70.mo Liberazione / 1: Tradimento e riaffermazione
1) Speciale MicroMega da oggi in edicola: ORA E SEMPRE RESISTENZA
2) E. Pellegrin: IL GOVERNO CHE AVREMO IL 25 APRILE
Vedi anche:
A 70 anni dalla Liberazione
di Andrea Catone – Editoriale per il nuovo numero della rivista MarxVentuno
http://www.marx21.it/comunisti-oggi/in-italia/25451-a-70-anni-dalla-liberazione.html
di Andrea Catone – Editoriale per il nuovo numero della rivista MarxVentuno
http://www.marx21.it/comunisti-oggi/in-italia/25451-a-70-anni-dalla-liberazione.html
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MicroMega 3/2015 - Almanacco di storia: "Ora e sempre Resistenza" - Dal 23 aprile in edicola, libreria, ebook e iPad
IL SOMMARIO
Sergio Mattarella - La Resistenza rivolta morale, rivolta in armi contro il fascismo contro il conformismo
Il saluto e l’augurio del Presidente della Repubblica alla rivista e ai lettori per questo numero monografico dedicato a ‘Ora e sempre Resistenza’.
SAGGIO 1
Angelo d’Orsi - Mito e antimito della Resistenza
Dalle riletture storiografiche di De Felice al revisionismo più compiuto dei giorni d’oggi, assistiamo nel giudizio egemone corrente ad un vero e proprio rovesciamento della realtà a proposito della Resistenza, additata come un insieme di azioni inutili e controproducenti, e alla contemporanea riabilitazione del fascismo. Ma soltanto rispolverando lo spirito della Resistenza antifascista – come elemento basilare e irrinunciabile della identità italiana – possiamo difendere i diritti sociali e il valore della Costituzione repubblicana.
A PIÙ VOCI - Dieci risposte sulla Resistenza
card. Gualtiero Bassetti / Lorenza Carlassare / Gianroberto Casaleggio / Sandrone Dazieri / Giancarlo De Cataldo / Maurizio de Giovanni / Erri De Luca / Loriano Macchiavelli / Ezio Mauro / Moni Ovadia / Giovanni Ricciardi / Corrado Stajano / Valerio Varesi / Marco Vichi / Gustavo Zagrebelsky
Perché la Resistenza non è diventata l’unica possibile ‘memoria condivisa’ su cui costruire l’identità italiana? Come è possibile che la storiografia revisionista abbia avuto da noi tale diffusione? Qual è il lascito della Resistenza? Ha senso parlare di ‘tradimento’ della Resistenza? Sono alcune delle domande che a settant’anni dalla Liberazione MicroMega ha rivolto ad alcuni esponenti del mondo della cultura, della letteratura, della filosofia, del diritto, della religione.
ICEBERG 1 - storia e interpretazione
Franco Cordero - Etica d’una guerra partigiana
Fascismo e Resistenza non rappresentano solo due momenti storici, ma costituiscono due ‘antropologie’ radicalmente agli antipodi, divise da un’alterità incolmabile. Purtroppo, però, mentre l’antropologia fascista sembra parte integrante del corredo ‘genetico’ degli italiani, lo ‘spirito della Resistenza’ – che impone capacità critica, libertà di pensiero, autonomia – è stato un’anomalia per il nostro paese. Che non a caso, infatti, l’ha sostanzialmente lasciato cadere nell’oblio.
Luciano Canfora - Per una storia scientifica della ‘guerra di liberazione’
A partire almeno dal 1990 – quando Bobbio rilancia in un famoso articolo la tesi di Pavone sulle ‘tre guerre’ della Resistenza – si fa strada una vulgata secondo la quale durante la Resistenza i comunisti combattevano, oltre alla guerra di liberazione, anche una ‘guerra di classe’. Ma basta scorrere gli organi della stampa clandestina comunista di allora per rendersi conto che le cose stavano esattamente al contrario. Come dimostrano del resto anche gli aspri rapporti tra il Pci e alcune frange più estremiste, che quella ‘guerra di classe’ (che, se combattuta, avrebbe portato a una tragica soluzione ‘alla greca’) invece volevano scatenarla per davvero.
Marco Albeltaro - Resistenza e normalizzazione
Il processo di normalizzazione – teso a quietare sul nascere le spinte innovatrici incubate nella Resistenza – inizia subito dopo la Liberazione. Con la caduta del governo Parri, cade anche la speranza di un cambiamento profondo dell’Italia e inizia la retorica dell’unità nazionale, sfruttata per far passare in secondo piano le differenze non tanto politiche, ma esistenziali, fra fascismo e antifascismo.
