da
www.fulviogrimaldicontroblog.info

mercoledì 26 novembre 2008

CURZI: VITA CON IL COMPAGNO COMODO

Sandro Curzi


















Agostino Saccà e Silvio Berlusconi



L’ambizione ha trascinato
molte persone a diventare falsari: hanno un pensiero fisso nel cuore un
altro pronto sulla lingua.
Sallustio

Parole bugiarde non sono solo il
male in sé, infettano del male l’anima.
Platone

Quando tutti pensano
la stessa cosa, nessuno pensa.
John Wooden



Io non sono, per
esperienza diretta, molto d’accordo col grande Brecht quando afferma
“beato il popolo che non ha bisogno di eroi”. O almeno non sono d’
accordo con coloro che ne deducono l’inutilità degli eroi in ogni caso
Ne ho visti troppi di eroi necessari, indispensabili, dalla Palestina
all’Iraq, dall’Eritrea alla Somalia al Vietnam. Di innumerevoli altri
ho sentito. Forse, se Berthold avesse scritto …”beato chi non ha
bisogno di eroi…fasulli”. Sono quelli che vengono celebrati e
incensati, perlopiù dopo morti, da peana bipartisan, anzi,
onnipartisan, che, come da scienza e logica risulta, sono peana i cui
direttori d’orchestra stanno sempre a destra. Obama, che è
malauguratamente vivo e lotta contro di noi, ne è l’esempio più
recente. E ne parleremo dopo. Il Dalai Lama, pure lui ahinoi
tossicamente vivo, è un altro. In campo giornalistico abbiamo due
esempi recenti: Enzo Biagi, qualunquista ed eroe del senso comune,
campione di salace e banale buonismo, che al massimo poteva dar
fastidio al guitto mannaro, uno che si adonta di chiunque non gli
lecchi il tacco rialzato. Con lui, tanti anni fa, andai a intervistare
il premier austriaco Bruno Kreisky a Vienna e mi trovai a girare con un
ometto che spurgava velenoso astio e spocchiosa irrisione su tutto e
tutti, dandosi da grande e volgare macho alla vista di ogni passaggio
di “culi e tette”. Ora tocca a Sandro Curzi e, meritatamente, i
coccodrilli più lacrimosi e osannanti glie li hanno fatti campioni dell’
etica, dell’idealismo, della coerenza, della professione, come
Bertinotti, Veltroni, Petruccioli. Dagli Usa hanno addirittura
riesumato Christiane Amanpour, vedette della CNN e concorrente di
Oriana Fallaci per chi le sparava più false, razziste e guerrafondaie.
Mancavano solo i mafiopizzinari D’Alema e La Torre, troppo affaccendati
nell’eterno, tanto fetido quanto grottesco, wrestling con Veltroni e
Bettini, a base di chi si fa inchiappettare meglio dai vari Finisconi.
Immaginatevi questa nauseante conventicola tutta riunita in un salone e
vi parrà di rivedere quel tremendo affresco che il più grande cineasta
politico italiano, Elio Petri, ha tratteggiato della criminalità
forchettara democristiana in “Todo modo”. Un osceno intruglio di facce
grifagne, trasudanti falsità e corruzione, pervasi da livorosa bulimia
predatrice, rotti a ogni vertice di ipocrisia clericale e a ogni abisso
di depravazione profana. Quelli, tra preti assassini e politici
ladroni, finirono col farsi fuori a vicenda. Un horror che il verminaio
uscito dalla covata togliattian-morotea ci ripropone oggi come remake a
livelli ultrà. Senza, per ora, l’esito positivo, letale, dell’
originale.

Questa è la gente che ha tessuto l’apologia del “grande
giornalista”, dell’”uomo di strada”, del “compagno scomodo”, come il
pelatone incazzoso ha avuto l’improntitudine di auto-onorarsi in un’
agiografia autobiografica. E questi erano i suoi amici, referenti,
compagni di bisbocce populistiche. Io ci ho lavorato, con Curzi, per la
maggior parte della sua monarchia assoluta al Tg3. Ed era in effetti un
TG3 fuori dal coro, nella misura in cui glielo consentiva prima un PCI,
non del tutto disancorato dalla sua base intellettuale e proletaria, e
poi un PDS-DS che dipendeva per le sue prospettive governiste dal voto
anche di chi, prima di essere addomesticato dall’imbonitore rinnegato
Bertinotti, credeva e voleva antagonista Rifondazione. Conviene dunque
che parli di Curzi partendo da me.

