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Il petrolio della Croazia è un affare anche italiano 

Le trivelle in Adriatico mettono a rischio salute e turismo. Ma il petrolio non piace nemmeno ai croati 

di Massimo Lauria
5 marzo 2015

Zagabria vuole regalare i fondali dell’Adriatico alle multinazionali del petrolio. Ma i rischi per il turismo, la pesca e la salute dei due Paesi sono enormi. Il governo Renzi –con molto ritardo- chiede consultazioni oltre mare. Mobilitazioni popolari in Italia e Croazia per fermare le trivelle 

Il petrolio della Croazia è anche un problema italiano. Zagabria vuole dare in mano ai giganti degli idrocarburi la propria fetta di Mare Adriatico e indice un referendum popolare. Ma per la legge europea non lo può fare senza un accordo con l’Italia. Anche se l’oro nero si trova nei fondali croati, infatti, l’interesse ambientale è comune. Ma bisogna fare presto, perché se l’Italia non interviene l’Adriatico diventerà presto un campo di raccolta di petrolio i cui rischi sanitari ed economici li pagheranno le comunità italiane che affacciano su quel tratto di mare.

I fatti. La Croazia – spinta dall’interesse delle lobby petrolifere – decide di consentire le prospezioni nei propri fondali. Il passo successivo è quello di lottizzare -come fosse un qualsiasi terreno- il 90 per cento del proprio mare, suddiviso in 29 blocchi diversi. Fin qui tutto procede liscio, anche perché il Governo Renzi si dimentica di fare le proprie osservazioni –come prevedono le direttive di Bruxelles- e lascia scadere i termini di consultazione per i Piani di Zagabria.
 
La faccenda però non sfugge alle associazioni ambientaliste, Greenpeace in testa, che sentono puzza di bruciato e iniziano una mobilitazione popolare per avvertire del pericolo trivelle. Fino a quel punto le istituzioni italiane sembrano ignorare la vicenda. Ma poi nelle commissioni Ambiente e Industria dei due rami del Parlamento qualcuno si fa venire il dubbio: trivelle sì, trivelle no. Il movimento di Grillo presenta diverse interrogazioni parlamentari a cui il governo Renzi non risponde, ma l’esecutivo sembra svegliarsi dal torpore in cui è caduto.
 
Ci vuole qualche giorno prima che il ministero dell’Ambiente reagisca. Poi finalmente –poche ore fa e con grande ritardo- Gian Luca Galletti annuncia: «abbiamo chiesto e ottenuto dal governo croato l’avvio di consultazioni transfrontaliere sul piano di trivellazioni lanciato da Zagabria nel mare Adriatico». Entro il 17 aprile l’Italia deve mandare le proprie osservazioni alla Croazia sulla Valutazione ambientale strategica (Vas) per la garanzia dell’applicazione dei più alti standard di sicurezza ambientale.
 
Qualche malizioso ha letto nel ritardo dell’Italia l’imbarazzo di aver approvato pochi mesi fa il cosiddetto decreto Sblocca Italia, che consente le trivellazioni un po’ ovunque sulla nostra penisola. Come farà ora il governo Renzi a fermare le trivelle croate senza smentire se stesso è un mistero. A patto che voglia davvero bloccare il piano della Croazia. Ambientalisti ed esperti del settore energetico prevedono che l’Italia troverà una soluzione di comodo che in futuro non metta in discussione piani simili.
 
Intanto dall’altra parte dell’Adriatico cittadini, ambientalisti e attivisti croati di ogni tipo si stanno mobilitando per spuntare i trapani alle trivelle. Anche perché il piano di Zagabria è privo di uno studio approfondito sui rischi ambientali e sulla gestione di eventuali incidenti, accusano. L’obiettivo della popolazione è fare pressione sui due governi per fermare le prospezioni di idrocarburi. Secondo gli scienziati, infatti, una piattaforma rilascia circa 90,000 tonnellate di materiale di scarto durante l’arco della sua vita temporale, danneggiando la vita marina e la qualità dell’aria.

[IMMAGINE: La lottizzazione del mare croato in 29 zone di trivellazione come si vede da una foto scattata dal satellite]
 
Dagli impianti si riversano in acqua “fluidi di perforazione e scarti metallici, che includono sostanze tossiche, fra cui cromo, mercurio e benzene”. Mandare avanti i piani di ricerca del petrolio metterebbe dunque a rischio intere economie locali, basate sulla pesca e sul turismo. Senza contare i pericoli per la salute. Molte famiglie italiane e croate pagherebbero il prezzo della speculazione di poche mutinazionali. E le ricadute occupazionali di un piano del genere sarebbero decisamente molto marginali.