Paolo Borgna - La ‘meglio gioventù’: la Resistenza degli ‘azionisti’
Leggendo i loro diari, le loro lettere, colpisce soprattutto la lucidità del loro sguardo, la capacità di vedere in anticipo le conseguenze della storia che si stava consumando davanti ai loro occhi. La lotta armata, alla quale molti aderenti al Partito d’Azione prendono poi parte, è l’esito di una preparazione morale, intellettuale, politica maturata negli anni, che attendeva solo il momento propizio per liberare l’Italia. Il futuro di minoritarismo a cui è destinato il Pd’A è inversamente proporzionale al prezioso contributo – di idee e di sangue – che i suoi aderenti diedero alla Resistenza italiana.
Valerio Romitelli - Partigiani e qualunquisti
La storia dell’Italia repubblicana è stata possibile esclusivamente grazie alla Resistenza. Questo semplice fatto dovrebbe bastare a fare dell’esperienza partigiana una premessa indiscussa e indiscutibile dell’attuale identità italiana. E invece fin dai primi anni del dopoguerra – con il successo del movimento qualunquista di Giannini – comincia a serpeggiare un atteggiamento scettico, quando non di aperta condanna. Atteggiamento che ha sempre trovato una sponda in quella ‘maggioranza silenziosa’ desiderosa solo di tornare al quieto vivere dopo le devastazioni della guerra.
Pierfranco Pellizzetti - La grande dissipazione del ’45
Di ‘Resistenza tradita’ si parla spesso in riferimento alla cosiddetta Prima repubblica. Ma è già con la ‘svolta di Salerno’ – aprile 1944 – che quel tradimento si consuma. Tradimento ai danni dei giovanissimi partigiani che combattevano sulle montagne – di molti dei quali non conosciamo neanche i nomi – che la nomenklatura dei partiti (Pci in testa) ha voluto subito normalizzare. Un tradimento dell’ethos resistenziale che costituisce il peccato originale su cui si costruirà la futura Repubblica.
Alberto Asor Rosa - Lo spirito della Resistenza nella Costituzione
La Resistenza fu in Italia allo stesso tempo lotta di liberazione nazionale contro l’occupante tedesco e lotta contro il regime fascista. Questa doppia natura la carica di valori fondativi della successiva Repubblica, aspetto che è difficile trovare altrove. Si tratta pertanto di un colossale spartiacque per la storia italiana. Purtroppo questa consapevolezza non è ancora diventata patrimonio universale. E di strada ne abbiamo ancora parecchia.
Alessandro Portelli - L’eroismo e l’eccidio
Una contronarrazione revisionista cerca da tempo di trasformare un atto eroico dei partigiani in un agguato terroristico, responsabile tra l’altro della successiva strage delle Fosse Ardeatine. Questo testo esamina le tante menzogne su via Rasella, ribadendo alcune inconfutabili verità storiche su quel che è stato un gesto compiuto per la libertà. Un attacco gappista che la stessa Cassazione ha considerato ‘legittima azione di guerra” contro gli occupanti nazisti.
SAGGIO 2
Roberto Scarpinato - Resistenza, Costituzione e identità nazionale: una storia di minoranze?
“La lezione della storia dimostra come le minoranze progressiste in Italia abbiano sempre avuto vita difficile. Condannate nel corso dei secoli al rogo, al carcere, all’abiura, all’esilio e, nel migliore dei casi, al silenzio e all’irrilevanza sociale, hanno svolto un ruolo spesso determinante per l’evoluzione del paese, ma solo grazie a temporanee crisi di potere delle maggioranze e a contingenti circostanze favorevoli”. Così è stato anche per la Resistenza, che ci ha lasciato una preziosissima eredità, la Costituzione, oggi più che mai sotto assedio.
ICEBERG 2 - storie resistenti
Andrea Martocchia - Il Territorio Libero di Cascia
Nella pubblicistica del partigianato e nella storiografia resistenziale viene generalmente omesso. Eppure il Territorio Libero di Cascia – esperienza sorta nella Valnerina umbra tra il febbraio e il marzo 1944 – merita un approfondimento. Oltre al fatto di essere precedente a molte altre esperienze di autogoverno dei partigiani, quella di Cascia ebbe infatti una rilevanza politico-sociale irripetibile, trattandosi di uno dei pochi casi in cui l’Italia rurale si incontrava con la componente operaia e quella straniera, rappresentata dai partigiani jugoslavi.
David Broder - I partigiani che volevano fare la rivoluzione
Nato a Roma nel 1942 come ‘La Scintilla’, il Movimento comunista d’Italia, meglio conosciuto col nome del suo giornale Bandiera Rossa, sarebbe diventato nei mesi dell’occupazione nazista della capitale la principale spina nel fianco di tedeschi e fascisti, militarmente superiore anche alle formazioni partigiane animate dal Pci. Proprio con quest’ultimo e con la sua linea politica di unità nazionale, tuttavia, il gruppo si sarebbe infine scontrato, dovendo rinunciare al proprio obiettivo di trasformare la Resistenza in rivoluzione sociale.
