innocente” rispetto alle colpe attribuite alla vicenda comunista, ricostruendosi a ritroso una immacolata rispettabilità di dissenziente.
Ecco perché le recenti dichiarazioni di Veltroni sull’incompatibilità tra comunismo e libertà hanno involontariamente rivelato la vera identità del segretario diessino: non sarebbe mai stato comunista, pur professandosi tale e riuscendo a scalare la gerarchia del partito fino a diventarne un dirigente nazionale e poi a raccoglierne la guida, dopo la trasformazione in DS. Anzi, Veltroni afferma candidamente (ormai non ha più bisogno di copertura: la missione è compiuta, direbbe James Bond) di aver sempre preferito gli USA all’odiata URSS. E allora? Il dossier Kuriakhin svela la verità, l’unica possibile: Veltroni era (e forse è ancor oggi) un agente della CIA.
Veltroni afferma, oggi, di non essere mai stato comunista e di aver dissentito dalla linea prevalente nel suo partito, nonostante facesse parte sin da ragazzo dei gruppi dirigenti della FGCI e poi del PCI. Di più: Veltroni sostiene di aver sempre considerato l’URSS come il nemico e gli USA come gli amici principali dell’Italia e dell’Occidente. Eppure, le sue dichiarazioni pubbliche, i suoi articoli apparsi sulla stampa comunista a partire dagli anni ’70, i documenti politici da lui controfirmati, e raccolti dal dossier Kuriakhin, affermavano l’esatto contrario: gli USA come pericolosa potenza imperialista, i paesi socialisti come speranza per le nuove generazioni, lo stalinista Togliatti come esempio per i giovani, le scelte dei leader del PCI sempre giuste e coerenti.
Non può che esserci una spiegazione, per Kuriakhin: Veltroni fin da ragazzo è stato reclutato dalla CIA per infiltrarsi nel più grande partito comunista d’occidente e, agendo sotto copertura e simulando fedeltà e allineamento alle direttive del partito, effettuare una clamorosa scalata di potere fino a conquistarne la leadership. In confronto, i risultati del KGB e della Stasi, che riuscirono a mettere un loro uomo, la spia della Germania est Gunther Guillaume, come segretario personale di Willy Brandt, impallidiscono: Veltroni, infatti, è diventato addirittura segretario del partito. Nel caso di Veltroni abbiamo a che fare con un abilissimo agente segreto dalla doppia vita (in pubblico comunista inossidabile, ma nell’intimo, per sua stessa ammissione, anticomunista e filoamericano), in grado di adempiere la missione impossibile di raggiungere per conto degli americani il vertice di un partito avversario.
La scoperta che Walter Veltroni era un agente della CIA infiltrato nel PCI getta un’ombra clamorosa sulla storia recente della democrazia italiana. E il partito comunista di Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer si rivela un organismo pullulante di spie: spie del KGB, certamente, ma ora sappiamo anche spie della CIA. Ecco perché il dossier Kuriakhin rischia di diventare più devastante, almeno in Italia, del dossier Mitrokhin.
Quella che leggerete, dunque, è una storia di spionaggio, nata quando ancora si ergeva il Muro di Berlino, e un giovanissimo italiano, Walter Veltroni, anticomunista e innamorato degli Stati Uniti, accettò di compiere una straordinaria missione per sgominare i “rossi” del suo paese. Aveva un nome in codice, apprendiamo ora: “agente Icare”. Del suo eroismo, della sua vittoria, parla il dossier Kuriakhin. Al termine della lettura, ognuno potrà decidere chi è il compagno Veltroni. Il suo è un fantastico caso di spionaggio, come afferma Kuriakhin, oppure è un esempio insuperabile di trasformismo e doppiezza? La parola ai lettori.
 
IL DOSSIER KURIAKHIN
Mi chiamo Ilya Kuriakhin. Per molti anni ho lavorato come agente del KGB, e ho seguito da vicino le vicende italiane. La scomparsa dell’URSS non mi ha turbato più di tanto, perché io sono sempre stato un uomo utile ai servizi segreti sia dell’est che dell’ovest. Il vento spesso cambia direzione, e io mi sono adeguato. Ma non è la mia biografia che voglio raccontarvi. Quel che conta è che oggi, finito il duello tra occidente e blocco sovietico, posso finalmente rivelare quanto mi è capitato di conoscere in tanti anni di attività.
