3) IZMJENJENO RADNO ZAKONODAVSTVO. Što nam od sutra donosi novi ZOR (6. kolovoza 2014.)
07.02.2014 18:07 CET
Speciale Europa: Zagabria e Bruxelles, mai così vicine, mai così lontane
Gabriella Tesoro
Il primo luglio dello scorso anno, la Croazia è entrata a pieno titolo nell'Unione europea diventando di fatto il Paese più giovane dell'UE. Inoltre, dopo Lubiana, Zagabria è il secondo Stato della ex Jugoslavia a entrare nella cerchia di Bruxelles.
Un bel passo in avanti per un Paese che poco più di venti anni fa è stato travolto da una sanguinosissima guerra civile. Questo però non significa che la Croazia stia vivendo il suo momento d'oro, soprattutto perché per entrare nel club dei 27 e diventarne il 28esimo membro è costato caro al Paese, che ha dovuto tirare la cinghia a lungo per rispettare i rigidi parametri imposti dall'Unione europea.Dopo cinque anni consecutivi di recessione, l'economia è stagnante, la corruzione è ancora a livelli record, le riforme sono insufficienti e la disoccupazione è ferma al 20 per cento, dietro solo a Grecia e Spagna.
Come se non bastasse, Bruxelles continua a bacchettare Zagabria per la sua instabile economia, fattore che sta rendendo già stufo il popolo croato dopo nemmeno un anno dal suo ingresso. Appena tre settimane fa, i funzionari UE hanno chiesto alla Croazia di ridurre drasticamente il suo deficit di bilancio per riportarlo sotto il limite consentito. Questo significa che il Paese dovrà letteralmente dimezzare il deficit, dal 6,4 per cento previsto per quest'anno al 3 per cento entro il 2016. In particolare, secondo l'accordo firmato tra i 28 ministri delle Finanze dell'Ue, Zagabria dovrà chiudere il 2014 con un deficit del 4,6 per cento del PIL, il 2015 con il 3,5 per cento, e, negli anni successivi, con il 2,7 per cento. Non è una richiesta da poco.
Il ministro delle Finanze austriaco, Michael Spindelegger, ha affermato che la debole economia croata non dovrebbe diventare un pretesto per mantenere il disavanzo: "Le stesse regole valgono per tutti e non possono essere cambiate. Anche la Croazia deve stare al passo e migliorare le sue performance".
Secondo i dati UE, dal 2008, anno di massimo splendore, l'economia croata si è ridotta del 12 per cento e con i tagli previsti c'è il grande rischio che la crescita si indebolirà ulteriormente. Lo scorso mese l'agenzia di rating Standard & Poor's ha declassato la Croazia di un livello a causa dell'elevato indebitamento del settore pubblico e privato e poiché mancavano "fattori di crescita interni derivanti da inerzia politica e da vincoli politici alle riforme fiscali e strutturali".
Il governo di centrosinistra, dunque, si appresta a far fronte alle grandi aspettative internazionali, ma dovrà anche esser pronto ad affrontare la rabbia dei cittadini, stremati dal costante declino dello stile di vita. Difatti, molti croati pensavano che una volta entrati nell'Ue i periodi di ristrettezze sarebbero terminati, ma, a quanto pare, per far parte del club di Bruxelles i sacrifici non sono mai abbastanza, almeno per Zagabria. Non solo. Il Paese diventerà membro dello spazio Schengen solo nel prossimo anno e abbandonerà la Kuna per adottare l'euro solo quando rispetterà i criteri in materia di inflazione, finanze pubbliche, stabilità dei tassi di cambio e tassi di interesse.