A Curzi, quando ancora imperversava
con la sua iperpopulista “ggente” (altro che lotta di classe), gli
stessi che in morte lo hanno beatificato davano del “trombone, da quel
fragoroso vuoto a rendere per ogni stagione che era. Durante i cinque
anni che trascorsi a “Paese Sera”, corrispondente da Londra e poi
inviato di guerra, lo vidi una sola volta. Era un vicedirettore
totalmente oscurato e inerte sotto la ferula di due direttori che
avevano inventato il migliore giornale italiano: Fausto Coen,
detronizzato per filosionismo quando dalla Guerra dei Sei Giorni ebbi
modo di raccontare le efferatezze di quello Stato razzista e
fascistoide, e poi Giorgio Cingoli. Mi rivolsi a lui per un sostegno
contro le critiche che mi piovevano da Cingoli per essere nei miei
reportage troppo schierato con il movimento del ’68, odioso all’editore
di riferimento, il PCI. Curzi si mostrò comprensivo e partecipe e… non
mosse un dito, dando prova di quell’atteggiamento bifronte e bipartisan
di cui avrei avuto conferma vent’anni più tardi.

Lo ritrovai nel 1989
quando, assunto in Rai al Tg3, ero stato parcheggiato prima a “Uno
Mattina” del TG1, e poi all’”Evelina”, un ufficio pseudogiornalistico
che smistava le immagini dalle e alle televisioni estere. Mi ci vollero
due anni, con l’appoggio del sindacato di Beppe Giulietti, per
convincere il direttore del telegiornale di sinistra, al quale avevo
chiesto l’assunzione, di accettarmi nella sua redazione. Una redazione
infarcita di piccisti, come di socialisti, democristiani, liberali,
sionisti (sull’entrata alla redazione esteri campeggiava la scritta
“Questa è una redazione filoisraeliana”), in perfetto sincronismo con
gli equilibri politici in atto, seppure nell’intesa che il Tg3 sarebbe
stato quello di “sinistra”, a fronte del socialista e del
democristiano. Appunto “Telekabul”, ma poi presto, cacciati i sovietici
dall’Afghanistan, ahinoi “Telepapa”, con quel Benedetti all’orecchio di
Woytila e del catto-Cia Walesa, che venne fatto passare per “grande
vaticanista”. Qualche credenziale, per la verità, al Tg3 la portavo:
cinque anni alla BBC, anni di inviato per alcune grandi testate
nazionali e straniere, quattro lingue (l’inglese non lo sapeva
nessuno), esperienza di quattro continenti e molte guerre e
rivoluzioni, tre anni da inviato ambientalista al Tg1… Modestamente,
per il telegiornale un po’ burino di allora, quasi una scala reale. Ma
mi mancava l’asso: la tessera, la casella. Non ero iscritto a nessun
partito e nemmeno alla parrocchia, nessun boiardo di Stato si dava la
minima cura di me. Così sguarnito degli attributi richiesti, alla
faccia della professionalità. non solo gli risultavo umanamente
sgradevole, ma avrei scombinato il meticoloso mosaico di caselle che
garantivano la sua direzione e tenevano soddisfatti i vari sponsor e
padrini.