Mirco Dondi - Regolamenti di conti e violenze nel dopo Liberazione
I giorni successivi alla Liberazione sono caratterizzati, ovunque in Europa, da un desiderio di giustizia che si traduce spesso in violenze fuori controllo, perpetrate sia dalle formazioni partigiane sia, soprattutto, dai civili, la cui ira è più imprevedibile e difficilmente arginabile. Se non ci fosse stata la guerra fredda, la violenza successiva alla Liberazione sarebbe entrata nell’ordinaria tragicità di una guerra che si sconta, anche, nel dopoguerra. Con la guerra fredda invece cambia la percezione del fenomeno, che assume nuovi e distorti significati, tesi a delegittimare il nuovo nemico comunista.
Francesco Giliani - Cgl rossa e lotta di classe al Sud (1943-44)
La ‘Cgl rossa’, rinata a Napoli nell’ottobre del 1943 e diretta, fra gli altri, da comunisti ‘dissidenti’ come Enrico Russo e Nicola Di Bartolomeo, fu per alcuni mesi e fino allo scioglimento avvenuto nell’agosto del 1944 la principale confederazione sindacale nel Sud Italia liberato dagli alleati. Attestandosi però su una linea ‘classe contro classe’ ansiosa di trasformare la lotta partigiana in rivoluzione sociale, essa sarebbe presto entrata in rotta di collisione con il Pci togliattiano e con l’‘unità nazionale’ sancita dalla svolta di Salerno, perdendo infine la lotta per l’egemonia ingaggiata con la Cgil unitaria creata dal Patto di Roma.
Guido Caldiron - La mancata Norimberga italiana
Dopo il 25 aprile 1945 la gran parte dei criminali di guerra del nostro paese non pagò per le proprie responsabilità, mentre il fallimento dell’epurazione e le amnistie restituirono rapidamente potere e libertà ai protagonisti del Ventennio e ai repubblichini, aprendo la strada alla riorganizzazione politica degli sconfitti della seconda guerra mondiale. I casi emblematici di Graziani e Borghese.
MEMORIE
Boris Pahor - Il contributo della Resistenza slovena
Il regime fascista – odioso in ogni sua manifestazione – nelle regioni dell’Istria e della Dalmazia ha assunto anche il volto della violenta occupazione straniera che pretendeva di cancellare ogni traccia di culture e lingue con grandi tradizioni. Per questo in quei territori la liberazione dal nazifascismo è stata anche guerra di liberazione nazionale. Uno dei suoi protagonisti, esponente di spicco della cultura slovena, oggi alla soglia dei 102 anni, ricorda i momenti più significativi di quel periodo.
Tina Costa - Io, giovane staffetta partigiana
“Fin da piccola mi avevano abituato a non chinare la testa e a 7 anni feci la mia prima azione di rivolta contro il fascismo quando mi rifiutai di indossare la divisa da ‘figlie della Lupa’. A neanche 18 diventai una staffetta partigiana: con la mia bicicletta dovevo attraversare la Linea Gotica e consegnare delle borse ai combattenti che si trovavano nel territorio occupato dai nazisti. Rischiai anche la vita ma rifarei tutto”.
Bruno Segre - Io, avvocato, partigiano di ‘Giustizia e libertà’
Gli anni del carcere, le rocambolesche fughe, le amicizie, i due fortuiti incontri con Umberto di Savoia, le battaglie. Il ricordo degli anni dal ’42 al ’44 di un antifascista della prima ora, partigiano di Giustizia e libertà, e successivamente protagonista di tante battaglie per i diritti civili nell’Italia repubblicana – dall’obiezione di coscienza al servizio militare al divorzio. Che si dice convinto: “Lo spirito della Resistenza vive e vivrà sempre”.
Massimo Ottolenghi - Ricordi di un ‘gagno’ di ‘Giustizia e Libertà’
L’antifascismo di Massimo Ottolenghi, nato nel 1915, comincia in realtà ben prima della guerra. Dalla distribuzione dei volantini fatti pervenire a casa della nonna come involucri per il miele, passando per la diffusione della stampa proibita fra i professori universitari torinesi sul tram numero 1 di Torino, fino alla lotta partigiana vera e propria condotta nella Valle di Lanzo, un unico filo lega diverse avventure ed esperienze: il filo dell’impegno per la giustizia e la libertà. Raccontando qui quella esperienza, Ottolenghi considera la mancata epurazione incubatrice dell’evoluzione che ancora perdura.
Luigi Fiori - Fra Diavolo, partigiano borghese
Cresciuto nella bambagia, in una famiglia dell’alta borghesia, voleva fare lo scultore e mai si sarebbe sognato che sarebbe diventato uno dei simboli della Resistenza. È stato l’incontro con gli altri soldati al fronte che ha iniziato ad aprirgli gli occhi su un regime che fino ad allora aveva accettato, un po’ per inerzia e un po’ per ignoranza. E dopo l’8 settembre diventa il famoso Fra Diavolo, giungendo al comando di una brigata.