Ho operato a lungo negli Stati Uniti, sotto varie coperture, ed è a Washington che sono riuscito a mettere le mani su molti documenti scottanti del servizio segreto americano. Tra questi, il file personale di un italiano, Walter Veltroni: nome in codice “agente Icare” (anche se, per depistare, Veltroni ha recentemente affermato che il suo nome in codice sarebbe “Punto”).
Ho ricopiato tutto il dossier Veltroni su alcuni kleenex e sulle confezioni del chewing gum, a caratteri microscopici, per settimane e settimane, rischiando la vita. Ma sono fiero, ora, di poter far conoscere a tutti la verità su Veltroni, l’agente segreto Veltroni, la cui missione era di infiltrarsi nel più grande partito comunista dell’occidente capitalistico e riuscire ad entrare nei suoi vertici.
Veltroni, rivelano quelle carte da me meticolosamente ricopiate, è stato un “illegale”, un uomo costretto a una doppia vita: nel suo intimo era un anticomunista viscerale, ma in pubblico doveva fingersi un “rosso”, doveva lodare Togliatti (il killer stalinista Togliatti), doveva scagliarsi contro la Democrazia Cristiana asservita agli USA, doveva dimostrarsi pienamente allineato con le scelte politiche di un partito che odiava. Uno stress psicologico che solo i migliori agenti segreti della storia sono riusciti a tollerare. Ma lui, l’agente Walter “Icare” Veltroni, c’è riuscito.
 
 
AGENTE SEGRETO VELTRONI
 
FILE n. 1
 
GLI ANNI SETTANTA
 
Walter Veltroni nasce a Roma il 3 luglio 1955. Il padre è Vittorio Veltroni, «pioniere delle radiocronache in RAI», secondo la sintetica definizione di Giuseppe Fiori, e direttore dei primi telegiornali; la madre è Ivanka, a sua volta funzionaria della RAI e scrittrice di romanzi rosa.
Walter abita in un buon quartiere della borghesia romana, in via Savoia. Seguendo le orme di famiglia, compie gli studi medi all’Istituto Cine-Tv, a due passi da viale Marconi, nella periferia di Roma.
Nel 1970 si iscrive alla FGCI, l’organizzazione giovanile del Partito Comunista Italiano. Cosa spinse quel ragazzo a entrare precocemente in un’organizzazione che, secondo le dichiarazioni dello stesso Veltroni del 1999, era pericolosa per la libertà, in quanto figlia di un partito, il PCI, legato al comunismo, «tragedia del Novecento»? 
Il nostro dossier, come vedremo, svela che già allora Veltroni era stato arruolato dai servizi segreti americani, e questo spiega tutto. E spiega anche perché la sua passione politica si trasformi subito in scalata di potere: in pochi mesi diventa segretario della cellula della sua scuola, e appena diplomato (nel 1973) è funzionario a tempo pieno della FGCI romana.
Nel suo nuovo ruolo di miniburocrate federale, il giovanissimo Veltroni prima dirige gli studenti comunisti della città, poi è eletto segretario della FGCI romana. Un incarico importante, nella capitale, in anni in cui l’organizzazione giovanile comunista cittadina contava ben cinquemila iscritti.
Non era certo un consesso di liberali critici verso la tragedia del comunismo, quella FGCI di cui Veltroni è dirigente fin da ragazzo. Lo Statuto della Federazione Giovanile Comunista Italiana (confermato ancora al XXI Congresso del 1978), infatti, esordisce con un preambolo in cui si afferma: «Gli iscritti e i militanti della FGCI lottano per costruire una società socialista che crei le condizioni e favorisca il processo di liberazione dell’uomo verso il comunismo». E all’articolo 1 si aggiunge: «La FGCI si riconosce nella strategia del Partito Comunista Italiano, contribuisce ad arricchirla, ed educa i suoi iscritti alla conoscenza del marxismo e del leninismo, nello spirito dell’antifascismo e dell’internazionalismo proletario».
Veltroni prese la tessera di quell’organizzazione giovanile, e ne divenne subito dirigente. Però oggi sostiene che «si poteva stare nel PCI senza essere comunisti. Era possibile, è stato così». Nell’organizzazione giovanile di Veltroni, tuttavia, si lottava per «il processo di liberazione dell’uomo verso il comunismo» e ci si educava al marxismo, al leninismo e all’internazionalismo proletario.