L’ambiente non contava una mazza nel giornalismo di allora.
Ma WWF, Legambiente, Italia Nostra, Greenpeace e movimenti di base
andavano guadagnando interesse e consenso di elettori e spettatori. Su
loro sollecitazione, Curzi iniziò ad occuparsi, di malavoglia, di
ambiente. Era dunque la cenerentola tra le tematiche redazionali e così
risultò opportuno rinchiudere il sottoscritto nella nuova, marginale,
collocazione di “esperto ecologico”, togliendomi da quella redazione
“filoisraeliana” a cui Curzi era arrivato a rendere commosso omaggio
per come aveva sostenuto, papisticamente e colonialisticamente, la
“liberazione” della secessionista Croazia mentre praticava il genocidio
della Jugoslavia e dei serbi che si trovavano alla sua mercè. Mi
inventai una rubrica chiamata “I tempi che corrono”, nella quale
raccontavo il tempo meteorologico alla luce dei tempi climatici e
sociali che dal Nord si abbattevano sul pianeta. La conduttrice del
programma di cui avevo una rubrica, Donatella Raffai, si adombrò perché
in una puntata avevo, turbando le sue gioconde facezie, inserito
qualche bambino rinsecchito dalla desertificazione euro-indotta dell’
Africa. Senza battere ciglio, fui esorcizzato e sbattuto in Cronaca
Nera. Ma lo stesso Curzi venne impietosamente cacciato dai suoi boss
diessini quando, avanzati nel voto, pensavano di poter sostituire al
minuscolo Tg3 il ben più remunerativo Tg1. Operazione che figurati se i
volponi dell’altra parte, già intrisi di spirito santo berlusconiano,
avrebbero consentito. Il detronizzato finì a dirigere il giornaletto
del PRC, “Liberazione”. Per un destino sardonico, ci saremmo rivisti
anche lì.

Fu il successore di Curzi, grigio, accomodante e
democristiano, a ridarmi, sotto pressione di un mondo ambientalista
sempre più autorevole e istituzionalizzato, nonchè di una stampa
benevola, una rubrica di traino al Tg3 delle 19.00: “Vivere!”. Non durò
mica tanto. In concomitanza con il lento declino della lotta contro la
distruzione del pianeta in termini climatici, parallela all’accentuarsi
della distruzione sociale e bellica, la rubrica perse di interesse,
sebbene più per la classe politica che per la “ggente”. Fu nuovamente
cassata e tornai agli esteri. Tra la proliferazione incontrollata dei
successori di Curzi, diretta conseguenza di equilibri politico-
economici-clericali non assestati (siamo nella seconda metà degli anni ’
90), piombò anche la vernacolare dalemian-agnelliana Lucia Annunziata.
La ricordo giusto per avermi intimato, se proprio volevo fare delle
corrispondenze dall’Iraq divorato dalla prima guerra del Golfo, dall’
embargo e da incessanti bombardamenti, di non osare di presentarmi con
immagini di bimbetti devastati dall’uranio, o uccisi da fame o diarrea.
“Mica vogliamo fare un favore a quel delinquente di Saddam e un torto
ai nostri amici!”, ingiunse. “Fammi vedere i palmeti di datteri, le
rovine di Babilonia, un po’ di colore mesopotamico…”

Amico e compare
degli amici come dei “nemici”, sodale, nella corporazione dei
giornalisti, di chiunque avesse influenza, dall’estrema destra all’
estrema sinistra, primo sdoganatore del MSI ancora bandito dall’Arco
Costituzionale formalmente antifascista, trombettiere di tutte le false
cause “umanitarie”, da Sarajevo a Tien An Men, assuntore di figli e
congiunti dei potenti, Curzi, tuttavia, nello spazio garantitogli dall’
allora forza compartecipe della gestione tangentopolista del paese,
aveva con sé un gruppetto di giovani che i suoi proclami buonsensisti
li traducevano in giornalismo eterodosso, a volte audace, contaminato
dalla contigua “Samarcanda” di Santoro. Finchè durò. Non si ripetè
questa qualità a “Liberazione”, giornale in cui entrai in fuga dal
servilismo euro-atlantico-papista che il Tg3 manifestò in occasione dei
crimini di guerra dalemiani in Jugoslavia. Per la verità, lo scafato
marpione mi accolse a braccia aperte e subito mi spedì a Belgrado, poi
in Palestina, poi in Iraq, poi a Cuba: uno del Tg3, anche abbastanza
noto, non era acquisto da poco per il giornaletto del monarca
Bertinotti. Con quest’ultimo, in travolgente corsa verso compiacenze
padronali e imperiali e conseguenti elevati scranni, mi trovai ben
presto in divergenza. Mi si tollerava perché la base del partito pareva
essermi affezionata. In particolare l’ala di sinistra, che faceva capo
all’”Ernesto”. Quello che scrivevo dai paesi elencati non quadrava con
gli stereotipi dell’intossicazione mediatica ufficiale: come ci si
poteva permettere di contrastare la versione dei serbi etnopulitori e
ipernazionalisti, come la presa di distanza dai combattenti
palestinesi, come la satanizzazione di Saddam e di tutto il “terrorismo
islamico”? Perché ci si ostinava a parlare di un imperialismo e di
lotte di liberazione e di classe, quando tutto questo il pontefice
cashmirato aveva archiviato negli scaffali del “sanguinario Novecento”?


