Un articolo con il resoconto della presentazione del nuovo libro di Stelio Spadaro ed un accenno alla vicenda di Boris Pahor che ha rifiutato un'onorificenza del Comune di Trieste ma ne riceverà un'altra intitolata "Trieste cultura civile"


PACIFICAZIONE ALLA TRIESTINA

Il 16 dicembre scorso abbiamo assistito alla presentazione di una raccolta di scritti di Stelio Spadaro, oggi esponente del PD, già segretario locale dei DS, iscritto al PCI dal 1960. Della sua biografia ricordiamo che nel 1953 aveva partecipato ai moti per Trieste italiana (anche un altro esponente del centrosinistra triestino, Claudio Boniciolli oggi dirigente del Porto, aveva vantato in svariate occasioni questa sua militanza filo-italiana), e che fu l’artefice del pellegrinaggio di esponenti del PCI alla foiba di Basovizza nell’agosto del 1989 (dove lui peraltro non era presente). Il nome di Spadaro oggi a Trieste è legato alla sua campagna sulle foibe e sull’esodo istriano. Riferiremo qui i punti salienti delle relazioni, intervallando di tanto in tanto nostri commenti.
Il primo intervento è stato quello del giornalista del “Piccolo” Fulvio Gon, che dopo avere elogiato “l’opera di pacificazione” operata dai sindaci Illy e Di Piazza, ha ripreso quanto il suo collega Pierluigi Sabatti ha scritto nella prefazione al libro, cioè che Spadaro è stato uno degli “inventori” della candidatura di Illy. Ha poi elencato tutta una serie di argomenti sui quali Spadaro ha spaziato, dagli anni 60 in poi, lasciando per ultima la “questione delle foibe”, rimaste per lungo tempo un “tabù che nessuno nominava”, mentre oggi è un problema discusso e capito (discusso d’accordo, ma capito… ndr). Sarebbe stato solo dopo e grazie a questa attività di Spadaro che Illy è diventato sindaco; e Di Piazza è il corrispettivo nel centro destra del tipo di sindaco che è stato Illy per il centrosinistra.
È seguito l’intervento del sindaco Di Piazza, che dopo avere affermato di essere arrivato alla carica di sindaco di Trieste del tutto ignorante in materia di vicende storiche, foibe ed esodo, oggi che sa che a Trieste “dietro ogni angolo di strada c’è un morto di destra o di sinistra” è “padrone della storia della città” (possiamo sollevare dei dubbi su questo? ndr). Ha portato Trieste verso la pacificazione, oggi a Trieste si parla di tutto ma non era così prima che lui fosse sindaco.
Oggi a Trieste ci sono il monumento della Risiera e quello delle foibe “per la parte opposta: così ciascuno ha il suo monumento” (della serie “la lottizzazione della memoria storica”? ndr).
Ha poi infilato una delle sue tipiche topiche (scusate il bisticcio) dicendo che “bisogna avere anche fortuna nella vita” e che il suo “successo come sindaco” nell’opera di pacificazione è dovuto anche a delle “fortune”, come l’erezione del monumento a Norma Cossetto, successivo alla medaglia a lei insignita ed all’intitolazione della via a don Bonifacio, dopo la sua canonizzazione.
Per spiegare come sia cambiata la situazione in città ha ricordato l’occasione in cui è stato contestato in Risiera quando voleva “fare un discorso pirotecnico” (sic), tanto pirotecnico, aggiungiamo, che invece di dire “onore ai martiri della Risiera” ha detto “onore ai martiri delle fo…”, e nonostante si fosse subito corretto (“no, non delle foibe, della Risiera”, della serie pezo el tacòn ch’l buxo) “gente coi lineamenti alterati mi gridava di tutto e di più”, e poi “ho prese pietre così grosse in Risiera”, indicando con le mani un diametro di circa trenta centimetri. Non esageriamo, Sindaco: nessuno le ha tirato pietre in Risiera. Eravamo presenti: se fosse accaduto lo avremmo visto e poi si sarebbe risaputo. 
Ma il problema non è di pacificazione o di chiusura da parte del pubblico della Risiera, è se Di Piazza pensa che durante una commemorazione ufficiale confondere i martiri della Risiera con i martiri della foibe (un lapsus freudiano? ndr) possa essere una quisquilia e non un’offesa ai sentimenti di chi si trova lì per ricordare qualcuno.