I suoi primi passi tra i giovani dirigenti della FGCI romana sono in una chiave che oggi si direbbe “veterocomunista”. È tra gli organizzatori, il 24 febbraio 1974, della manifestazione Togliatti con noi (Nel nome di Togliatti le lotte dei giovani per la pace, la libertà, il socialismo), arricchita da «filmati e documenti inediti sulla vita di Togliatti», come recitava il volantino promozionale. Una kermesse togliattiana che doveva essere costata molta sofferenza a Veltroni, da sempre seguace viceversa (abbiamo appreso di recente) della democrazia occidentale e tutt’al più del socialismo liberale dei fratelli Rosselli.
Ma c’è una miniera di documenti sul veltronipensiero degli anni settanta: è Roma Giovani, mensile della Federazione Giovanile Comunista Romana, come campeggia sulla copertina (e di cui era caporedattore Carlo Leoni, attuale responsabile giustizia dei DS). Fin dal 1974 il periodico ospita innumerevoli articoli e interventi del nostro, che rivelano come, già da ragazzo, fosse costretto a simulare una fede comunista e un’adesione incondizionata alla linea del PCI: oggi sappiamo che doveva occultare la sua missione segreta.
Per rendere credibile la sua scelta comunista, all’epoca, Veltroni doveva accentuare l’antiamericanismo, fugando così ogni possibile sospetto sul suo doppio gioco. Lo desumiamo da uno dei suoi primi articoli, “Una vita da cambiare: la droga”, che appare sul numero 1 di Roma Giovani, nel novembre 1974. Il giovane Walter respinge la riduzione del fenomeno droga «ad una presunta “Americanizzazione” del modo di vivere dei giovani e degli studenti delle grandi città». Le motivazioni dell’uso della droga, al contrario, starebbero in «una angosciosa situazione dove molti giovani sono stati cacciati dall’immoralità delle classi dominanti».
La soluzione, per il compagno Veltroni di allora, è semplice: «I giovani, tutti, sognano una società più giusta ed umana. Questa società per noi è il socialismo». 
Di lì a poco, ecco apparire un Veltroni “militante rivoluzionario”. Lo scopriamo mentre contende a Lotta Continua la leadership del mondo giovanile di sinistra: «Il nostro ruolo è nella capacità del movimento operaio di esercitare appieno la propria egemonia su quei settori dei giovani delusi dall’esperienza estremista. È necessario quindi per il movimento operaio ed il suo partito d’avanguardia rendere più esplicito il rapporto tra lotta quotidiana e prospettiva di trasformazione dello stato, far comprendere alle giovani generazioni il proprio patrimonio teorico ed esplicare alcune questioni centro della elaborazione del marxismo italiano». E conclude solennemente: «Solo così sarà possibile recuperare alla milizia rivoluzionaria i giovani delusi dall’estremismo». 
Presto il Veltroni “militante rivoluzionario” si dichiara anche leninista. È un testo chiave, quello che stiamo per leggere: I giovani, la libertà, il socialismo. Tra citazioni di Gramsci, Lenin e dei comunisti vietnamiti, Veltroni scrive che occorre «porsi concretamente oggi il problema di elevare ad un livello più alto la ribellione dei giovani dando ad essa la luce della coscienza politica e della necessità storica del socialismo». 
Per raggiungere questo ambizioso obiettivo c’è una ricetta magica: «Affondando nelle pieghe della linea del nostro partito fondata sull’analisi scientifica della diversità storica della rivoluzione è possibile trovare una risposta agli interrogativi che tutti i giovani agitano».
Veltroni sostiene che bisogna «operare con rigidità scientifica quella che Gramsci chiamava “una ricognizione nazionale”». E se afferma, secondo la liturgia del PCI di allora, «la necessaria diversità della rivoluzione italiana da quella dell’Ottobre», il giovane Veltroni non disdegna di difendere il concetto di “egemonia”, che di lì a poco diventerà una parolaccia impronunciabile dopo una dura polemica scatenata dal PSI di Bettino Craxi. Scrive infatti il compagno Walter: «Dalla elaborazione del concetto d’egemonia, del partito come forza rivoluzionaria e strumento dell’egemonia, nasce, negli anni difficili del dopoguerra, il nostro disegno di “Via Italiana al Socialismo”».