Straordinario Curzi. Bertinotti gli ingiungeva di mettermi il morso e
tirarmi le briglie e lui mi convocava per chiedermi in tono querulo
“fai attenzione, non eccedere, prova a moderarti, io ti capisco (faceva
finta di parteggiare per “L’Ernesto”), la penso come te, ti difendo,
non rendermi la vita difficile, gli equilibri sono quelli che sono,
vedrai domani… Accanto aveva Claudio Grassi, leader dell’”Ernesto”, che
annuiva solidale. Pareva di essere tra gli olimpionici dell’ipocrisia
di “Todo Modo”. Un istante dopo avrebbe sbattuto per Bertinotti i
tacchi e disteso quel suo sorriso da coccodrillo addomesticato. Tutto
questo ebbe la sua summa nel maggio del 2003, quando, insieme a un
drappello di irriducibili della deontologia professionale, prima ancora
che della solidarietà politica, tentammo di inserire spilli nel pallone
delle false accuse a Cuba. Bertinotti aveva deciso che conveniva far da
prestigioso solista nel coro di coloro che onoravano terroristi cubani,
dirottatori e mercenari prezzolati dalla potenza assediante, della
qualifica di “intellettuali dissidenti”. Come Bush e la mafia di Miami
dettavano. Da conclamato amico e difensore di Cuba, il “compagno
scomodo” subito si accomodò nell’operazione ordita dal terrorismo di
Stato Usa e rilanciata dal suo principale. Un rapporto professionale e
umano durato dal 1967 al 2003 fu incenerito nell’autodafé del mio
licenziamento in 24 ore (Il PRC e “Liberazione” erano coerentemente
impegnati nella difesa a oltranza dell’Articolo 18), senza neanche la
letterina di prammatica del direttore: “Dobbiamo purtroppo rinunciare
alle tue prestazioni, bla bla bla, ti ringraziamo, bla bla bla. La
decapitazione mi fu comunicata dall’amministratore per telefono. L’
input era stato chiaramente del futuro presidente della Camera.
Qualcuno si sollevò contro questa smagliante osservanza della libertà d’
espressione, duemila firme di iscritti bersagliarono il palazzo di Via
del Policlinico. Curzi e la sua iperbertinottesca, ma anche dalemista
vice, Rina Gagliardi, si affannarono sul giornale a spiegare che ero io
il responsabile della rottura, visto che non solo non mi ero attenuto
strettamente all’esclusivo tema ambientalista (mai assegnatomi), ma
avevo anche trasgredito la “linea del partito”. Mi chiedo cosa dovrebbe
fare oggi il povero Ferrero, segretario di un partito che si chiama
della Rifondazione Comunista, di un Sansonetti-Sionetti che, da
dichiarato non comunista, passa la giornata al videogioco intitolato
“Come si rema contro la linea del partito”.

Affrontai il tiro a due
della carrozza bertinottiana in occasione di un incontro “sulla libertà
di stampa” (pensate!) alla Festa di Liberazione. Semplicemente con un
bavaglio sulla bocca. I due si infuriarono oltre ogni modo e,
sentendomi gratificato dall’applauso di qualcuno nel pubblico che non
gradiva bollettini e censure aziendali, si misero a urlare scomposti
“provocatore, non è che un provocatore!” Un po’ come Lama definiva
noialtri di Lotta Continua. Me la dovevo aspettare.