Giorgio Mori - Storia di un partigiano migrante. Dalle cave di Carrara alle miniere del Belgio alla delusione per l’Italia di oggi
Da soldato in Africa, dove ha incontrato per la prima volta la ferocia della guerra, a partigiano nelle cave di Carrara, dove ha sperimentato la durezza della Resistenza. E non meno difficile è stato per Giorgio Mori il dopoguerra: rimasto senza lavoro per via della sua attività sindacale, dovette emigrare in Belgio dove lavorò nelle miniere. Oggi la sua vita è dedicata a diffondere tra i giovani la conoscenza della guerra di liberazione e i valori a cui essa si ispirava.
Laura Seghettini - La maestra col fucile
Il ruolo delle donne nella Resistenza è stato spesso sottovalutato. Eppure le partigiane furono tante: molte facevano le staffette, portando viveri, armi e messaggi ai combattenti, altre hanno anche imbracciato il fucile, come racconta qui Laura Seghettini che si unì al battaglione Picelli. Un’esperienza che l’ha segnata profondamente e che le ha insegnato i valori della democrazia e della socialità, ai quali ha improntato il resto della sua vita.
Giuliano Montaldo - Il mio cinema partigiano
Da "Achtung! Banditi!" con Carlo Lizzani a "L’Agnese va a morire" e "Il tiro al piccione", un grande Maestro del cinema italiano – che coi suoi film ha trasmesso quello “spirito della Resistenza che ancora mi appartiene” – racconta aneddoti e storie della sua vita: “La Dc osteggiò i miei lavori e l’egemonia della leadership nella Resistenza, tutta nordica, escluse il Sud”.
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www.resistenze.org - osservatorio - italia - politica e società - 16-04-15 - n. 540
Enzo Pellegrin
16/04/2015
"Quanto compiuto dalle forze dell' ordine italiane nell'irruzione alla Diaz il 21 luglio 2001 «deve essere qualificato come tortura». Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti umani che ha condannato l'Italia non solo per quanto fatto ad uno dei manifestanti, ma anche perché non ha una legislazione adeguata a punire il reato di tortura. In particolare è stato violato l'articolo 3 su «divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti». Il dispositivo è impietoso: «Tenuto conto della gravità dei fatti avvenuti alla Diaz la risposta delle autorità italiane è stata inadeguata». E ancora: «La polizia italiana ha potuto impunemente rifiutare alle autorità competenti la necessaria collaborazione per identificare gli agenti che potevano essere implicati negli atti di tortura» (Corriere della Sera, cronache, 15 aprile 2007, www.corriere.it)
Nel pur drogato mondo dell'informazione italiana, col passare del tempo e dei processi, il massacro della Scuola Diaz a Genova 2001 è assurto a simbolo dell'abuso delle Forze dell'Ordine. Diaz in Italia come Rodney King negli USA. Sebbene la burocratica ed autoreferenziale giustizia italiana abbia irrogato nei confronti del potere pene tutt'altro che adeguate alla gravità dei fatti, condanne ce ne sono state. Tuttavia, da ultimo ci si è messa anche la Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo, la quale ha sciorinato il tagliente, ma adeguato, giudizio sopra descritto.
Di diversa opinione il Sig. Fabio Tortosa, polizotto, dipendente del Ministero degli Interni, il quale ha commentato la pronuncia di Strasburgo sul social network Facebook affermando in un "post" di essere stato un componente dell'80mo nucleo attivo quella notte nella scuola genovese e che alla Diaz ancora oggi "ci rientrerebbe mille e mille volte". Nelle diverse pagine di conversazioni e commenti, il poliziotto si esprime definendo i manifestanti "zecche" e chiarendo la sua opinione su Carlo Giuliani, manifestante ucciso durante gli scontri di Piazza Alimonda: "Non ci sono mezze misure. O si sta con quella merda di Giuliani, o si sta con quelli che a Giuliani gli fanno saltare la testa..."
Di fronte alle gravi accuse di aver permesso fatti di tortura e di aver ostacolato l'identificazione dei responsabili, un governo che in qualche modo debba fronteggiare il consenso dell'opnione pubblica non può non avere un nervo scoperto su questo tema. Se un dipendente del Ministero degli Interni come Fabio Tortosa commette l'errore di scoprire le carte e rivendicare pubblicamente con orgoglio le malefatte della Scuola Diaz, non possono non fioccare provvedimenti, quantomeno per l'imbarazzo che il maldestro dipendente ha creato.