Al momento, il presidente croato è l'impopolare Ivo Josipovic, del partito socialdemocratico SDP. Il governo è retto da Zoran Milanovic, altro membro dell'Sdp, ma neanche lui gode di un grande consenso. Il meno celebre di tutti è però è il leader dell'opposizione Tomislav Karamarko, dell'Unione Democratica Croata Hdz, lo stesso partito che portò il Paese verso l'indipendenza (e anche verso la guerra) e oggi accusato di avere un altissimo tasso di corruzione al suo interno. In sostanza, la popolazione croata non vede affatto di buon occhio i propri politici. Come dimostrano i casi di Bulgaria e Grecia, a causa del vuoto politico, a Zagabria comincia a farsi largo una corrente conservatrice di destra che gli analisti chiamano "rivoluzione conservatrice della Croazia", appoggiata per lo più da cattolici, ex soldati e dalle nuove generazioni, deluse da un Paese che ha poco da offrire. Non siamo ancora ai livelli di Atene e Sofia, ma come fa notare lo storico Neven Budak, i giovani croati di oggi sono notevolmente più conservatori dei loro genitori. Dopo essere riusciti a far approvare il referendum contro i matrimoni gay, pare che i prossimi obiettivi saranno l'approvazione di leggi contro l'aborto e un provvedimento contro i cartelli ufficiali scritti in cirillico per i serbi che, dopo la fine della guerra, sono passati dall'essere il 12 per cento della popolazione al 4,5 per cento, sintomo che, a quanto pare, persiste l'odio nei confronti della minoranza.
Insomma, i problemi economici si ripercuotono sul tessuto sociale e le recenti richieste di Bruxelles rischiano di gettare ulteriore acqua sul fuoco per un Paese già di suo politicamente ed economicamente instabile. "Parlare di ulteriori tagli un po' ci paralizza. È da quando avevo cinque anni che sento questi discorsi - ha spiegato Dejan Jovic, capo analista del presidente - Ma il panorama politico sta cambiando e, con il Paese in questa situazione, molti dei nuovi arrivati saranno tutt'altro che liberali".
EU imposes harsh austerity on Croatia, its newest member
By Ognjen Markovic
15 February 2014
European Union (EU) finance ministers have placed Croatia, which joined the bloc last July, in “excessive deficit procedure.” Acting on recommendations from the European Commission, the measure subjects countries with budget deficit in excess of 3 percent and debt of more than 60 percent of Gross Domestic Product (GDP) to direct economic control by the EU, and currently affects 16 other member states.
Olli Rehn, the EU commissioner for economic and monetary affairs, demanding stepped-up austerity, declared, “It will be essential for Croatia to take decisive action in order to achieve this in order to restore confidence in the economy…. This means that by April, Croatia is asked to undertake adequate and specifically specified [sic] measures to ensure progress towards the correction of its excessive deficit and debt.”
The EU will be the sole arbiter of whether the measures implemented by the Croatian government are adequate, and if deemed insufficient, the country could face possible sanctions, Rehn added.
The World Bank joined in, with its office in Zagreb stating, “The excessive deficit procedure is a good disciplinary tool for restoring macro-stability and reducing macro-imbalances. If it does not solve its economic weakness through sustainable fiscal adjustment and institutional reforms, Croatia will not fully benefit from EU membership, and the search for future prosperity may prove unsuccessful.”
The Social Democratic Party (SDP)-led coalition government is more than willing to oblige. Prime Minister Zoran Milanovic fell in line, defending the procedure in parliament as something “nearly all EU members went through last year” and adding, “the programme would help Croatia put its budget in order and implement reforms without delay.”
Since coming to power in late 2011, the SDP, in coalition with the Croatian Peoples Party (HNS) and the regional Istrian Democratic Assembly (IDS), has continuously pursued anti-working class policies, cutting public spending, raising Value Added Tax (VAT) to 25 percent—among the highest rates in Europe—and further privatising state assets and companies. Defending the privatisation drive, Finance Minister Slavko Linic, also of the SDP, said, “[O]ne should send a message that privatisation is in the function of reducing our foreign debt and covering this year’s deficit, because that is what rating agencies and creditors will appreciate.”