Poco tempo prima,
sprovveduti e bravi compagni lombardi mi avevano candidato al Senato.
Mentre battevamo palmo per palmo, mercato per mercato, bar per bar, la
sconfinata bassa del Po, arrivavano, seppi più tardi, ansiosi
avvertimenti da Roma perché non ci si desse “troppo da fare per la
vittoria di Grimaldi, non è gradita”. Vinse Forza Italia. A me
mancarono 200 voti su 18mila. Come si era meritato ampiamente, mentre
il suo mentore e sovrano ascendeva al terzo scranno della Repubblica,
in sintonia Curzi fu elevato al consiglio d’amministrazione della Rai.
E qui, visto che ormai non c’era più niente da perdere o da guadagnare,
il “compagno” di una mai esplicitata Resistenza si rivelò finalmente al
volgo e all’inclita, insomma alla “ggente” nella sua vera natura,
scevra, per cura bertinottiana, di ogni fisima di parte, cioè di quella
parte. Fu quando il cda venne chiamato dal direttore generale Cappon a
pronunciarsi sulla sua richiesta di sbattere fuori dalle palle Agostino
Saccà, l’uomo-fiction del Servizio Pubblico che, intercettato mentre
leccava i piedi a un Berlusconi in fregola di sistemare le sue
cortigiane, si era fatto “scendiletto delle brame più basse del
padrone” (Tafanus). Votarono per la cacciata dell’immondo personaggio i
consiglieri del centrosinistra, contro, quelli di un’opposizione con
gli aculei sullo stomaco. Curzi, il postcomunista, si astenne. E lo
salvò. Coronamento di un’onorata carriera.

Voglio chiudere con un po’
di quel “colore” che tanto si è fatto strada nei tg da allora. Sandro
Curzi compie 70 anni e lo si festeggia nel loft del Palazzo delle
Esposizioni. Siamo invitati in 400. Noialtri ai tavolini nei remoti
margini, A cerchi concentrici verso il protagonista in sollucchero l’
intera combriccola della paludata malainformazione nazionale. Bonzi e
palloni gonfiati, venerandi maestri e pennivendoli in auge. Mentitori
di professione. Emissioni impure dalle froge dei licantropi. Ma questo
è niente. Colui al quale “il manifesto” titola due paginoni con
“Sandro, scomodo, prezioso compagno” aveva organizzato una coreografia
che la parata ddl Columbus Day a New York è niente al confronto. Sul
palazzone di fronte, a frotte di romani e turisti sbigottiti, veniva
proiettata, dal calar del buio a notte e festeggiamenti inoltrati, il
colossal della vita e delle imprese di Sandro Curzi. Lo stesso su una
dozzina di schermi all’interno. Un Curzi panottico, in cinerama, da
consegna, se non all’eternità, ai posteri. D’Annunzio a Fiume, Augusto
sul Campidoglio, Gesù in croce e in gloria. Curzi con Togliatti, Curzi
con Moro, Curzi con Brezhnev e Gorbaciov, Curzi, scendendo rapidamente,
nella dispensa di Bertinotti, Curzi a Praga, Curzi con la mosca al naso
e con il naso a Mosca, Curzi a Las Vegas, Curzi in salotto, Curzi sul
cavallo della Rai, Curzi in tuta, Curzi in pigiama, Curzi con fiche,
Curzi con la consorte, di profilo, a figura intera, nel vento, nella
neve, immacolato, smagliante, svettante. La chiusa non avrebbe potuto
che essere, e forse lo sarà, Curzi sepolto nel Pantheon.

Insomma, che
vogliamo, visto che a sinistra, sempre con culto bipartisan, ci si
inebria di Obama, un qualche alloro a Curzi lo si potrà pur concedere.
E se Curzi, tromboneggia sui diritti dei lavoratori e poi mette in
mezzo a una strada i giornalisti scomodi, privilegiando gli amici degli
amici, i figli dei padri e della nomenclatura, eppure si merita gli
appassionati elogi del “manifesto”, perché stupirsi se lo stesso
“giornale comunista” conferma con il titolo “Il team dei migliori” le
agghiaccianti scelte reazionar-clintoniane del novello profeta nero per
la sua camarilla di governo. Segretario di Stato Hillary Clinton, co-
stragista di serbi, palestinesi e iracheni, creatura più simile alla
Medusa rettilo-chiomata che a femmina umana; del sionista ultrà,
terrorista figlio di terroristi israeliani, Rahm Emmanuel, capo dello
staff e che rimproverò Bush di non essere sufficientemente
filoisraeliano, s’è già detto in passato; anche della sua conventicola
di banchieri bancarottieri, vezzeggiata con il voto a favore degli 850
miliardi di salvataggio, capeggiata da quel lobbista ebraico di Robert
Rubin, mallevadore sotto Clinton di un neoliberismo privatizzatore,
deregolante e predatore che neppure Reagan si era sognato. Ci sono
tutti, sembra di stare nei saloni di Vlad, in Transilvania. Tutti nel
segno della stella di Davide: i Goldman Sachs, i Lehman Brothers, i
Warburg, i Chase Manhattan, I Rothschild, i Lazard Fréres, la fallita
(nonostante le operazioni planetarie sulla droga, insieme alla Cia e
alla Dea) Citybank. E poi i militari, garanti dell’espansione dell’
impero, dal superfalco generale Larry Jones, neoconsigliere nazionale
per la Sicurezza (quello dello stato di polizia a casa e dei genocidi
fuori), all’apparentemente confermato ministro della guerra a mezzo
mondo, Robert Gates.