L’intervento successivo è stato quello di Roberto Cosolini, esponente di punta del PD, con un passato nel PCI (nella FGCI fin dagli anni 70) e poi nei DS, che inquadra l’esperienza politica di Spadaro relativamente al “blocco ideologico” in cui si trovava la città fino a poco tempo fa.
Spadaro si è battuto per il pieno riconoscimento del filone del pensiero democratico degli ideali mazziniani, fu con la sua segreteria che la sede dei DS fu dedicata a Carlo Schiffrer (intellettuale socialista e rappresentante del PSI nel CLN triestino) e che esponenti sindacali della UIL (sindacato che prosegue il filone culturale e politico del Corpo Volontari della Libertà fino allora emarginati dalla sinistra) entrarono per la prima volta nei DS.
Qui ci permettiamo di osservare che, con il dovuto rispetto per il pensiero democratico degli ideali mazziniani, esso non ha nulla a che fare con il pensiero comunista, neanche con quello del PCI in cui Spadaro ha militato per 30 anni fino al suo scioglimento. Dato che c’era un Partito repubblicano a disposizione di chi professava ideali mazziniani, perché Spadaro è entrato invece nel PCI? Quanto alla “emarginazione” del sindacato UIL da parte della sinistra, apriamo una parentesi sulla genesi di questo sindacato, così come descritta in un convegno svoltosi a Trieste il 15/10/04. Il segretario della UIL Luca Visintini affermò che il sindacato UIL era il legittimo erede di quei Sindacati giuliani nati dal CLN triestino, costituiti in alternativa ai Sindacati unici, i quali avevano un atteggiamento anticapitalistico e quindi estraneo alla Camera del Lavoro che negoziava i diritti; inoltre i Sindacati unici indicevano scioperi per Trieste jugoslava e quindi facevano politica e non sindacato. Come esempio di coerenza, Visintini ha però rivendicato che la UIL, quando iniziarono le manifestazioni per Trieste italiana nel 1952, diede, indicendo uno sciopero generale, la copertura ad una manifestazione nella quale ci fu un morto, e addirittura indisse quella del 1953, quando i morti furono diversi. Visintini aggiunse che nel dopoguerra il sindacato iscrisse ex fascisti in funzione antijugoslava, e che verso la comunità slovena vi fu da parte della UIL una chiusura non etnica ma politica (!?!). Ancora più espliciti Antonio Di Turo (i sindacati giuliani furono fondati “per impedire ai comunisti slavi l’annessione di Trieste alla Jugoslavia”) e Oliviero Fragiacomo (“il sindacato giuliano ha salvato Trieste dalle grinfie di Tito”). Ricordiamo infine che lo storico segretario della UIL triestina Carlo Fabricci risulta nell’elenco degli affiliati alla Loggia P2.
Torniamo all’intervento di Cosolini, che ha ricordato quando nell’agosto del 1989 una delegazione del PCI si recò all’isola di Arbe (dove furono detenuti dal fascismo in condizioni inumane centinaia di prigionieri civili, vecchi, donne e bambini), alla Risiera di San Sabba ed alla foiba di Basovizza, sottolineando che ciò fu fatto prima della caduta del muro di Berlino. Noi osserviamo che difficilmente i vertici del PCI ignoravano cosa stesse accadendo in quel periodo nei paesi dell’Est europeo (molti dirigenti di vari partiti andarono in quel periodo in missione in quei Paesi) quindi questo pellegrinaggio può essere interpretato anche come un segno del mutamento della politica del PCI in previsione del capovolgimento politico che si stava preparando.
Cosolini ha concluso sostenendo che la progettualità politica di creare una continuità di governo tra centro sinistra e centro destra ha avuto come prosecuzione naturale di Illy l’elezione di Di Piazza; questa continuità ha portato alla pacificazione della città dove sono rimaste solo alcune frange estreme di “giapponesi” (definizione orribile, ma tant’è) che non vogliono rendersi conto che le cose sono cambiate, questo sia a destra dove molti ancora non vengono in Risiera, sia a sinistra dove si parla ancora di “territorio etnico” o di “partito etnico” per gli sloveni (come se gli sloveni fossero tutti di sinistra o la sinistra fosse tutta slovena? ndr).
Vediamo ora l’intervento del protagonista della serata, Stelio Spadaro, che si è autodefinito “fautore del patriottismo democratico” ed ha ricordato come a Trieste la sinistra, tranne durante l’epoca di Vidali, non ha mai detto niente sulla questione dell’esodo (considerando che Vittorio Vidali è ritornato a Trieste nel 1947 e vi è morto nel 1986, sarebbe interessante sapere cosa intenda Spadaro per “epoca” di Vidali, che del resto fu un accanito sostenitore della politica sovietica in opposizione a quella jugoslava, quindi le sue posizioni sull’esodo istriano potevano essere determinate da ciò).