All three major rating agencies rate Croatia’s debt below investment level, with Standard & Poor’s further downgrading it on January 24.
After drafting the 2014 budget last November, the government set about implementing a whole raft of austerity measures, including cutting farm subsidies and health spending, raising VAT on tourism and levies on gas and tobacco—claiming they would cut the deficit to 5.5 percent in 2014. The EU found the measures insufficient, triggering the “excessive deficit procedure.”
“Our aim was to avoid burdening the economy,” Linic said, trying to justify the November budget draft. He submitted right away to the new EU demands, which included a cut of a further billion euros in the deficit this year and adjusting Croatia’s deficit targets to 4.6, 3.5 and 2.7 percent of GDP for the years 2014-2016. The new measures will force an unspecified number of public employees to retire early without filling the vacancies, while others will see their allowances cut. Further cuts in subsidies, health spending and pensions, as well as new taxes on gambling, have been announced.
The austerity measures the EU is forcing throughout the continent have had a major impact on Croatia. The country has been in continuous recession since 2009, with GDP contracting by almost 20 percent by 2012. A further drop is expected in 2013. The government was forced to slash its 2014 growth estimate from the previous 1.3 percent to only 0.2 percent, as the result of the latest cuts demanded by the EU.
Official unemployment reached 21.6 percent in December 2013. Youth unemployment is well over 50 percent and “one of the highest in Europe,” according to the World Bank. The bank noted a sharp rise in poverty to over 14 percent by the end of 2012, underlining that “the profile of the poor has changed, with the educated and younger living in richer urban areas now more affected.”
The latest statistics show the average full-time monthly wage for January to November 2013 was 5,511 kunas (around €720, or US$1,030), or 1.7 percent less in real terms compared to the same period a year ago. Some 55 percent of employees receive less than 5,000 kunas (€650). Even these figures understate the real conditions, because part-time wages are not included. Widespread disillusionment with the main political parties and the EU is evident, as noted by an article in the Economist, titled “Euphoria over joining [the EU] has given way to a morose mood.”
There is a growing concern in ruling circles that the overwhelming opposition to never-ending austerity measures might erupt in violent protests, as has happened in neighbouring Bosnia-Herzegovina. The ruling class know they can count on the unions to suppress workers’ resistance, but the fear is that popular discontent might develop independent of and in opposition to the unions.
The business portal SEEbiz.eu carried an article last month dedicated to discussing the possibility of and strategies for controlling public protests, after the Economist put Croatia high on the list of countries at risk of social unrest in 2014. SEEbiz spoke with two union leaders, one of whom—perhaps saying more than he intended—graphically exposed the role of the unions as advisers to the ruling class and as an industrial police force. Kresimir Sever, president of the Independent Croatian Unions, stated as clearly as possible, “What those in power should be afraid of are spontaneous unrest and going out in the streets. While it is organised by the unions, they are under surveillance.”
Kod neisplate plaće više se neće trebati čekati 30 dana da bi se pokrenule sindikalne akcije. S dospjećem plaće radnici će moći najaviti štraj i pokrenuti postupak mirenja, samo je jedna od novosti iz ZOR-a
ZAGREB Poslodavac koji ima više poduzeća, odnosno povezanih društava od sutra će moći radnike seliti iz jedne u drugu tvrtku. Mogućnost »selidbe« radnika unutar povezanih društava omogućuje mu novi Zakon o radu čija primjena započinje 07. kolovoza. Radnika ili radnike za koje ocijeni da su mu u poduzeću u kojem rade nepotrebni, poslodavac će u drugu svoju tvrtku moći preseliti na rok od najduže šest mjeseci. S druge stane, radnici koji rade u punom radnom vremenu od 40 sati tjedno, ili to puno radno vrijeme skupljaju radeći kod više poslodavaca u nepunom radnom vremenu, dodatnih osam sati tjedno, uz dozvolu poslodavca ili poslodavaca, moći će odraditi kod nekog drugog. To je samo dio novina domaćeg radnog zakonodavstva.
