Memoria 2011 / 8

Lo sterminio, che continua, del popolo Rom

1) Lettera a Napolitano: nessuno ricorda lo sterminio dei Rom e dei Sinti (D. Pavlovic, 2009)
2) Roma 6 febbraio 2011: Rogo in campo rom, morti quattro fratellini (Repubblica / F. Casavola)
3) La persecuzione degli zingari da parte del Fascismo (G. Boursier, "Triangolo Rosso" n. 1/1998)


I LINK:

Dio era una zingaro (forse)
Pulizia etnica a Milano: raso al suolo l'insediamento di via Sesia a Rho (MI) 


Ricordiamo i pogrom scatenati in Italia nel 2008


Audio del documentario "Porrajmos. Parole in musica", con Santino Spinelli (http://www.alexian.it/), che i Magazzini Einstein hanno trasmesso il 27 gennaio su Rai 3 e su Rai Storia (registrazione a cura di Andrea Lawendel):


Una moderna canzone rom della Macedonia


La nostra pagina sulla questione Rom


=== 1 ===

Lettera a Napolitano: 
nessuno ricorda lo sterminio dei Rom e dei Sinti 
«Dalle baracche vedevamo gli ebrei 
 colonne incamminate diventare colonne verticali, di fumo. 
Erano lievi, andavano a gonfiare gli occhi del loro dio affacciato. 
Noi non fummo leggeri, la cenere degli zingari non riusciva ad alzarsi in cielo. 
Ci tratteneva in basso la musica suonata e stracantata intorno ai fuochi degli accampamenti.
Noi, zingari d'Europa, da nesun dio presi a sua testimonianza, 
bruciammo senza l'odore della santità, 
bruciammo tutti interi, 
chitarre con le corda di budella».

Illustrissimo signor Presidente, nel Giorno della Memoria le massime autorità dello Stato hanno ricordato la Shoah, lo sterminio del popolo ebraico. Ma anche il 27 gennaio di quest'anno per noi, Rom e Sinti d'Italia, nessun riconoscimento istituzionale per i nostri morti (più di un milione di cui, oltre 500.000 nei campi di concentramento nazisti). Come se non fosse successo, come se non fosse stato anche per loro, come per gli ebrei, la più grande vergogna della storia dell'uomo: lo sterminio su base razziale.
Una vergogna che riguarda anche l'Italia. Nella circolare del ministero degli Interni dell'11 settembre 1940 è scritto: «est indispensabile che tutti zingari nazionalità italiana certa aut presunta, siano controllati et rastrellati più breve tempo possibile et concentrati sotto rigorosa vigilanza in località meglio adatte ciascuna provincia».

Cominciarono retate e deportazioni negli oltre 50 campi di concentramento italiani, tra cui: Perdasdefogu in Sardegna, Bojano e il convento di San Bernardino ad Agnone, Gonars, provincia di Udine, Tossicìa, provincia di Teramo. E ancora: Viterbo, Montopoli Sabina, provincia di Rieti, Collefiorito provincia di Roma, le isole Tremiti, Ferramonti di Tarsia provincia di Cosenza, poi Gries a Bolzano, detta anche «l'anticamera di Auschwitz» dove sono morti oltre 20.000 Rom e Sinti.

Lo sterminio i rom lo chiamano Porrajmos: divoramento, distruzione. Un ricordo carico di paura e di dolore, ma anche qualcosa di più perché non ce lo riconoscono, perché ignorandolo è più facile aggirare la spinosa questione di tanti "piccoli porrajmos" quotidiani nella segregazione dei "campi nomadi", con le persone discriminate, aggredite con le bombe molotov,  buttate in strada in pieno inverno con i loro bambini, accusate, come succedeva nel ’38 di essere «delinquenti antropologici» ‑ tutti criminali. Ricordarlo vorrebbe dire fare in modo che non si ripeta mai neanche una minima parte di questi orrori.

