(a questo link è visionabile anche una sintesi del video «L'Italia chiamò» di cui si parla nell'articolo)


I MORTI SAREBBERO CIRCA 170 E I MALATI PIÙ DI 2.500


Uranio impoverito, le denunce dei soldati


Un'inchiesta racconta la quotidianità di tre ex militari malati di tumore dopo missioni in Bosnia, Kosovo e Iraq



MILANO - L'ultima denuncia è di pochi giorni fa: la moglie di un militare romano di 49 anni ha rivelato che il marito è morto a novembre per un adenocarcinoma, un tumore maligno presumibilmente di origine polmonare. Il militare era stato in missione in Kosovo, a Pec, dal 2000 al 2001, in veste di radiologo. In una lettera al sito Vittimeuranio.com la donna chiede che sia fatta luce e giustizia sulla morte del marito. Secondo il bilancio ufficiale del ministero della Difesa, alla fine del 2007 le morti riconducibili all'uranio impoverito sono 77 e i malati 312. Diversi numeri dell'Osservatorio militare, ente coordinato da Domenico Leggiero, un elicotterista di Sesto Fiorentino a riposo: i morti sono circa 170 e i malati più di 2.500, dagli anni Novanta ad oggi.

L'ITALIA CHIAMÒ - Ai drammatici effetti dell'uranio impoverito è dedicata un'inchiesta, «L'Italia chiamò» (libro e dvd, Edizioni Ambiente, 2009), di tre giornalisti: Leonardo Brogioni (uno dei fondatori dell’associazione culturale Polifemo), Angelo Miotto (PeaceReporter) e Matteo Scanni (coordinatore della Scuola di giornalismo dell'Università Cattolica e autore di film e cortometraggi). È un lavoro multimediale, ovvero composto da testi, video, audio e foto. I protagonisti sono quattro militari italiani che hanno partecipato alle missioni di pace in Bosnia, Kosovo e Iraq: tre di loro, malati di tumore, affrontano una difficile quotidianità. Il quarto, Luca Sepe, è morto nel 2004 e nel documentario viene raccontato dalle parole del padre: «Da quando si è ammalato ed è deceduto mio figlio, a casa mia non si sorride più, c’è sempre un silenzio di tomba, non ci sono più feste comandate né compleanni, per noi il tempo si è fermato» dice Antonio Sepe.


RACCONTI DEI SOLDATI Emerico Laccetti ha 47 anni ed è sopravissuto a un linfoma non Hodgkin (tumore maligno del tessuto linfatico): «La prima volta che ho sentito parlare dell’uranio impoverito è stato leggendo un giornale gratuito distribuito nella metropolitana di Roma - racconta -. Nessuno dei miei superiori si è mai fatto vivo quando stavo male, l'unica telefonata interessata è stata quella della Commissione Mandelli, che dal 2000 lavorava per accertare gli aspetti medico-scientifici dei casi di tumore segnalati sui militari impegnati in Bosnia e Kosovo». Poi c'è Salvatore Donatiello, ex sergente di Sparanise (Caserta), anche lui colpito da linfoma non Hodgkin durante le esercitazioni al poligono interforze di Capo Teulada, in Sardegna. «Dormivamo e mangiavamo nelle tende, camminavamo su terreni non bonificati e c’erano dappertutto resti di proiettili di ogni tipo, anche americani» è la sua testimonianza. Ultimo protagonista di questo viaggio negli inferi è Angelo Ciaccio, colpito due anni fa da leucemia mieloide acuta (patologia tumorale delle cellule del midollo osseo): ha la testa rasata e deve portare sempre una mascherina sulla bocca dopo il trapianto al midollo; è stato sottoposto a decine di sedute di chemioterapia. «Ho prestato servizio a Sarajevo, alla caserma Tito Barrak - spiega -, ma penso di essermi ammalato Iraq per i continui bombardamenti».

OPERAZIONE VULCANO - Gli autori hanno allegato al lavoro anche un video, girato dai soldati e tuttora classificato come riservato, che mostra le procedure standard adottate durante l'"operazione Vulcano", una bonifica effettuata in Kosovo nel novembre 1996. I soldati seppelliscono in una buca le armi e le munizioni abbandonate dall'esercito americano e dagli alleati, poi le fanno brillare: una nuvola radioattiva copre il cielo. Nessuno indossa tute o maschere di protezione. A distanza di pochi anni il destino dei 14 uomini della squadra Vulcano è segnato: otto si ammalano, due muoiono di tumore, altri due mettono al mondo figli con gravi malformazioni, scoprendo dagli esami microbiologici che anche il liquido seminale può trasformarsi in agente contaminante. «Solo in Kosovo gli americani e i loro alleati hanno sparato 31 mila proiettili "speciali" e scaricato l’equivalente di dieci tonnellate di uranio impoverito - scrivono gli autori di «L'Italia chiamò» -, hanno sperimentato con disinvoltura armi in grado di perforare come burro la corazza di un tank, sprigionando nell’impatto radiazioni e polveri».


29 giugno 2009