Non solo, dunque, la rivendicazione dell’egemonia, ma persino del partito «come forza rivoluzionaria».
Andiamo avanti nella lettura. Ecco apparire un riferimento all’artefice della rivoluzione bolscevica, l’uomo che ogni sincero liberale (come oggi Veltroni afferma di essere sempre stato) considera il primo responsabile dei gulag e di quella che lo stesso Veltroni, nel ’99, definirà «la tragedia del comunismo»: Vladimir Ilic Ulianov detto Lenin. Scrive, infatti, il nostro con prosa soviettista: «Si esalta nell’originale elaborazione italiana l’affermazione di Lenin secondo la quale la democrazia e il socialismo si saldano fortemente e la rivoluzione democratica apre la strada a quelle socialiste, mentre la soluzione socialista porta a compimento quella democratica».
Esattamente opposte alle tesi sostenute attualmente da Veltroni sono poi le sue critiche alle altre forze politiche italiane: «Ogni volta che tra i partiti politici si parla di socialismo alcuni di essi, in primo luogo la DC, partono in voli pindarici descrivendo a tinte fosche, come in un libro di Carolina Invernizio, il carattere dittatoriale e le soppressioni della libertà che a parere loro [corsivo mio, n.d.r.] vigerebbero nei paesi socialisti. Non abbiamo mai esitato a far sentire alta la nostra voce quando abbiamo ritenuto che in questo o quel paese un intervento esterno comprimesse la libertà di quel popolo, così come non abbiamo mai mancato di sviluppare un dibattito serrato sulle questioni della democrazia socialista. Ma sempre in questi dibattiti si è affermato il carattere franco e aperto che caratterizza le discussioni tra partiti fratelli».
Sì, avete letto bene: «partiti fratelli», e chi critica l’URSS e i paesi socialisti compie «voli pindarici», e il carattere dittatoriale di quei regimi sarebbe tale solo «a parere loro».
Queste righe svelano, più di ogni altra, il doppio volto di Veltroni: pubblicamente comunista ortodosso, in segreto anticomunista al soldo degli USA. Come spiegare altrimenti la contraddizione con quanto dichiarato nell’ormai celebre articolo su La Stampa nell’ottobre 1999, definito «l’anatema di Veltroni» contro il comunismo?
Afferma oggi Veltroni: «Io ero ragazzo, negli anni settanta, ma pensavo che avesse ragione Ian Palach e non i carri armati dell’invasione sovietica. Io ero ragazzo, allora, ma consideravo Breznev un avversario, la sua dittatura un nemico da abbattere». 
Ma come? Il partito di Breznev non era il primo tra i «partiti fratelli» evocati da Veltroni, proprio negli anni settanta? E perché Veltroni attaccava la DC, rea di dipingere «a tinte fosche» i paesi socialisti, quando ora scopriamo che già allora considerava quelle dittature «un nemico da abbattere»? Resta, di nuovo, una sola spiegazione possibile: Veltroni era un infiltrato, fin da ragazzo, nelle file del PCI.
Proseguiamo nella lettura del fondamentale testo veltroniano I giovani, la libertà, il socialismo. Walter denuncia «l’acquiescenza all’imperialismo» e aggiunge una serie di considerazioni sulle vicende internazionali del periodo. La prima riflessione è dedicata alla rivoluzione portoghese “dei garofani” (caduto il fascismo, il partito comunista-stalinista di Alvaro Cunhal era arrivato alla stanza dei bottoni): «Il Portogallo vive oggi la sua stagione di libertà ed ha iniziato un travagliato e contraddittorio processo di democratizzazione». Persino il segretario del PCI, Enrico Berlinguer, era stato più coraggioso, prendendo le distanze dagli eccessi antidemocratici di Cunhal, che per Veltroni sono solo «un travagliato e contraddittorio processo di democratizzazione».
