Frutta e verdura invadono i supermercati veneti, i prezzi crollano. La Gambaro, azienda agricola di Noale, costretta a non rinnovare i contratti
La Nato si prepara alla guerra in Ucraina? (di Alessandro Avvisato, 27 Agosto 2014)
http://contropiano.org/politica/item/25977-la-nato-si-prepara-alla-guerra-in-ucraina
http://www.noisaremotutto.org/2014/08/28/ucraina-un-salto-di-qualita-nellattuale-tendenza-alla-guerra/
Under conditions of mounting social tensions and deepening economic crisis, the imperialist ruling classes are recklessly pushing the conflict over Ukraine to the point of open warfare between NATO and Russia.
http://www.wsws.org/en/articles/2014/09/01/pers-s01.html
US and Europe escalate provocations against Russia (By Johannes Stern / WSWS, 1 September 2014)
This weekend's EU summit in Brussels marked a major escalation of threats against Russia, raising the specter of full-scale war between Russia and NATO.
Just as in the period prior to 1914, a deepening breakdown of the global capitalist system is fuelling the drive to a new world war.
Stanko Vuleta, president, The Ottawa Serbian Heritage Society, Ottawa.
Si apre oggi a Newport nel Galles il Summit dei capi di stato e di governo dei 28 stati della Nato, che prenderà «decisioni chiave su come affrontare le attuali e future sfide alla sicurezza», attribuite alla «aggressione militare della Russia contro l’Ucraina» e alla «crescita dell’estremismo e della conflittualità settaria in Medio Oriente e Nord Africa». Un Summit «cruciale», attraverso cui gli Stati uniti, che conservano l’indiscussa leadership nella Nato, mobilitano gli alleati europei contemporaneamente su due fronti di guerra. In Europa, in poco più di sei mesi, è saltata la «distensione» e si è ritornati a una situazione per certi versi più pericolosa di quella della guerra fredda. Come è potuto accadere? Per capirlo, occorre riandare al momento in cui, nel 1991, la scomparsa dell’Urss e del suo blocco di alleanze crea nella regione europea una situazione geopolitica interamente nuova. Gli Stati uniti, rimasti l’unica superpotenza, cercano di trarne il massimo vantaggio, varando una nuova strategia in cui dichiarano «di fondamentale importanza preservare la Nato quale canale dell’influenza statunitense negli affari della sicurezza europea». A tal fine occorre «impedire la creazione di dispositivi di sicurezza unicamente europei, che minerebbero la Nato» (Defense Planning Guidance). Contemporaneamente, mentre usano la Nato per mantenere la loro leadership sull’Europa occidentale, gli Usa se ne servono per andare alla conquista di quella orientale. Demolita con la guerra la Jugoslavia, la Nato si estende a est, inglobando tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia, due della ex Jugoslavia e tre dell’ex Urss. Entrando nella Nato, i paesi dell’Est vengono a dipendere più da Washington che da BruxelIes. Qualcosa però inceppa il piano di conquista: contrariamente a quanto previsto, la Federazione russa si riprende in gran parte dalla crisi del dopo guerra fredda, stringe crescenti relazioni economiche con l’Unione europea, fornendole il grosso del gas naturale, e apre nuovi sbocchi commerciali con la Cina e altri paesi asiatici. Ciò mette in pericolo gli interessi strategici statunitensi. È a questo punto che scoppia la crisi in Ucraina: dopo aver assunto con un lavoro di anni il controllo di posizioni chiave nelle forze armate e addestrato i gruppi neonazisti, la Nato promuove il putch di Kiev. Costringe così Mosca a muoversi in difesa dei russi di Ucraina, esponendosi alle sanzioni: una lama a doppio taglio, in quanto le controsanzioni russe danneggiano l’Unione europea, facilitando il piano della partnership transatlantica per il commercio e gli investimenti attraverso cui Washington cerca di accrescere l’influenza statunitense sulla Ue. Contemporaneamente, sotto guida Usa, la Nato estende la sua strategia al Nord Africa e Medio Oriente, e oltre fin sulle montagne afghane e nella regione Asia/Pacifico. L’obiettivo strategico resta quello enunciato nella Defense Planning Guidance: «Il nostro primo obiettivo è impedire che qualsiasi potenza domini una regione le cui risorse sarebbero sufficienti a generare una potenza globale». Oggi soprattutto in Asia, dove – sulla scia degli accordi russo-cinesi, che vanificano le sanzioni occidentali contro la Russia aprendole nuovi sbocchi a est – si prefigura la possibilità di una unione eurasiatica in grado di controbilanciare quella Usa-Ue. La demolizione della Libia con la guerra, l’analoga operazione lanciata in Siria (finora non riuscita), il rilancio della guerra in Iraq, l’uso a doppio taglio di formazioni islamiche (sostenute per abbattere i governi presi di mira, usate quindi per giustificare altri interventi armati) rientrano nella strategia Usa/Nato. Dove ci porta tutto questo? In altre guerre, in scenari sempre più pericolosi di confronto tra potenze nucleari. In una accelerazione della corsa agli armamenti e, di conseguenza, della spesa militare. Uno dei punti all’ordine del giorno del Summit è quello che i paesi della Nato debbano «spendere la giusta quantità di denaro per dotarsi di forze a spiegamento rapido, migliore addestramento e armamenti moderni». Si prospetta dunque un aumento della spesa militare: quella italiana, secondo i dati ufficiali della Nato, ammonta a 56 milioni di euro al giorno, più la spesa per le missioni militari all’estero e altri stanziamenti extra-budget, che secondo il Sipri portano la spesa militare effettiva dell’Italia a quasi 70 milioni di euro al giorno.