Per questo ci rivolgiamo a Lei, signor Presidente, certi della Sua sensibilità e attenzione, per un gesto di riconoscimento. 

di Dijana Pavlovic
(2009 ma ancora attuale)


=== 2 ===

Roma: Rogo in campo rom, morti quattro fratellini. 6 febbraio 2011



... Quattro fratellini sono morti in un incendio di una baracca in un campo rom a Roma. Il rogo intorno alle 20:30 in un insediamento sulla via Appia Nuova, in prossimità del circolo golfistico dell'Acquasanta. Tre maschi  - Raul Mircea, il più piccolo di 4 anni, Fernando 5 e Sebastian 11 - e una bimba, Patrizia, di otto anni. È probabile che siano morti nel sonno. Il nucleo familiare che abitava nella baracca era composto da 7 persone. Tre adulti sono stati rintracciati due ore dopo la tragedia, in stato di shock. All'esterno della baracca c'erano i genitori, che non sono riusciti a intervenire contro le fiamme, forse sprigionatesi da un tizzone rimasto acceso nel braciere. Sul posto, polizia e carabinieri e ambulanze del 118. A quanto riferito da alcuni abitanti dell'insediamento, i bambini erano stati lasciati soli nella baracca. Una zia era andata a cercare dell'acqua, la madre era in un vicino fast food a comprare del cibo. Ora, davanti ai resti della baracca, piange disperata: "Voglio morire con loro". ...

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Chi non ha memoria non ha futuro

di Fabrizio Casavola
(di "Mahalla", http://www.sivola.net/dblog/)

6 febbraio 2011, 23:11

Stavolta sono quattro (almeno quattro, forse di più), sappiamo solo la loro età, neanche i loro nomi. Se mi guardo indietro, forse di nomi ne ricordo due o tre.

Se non c'è memoria, cosa fare per lenire il peso sulla coscienza? Affidarsi alla retorica? Prendersela con una parte politica? Dire che si vuole non succeda più?

Eppure, sappiamo che tutto può succedere ancora, e che non è una maggioranza politica o l'altra che può evitarlo. Quanto alla retorica, prima o poi puzza sempre di bugia.

Il fuoco, io non riesco a disgiungere i Rom e i Sinti dal fuoco, che è un amico e un compagno indispensabile. Ma che può tornare ad essere una furia distruttrice, che termina con un cumulo di cenere. Poi, a cenere fredda, ecco emergere una scarpa, un quaderno che il fuoco ho inspiegabilmente risparmiato, un pezzo di vetro che forse era un bicchiere...

Il dopo, assomiglia ai poveri resti di uno sgombero.

Tra sgomberi ed incendi, un piccolo popolo tenace lascia dietro di sé poche tracce, che si cancellano presto.

Questa umanità perduta non la troveremo nei libri, e la nostra anima non si salverà solo perché abbiamo scritto MAI PIU'. Ci ho ragionato, e l'unica strada che ho trovato è scomoda e poco praticabile: sporcarsi le scarpe e spingersi a guardare e conoscere DI PERSONA questa gente. Anche in silenzio, anche (soprattutto) limitandosi ad ascoltare. Poi potremo parlare.

Ma è una via scomoda, so che lo faranno in pochissimi.



Un anno fa: http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3709


=== 3 ===

Fonte: http://www.romacivica.net/anpiroma/deportazione/deportazionezingari1.htm
e: http://www.didaweb.net/mediatori/articolo.php?id_vol=45

La persecuzione degli zingari da parte del Fascismo


Scarsissime le fonti, basate soprattutto sulle testimonianze orali. 
Le disposizioni del settembre 1940 relativamente all'internamento dei rom presenti in Italia. Più che lacunosa la documentazione sui campi di concentramento nel nostro paese. Le vittime del nazismo furono almeno mezzo milione


"Mia figlia Lalla è nata in Sardegna a Perdasdefogu il 7 gennaio 1943, perché eravamo lì in un campo di concentramento". Quella di Rosa Raidic (Lacio Drom n.2/3, 1984) è una delle rarissime voci di zingari testimoni della seconda guerra mondiale, una delle poche testimonianze che riguardano l'internamento in Italia, sotto la dittatura fascista, di un popolo sempre perseguitato e, anche per questo, ignorato e dimenticato dalla memoria e dalla storia delle dittature nazifasciste.