Ce ne sono altri, ve li risparmio, e non c’è
neanche la punta della scarpa di uno non conservatore, non di destra,
non dell’establishment (il quale establishment non per nulla gli ha
dato più quattrini di qualsiasi presidente della storia Usa),
espressione di quel movimento di massa che dal compagno Barack pensava
di essere traghettato a nuova vita. E’ il CAMBIAMENTO, bellezza. Yes we
can fuck you, brutti cretini. E noi, brutti cretini, a farci spremere
gli ultimi sghei dal “manifesto”, sebbene non più privato dell’obolo di
Stato, per farci rifilare questa pillola di cianuro indorata.
Naturalmente l’agente Cia Al Zawahiri gli ha subito dato il conforto
delle sue minacce e del suo anatema. Ci possiamo aspettare altri
cataclismi “antiterroristici” e antislamici.

Un’ultima chicca. Chi
sono i prescelti dall’illusionista nero per rivedere l’intero apparto
di intelligence e reimpostare i 14 servizi segreti, cruciali per la
guerra infinita, interna ed esterna? John Brennan e Jami Miscik, già
funzionari Cia sotto il bushista George Tenet che, rispettivamente,
hanno collaborato alle intercettazioni illegali a 360 gradi, ai
rapimenti e alle torture delle extraordinary renditions, e alla
costruzione della bufala delle armi di distruzione di massa di Saddam.
Sullo sfondo, ma nel ruolo di supervisori del tutto, i protagonisti del
roll back , cioè dell’"arrotolamento", dell’Unione Sovietico e oggi
dello scontro con la Russia per il dominio in Asia: Madeleine Albright,
Zbigniew Brzezinski, lo stesso Gates e tutti i loro accoliti nel
Pentagono. E la CONTINUITA’ bellezza.

Qualcuno, anche i neokeynesiani
del “manifesto”, parla di un nuovo Roosevelt, di un altro New Deal,
dimenticando che il capitalismo Usa oggi è assai più debole. Allora c’
era una nazione creditrice, con attivi commerciali e la manifattura che
dominava i mercati globali. Cionostante, fu soltanto sotto la pressione
di lotte semi-insurrezionali, come lo sciopero di Toledo Autolite, lo
sciopero generale di Minneapolis, di San Francisco e dell’industria
automobilistica e grazie alla seconda guerra mondiale, con i milioni di
persone tolte di mezzo, che il paese uscì dalla crisi. La crisi di oggi
è il risultato di un declino protratto del capitalismo nordamericano,
di debiti le cui cifre non si possono contenere in una riga di A4, la
decimazione della sua base produttiva e il cui sistema finanziario è
diventato la locomotiva di una recessione planetaria. Allora Roosevelt,
assistito da sindacati gialli e da un PC come al solito
stalinisticamente moderato e compiacente, riuscì a uscire dalla crisi
ed evitare una rivoluzione socialista. Oggi, non fosse per la
sciagurata dispersione o complicità delle sinistre, la situazione
sarebbe più favorevole al cambiamento. Osama lo brandisce proprio per
esorcizzarlo. Attenti ai colpi di coda.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi
alle ore 16.58





Telefona e naviga senza limiti con Tiscali Voce 8 Mega a soli € 15 al mese per 1 ANNO. In seguito paghi € 29,90 al mese. Attiva entro il 27/11/08! http://abbonati.tiscali.it/promo/voce8mega/