Spadaro ha poi citato tre momenti storici di pregnanza per la vita politica triestina. Il primo è la fine di aprile del 1945, quando “tutti erano nazisti” (?) e “sloveni e croati consideravano la regione come un territorio etnicamente loro”, cosa che “dicono ancora oggi”, e il concetto di “fratellanza” per loro era solo “uno strumento per entrare più facilmente nel territorio triestino” (potremmo scrivere pagine intere sulla falsità intrisa di razzismo contenuta in queste poche parole, ma sorvoliamo per motivi di spazio, ndr), mentre in quel momento il CLN di don Marzari diede “un segnale di dignità e di discontinuità con il passato”. 
Poi Spadaro ha detto che secondo Dario Groppi (membro democristiano del CLN) il dirigente comunista Luigi Frausin avrebbe insistito per fare anche a Trieste un CLN come in Italia, e qui apriamo un’altra parentesi, perché viene detto ad ogni piè sospinto che Frausin sarebbe stato arrestato in seguito ad una delazione operata da non meglio precisati “partigiani slavi” che avrebbero tradito Frausin perché si era posto in contrapposizione alle “mire jugoslave su Trieste” (vi rinviamo all’articolo “Il caso Frausin” nel nostro sito). Nell’estate del ‘44 il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI, ) ebbe degli incontri a Milano con rappresentanti dell’Osvoboldilna Fronta (OF), nel corso dei quali si accordarono per un’alleanza antinazifascista. Il CLN triestino rifiutò questa alleanza in quanto non voleva “collaborare con gli slavi”, e per rispettare le direttive del CLNAI il PCI triestino uscì dal CLN. In questo contesto dalle parole di Groppi si evince che Frausin voleva che il CLN triestino si adeguasse alle decisioni del CLNAI, quindi che accettasse di collaborare “con gli slavi”.
Secondo momento storico il 1976, quando l’opposizione al trattato di Osimo diede vita ad un grosso movimento che portò alla creazione della Lista per Trieste (poi degenerato), e Vidali fu accolto con “molto sollievo” nell’assemblea della Lista. Per chi non ha vissuto quel periodo dobbiamo spiegare che a Trieste nacque un grosso movimento di protesta in seguito alla firma, ad Osimo, del definitivo accordo sui confini tra Italia e Jugoslavia, con conseguente decisione che la ex “zona A” (la provincia di Trieste, per semplificare) sarebbe rimasta definitivamente all’Italia, mentre la ex “zona B” (il capodistriano, sempre per semplificare) sarebbe rimasta alla Jugoslavia; dal 1954 Italia e Jugoslavia amministravano i due territori, che avrebbero dovuto costituire il Territorio Libero di Trieste, mai realizzato. In realtà l’opposizione cosiddetta “ad Osimo” non era compattamente contraria alla soluzione definitiva dei confini, ma gran parte della città si ribellò invece (chi per motivi ambientali, chi per motivi politico-economici, chi per nazionalismo) alla prevista realizzazione di una “zona franca industriale”, che avrebbe dovuto sorgere sul Carso triestino a cavallo del confine italo-jugoslavo. Questa zona industriale (che dal punto di vista ambientale sarebbe stata un disastro) fortunatamente non fu mai realizzata, ma nel frattempo l’opposizione ad Osimo si raggruppò nella Lista per Trieste, una lista civica ante litteram, che dopo alcuni anni fu monopolizzata da una destra nazionalista fino a convergere in Forza Italia.
Dopo questo tuffo nel passato torniamo al discorso di Spadaro: il terzo periodo sarebbe quello seguito al 1994: la Jugoslavia allora era in fiamme, era un momento di grande instabilità e Illy a Trieste seppe individuare una soluzione di unità cittadina, cominciò un lavoro di pacificazione iniziando a salutare in sloveno, in modo che le idee diverse tra destra e sinistra venissero unificate nel rispetto reciproco. Qui si inserisce in modo significativo la presenza di Fini e Violante a Trieste (1997) perché era necessario portare le vicende giuliane a conoscenza nazionale. In questo modo i due sindaci hanno unificato la città e messo ai margini i “giapponesi”. 