Purtuttavia, un serio esecutivo che si volesse ispirato dai minimi valori democratici dimenticati nel sepolcro cartaceo della Costituzione, non si sarebbe limitato ad un banale provvedimento di sospensione, ma avrebbe recapitato l'immediato e meritato licenziamento in tronco al Sig. Fabio Tortosa, spiegandogli che nelle forze dell'ordine non può aver cittadinanza chi pensa che l'oppositore è un nemico da uccidere, una "zecca" da eliminare.
Un governo con la serietà di cui sopra avrebbe commissionato una seria inchiesta interna per scoprire quanti Fabio Tortosa albergano nelle questure, nei commissariati e nelle caserme italiane. A volte basta farsi un giro negli uffici e notare se sulle pareti sono appesi quei calendarietti con l'immagine del maestro di Predappio.
Un governo serio e costituzionale non ammette nelle forze dello stato soggetti ispirati dalla violazione dei principi costituzionali ed in particolare dal fare carta straccia della XII disposizione transitoria.
Stiamo parlando però del governo che lascia al vertice di Finmeccanica De Gennaro e gli "conferma piena fiducia". Lo stesso De Gennaro - imputato uscito indenne dai processi genovesi, ma comunque capo della polizia ai tempi della Diaz - che in Finmeccanica stipula un lauto contratto di consulente della sicurezza a Gennaro Caldarozzi, ex capo, ai tempi di Genova 2001 - come ricorda il Secolo XIX - dello SCO (Servizio Centrale Operativo), condannato e interdetto per cinque anni dai pubblici uffici dopo il processo sull'irruzione alla scuola Diaz durante il G8 di Genova del 2001.
Questo il governo che avremo in carica il prossimo 25 aprile, i cui rappresentanti vorranno forse intervenire alle commemorazioni della Resistenza.
Eppure, merita ricordare che l'inclusione nelle forze dell'ordine dello Stato di elementi che non hanno mai condiviso nè i valori resistenziali, nè quelli democratici, è iniziata fn dai primissimi giorni dopo la liberazione e si è protratta anche dopo la nascita della Carta Costituzionale Repubblicana.
Sin dai primi momenti successivi all'insurrezione partigiana nel nord Italia e alla liberazione, l'Italia divenne per gli "alleati" americani terra di conquista e di grande attività per i loro servizi segreti, all'epoca denominati OSS (1).
Questa organizzazione "agì in tutti i settori per agglomerare forze anticomuniste"(2), a cominciare da quegli industriali che lucrarono ingenti profitti proprio grazie al regime fascista: il 16 e 17 giugno 1945 si riuniscono a Torino sotto la guida di Piero Pirelli, Rocco, Armando ed Enrico Piaggio, Costa, Falck e Valletta per programmare una "accelerazione della lotta al comunismo" anche con l'organizzazione di gruppi armati (3).
L'OSS si adoperò inoltre per creare una rete di organizzazioni politiche di ispirazione nettamente fascista sotto le sigle più disparate, come Fronte Moderato, Giovine Italia, Partito Nazionale Popolare ed altri, proprio con lo scopo di "arginare la demoralizzazione che la sconfitta aveva generato nei ranghi dei sostenitori del fascismo e di riflesso rincuorare la piccola e media borghesia italiana", fondamentale si rivelava però l'attenzione a "preservare gli ambienti militari italiani da contaminazioni democraticistiche" (4) inglobando all'interno di forze armate, apparati statali, polizia soggetti che avevano avuto ruoli di primo piano all'interno del regime, soprattutto quando la loro futura azione avrebbe potuto tornare utile e conicidere con gli interessi americani.
Per esempio, quando, alla fine del secondo conflitto mondiale, la Jugoslavia venne a trovarsi al centro degli interessi militari e strategici americani, ostili alla rivoluzione di Tito, i servizi USA manovrarono gli apparati nella nascente democrazia italiana nuovamente in funzione e direzione anti-jugoslava. Per far ciò, sentirono la necessità di impiegare quelli che furono attori di primo piano nella politica di conquista del fascismo verso i balcani: "già nel settembre 1945, cinque mesi soltanto dopo la fine della guerra, una circolare del comando italiano raccomandava che gli elementi di «provati sentimenti antislavi», anche se fascisti, fossero mantenuti o riammessi in servizio" (5).
Un esempio fulgido di questa politica fu il ripescaggio del generale Giuseppe Pieche, rimasto in Croazia a fianco di Ante Pavelic fino al crollo del regime il 25 luglio 1943. Alla fine della guerra fu assunto al Ministero degli Interni come "direttore del servizio antincendi". Da quell'ufficio di copertura, in coordinamento con i servizi segreti statunitensi, organizzò clandestinamente gruppi terroristici neofascisti ed altri gruppi armati neri come il Movimento Anticomunista per la Ricostruzione Italiana, il Gruppo d'azione Fascista, il Fronte Antibolscevico, le Squadre d'Azione Mussolini, i Cadetti della Violenza ed altri gruppi similari che ponevano in essere azioni di provocazione secondo le direttive dei servizi segreti americani (6).