NATO opens its curtain of war on two fronts
Sept. 4 — The Summit of Heads of State and Government of the 28 states of NATO opens today in Newport, Wales, where these leaders will take key decisions “to ensure NATO is prepared to address current and future security challenges” that they attribute to “military aggression of Russia against Ukraine” and “growth of extremism and sectarian conflict in the Middle East and North Africa.” In this “crucial” summit, the United States, which retains the undisputed leadership in NATO, and its European allies will mobilize simultaneously on two war fronts. (Secretary General Anders Fogh Rasmussen’s press conference)
Europe, in little more than six months, has leaped out of the “Détente” stage back to a situation in some ways more dangerous than that during the Cold War. To understand how this happened, we must look back to the time when, in 1991, the demise of the USSR and its bloc of alliances in the European region created an entirely new geopolitical situation. The U.S., the only superpower left standing, tried to take full advantage of this situation, launching a new strategy in which Washington declared it “of fundamental importance to preserve NATO as the primary instrument of Western defense and security, as well as the channel for U.S. influence and participation in European security affairs.” To this end it was necessary “to prevent the emergence of European-only security arrangements which would undermine NATO.” (Defense Planning Guidance)
At the same time, while using NATO to maintain U.S. leadership over Western Europe, the U.S. also used NATO to carry out the conquest of Eastern Europe. Having demolished Yugoslavia with war, NATO extended its reach eastward, including all the countries of the former Warsaw Pact, two from the former Yugoslavia and three from the former Soviet Union. Entering into NATO, the countries of Eastern Europe have come to depend more on Washington than Brussels.
But something disrupted Washington’s plans for conquest: contrary to what was foreseen, the Russian Federation began to respond to the crisis of the post-Cold War, tightening its growing economic relations with the European Union by providing the bulk of its natural gas and opening up new business opportunities with China and other Asian countries. These steps threatened the strategic interests of the U.S.
It was at this point that the crisis broke out in Ukraine: After spending years of work to take control of key positions in the armed forces and training neo-Nazi groups, NATO promoted the Kiev coup of Feb. 22. This forced Moscow to move in defense of the ethnic Russians of Ukraine, which exposed Russia to sanctions. The sanctions policy is a double-edged sword: Russia’s counter sanctions harm the European Union and expedite the plan for transatlantic partnership for trade and investment, through which Washington seeks to increase U.S. influence on the EU.
At the same time, under U.S. leadership, NATO has extended its strategic reach into North Africa and the Middle East, and beyond the Afghan mountains and into the Asia/Pacific region. The strategic objective remains that which was set out in the Defense Planning Guidance: “Our first objective is to prevent any hostile power from dominating a region whose resources would be sufficient to generate global power.” Today, especially in Asia, where — In the wake of the Russian-Chinese agreements, frustrating the impact of Western sanctions against Russia by opening new outlets in the East – there looms the possibility of a Eurasian union to offset the U.S.-EU bloc.
The demolition of Libya by war, a similar operation launched in Syria (which has so far failed), the reprisal of the war against Iraq, the double-edged manipulation of Islamic formations (supported to bring down targeted governments, then used elsewhere to justify armed intervention) are all included in the U.S./NATO strategy.
Where does this lead? To other wars, to scenarios of increasingly dangerous confrontation between nuclear powers. To an acceleration of the arms race and, consequently, of military spending. One of the items on the agenda of the Summit is that NATO countries should “spend the right amount of money on deployable forces, training and modern equipment.”