Ma andiamo avanti. Ora Veltroni si occupa del Vietnam, «il piccolo popolo che ha sconfitto il grande colosso americano». Incurante della caduta di un paese nelle mani dei tiranni comunisti, Veltroni afferma: «I compagni vietnamiti ci hanno detto: “La nostra lotta è giusta, uniti vinceremo”. Ed hanno sconfitto la grande potenza americana e sono entrati a Saigon dove lavorano per costruire un Vietnam pacifico e indipendente».
Veltroni esulta perché sui muri di Saigon «i soldati del GRP hanno scritto le parole che Ho Ci Min pronunciò nel ’68 prima dell’offensiva del TET: “Questa primavera sarà migliore di ogni altra; la notizia delle vittorie riempie di gioia tutto il paese, Nord e Sud, gareggiando in coraggio sconfiggono lo Yankee. Avanti, la vittoria è nelle nostre mani”. L’Indocina, l’Africa, l’America latina, la Cina, Cuba Socialista, il Portogallo, la Grecia, i paesi socialisti dell’Est europeo, tutto il mondo si colloca sulla strada della libertà e del progresso. Libertà, progresso, giustizia sociale, valori che si affermano in dimensioni sempre più ampie tra i giovani e che vanno tutte nella direzione del socialismo. Esso, lo sappiamo, non è dietro l’angolo. Coscienti di questo nel chiedere ai giovani il voto al PCI sentiamo di dover proporre qualcosa di più: un impegno coerente di coscienza e di lotta. Questa è la linea che prospettiamo ma non ne esistono, ne siamo convinti, altre».
Il compagno Veltroni conclude l’articolo con la retorica che non lo abbandonerà mai, nemmeno negli anni recenti “liberalsocialisti”: «No, non ci sono scorciatoie. Lenin diceva che “la via della Rivoluzione non è dritta e selciata come la prospettiva Newski”. I giovani questa via hanno già cominciato a percorrerla, andranno ancora avanti per gli ideali per i quali si sono battuti in questi anni. Gli ideali della pace, della democrazia, del socialismo».
Veltroni nel ’99 scrive: «Noi trentenni “finimmo” la storia del PCI, perché la contraddizione era diventata insostenibile. In primo luogo per noi, per una generazione che aveva l’URSS come avversario e la democrazia occidentale nel DNA, nel vissuto, nella formazione culturale». Come può essere lo stesso Veltroni che nel 1975 parlava di Rivoluzione (rigorosamente con la R maiuscola), citava Lenin, diceva che i paesi socialisti viaggiavano «sulla strada della libertà e del progresso», attaccava sprezzante «gli Yankee»?
Al fine di compiere perfettamente la sua infiltrazione, Veltroni continua a pubblicare articoli dal linguaggio ultra-comunista. Nell’estate del 1975, dopo le elezioni del 15 giugno che hanno visto un’avanzata clamorosa del PCI, declama: «Il nostro partito, con la sua linea ed il suo modo di essere, ha saputo mostrarsi come la grande forza in grado di superare la crisi della società capitalistica». E chiude: «Orientare la spesso generica aspirazione al rinnovamento che è presente tra i larghi settori delle nuove generazioni nella direzione dell’adesione all’ideale della società socialista è già un compito dei giorni successivi il 15 giugno». 
In quello stesso articolo Veltroni si auto-loda (un atteggiamento che non lo abbandonerà mai) per aver contribuito alla vittoria del PCI, a suo parere addirittura con «un peso storico», tramite la nascita dei Comitati Unitari, cioè il movimento studentesco di area PCI di cui a Roma era stato artefice. Teorizzazione che viene amplificata dallo stesso Veltroni poche pagine dopo, sullo stesso numero di Roma Giovani, in un articolo intitolato “Per un nuovo movimento degli studenti”.
Certo quel suo attivismo intorno ai Comitati Unitari (ritenuti dalle altre forze politiche giovanili il semplice tentativo di creare una “cinghia di trasmissione” tra PCI e studenti) aveva fatto crescere le quotazioni di Walter presso Massimo D’Alema, appena nominato segretario nazionale della FGCI: la conoscenza tra i due data da allora, quando partecipavano entrambi alle estenuanti riunioni nella sede della Federazione Giovanile Comunista di via della Vite.
