Sul caso Losurdo/Liberazione
di
su altre testate del 23/04/2009
Una lettera di personalità e intellettuali italiani e stranieri, non pubblicata da Liberazione
«E' ancora troppo presto per dare un giudizio definitivo sulla Rivoluzione Francese» (Zhou Enlai)
Il 10 aprile il quotidiano "Liberazione" pubblica una recensione critica di Guido Liguori sul libro di Domenico Losurdo Stalin. storia e critica di una leggenda nera (Carocci, Roma 2009). Nei giorni successivi appaiono sul quotidiano una lettera di 20 redattori e altri interventi contrari alla pubblicazione della recensione. Le motivazioni? Il solo parlare del libro di Losurdo, messo tout court sullo stesso piano dei negazionisti dell'Olocausto, significherebbe riabilitare Stalin, che non solo è stato
un «dittatore feroce e brutale», protagonista di una «storia fatta [..] di mostri e orrori», ma è anche figura di fronte alla quale «non c'è interpretazione storica che tenga». Quindi, bando ad «inaccettabili riletture degli anni Trenta-Quaranta»: su Stalin e lo stalinismo «abbiamo dato molti anni fa risposte nette senza equivoci. Perché dunque tornarci sopra?». Perché in altre parole proseguire la ricerca storica?
Al centro di queste accuse c'è il «fatale (e letale) giustificazionismo» di Losurdo, imputato di praticare una forma di «storicismo assoluto» e di proporre una «deterministica concatenazione di cause ed effetti». E però all'autore del libro, al quale non si contestano tesi specifiche ma che viene attaccato per l'impostazione generale del suo lavoro di ricerca, è stato sino ad oggi negato lo spazio di una risposta e di un chiarimento.
Qual è il crimine di cui è imputato Domenico Losurdo? Quello di "storicizzare" il fenomeno dello stalinismo. Quello cioè di ritornare a lavorare sui documenti per analizzarli filologicamente e contestualizzarli nella totalità della storia mondiale dei popoli, delle classi, degli stati, piuttosto che limitarsi alla demonizzazione, alla rimozione e, in altre parole, a quella "storiografia dell'ineffabile" oggi così in voga.
Un quotidiano che voglia svolgere la funzione di educare al libero esercizio della critica, fondamentale per la crescita culturale e politica dei suoi lettori, non ha nulla da temere da interventi seri e ragionati, argomentati e documentati, sulla storia del movimento operaio del '900.
La memoria e la ricerca storica non si possono soffocare in nome di tabù, dogmi e verità che si ritengono accertate una volta per tutte. Abbiamo oggi il problema di comprendere la storia del movimento operaio e della tradizione rivoluzionaria nella sua genesi, nei suoi processi contraddittori, negli enormi problemi che si posero a quei ceti subalterni che per la prima volta si erano trovati di fronte al difficilissimo compito di divenire classe dirigente.
E di studiare questa storia senza apologia acritica e senza anatemi, con grande libertà di ricerca e di pensiero.
Enzo Apicella, vignettista, Londra
Stefano Azzarà , docente di sociologia, Università di Urbino
Maurizio Belligoni, primario di psichiatria, criminologo, Ancona
Wilfredo Caimmi, partigiano, medaglia d'argento al valor militare nella lotta di Liberazione
Maria Rosa Calderoni, redazione di “Liberazione”
Sergio Cararo, direttore di "Contropiano", Roma
Andrea Catone, Centro Studi sulla transizione al socialismo, Bari
Marcos Del Roio, professore di Scienze Politiche, Universidade Estadual
Paulista, Brasile
Manlio Dinucci, saggista, collaboratore de " Il Manifesto", Firenze
Orestis Floros, medico, dipartimento di Neuroscienze, Istituto Karolinska, Stoccolma
Gianni Fresu, storico del movimento operaio, Università di Cagliari
Ruggero Giacomini, storico della Resistenza e del Movimento per la Pace, Ancona
Vladimiro Giacché, saggista, Roma
Renato Guimarães, editore, Rio de Janeiro
Jurgen Harrer, editore, Colonia
Alessandro Hobel, storico del movimento operaio, Napoli
Hans Heinz Holz, filosofo, Università di Groningen
Federico Martino, Docente di Storia del Diritto, Università di Messina
Fabio Minazzi, ordinario di Filosofia teoretica, Università degli Studi dell'Insubria
Aymeric Monville, Editions Delga, Parigi
Domenico Moro, economista
José Barata Moura, già Rettore dell’Università di Lisbona
Oscar Niemeyer, architetto, Rio de Janeiro