What is likely, therefore, is an increase in military spending: Italy’s, according to official data of NATO, amounted to 56 million euros per day, plus the expenditure on military missions abroad and other extra-budgetary funds, which, according to the Stockholm International Peace Research Institute, bring current military spending in Italy to almost 70 million euros per day ($100 million)*. (Il Manifesto, Sept.4, 2014)
[*Translator’s note: The NATO Summit is scheduled to discuss raising NATO spending alone by $60 billion over 10 years; total military spending of NATO countries, according to SIPRI, is 70 percent of the more than $1.7 trillion total military spending worldwide. Official U.S. military spending is $640 billion per year, but this amount excludes certain expenditures that are military related, like the continuing costs of past wars, that if included might raise the total to over $1 trillion per year.]
Published Sept. 4 in the Italian newspaper, Il Manifesto, this article was translated to English by Workers World managing editor John Catalinotto.
Da Vicenza e Aviano parà Usa per war games in Ucraina
O l’Europa o la Nato
di Tommaso Di Francesco, su Il Manifesto del 03/09/2014
«La maggioranza dei membri della Commissione Ue non capisce nulla di questioni mondiali. Vedi il tentativo di far entrare nella Ue l’Ucraina. È megalomania… hanno posto a Kiev la scelta o Ue o Est… ci vuole una rivolta del Parlamento europeo contro gli eurocrati di Bruxelles, così si rischia la terza guerra mondiale»: (prima di quelle di Bergoglio) sono le parole allarmate dell’ex cancelliere tedesco Schmidt in un’intervista alla Bild di tre mesi fa che non parla ancora di ingresso esplosivo di Kiev. Pericolo sul quale, con tentativo non riuscito di influenzare le scelte di Obama che invece rilancia il riarmo atlantico sulla base del presunto sconfinamento-invasione russa dell’Ucraina, si sono pronunciati gli ex segretari di Stato Usa Kissinger e Brzezinski e perfino l’ex capo del Pentagono dell’amministrazione Obama, Robert Gates che nel suo libro di memorie ha scritto: «L’allargamento così rapido della Nato a est è un errore e serve solo ad umiliare la Russia, fino a provocare una guerra». Non è servito a nulla a quanto pare.
Lamentano i governi europei che è in gioco l’unità territoriale dell’Ucraina e Federica Mogherini, Mrs Pesc in pectore davanti al Parlamento europeo, per farsi perdonare di essere considerata filorussa dati gli interessi dell’Eni, ha la faccia tosta di accusare: «È colpa di Putin». Se gli stava veramente a cuore l’unità territoriale dell’Ucraina, perché i governi europei insieme alla Nato e agli Usa con tanto di capo della Cia John Brennan, senatori repubblicani guidati da McCain e segretario di stato Kerry tutti su quella piazza, hanno alimentato e sostenuto dalla fine del 2013 fino al maggio 2014 la rivolta, spesso violenta e di estrema destra, di Piazza Majdan che ha rimesso di fatto in discussione l’unità territoriale del Paese. Mentre l’ambasciatrice Usa mandava affan… l’Europa. Era colpa di Putin anche la rivolta di piazza Majdan? Magari perché aveva soccorso, pronta cassa, le richieste di Kiev quando l’Ue se ne lavava le mani in preda alla sua crisi?
E come dimenticare che quella rivolta è stata nazionalista ucraina e antirussa, non solo anti-Putin, ma contraria ai diritti delle popolazioni dell’est che avevano sostenuto ed eletto Yanukovitch — certo corrotto, ma non meno dell’attuale Poroshenko e del premier dimissionario Yatsenyuk. La rivolta di Majdan è stata nazionalista antirussa, contro gli interessi politici e sociali delle popolazioni dell’est, di lingua russa all’80%, quando non proprio russe e comunque filorusse, legate alla Russia per appartenenze storiche, religiose e culturali e per legame economico imprescindibile e complementare alla propria sopravvivenza, tutt’altro che garantita dall’associazione delle regioni dell’ovest all’Ue.
È lì, in quel sostegno strumentale e ideologico, come se fosse un nuovo ’89, dato dall’Occidente europeo ed americano che si è consumata l’unità dell’Ucraina che a quel punto si è associata all’Ue solo a metà.