Dagli albori del 1945 ad oggi, le strutture dello Stato sono passate attraverso i sentieri dell'organizzazione Gladio, dei vari tentativi di colpo di stato che hanno visto coinvolti appartenenti alle forze armate, delle azioni di depistaggio condotte in relazione ad atti di strage, eventi storici sui quali si sono scritti fiumi di parole.
La questione della democrazia all'interno delle Forze dell'Ordine come degli apparati militari è pertanto dipendente dai rapporti di forza dello scenario geopolitico, più che dal maggiore o minore zelo costituzionale dei governi. De Gennaro saldo in poltrona a fianco del Tortosa sospeso sono la cartina di tornasole degli stessi rapporti. La campagna di ritorsione e pulizia condotta a margine dello sciagurato intervento di Tortosa contro tutti i piccoli pesci dello stagno poliziesco che hanno osato mettere un "mi piace" sulla conversazione "facebook" avrà un'inevitabile argine in quegli stessi rapporti di forza. Quei rapporti di forza che hanno permesso, negli anni repubblicani, di svuotare, procrastinare, cancellare l'applicazione dei principi di progresso contenuti nella Carta Costituzionale della Penisola, sino a farla diventare oggi una vuota crisalide, sino ad imporre il giogo del pareggio di bilancio come diga all'attuazione dei diritti sociali scomodi ai monopoli finanziari ed industriali.
A noi resta il bisogno di macerarci nei fatti del presente, oltre che in quelli del passato. Il prossimo 25 aprile è quindi bene ricordare cosa fa il governo e cosa fanno i rapporti di forza. La Resistenza, attaccata, svillaneggiata e tradita, sopravvive forte lontano dal potere, nei luoghi in cui ogni proletario soffre e subisce sfruttamento, vive nei cuori di migliaia di Giovani e di Lavoratori che mantengono salda e continua la loro lotta, ora, come allora, ed in tutti quei momenti della nostra storia repubblicana, in cui lo stivale borghese o quello dei suoi servi si sono calati sul popolo.
La Resistenza vive nei figli e nipoti della stessa rabbia. E' bene ricordarlo, il 25 aprile.
Note:
1. L'Office of Strategic Services (OSS) era un servizio segreto statunitense operante nel periodo della seconda guerra mondiale. Fu il precursore della Central Intelligence Agency (CIA). Fu istituito nel giugno 1942 con lo scopo di coordinare la gestione della raccolta di intelligence militare a livello centrale, assumendo in ciò un ruolo sovraordinato ad ogni altra analoga struttura già esistente nelle forze armate americane (ogni forza aveva infatti, e tuttora possiede, un proprio servizio di intelligence), in particolare per quanto concerneva le operazioni oltre le linee nemiche, venendo poi sciolto nel 1945 (Wikipedia, voce OSS)
2. F. GAJA, Il secolo corto, la filosofia del bombardamento, la storia da riscrivere, Maquis, Milano, 1994, p. 167.
2. R. FAENZA e M. FINI, Gli americani in Italia, Milano, 1976, p. 147 cit. in F. GAJA, op. cit., p. 167.
3. F. GAJA, op. cit., p. 167.
4. F. GAJA, op. cit., p. 168.
5. R. FAENZA e M. FINI, op cit., p. 168,169.
Il governo che avremo il 25 aprile
Enzo Pellegrin
16/04/2015
"Quanto compiuto dalle forze dell' ordine italiane nell'irruzione alla Diaz il 21 luglio 2001 «deve essere qualificato come tortura». Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti umani che ha condannato l'Italia non solo per quanto fatto ad uno dei manifestanti, ma anche perché non ha una legislazione adeguata a punire il reato di tortura. In particolare è stato violato l'articolo 3 su «divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti». Il dispositivo è impietoso: «Tenuto conto della gravità dei fatti avvenuti alla Diaz la risposta delle autorità italiane è stata inadeguata». E ancora: «La polizia italiana ha potuto impunemente rifiutare alle autorità competenti la necessaria collaborazione per identificare gli agenti che potevano essere implicati negli atti di tortura» (Corriere della Sera, cronache, 15 aprile 2007, www.corriere.it)
Nel pur drogato mondo dell'informazione italiana, col passare del tempo e dei processi, il massacro della Scuola Diaz a Genova 2001 è assurto a simbolo dell'abuso delle Forze dell'Ordine. Diaz in Italia come Rodney King negli USA. Sebbene la burocratica ed autoreferenziale giustizia italiana abbia irrogato nei confronti del potere pene tutt'altro che adeguate alla gravità dei fatti, condanne ce ne sono state. Tuttavia, da ultimo ci si è messa anche la Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo, la quale ha sciorinato il tagliente, ma adeguato, giudizio sopra descritto.