Guido Oldrini, docente di Filosofia, Università di Bologna
Nico Perrone, docente di Storia dell'America, Università di Bari
Sergio Ricaldone, partigiano – Consiglio Mondiale per la Pace
Alessandra Riccio, docente Università Orientale di Napoli, Condirettrice
di "Latino America
Tom Rockmore, filosofo, Duquesne University (USA)
Bassam Saleh', giornalista palestinese, Roma
Luigi Alberto Sanchi, professore Associato CNRS, Parigi
Salvatore Tinè , storico del movimento operaio - Catania
Delfina Tromboni, femminista, storica del movimento delle donne, Ferrara
Luciano Vasapollo, economista, Università "La Sapienza", Roma
Gianni Vattimo, filosofo, Università di Torino
Stellina Vecchio Vaia, deputata Prima Legislatura della Repubblica,
partigiana, Milano
Mario Vegetti, docente di Filosofia, Università di Pavia
---
IL CASO LOSURDO – “ LIBERAZIONE”
“Liberazione” pubblica (lo scorso 10 Aprile) una recensione al libro di Domenico Losurdo su Stalin e il direttore si prende i rimproveri della propria stessa redazione. Intervengono a più riprese i giornalisti, il direttore, il recensore e anche altre persone non direttamente coinvolte. L'unico a non poter intervenire sulle pagine di “Liberazione” è proprio l'autore del libro, che è, in ultima istanza, il vero bersaglio di questa polemica.
Ed è un peccato (oltre che una censura grave e inaccettabile) , perché questo dibattito - oltre a mettere in evidenza i danni devastanti che certe impostazioni liquidatorie e semplicistiche della storia del ‘900 hanno avuto sul piano culturale - solleva alcune questioni molto rilevanti.
La prima è di natura epistemologica e riguarda i compiti e il metodo della storiografia. E' legittimo storicizzare ogni evento e indagare senza fermarsi davanti a nulla oppure ci sono dei territori della storia che sono per loro natura ineffabili e sui quali bisogna limitarsi a confermare l'opinione comune o addirittura i dogmi sanciti da un Comitato Politico Nazionale? E ancora: cosa significa giustificazionismo e che rapporto c'è tra comprensione della realtà in termini storico-materialist ici e apologia di questa realtà stessa? Si tratta della stessa cosa?
La seconda questione riguarda le forme di coscienza oggi diffuse nel movimento comunista e tra gli stessi quadri dirigenti di questo movimento. Qui, quel grandioso e faticoso processo culturale che nel corso di oltre un secolo era riuscito a costruire una visione del mondo autonoma rispetto alle idee dominanti (che sono sempre quelle delle classi dominanti) sembra essere del tutto naufragato. Gran parte degli stessi comunisti - e persino degli intellettuali che al comunismo si richiamano - pensano e nominano oggi il mondo con le parole e le idee dell'avversario e non esitano perciò a ribadirne i luoghi comuni.
La terza questione è più elementare e riguarda la libertà di ricerca e di espressione. Sono libertà minime, che vengono però di fatto azzerate da chi del cosiddetto “stalinismo” sembra aver ereditato soltanto la parte peggiore.
---
La lettera rifiutata da "Liberazione"
giovedì 16 aprile 2009
Ma almeno lo hanno letto?
Un gruppo di redattori di «Liberazione» inserisce un mio libro nell'Indice dei libri proibiti, senza neppure averlo letto! Senza apportare alcuna prova, ma sulla base solo di una sua (avventurosa) supposizione, Bonanni mi accusa di aver giustificato «molti anni fa» - ma non ha un suono sinistro questa formulazione? - la distruzione dei «monasteri tibetani» a opera delle «Guardie Rosse». In realtà, come risulta dai miei scritti, considero tale distruzione (alla quale hanno partecipato anche Guardie Rosse tibetane) come una delle pagine più nere della Rivoluzione Culturale, una pagina fortunatamente superata dalla successiva evoluzione della Cina, che ha restituito al loro antico splendore i monasteri devastati. Della mostra rievocata da Bonanni ho criticato piuttosto la trasfigurazione del Tibet lamaista, di una società che condannava la stragrande maggioranza della popolazione alla schiavitù, al servaggio e a una morte assai precoce: «l'età media dei tibetani è di trent'anni» - riferisce Harrer, istruttore e amico del Dalai Lama. Abbellire questa società e tacere sulle sue infamie: in questo caso chi sono i «negazionisti» ?