Prekovremeni sati
Prekovremeni rad do 50 sati tjedno, odlukom poslodavca, za koji dan postaje stvarnost. Zakon i dalje propisuje da je puno tjedno radno vrijeme 40 sati, uz mogućnost osam sati prekovremenih. No, promijenjene su odredbe o preraspodjeli radnog vremena pa se taj tjedni limit u stvarnosti povećava na 50 sati, odnosno 60 sati ako je kolektivnim ugovorom tako dogovoreno. Pritom, u razdoblju od četiri mjeseca prosječno tjedno radno vrijeme radnika ne smije prelaziti 48 sati (40 redovnih i osam prekovremenih).
Otkazi i otkazni rokovi
I dok sadašnje zakonsko rješenje priječi otkaz trudnici, odnosno rodilji u slučaju da poduzeće odlazi u likvidaciju, više neće biti tako. U razloge za prestanak ugovora o radu uključuje se tako smrt poslodavca fizičke osobe ili prestanak obrta po sili zakona, odnosno brisanje trgovca pojedinca iz registra u skladu s posebnim propisima. Redoviti otkaz, pak, moći će dobiti i radnik koji ne zadovolji na probnom radu.
Otkazni rok će teći i za vrijeme godišnjeg odmora, plaćenog dopusta te bolovanja, osim ako kolektivnim ugovorom, pravilnikom o radu ili ugovorom o radu nije drukčije uređeno. U sslučaju prekida otkaznog roka zbog radnikova odlaska na bolovanje, otkaz će nastupiti istekom šest mjeseci od trenutka kada je radniku uručena odluka o otkazu.
U slučaju neisplate plaće radnici više neće trebati čekati 30 dana da bi pokrenuli sindikalne akcije. Već s dospijećem plaće moći će najaviti štrajk i pokrenuti postupak mirenja.
Le società concessionarie che da ora in poi gestiranno le principali autostrade della Croazia, inclusa la più importante arteria del Paese, quella che collega la capitale Zagabria con Spalato costruita negli ultimi dieci anni, dovrebbero essere scelte dal governo croato entro i prossimi mesi al termine di un processo strisciante di privatizzazione che ha scatenato la protesta dei sindacati del paese che annunciano l’inizio della raccolta delle firme per l’indizione di un referendum.
Secondo il ministero dei Trasporti croato, a settembre finirà il primo turno del concorso per la concessione di 1250km delle autostrade croate, quando con i potenziali gestori privati saranno avviate trattative dirette per scegliere il “miglior offerente”. Finora sono tre i consorzi privati che hanno espresso il loro interesse. Il costo delle concessioni è stimato tra i 2,5 e i 3,2 miliardi di euro, ma la cifra finale dipenderà dal periodo, che potrà variare da un minimo di 30 anni fino a un massimo di 50.
Questo capitale dovrebbe pervenire nelle casse dello Stato croato entro febbraio e salvare in questo modo le spese pubbliche, ormai in stato critico e in grave deficit da anni. Almeno questa è la giustificazione che il governo utilizza per sminuire le proteste. Ma i sindacati ieri hanno annunciato l'intenzione di avviare ad ottobre una raccolta firme per indire un referendum popolare con lo scopo di fermare la cessione ai privati della rete autostradale. Secondo i dirigenti sindacali i sondaggi mostrano come tra il 60 e il 70 per cento dei croati sia contrario alla privatizzazione che definiscono "una svendita della più importante e vitale infrastruttura nazionale". Inoltre, i sindacati temono che una gestione privata delle infrastrutture punti solo al profitto, e che sia inevitabile una forte crescita dei pedaggi in un paese in cui la popolazione sta soffrendo la crisi e la disoccupazione più che in altri paesi europei.