Di diversa opinione il Sig. Fabio Tortosa, polizotto, dipendente del Ministero degli Interni, il quale ha commentato la pronuncia di Strasburgo sul social network Facebook affermando in un "post" di essere stato un componente dell'80mo nucleo attivo quella notte nella scuola genovese e che alla Diaz ancora oggi "ci rientrerebbe mille e mille volte". Nelle diverse pagine di conversazioni e commenti, il poliziotto si esprime definendo i manifestanti "zecche" e chiarendo la sua opinione su Carlo Giuliani, manifestante ucciso durante gli scontri di Piazza Alimonda: "Non ci sono mezze misure. O si sta con quella merda di Giuliani, o si sta con quelli che a Giuliani gli fanno saltare la testa..."
Di fronte alle gravi accuse di aver permesso fatti di tortura e di aver ostacolato l'identificazione dei responsabili, un governo che in qualche modo debba fronteggiare il consenso dell'opnione pubblica non può non avere un nervo scoperto su questo tema. Se un dipendente del Ministero degli Interni come Fabio Tortosa commette l'errore di scoprire le carte e rivendicare pubblicamente con orgoglio le malefatte della Scuola Diaz, non possono non fioccare provvedimenti, quantomeno per l'imbarazzo che il maldestro dipendente ha creato.
Purtuttavia, un serio esecutivo che si volesse ispirato dai minimi valori democratici dimenticati nel sepolcro cartaceo della Costituzione, non si sarebbe limitato ad un banale provvedimento di sospensione, ma avrebbe recapitato l'immediato e meritato licenziamento in tronco al Sig. Fabio Tortosa, spiegandogli che nelle forze dell'ordine non può aver cittadinanza chi pensa che l'oppositore è un nemico da uccidere, una "zecca" da eliminare.
Un governo con la serietà di cui sopra avrebbe commissionato una seria inchiesta interna per scoprire quanti Fabio Tortosa albergano nelle questure, nei commissariati e nelle caserme italiane. A volte basta farsi un giro negli uffici e notare se sulle pareti sono appesi quei calendarietti con l'immagine del maestro di Predappio.
Un governo serio e costituzionale non ammette nelle forze dello stato soggetti ispirati dalla violazione dei principi costituzionali ed in particolare dal fare carta straccia della XII disposizione transitoria.
Stiamo parlando però del governo che lascia al vertice di Finmeccanica De Gennaro e gli "conferma piena fiducia". Lo stesso De Gennaro - imputato uscito indenne dai processi genovesi, ma comunque capo della polizia ai tempi della Diaz - che in Finmeccanica stipula un lauto contratto di consulente della sicurezza a Gennaro Caldarozzi, ex capo, ai tempi di Genova 2001 - come ricorda il Secolo XIX - dello SCO (Servizio Centrale Operativo), condannato e interdetto per cinque anni dai pubblici uffici dopo il processo sull'irruzione alla scuola Diaz durante il G8 di Genova del 2001.
Questo il governo che avremo in carica il prossimo 25 aprile, i cui rappresentanti vorranno forse intervenire alle commemorazioni della Resistenza.
Eppure, merita ricordare che l'inclusione nelle forze dell'ordine dello Stato di elementi che non hanno mai condiviso nè i valori resistenziali, nè quelli democratici, è iniziata fn dai primissimi giorni dopo la liberazione e si è protratta anche dopo la nascita della Carta Costituzionale Repubblicana.
Sin dai primi momenti successivi all'insurrezione partigiana nel nord Italia e alla liberazione, l'Italia divenne per gli "alleati" americani terra di conquista e di grande attività per i loro servizi segreti, all'epoca denominati OSS (1).
Questa organizzazione "agì in tutti i settori per agglomerare forze anticomuniste"(2), a cominciare da quegli industriali che lucrarono ingenti profitti proprio grazie al regime fascista: il 16 e 17 giugno 1945 si riuniscono a Torino sotto la guida di Piero Pirelli, Rocco, Armando ed Enrico Piaggio, Costa, Falck e Valletta per programmare una "accelerazione della lotta al comunismo" anche con l'organizzazione di gruppi armati (3).
L'OSS si adoperò inoltre per creare una rete di organizzazioni politiche di ispirazione nettamente fascista sotto le sigle più disparate, come Fronte Moderato, Giovine Italia, Partito Nazionale Popolare ed altri, proprio con lo scopo di "arginare la demoralizzazione che la sconfitta aveva generato nei ranghi dei sostenitori del fascismo e di riflesso rincuorare la piccola e media borghesia italiana", fondamentale si rivelava però l'attenzione a "preservare gli ambienti militari italiani da contaminazioni democraticistiche" (4) inglobando all'interno di forze armate, apparati statali, polizia soggetti che avevano avuto ruoli di primo piano all'interno del regime, soprattutto quando la loro futura azione avrebbe potuto tornare utile e conicidere con gli interessi americani.