"Dello sterminio degli zingari si sa infatti molto poco, troppo poco. Nonostante sia ormai appurato che, come gli ebrei, furono vittime della persecuzione e dello sterminio razziali praticati dai nazisti in Germania e nei paesi dell'Europa occupata, normalmente si tralascia la loro vicenda o, nel migliore dei casi, se ne accenna in lavori che si occupano del Terzo Reich o del sistema concentrazionario in generale includendoli tra le vittime per poi tralasciare cause e conseguenze della loro persecuzione. Questo anche a causa del fatto che per molto tempo dopo la guerra lo sterminio del popolo zingaro non è stato riconosciuto come razziale ma lo si è considerato conseguenza (quasi ovvia) di quelle misure di prevenzione della criminalità che ovviamente si acuiscono in caso di guerra. Una tesi che trova fondamento nella definizione di "asociali" con la quale inizialmente gli zingari furono deportati, ma che non considera il fatto che, secondo le teorie nazionalsocialiste, gli zingari erano tali perché le caratteristiche loro attribuite dai nazisti erano nei loro geni, nel loro sangue, che li rendeva "irrecuperabili" condannandoli quindi allo sterminio, alla cosiddetta "soluzione finale".

Va comunque tenuto presente che, almeno per ciò che riguarda il nazismo (e grazie soprattutto all'impegno della studiosa ebrea Miriam Novitch che dedicò gran parte della sua vita a raccogliere documenti sullo sterminio del popolo Rom), esiste oggi una documentazione sufficiente a dimostrare che gli zingari sono stati tra le vittime dello sterminio razziale e che almeno 500.000 di loro sono morti nei Lager, dopo esser stati imprigionati, torturati e violentati come tutti gli altri prigionieri. Altri sono stati uccisi nelle esecuzioni di massa nei paesi dell'est, ma su questo i dati sono davvero scarsissimi.
Non si può invece parlare di ricerca per quel che riguarda l'Italia dove le conoscenze sulla persecuzione degli zingari durante il fascismo sono poche e contraddittorie e si basano quasi esclusivamente sulle testimonianze raccolte nel dopoguerra dai pochi studiosi (tra i quali spicca la figura di Mirella Karpati, del Centro studi zingari, che ha raccolto quasi tutta la documentazione orale oggi disponibile) che si sono occupati della deportazione degli zingari, senza mai ricevere la dovuta attenzione. I dati storici raccolti a oltre cinquant'anni dai fatti sono scarsi, tanto da non permettere ancora di stabilire con certezza come e quanto gli zingari siano stati perseguitati nell'Italia fascista e per quali ragioni.
Eppure la documentazione d'archivio ci fornisce testimonianze orali, ci restituiscono un quadro ancora contraddittorio ma di grande interesse. Coloro che si sono occupati dell'argomento hanno finora generalmente affermato che la politica discriminatoria fascista era indirizzata in particolare contro gli zingari stranieri presenti in territorio italiano e dovuta a ragioni di ordine pubblico. Secondo questa ipotesi fu essenzialmente l'occupazione della Jugoslavia e la conseguente fuga degli zingari da quel paese a costringere le autorità italiane a internare gli zingari. In un certo senso è persino ovvio che le misure di internamento e deportazione degli zingari siano aumentate e divenute più intransigenti con l'occupazione della Jugoslavia, anche solo perché è da quel territorio che molti zingari scapparono in Italia dopo l'occupazione nazifascista. E' quindi possibile ipotizzare che le misure di deportazione per gli zingari, italiani e non, si siano acutizzate sul finire del 1941, ma questo non esclude atteggiamenti discriminatori anche in precedenza e non necessariamente indirizzati contro gli zingari stranieri.
L'11 settembre 1940 vengono emanate le prime disposizioni per l'internamento degli zingari italiani: una circolare telegrafica del Ministero degli Interni, firmata dal capo della polizia Bocchini e indirizzata a tutte le prefetture fa esplicito riferimento all'internamento degli zingari italiani, dando per scontato il fatto che, in base ad altre direttive quelli stranieri debbano essere respinti e allontanati dal territorio del regno. Nella circolare è scritto che "sia perché essi commettono talvolta delitti gravi per natura intrinseca et modalità organizzazione et esecuzione, sia per possibilità che tra medesimi vi siano elementi capaci di esplicare attività antinazionale... est indispensabile che tutti zingari siano controllati". Si dispone quindi "che quelli nazionalità italiana certa aut presunta ancora in circolazione vengano rastrellati più breve tempo possibile et concentrati sotto rigorosa vigilanza in località meglio adatte ciascuna provincia...".
