* APPELLO ALL’ANPI per l'abrogazione della Legge n.92/2004 istitutiva del "Giorno del Ricordo"
Il #Giornodelricordo: dieci anni di medaglificio fascista. Un bilancio agghiacciante.
1. Un presidente piccolo piccolo
Quest’anno il Giorno del Ricordo non è passato proprio liscio liscio.
Prima, la campagna sui falsi fotografici che abbiamo lanciato su Giap è arrivata sui media mainstream sia in Italia (L’Espresso) sia in Slovenia (Mladina).
In seguito, la notizia del conferimento dell’onorificenza ai congiunti del volontario del Battaglione «Mussolini» Paride Mori ha scoperchiato un vaso di Pandora. Poche settimane dopo il 10 febbraio, il Corriere ha pubblicato un articolo a firma di Alessandro Fulloni («Foibe, 300 fascisti di Salò ricevono la medaglia per il Giorno del Ricordo»), in cui si parla di ben trecento onorificenze – sulle mille assegnate a partire dal 2005 – attribuite a militari inquadrati nelle formazioni collaborazioniste della RSI.
A livello nazionale la notizia ha destato un certo scalpore, ma chi ha la memoria lunga e l’abitudine a guardare oltre il cortile di casa propria, ricorda bene che già nel 2007 era successo un discreto casino.
All’epoca Napolitano pronunciò un discorso passato alla storia, o perlomeno alla cronaca. Discorso che, tra le altre cose, conteneva la plateale manipolazione di un passo dello storico Raoul Pupo:
Pupo: «Il quadro che si offre all’analisi storica è dunque decisamente articolato, perché nei fatti dell’autunno del 1943 sembrano intrecciarsi più logiche: giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e faide paesane, oltre a un disegno di sradicamento del potere italiano – attraverso la decimazione e l’intimidazione della classe dirigente – come precondizione per spianare la via a un contropotere partigiano che si presentasse in primo luogo come vendicatore dei torti, individuali e storici, subiti dai croati dell’Istria.»
Napolitano: «Così, si è scritto, in uno sforzo di analisi più distaccata, che già nello scatenarsi della prima ondata di cieca violenza in quelle terre, nell’autunno del 1943, si intrecciarono “giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento” della presenza italiana da quella che era, e cessò di essere, la Venezia Giulia.»
Lo sradicamento del potere italiano diventava tout court sradicamento della presenza italiana; l’Istria diventava l’intera Venezia Giulia; scomparivano il contropotere partigiano e, soprattutto, i torti subiti dai croati.
Dopodiché, Napolitano consegnò la medaglia di acciaio brunito con la scritta «La Repubblica italiana ricorda» al figlio o al nipote di Vincenzo Serrentino, ultimo prefetto di Zara.
Il Presidente croato Stjepan Mesić non prese bene né il discorso di Napolitano (soprattutto per il revanscismo che traspariva da un passaggio sul confine del ’47) né l’onorificenza consegnata a Serrentino.
Infatti, chi è ‘sto Serrentino, che su Wikipedia, fino a stamane, era catalogato tra le “vittime delle dittature comuniste”?
Durante l’occupazione nazifascista della Jugoslavia, Serrentino fu uno dei tre componenti del Tribunale Straordinario della Dalmazia, un organo “giudiziario” alle dirette dipendenze del Governatore Bastianini, creato a scopo repressivo per terrorizzare la popolazione civile in funzione antipartigiana.
Il tribunale comminò decine di condanne a morte, eseguite seduta stante, dopo processi lampo indiscriminati, basati sul principio della responsabilità collettiva. Per tale motivo Serrentino venne catturato a Trieste dai partigiani jugoslavi nel 1945, processato come criminale di guerra, e fucilato a Sebenico nel 1947.
Non solo: persino la commissione italiana per i crimini di guerra, istituita con lo scopo preciso di insabbiare, insabbiare, insabbiare, nel 1946 inserì Serrentino nella lista dei (pochi) criminali deferiti all’autorità militare.