A questo proposito, però, nel 1995 Veltroni farà una rivelazione che deve aver lasciato di stucco tutti i suoi compagni di allora. Nessuno aveva mai colto il seppur minimo dissenso del giovane Veltroni dai vertici della FGCI, e anzi era notorio il suo “appiattimento” su qualsiasi indicazione venisse dalle sedi direttive sia del PCI che dell’organizzazione giovanile. Invece no, la verità (ancora una volta segreta) era tutta diversa: «Quando D’Alema era segretario della FGCI non andavamo d’accordo, proprio non andavamo d’accordo. In maniera molto netta. Avevamo due visioni della politica diverse. Allora, le nostre diversità erano moltiplicate per cento. Eravamo più giovani, lui venne dal partito per dirigere più severamente una FGCI ribelle, io ero più attento ai movimenti. Quindi non ci prendevamo bene. A quei tempi ci fu un conflitto tra noi, un conflitto di quelli che, quando si è ragazzi, lasciano qualche segno. Per questo, per un certo numero di anni, ci siamo guardati con qualche reciproco sospetto». 
Peccato che questo “conflitto” non sia testimoniato da nessun intervento, nessun articolo, nessuna parola del Veltroni di allora. Mai, assolutamente mai il giovane Walter ha espresso pubblicamente questa sua visione politica “diversa”. Forse il centralismo democratico era così rigoroso nella FGCI che era impossibile esprimere un seppur timido dissenso? O forse la sua missione (fare carriera negli organigrammi comunisti) gli imponeva anche in quel caso il silenzio più totale?
Torniamo agli scritti dell’epoca. Agli inizi del 1976 Veltroni si occupa di centrosinistra e anticomunismo, due temi che saranno cruciali nella sua carriera politica futura. Ma negli anni ’70 erano per Veltroni solo oggetti di critica dura. Scrive: «Si è chiusa, non certo in gloria, la stagione decennale del centro-sinistra i cui cascami, dopo la storica rottura avvenuta nel corpo della società italiana per le lotte operaie e studentesche del ’68-69, si sono trascinati fino a questi ultimi mesi. Così, il centro-sinistra, inadeguato ed incapace, viziato dall’ambizione di molti, di comportare, con l’uso spregiudicato di questa formula, l’esaurimento nel ruolo di opposizione della funzione storica e della forza del PCI, chiude miseramente la sua intensa storia».
E Veltroni plaude alla sconfitta della contrapposizione frontale ai comunisti da parte della DC: «Occorrerebbe, per svolgere un’opera di reale rinnovamento, che la DC condannasse sé stessa per il suo passato, per l’espulsione dei comunisti dal governo dopo la guerra, per aver venduto agli americani il proprio partito, e il nostro paese, per aver giocato la carta della legge truffa». 
La DC un partito «venduto agli americani»? E l’espulsione dei comunisti dal governo un atto da condannare e non una scelta saggia? Se, come sostiene il Veltroni del 2000, il comunismo è incompatibile con la libertà, e l’occidente a guida americana ha tutelato l’Italia dalla dittatura, allora quelle posizioni della DC dovrebbero ritenersi sacrosante. Ci auguriamo che presto la storia sia riscritta definitivamente, dallo stesso Veltroni, fino a riabilitare coerentemente tutti i suoi avversari del passato.
Ma c’è dell’altro nell’articolo in questione. Veltroni dichiara di ritenere «positivo che si spengano le fiammelle dell’anticomunismo». E poi ecco il consueto appello alla rivoluzione: «La domanda di una società nuova si è fatta “senso comune” nell’animo della gioventù, spetta a noi tradurla nella lotta conseguente per la rivoluzione italiana».
Per il Veltroni rivoluzionario degli anni ’70, la DC e gli americani sono la bestia nera. Scrive, sempre nel 1976: «Nella fase immediatamente successiva alla guerra di Resistenza, noi siamo stati in presenza di alcune scelte della Democrazia Cristiana tese ad edificare un sistema di potere: penso ad esempio al viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti, e in sostanza l’asservimento del partito della Democrazia Cristiana e dell’Italia stessa al soldo ed al volere degli americani. È la storia recente della concessione delle basi Nato in Italia». 
Ritorna dunque il rimprovero alla DC in chiave antiamericana. E la stessa Democrazia Cristiana viene definita «strumento della borghesia capitalistica, e dalla borghesia capitalistica scelto e diretto».