Come si vede si tratta di un ordine importante anche perché, nei documenti d'archivio, è seguito da una fitta corrispondenza che indica come i prefetti eseguano gli ordini procedendo al rastrellamento degli zingari nelle loro provincie: esistono lettere e telegrammi delle autorità di Campobasso, Udine, Ferrara, Ascoli Piceno, Aosta, Bolzano, Trieste e Verona, che, rispondendo agli ordini, indicano come, rapidamente, gli zingari diventino una preoccupazione urgente e importante in tutto il Regno. Poi, il 27 aprile 1941, il Ministero dell'Interno emana un'altra circolare avente ancora per oggetto 'l"Internamento degli zingari italiani".
Purtroppo, finora, l'esistenza dei campi di concentramento per zingari è documentata quasi esclusivamente dalle testimonianze orali. I ricordi degli zingari sono frammentari, spezzati dalla riservatezza della memoria e dalla mancanza di una tradizione scritta che caratterizza la loro cultura, ma raccontano l'esistenza di luoghi di detenzione come Perdasdefogu, in Sardegna, il convento di San Bernardino ad Agnone, in provincia di Campobasso, Tossicia, in provincia di Teramo.
Mitzi Herzemberg (Lacio Drom n. 1, 1987) ricorda che ad Agnone, dove gli zingari erano rinchiusi nel convento di San Bernardino, talvolta gli uomini venivano portati fuori a scavare buchi per le mine che servivano a ritardare l'avanzata alleata. Le guardie fasciste inferivano con punizioni durissime sui prigionieri: lui, che allora aveva quattordici anni, lavorava in cucina e cercava di passare un po' di cibo ai suoi familiari, venne portato fuori per essere fucilato con alcuni altri. Si salvò perché all'ultimo momento la sua pena fu commutata in bstonature e segregazione.
Antonio Hudorovic è stato prigioniero a Tossicia: "Una volta, - dice - quando eravamo a Tossicia, è venuto un ufficiale tedesco. Ci ha preso tutte le misure, anche della testa. Ha detto che era per darci un vestito e un cappello". Tossicia è l'unico campo di concentramento sul quale si hanno dati abbastanza certi. Le carte e gli atti degli archivi comunali - sui quali ha lavorato in particolare Anna Maria Masserini (Storia dei nomadi, GB od., 1990) - dicono che risulta funzionante dal 21 ottobre 1940 e che dall'estate del 1942 ci sono anche prigionieri zingari, in condizioni miserevoli descritte dal direttore del campo e dall'ufficiale sanitario come invivibili.
Testimonianze sparse ricordano altri luoghi di detenzione: Viterbo, Montopoli Sabina, Collefiorito, le isole Tremiti. E' anche documentata la presenza di zingari a Ferramonti di Tarsia, uno dei più grandi campi di concentramento italiani, esistito dal luglio 1940 al settembre 1943.
Come è noto, dopo l'8 settembre e con l'inizio dell'occupazione tedesca, molti campi dell'Italia centro-meridionale vennero smantellati, anche per l'arrivo degli alleati, ma questo non significò la fine della deportazione in Italia, nemmeno per gli zingari. Il rom abruzzese Arcangelo Morelli racconta di esser stato rinchiuso e torturato nel manicomio dell'Aquila, trasformato in quartier generale della Gestapo e sappiamo anche che a Gries di Bolzano, anticamera dei Lager nazisti, erano detenuti anche gli zingari.
Giuseppe Levakovich, in un libro che è la sua memoria, ripercorre molte delle vicende degli zingari negli anni delle dittature e della guerra, prima in Jugoslavia poi in Italia e ricorda, con amarezza, lastoria di sua moglie, Wilma, e di altre due giovani zingare, Muja e Mitska, internate a Ravensbrück e poi a Dachau.


Giovanna Boursier

(da Triangolo Rosso,  n. 1/98 - gennaio 1998.

Della stessa autrice: La persecuzione degli zingari nell'Italia fascista, in «Studi Storici» n.37, ottobre-dicembre 1996)