Ora accade che il governo di Kiev dimissionato pochi giorni fa dal presidente Poroshenko annunci, di fronte alla presunta invasione — è il quarto allarme in due mesi — la richiesta di adesione all’Alleanza atlantica. «Il governo ha sottoposto al parlamento un progetto di legge per annullare lo status fuori dei blocchi dell’Ucraina e tornare sulla via dell’adesione alla Nato» ha dichiarato quasi in fuga il premier uscente, già leader di Majdan, Yatseniuk. E subito il segretario della Nato Ander Fogh Rasmussen, ha ammiccato: «Ogni paese ha diritto di scegliere da sé le proprie alleanze». Tanto più che la decisione sembra andare incontro alle ultime parole di Obama che, ormai incapace di uscire dal «militarismo umanitario» degli Stati uniti, sciorina per fermare l’orso russo (quel Putin che gli ha impedito di impelagarsi ancora di più nella guerra in Siria) la «nuova» agenda del riarmo americano e Nato nell’Europa dell’est, dalla Polonia, ai Paesi baltici — andrà in Estonia per questo domani — e alle finora neutrali Finlandia e Svezia.
Altro che nuova agenda: è la scellerata strategia della Nato in atto da più di venti anni a partire dalle guerre nei Balcani, con relativa redistribuzione di costi per la difesa sullo scacchiere europeo, tra gli stessi paesi ora alle prese con la lacerante crisi economica. Una strategia che in questi venti anni ha visto l’ingresso di tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia nella Nato, con missioni in guerre alleate, a partire dall’ex Jugoslavia (dove, a specchio capovolto della storia, i raid Nato hanno aiutato i ribelli dell’Uck — criminali, dice ora l’indagine della stessa commissione Ue Eulex — ad ottenere l’indipendenza) e ancora tante basi, strutture d’intelligence, siti missilistici, ogive nucleari, scudi spaziali tutti quanti ai confini russi.
Senza l’allargamento a est della Nato non ci troveremmo sull’orlo di un conflitto spaventoso in Ucraina, né ci sarebbe stata la sceneggiata arrogante di una leadership di oligarchi voltagabbana che ha destabilizzato l’Ucraina con la violenza della piazza «buona» perché sedicente filoeuropea, e che ora cavalca la repressione sanguinosa della piazza «cattiva» perché filorussa. Senza la Nato esisterebbero una politica estera e di difesa dell’Ue. Intanto in queste ore nell’est ucraino si combatte, Kiev è all’offensiva. Secondo l’Onu i morti, tanti i civili, in quattro mesi sono più di 2.600.
Se dal vertice Nato che si apre domani a Cardiff, in Galles, arrivasse un sì alla richiesta incendiaria di Kiev e se si avvia, come accade, lo schieramento di forze militari Nato in dichiarate esercitazioni anti-Russia o ai confini russi, come ha chiesto l’irresponsabile Cameron, è l’inizio della fine. Cioè la separazione delle regioni dell’est con l’intervento, stavolta vero, della Russia nella guerra, a quel punto motivata a difendere dalle truppe occidentali le popolazioni russo-ucraine, lo status proclamato dagli insorti filo-russi ma anche lo stesso territorio russo. Quando invece è chiaro che l’Ucraina resterà unita finché non apparterrà ad alcun blocco militare e se ci sarà un tavolo negoziale per una federalizzazione del paese capace di garantire l’autonomia sostanziale dell’est. È quello che chiede anche Putin quando dichiara: «Devono essere immediatamente avviati negoziati sostanziali non su questioni tecniche, ma sull’organizzazione politica della società e sul sistema statale nel sud-est dell’Ucraina allo scopo di garantire incondizionatamente gli interessi delle persone che vivono lì», ma le sue parole sono tradotte in modo propagandistico dai media velinari: «Voglio uno Stato nell’est».
È la stessa richiesta che formula, inascoltato, sul Corriere della Sera, Sergio Romano, tra i pochi ad intendersi di Russia. Federale e neutrale sono le due parole chiave garanzia di pace anche per l’Ue, e certo non aiuta l’elezione a presidente dell’Unione del polacco Tusk, leader della Polonia che vanta un contenzioso storico su una parte della terra ucraina considerata ancora «polacca».
Altrimenti sarà, e non a pezzetti, la terza guerra mondiale in piena Europa. E siamo a cento anni fa. È il nuovo che avanza, la «nuova generazione» alla guida europea tanto cara a Renzi. Ora la Mrs Pesc Mogherini, anche se è stata commissariata da un vice-Pesc tedesco, ha l’occasione di dimostrarsi per una volta europea e non schiacciata sull’Alleanza atlantica e sugli Stati uniti. Qualcosa ci dice che non saremo ascoltati.