Ma come, si chiederanno i meno informati, le medaglie non devono andare ai parenti degli “infoibati”? Serrentino non è mica finito in una foiba…
Beata ingenuità. Il termine “foibe”, come scrivono Pupo & Spazzali in un loro rinomato libro (Foibe, Bruno Mondadori, Milano 2003), «va accolto, purché si tenga conto del suo significato simbolico e non letterale». Si usa “foibe” per intendere «le violenze di massa a danni di militari e civili, in larga prevalenza italiani, scatenatasi nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945 in diverse aree della Venezia Giulia e che nel loro insieme procurarono alcune migliaia di vittime.» E anche se a parere dei due storici «sarebbe più appropriato parlare di “deportati” e “uccisi” per indicare tutte le vittime della repressione», ormai tutti parlano di “foibe” e “infoibati”, e quindi pure loro si adeguano.
Anche Gianni Oliva dice che il termine ha «un carattere simbolico» e il suo uso «va accompagnato dall’avvertenza che buona parte delle vittime (probabilmente la maggior parte) non è stata eliminata nelle foibe» (Foibe, Mondadori, Milano 2002).
A questo punto, un lettore attento potrebbe domandarsi:
«Ma se persino gli storici più citati nel dibattito mainstream, quelli ospitati da Vespa, dicono che le vittime sono alcune migliaia di cui la maggior parte è morta in altre circostanze, dove vanno a finire gli italiani gettati “a decine di migliaia” nelle foibe ancora vivi e legati l’uno all’altro con fil di ferro di cui ho letto su Facebook e/o sentito dire da Giorgia Meloni?»
Bella domanda, sarebbe bello sentirla fare più spesso. Quando la sentono, i fascisti “sopperiscono” alla mancanza di fonti e di prove… urlando. E qui vale la pena ripescare un epigramma di Beppe Fenoglio:
[LXIV] A BALBO
Balbo oratore, delle due l’una:
o rinforzi il concetto o indebolisci la voce.
2. Aguzzini nella nebbia
Il caso di Serrentino non è certo stato l’unico prima di Mori. Nonostante la fitta nebbia che circonda l’edificio del GdR (una via di mezzo tra la nebbia di The others di Amenabar e quella di The mist di Stephen King), alcuni storici come Sandi Volk e Milovan Pisarri sono riusciti, negli anni, a recuperare i nomi di decine di “decorati” e hanno scoperto parecchie cose. Tre esempi di decorati:
Luciani Bruno, riconoscimento ricevuto nel 2007. Dal suo dossier (AJ, fondo 110, busta 231, f. br. 24206):
«[…] Il giorno 27 novembre 1944 venne arrestata Varich Wilma dagli agenti Ciarlenco e Luciani, membri della polizia di Collotti, e venne portata nel carcere in via Bellosguardo. Qui venne interrogata. Venne legata al tavolo, picchiata e presa a pugni; questo venne fatto dal brigadiere Ciarlenco. Vedendo i torturatori che non aveva intenzione di dire nulla, cominciarono a bruciarle le mani, le gambe e le guance con l’elettricità. Dopo un’ora fu portata in cella. Il giorno successivo fu trasportata nel carcere presso i Gesuiti. Dopo ottanta giorni fu nuovamente interrogata e torturata nel carcere in via Cologna, poi trasferita al Coroneo e dopo due mesi fu internata in Germania.»
Privileggi Iginio, riconoscimento ricevuto nel 2007. Dal suo dossier (AJ, fondo 110, busta 214, f. br. 21168):
«[…] Il giorno 2 febbraio 1944 arrestarono Pribetić Ivan, che venne portato in carcere, maltrattato e picchiato; venne picchiato in particolare dal fascista Privileggi. Lo stresso giorno si recarono a Nova Vasi e arrestarono Viggintin Petar, che venne portato a Parenzo e ucciso con una mitragliatrice poco distante dall’abitazione di Mate Vlašić. Nel corso di questa esecuzione vennero riconosciuti i fascisti Kovačič Mario e Destilatis Ennio. In quell’occasione diedero fuoco alla casa di Vlašić Mate, e quando Vlašić Petar tentò di spegnere l’incendio, i fascisti lo presero e lo portarono al cimitero, dove venne ucciso con una raffica di mitragliatrice. A quest’esecuzione parteciparono Privileggi Iginio e Ramarro Luigi. Allo stesso modo uccisero sempre a Nova Vasi Brnobić Ivan e sua moglie Vitkorija, Orahovac Antun, Jerovac Mate, Radin Gašpare, Sorčič Bruno (…).