Dino Greco e Guido Liguori mi rimproverano invece uno «storicismo giustificatorio» . E' una critica ovviamente legittima, ma è fondata? A proposito di Katyn, il mio libro parla di «crimine» e precisa che questo crimine è «ingiustificabile» (p. 259). Si aggiunge soltanto che gli Usa non possono ergersi a maestri di moralità per il fatto che, nel corso della guerra di Corea, si sono resi responsabili di una Katyn su scala più larga. E' lecito smascherare l'ipocrisia dei vincitori?
Più in generale, dopo aver sottolineato l'influenza dello stato d'eccezione nella tragedia della Russia sovietica, il mio libro osserva che «indubbio è anche il ruolo svolto dall'ideologia» e dai «ceti intellettuali e politici» espressi dal bolscevismo (pp. 104-5). Solo che l'ideologia da me presa di mira è l'«utopia astratta», e cioè l'attesa messianica del dileguare dello Stato, della religione, della nazione, del mercato, della moneta (si pensi al peso funesto che la pretesa di cancellare ogni forma di mercato e di circolazione della moneta ha avuto nella Cambogia di Pol Pot). Liguori difende invece l'utopia da me criticata in quanto «astratta» e prende di mira altri bersagli, ma non spiega perché il mio approccio critico dovrebbe essere più «giustificatorio» del suo.
In realtà, viene agitata contro di me una categoria di cui non è mai chiarito il senso. Gramsci «giustifica» il giacobinismo; su «il manifesto» e su «Liberazione» spesso è stata «giustificata» la Rivoluzione culturale: darebbe prova di dogmatismo chi, senza entrare nel merito dei capitoli di storia di volta in volta discussi, attribuisse a se stesso lo storicismo autentico e lo «storicismo giustificatorio» a coloro che non sono d'accordo con lui!
Certo, il mio libro respinge l'immagine di Stalin oggi propagandata sui grandi mezzi di informazione, ma questa immagine è ben diversa a sua volta da quella che emerge dalle grandi opere della cultura occidentale. Per fare solo un esempio, secondo il grande storico inglese A. Toynbee, a rendere possibile Stalingrado e la disfatta inflitta alla barbarie nazista fu il percorso compiuto dall'Urss «dal 1928 al 1941».
Restano fermi gli angosciosi dilemmi morali che caratterizzano le grandi crisi storiche. Ma essi non si pongono solo per l'Urss di Stalin. Vediamo in che modo un eminente filosofo statunitense, M. Walzer, giustifica i bombardamenti terroristici degli angloamericani nel corso della seconda guerra mondiale, pur riconoscendone il carattere criminale: il pericolo di trionfo del Terzo Reich determina un'«emergenza suprema», uno «stato di necessità»; ebbene, occorre prendere atto che «la necessità non conosce regole». Certo, bombardamenti che mirano a uccidere e terrorizzare la popolazione civile del paese nemico sono un crimine, e tuttavia: «Oso dire che la nostra storia verrebbe cancellata, e il nostro futuro compromesso, se non accettassi di assumermi il peso della criminalità qui e ora»; i dirigenti di un paese «possono sacrificare se stessi al fine di difendere la legge morale, ma non possono sacrificare i propri connazionali» . Walzer è citato con favore e spesso intervistato su «il manifesto»: perché, nella loro campagna contro lo «storicismo giustificatorio» , i miei critici non se la prendono in primo luogo con il filosofo statunitense?
Come ricorda il mio libro, nel 1929 Goebbels individua in Trotskij colui che «forse sulla sua coscienza ha il numero di crimini più alto che mai abbia pesato su un uomo» (p. 231); più tardi, nell'ideologia dominante Stalin diventa il mostro gemello di Hitler, mentre oggi riscuote un enorme successo il libro (di Chang e Halliday) che bolla Mao Zedong come il più grande criminale di tutti i tempi! E basta leggere la stampa statunitense per rendersi conto che analoghi capi d'accusa vengono costruiti nei confronti di Tito, Ho Chi Minh, Castro ecc. Per essere al riparo dall'accusa di «negazionismo» ovvero di «storicismo giustificatorio» dovremmo sottoscrivere questi «bilanci»? E' contestando la criminalizzazione della storia del movimento comunista nel suo complesso, ma sviluppando al tempo stesso una doverosa riflessione autocritica a proposito sia dell'Urss che della Cina e dell'Indocina, che io ho scritto Stalin. Storia e critica di una leggenda nera.
Domenico Losurdo