Per esempio, quando, alla fine del secondo conflitto mondiale, la Jugoslavia venne a trovarsi al centro degli interessi militari e strategici americani, ostili alla rivoluzione di Tito, i servizi USA manovrarono gli apparati nella nascente democrazia italiana nuovamente in funzione e direzione anti-jugoslava. Per far ciò, sentirono la necessità di impiegare quelli che furono attori di primo piano nella politica di conquista del fascismo verso i balcani: "già nel settembre 1945, cinque mesi soltanto dopo la fine della guerra, una circolare del comando italiano raccomandava che gli elementi di «provati sentimenti antislavi», anche se fascisti, fossero mantenuti o riammessi in servizio" (5).
Un esempio fulgido di questa politica fu il ripescaggio del generale Giuseppe Pieche, rimasto in Croazia a fianco di Ante Pavelic fino al crollo del regime il 25 luglio 1943. Alla fine della guerra fu assunto al Ministero degli Interni come "direttore del servizio antincendi". Da quell'ufficio di copertura, in coordinamento con i servizi segreti statunitensi, organizzò clandestinamente gruppi terroristici neofascisti ed altri gruppi armati neri come il Movimento Anticomunista per la Ricostruzione Italiana, il Gruppo d'azione Fascista, il Fronte Antibolscevico, le Squadre d'Azione Mussolini, i Cadetti della Violenza ed altri gruppi similari che ponevano in essere azioni di provocazione secondo le direttive dei servizi segreti americani (6).
Dagli albori del 1945 ad oggi, le strutture dello Stato sono passate attraverso i sentieri dell'organizzazione Gladio, dei vari tentativi di colpo di stato che hanno visto coinvolti appartenenti alle forze armate, delle azioni di depistaggio condotte in relazione ad atti di strage, eventi storici sui quali si sono scritti fiumi di parole.
La questione della democrazia all'interno delle Forze dell'Ordine come degli apparati militari è pertanto dipendente dai rapporti di forza dello scenario geopolitico, più che dal maggiore o minore zelo costituzionale dei governi. De Gennaro saldo in poltrona a fianco del Tortosa sospeso sono la cartina di tornasole degli stessi rapporti. La campagna di ritorsione e pulizia condotta a margine dello sciagurato intervento di Tortosa contro tutti i piccoli pesci dello stagno poliziesco che hanno osato mettere un "mi piace" sulla conversazione "facebook" avrà un'inevitabile argine in quegli stessi rapporti di forza. Quei rapporti di forza che hanno permesso, negli anni repubblicani, di svuotare, procrastinare, cancellare l'applicazione dei principi di progresso contenuti nella Carta Costituzionale della Penisola, sino a farla diventare oggi una vuota crisalide, sino ad imporre il giogo del pareggio di bilancio come diga all'attuazione dei diritti sociali scomodi ai monopoli finanziari ed industriali.
A noi resta il bisogno di macerarci nei fatti del presente, oltre che in quelli del passato. Il prossimo 25 aprile è quindi bene ricordare cosa fa il governo e cosa fanno i rapporti di forza. La Resistenza, attaccata, svillaneggiata e tradita, sopravvive forte lontano dal potere, nei luoghi in cui ogni proletario soffre e subisce sfruttamento, vive nei cuori di migliaia di Giovani e di Lavoratori che mantengono salda e continua la loro lotta, ora, come allora, ed in tutti quei momenti della nostra storia repubblicana, in cui lo stivale borghese o quello dei suoi servi si sono calati sul popolo.
La Resistenza vive nei figli e nipoti della stessa rabbia. E' bene ricordarlo, il 25 aprile.
Note:
1. L'Office of Strategic Services (OSS) era un servizio segreto statunitense operante nel periodo della seconda guerra mondiale. Fu il precursore della Central Intelligence Agency (CIA). Fu istituito nel giugno 1942 con lo scopo di coordinare la gestione della raccolta di intelligence militare a livello centrale, assumendo in ciò un ruolo sovraordinato ad ogni altra analoga struttura già esistente nelle forze armate americane (ogni forza aveva infatti, e tuttora possiede, un proprio servizio di intelligence), in particolare per quanto concerneva le operazioni oltre le linee nemiche, venendo poi sciolto nel 1945 (Wikipedia, voce OSS)
2. F. GAJA, Il secolo corto, la filosofia del bombardamento, la storia da riscrivere, Maquis, Milano, 1994, p. 167.
2. R. FAENZA e M. FINI, Gli americani in Italia, Milano, 1976, p. 147 cit. in F. GAJA, op. cit., p. 167.
3. F. GAJA, op. cit., p. 167.
4. F. GAJA, op. cit., p. 168.
5. R. FAENZA e M. FINI, op cit., p. 168,169.