In conclusione Spadaro ha sostenuto che l’integrazione è nel DNA di Trieste, per essa non è possibile nessuna forma di indipendentismo, lui è nemico di tutti i localismi che isolano Trieste dal paese. Illy fu un grande sindaco perché fece conoscere Trieste nel mondo; l’unica critica che gli muove è che con la legge di tutela fece una “regressione culturale e politica”. Parole queste ultime tanto inaccettabili che si commentano da sole.
In sintesi possiamo dire che questo incontro ci è stato basilare perché ha confermato quanto già sospettavamo da anni: c’è stata un’operazione politica trasversale tra partiti di destra e di sinistra (operazione della quale si è fatto rappresentante palese Stelio Spadaro: ma sarebbe bello conoscere anche i nomi degli organizzatori dietro le quinte, per i quali abbiamo solo sospetti), che attraverso una riscrittura della storia (parificazione tra “totalitarismi” e criminalizzazione della Resistenza non nazionalista) ha operato in modo da giungere ad una coesione per la gestione della cosa pubblica, una sorta di “grande centro” che lascia ai lati gli “estremisti” (i giapponesi) di destra e di sinistra, cioè di coloro che ancora tengono conto (nel bene o nel male) di certi valori ideologici. Questa operazione ha dato i frutti che vediamo ogni giorno: trionfo del qualunquismo, elogio della zona grigia, rifiuto della “politica”, vista come un valore negativo (in questo si distinguono i seguaci di Beppe Grillo, che oltre a buttare – scusate l’espressione – merda su tutti e tutto discorsi politici non ne fanno) e trasformazione “aziendale” e privatizzazione degli enti pubblici, con conseguente diminuzione di servizi al cittadino.
In questo clima di presunta “pacificazione” possiamo inserire la questione della “Civica benemerenza” (un riconoscimento che il Comune di Trieste conferisce a cittadini che “abbiano acquisito significative benemerenze in campi culturali, scientifici, umanitari o per altre importanti motivazioni di particolare valenza per la città”, che lo scrittore triestino di lingua slovena Boris Pahor (candidato al Nobel e tradotto in varie lingue, ultima di tutte l’italiano… dato che nessuno è profeta in patria) ha dichiarato di non volere accettare. La motivazione dell’onorificenza “per le sofferenze subite durante il nazismo” è stata infatti rifiutata dallo scrittore: “il nazismo, certo, mi perseguitò duramente; tuttavia, le prime sofferenze mi furono inflitte dal fascismo, che mi rubò l’adolescenza e l’identità (…) avrei voluto che si aggiungesse una parola in più. Quella parola”. E ancora “se il Comune di Trieste non può inserire la parola fascismo nelle motivazioni del riconoscimento, allora non me lo dia. Non piangerò per questo. Peraltro non ho mai chiesto nulla”.
Pahor, novantasei anni compiuti, nel 1920 (a sette anni) vide i fascisti bruciare la Casa della Cultura slovena, prima ancora che il fascismo andasse al potere; il fascismo gli impedì di parlare, leggere, studiare nella propria lingua madre; il fascismo infine, alleato di Hitler, fu complice nella sua deportazione in un campo di concentramento nazista. Alle parole dello scrittore il sindaco Di Piazza che si ritiene “padrone della storia della città” ha risposto: “dobbiamo guardare avanti, lasciamo la storia agli storici”. Come se non fosse stato proprio il Comune a parlare di storia offrendo l’onorificenza a Pahor in quei termini, i termini di una storia monca, parziale, quella che vuole escludere le responsabilità del fascismo nelle tragedie del Ventesimo secolo.
A Boris Pahor verrà invece consegnata da un comitato di intellettuali triestini (tra i quali Claudio Cossu, Margherita Hack e il senatore Fulvio Camerini) una benemerenza intitolata a “Trieste Cultura Civile” con la seguente motivazione: “per il suo impegno antifascista di cultura,di dignità e di coerenza così da farne un simbolo di testimone vivente di resistenza contro il fascismo di ieri e di oggi nel contesto della Trieste vera, multietnica e multiculturale al di fuori delle istituzioni ipocritamente silenti della nostra città”. Un modo di dare vita ad un’altra Trieste, che non è quella “pacificata” da Spadaro, Illy e Di Piazza, ma che rifiuta di essere considerata alla stregua di nostalgici che non si rendono conto che i tempi sono cambiati. Perché anche se i tempi cambiano (e non è detto che il cambiamento sia in senso positivo) non si vede il motivo di gettare al macero valori civili come l’antifascismo e la fedeltà alla Costituzione.

Gennaio 2010