Veltroni se la prende anche con “Comunione e Liberazione”, tirando in ballo Marx. Infatti, la convinzione di CL «che si debba cambiare i rapporti umani perché possano cambiare le strutture» è da contestare, secondo Veltroni, in quanto sarebbe «l’esatto opposto della intuizione teorica di Marx contenuta nella splendida prefazione a Per la critica dell’economia politica».
Ecco i consigli di lettura che dava ai suoi coetanei nel 1976: la «splendida prefazione» di Karl Marx. I “santini” del comunismo sono ancora dei fari luminosi, per Walter. Del resto, nel numero 13 (settembre 1976) sempre Roma Giovani pubblica un paginone centrale dedicato non a Ian Palach bensì a Mao, dove sotto una grande foto del leader cinese si legge (in un testo non firmato): «Ricordando il compagno Mao Tse Tung e quanto di positivo Egli è riuscito a realizzare anche nel nostro paese, a tante miglia di distanza dalla sua Cina, noi oggi auspichiamo il recupero di un nuovo clima di comprensione e di rispetto, di solidarietà internazionale fra i partiti comunisti e operai del mondo intero».
Una simile lettura avrebbe dovuto agghiacciare Walter, che disprezzava i regimi socialisti.
Mentre oggi apprendiamo che Veltroni fin da ragazzo riteneva l’URSS «un nemico da abbattere», nel 1976 deve fingere di credere esattamente il contrario, utilizzando una frase di Togliatti dove si additano come «nemici per l’Italia» i seguaci degli USA: «Per trent’anni siamo stati dipendenti economicamente e politicamente dagli Stati Uniti, la DC è stata connivente con la guerra nel Vietnam. Kissinger può indisturbato rivolgere apprezzamenti sulla situazione politica italiana, i ministri DC e chissà chi altro prendono i soldi dalle fabbriche di aerei americane. Alla faccia dell’indipendenza e dell’autonomia! Diceva Togliatti, parlando alla Federazione Romana nel ’44: “A coloro, agenti di questa politica antinazionale, che dicono: la nostra rovina sono i comunisti, sono i socialisti; cacciamo i socialisti e i comunisti dal potere, poi vedrete tutto quello che riceveremo, gli Stati Uniti ci manderanno i dollari, l’Inghilterra ci darà chissà quanti chilometri di sabbia nell’Africa sui quali potremmo ricostruire ancora una volta un nuovo e bellissimo impero… a costoro diciamo: voi siete dei nemici per l’Italia”». 
C’è un altro tassello da aggiungere al ritratto del giovane Veltroni. Al convegno della FGCI di Roma “Per il riscatto di questa generazione”, che si svolge il 7-8 aprile 1976, Veltroni è relatore e avrà poi il compito di aprire la manifestazione conclusiva dell’11 aprile, al cinema Metropolitan (a fianco di Massimo D’Alema).
Il documento preparatorio del convegno, stilato in gran parte dallo stesso Veltroni, è significativo. Vi si legge il consueto ritratto a fosche tinte della società americana. In America, recita il documento, «alla società giovane, ribelle e rissosa, seguì l’organizzazione della malavita, le grandi speculazioni, la tendenza alla guerra, la violenza della Polizia e dello Stato [notare le maiuscole, n.d.r.]. L’America che gli italiani conobbero di persona fu questa e questa America ha influenzato negativamente lo stato d’animo ed il modo di vita dei giovani». 
Il faro indicato dal documento è ancora quello di Palmiro Togliatti, per una sua risposta del 1962 alla lettera di un giovane. Una pagina e mezza del documento è dedicata al testo di Togliatti (definito «grande dirigente comunista»), con questa chiosa: «Ci vorremmo scusare per la lunghezza della citazione, ma crediamo che sia così significativa e chiara che, non solo non abbia annoiato, ma anzi ci permette di consigliare la lettura completa della lettera e della risposta di Palmiro Togliatti».
La retorica di scuola comunista cresce nelle ultime pagine: «Se la costruzione della società socialista vuole essere una grande esperienza creativa, allora diciamo che la rivoluzione deve vivere già oggi nella lotta e nella vita di questa generazione… Il socialismo ed il comunismo debbono essere così il progetto di più alta realizzazione della libertà, di più grande valorizzazione del lavoro come forza motrice della storia».
Il finale è un tripudio: «Occorre comprendere come oggi stesso “fare politica” significa edificare mattone per mattone una società nuova, significa partecipare al progetto ambizioso della vittoria della rivoluzione proletaria in occidente, di quella rivoluzione che noi portiamo avanti e che tutti i giovani debbono vivere e far vivere da oggi».
La terminologia è ben più rozza di quella usata dal PCI nello stesso periodo. Il Partito non avrebbe mai evocato la «rivoluzione proletaria» in un suo documento, ma Veltroni ha un chiodo fisso: far concorrenza ai «gruppi estremisti», che nelle scuole e nelle università hanno un consenso ben maggiore della FGCI. E allora diventa necessario appesantire il linguaggio con qualche parola gradita a un uditorio avvezzo ai proclami rivoluzionari. Il sostantivo rivoluzione e l’aggettivo rivoluzionario, infatti, sono ripetuti a ogni piè sospinto, persino nelle ultime righe: «Da questa volontà e da questo progetto, al quale vogliamo guardino gli studenti, le ragazze, i giovani operai, e disoccupati, nasce la possibilità per una intera generazione di dire no all’isolamento e alla sconfitta, e costruire con grande determinatezza e grande slancio rivoluzionario quella che noi vogliamo chiamare la “società del riscatto”».
La rivista Roma Giovani chiude quando la FGCI e il PCI sono presi alla sprovvista dall’improvvisa esplosione del cosiddetto “movimento del ’77”. Walter Veltroni è ancora segretario della FGCI romana quando scoppiano gli scontri all’Università di Roma che si concludono con la “cacciata di Lama”. Di certo è corresponsabile della sottovalutazione dei rapporti di forza nell’ateneo romano, almeno quanto il funzionario del PCI Gustavo Imbellone, su cui sarà fatta cadere la colpa per quella disfatta.
Per Walter il destino è meno severo. È costretto a difendere la giustezza di quella fallimentare prova di forza all’università anche in un’intervista a La Repubblica, ma dopo questo episodio la sua stella momentaneamente si opacizza. Secondo la regola del “promoveatur ut amoveatur”, fin dal maggio 1977 viene sollevato dalla guida della federazione giovanile e spostato al partito, dove gli si affida la responsabilità della propaganda. Contestualmente, come ogni ex-segretario provinciale della FGCI, viene nominato nella segreteria romana del partito. Delle vicende in cui è stato coinvolto fino a pochi mesi prima è meglio che non si occupi più, e al mega-convegno del PCI e della FGCI “La crisi della società italiana e gli orientamenti delle nuove generazioni”, organizzato nell’ottobre 1977 proprio per riflettere sulla grave situazione provocata dal movimento del ’77, Veltroni resta in disparte e non prende nemmeno la parola.
Ormai il capitolo FGCI è chiuso (suggellato anche dal suo primo libro, Il PCI e la questione giovanile), e il compagno Walter «è passato al partito». Nel PCI romano di via dei Frentani, il suo referente è Luigi Petroselli, segretario della federazione e comunista “tutto d’un pezzo”, all’antica.
Sull’onda delle vittorie elettorali del PCI, e con il consenso attivo di Petroselli, Veltroni già nel 1976 era diventato consigliere comunale di Roma (rimarrà in questa carica fino al 1981). È la fase in cui si rafforza quella che Stephen Gundle definisce «la troika dei giovani comunisti romani»: Ferdinando Adornato (da direttore della Città Futura a capo della sezione cultura dell’Espresso, poi animatore di Alleanza Democratica), Gianni Borgna (autore di saggi sul festival di Sanremo) e Walter Veltroni (ma si potrebbero aggiungere figure minori come Goffredo Bettini e Carlo Leoni).
Veltroni, poi, sceglie di legare, con acuta preveggenza, il suo nome a quello di un dirigente del PCI allora in ascesa, Achille Occhetto. È proprio Veltroni a firmare, nel 1978, un libro-intervista con Occhetto dedicato al ’68. Tuttavia, paga pegno alle velleità dell’Occhetto di allora, ancora comunista “doc” e vicino alla sinistra ingraiana. Così, nell’intervista Veltroni fa capire che il leninismo è ancora un bene prezioso, tanto che i gruppi estremisti vengono convenzionalmente tacciati di «deformazione caricaturale del leninismo».
 
(continua)