Il criminale sopraindicato è stato liquidato dalle nostre autorità come risulta dal rapporto della Commissione per i crimini di guerra in Istria numero 389.»
Stefanutti Romeo, riconoscimento ricevuto nel 2006 e nel 2007. Dal suo dossier (AJ, fondo 110, busta 230, f. br. 24016):
«I fascisti di diverse guarnigioni, e in particolare di quella di Oprtalj, commisero nel corso del 1944 nel territorio di Buzet una serie di crimini nei confronti della pacifica popolazione locale, con lo scopo di annientarla e di appropriarsi dei loro beni. La Commissione per i crimini di guerra in Istria ha accertato che in quel periodo critico, il milite Stefanutti Romeo partecipò personalmente ai crimini di seguito descritti […] Dalla fine del gennaio 1944 fino alla fine del giugno dello stesso anno, nel territorio di Buzet, senza alcun motivo vennero uccisi i seguenti civili: Grizančić Mate, Grizančić Andjelo (questi venne portato al cimitero nel paese di Salež dove gli vennero cavati gli occhi, tagliate le orecchie, mentre il suo corpo venne martoriato con il coltello; poi fu fucilato), Zonta Miha, Zonta Antun, una certa Ana di Zrenja il cui cognome non si conosce (venne sgozzata), Pruhar Ivan, Mušković Antuna (venne ucciso mentre badava ai suoi tacchini, che vennero poi rubati dai fascisti), Kodelij Antun e Prodan Antun; inoltre, saccheggiarono e incendiarono 14 abitazioni, mentre arrestarono due persone e li mandarono nei campi in Germania.»
La lista più completa e aggiornata dei decorati si trova qui (pdf).
Eppure il testo della legge istitutiva del Giorno del Ricordo sembra chiaro:
«Sono esclusi dal riconoscimento coloro che sono stati soppressi nei modi e nelle zone di cui ai commi 1 e 2 mentre facevano volontariamente parte di formazioni non a servizio dell’Italia.»
Com’è possibile che i militari della RSI, collaborazionisti degli occupatori nazisti, ricevano l’onorificenza? Vuoi vedere che…
3. Salvate il camerata Barbagli
Inopinatamente, una traccia ce la dà l’uomo che si fa chiamare Presbite, che si è più volte dichiarato persona informata dei fatti, in una discussione avvenuta nei meandri di Wikipedia:
«La prima formulazione era già contenuta all’interno del primissimo progetto di legge (quello presentato solo da aennini). La finalità era quella di evitare che si presentasse a chiedere la decorazione uno che era morto mentre combatteva per le formazioni inquadrate nell’EPLJ! E allora hanno messo questa formula “a fisarmonica”, presa paro paro dal primo progetto. In questa maniera è vero che non possono essere premiati quelli – per esempio – delle SS italiane, ma quelli sono già dannati e stradannati e gli ex missini tutto sommato sapevano benissimo che fin lì non potevano spingersi. Loro volevano proprio cercare di “salvare” quelli dalla RSI morti infoibati (quelli in combattimento non possono essere decorati).»
E in effetti, leggendo gli atti del dibattito parlamentare sulla legge istitutiva del Giorno del Ricordo, il punto di maggior contrasto tra coloro che votarono a favore risulta essere stato proprio quello riguardante la possibilità di conferire la decorazione ai repubblichini. Nella sua relazione introduttiva, Roberto Menia disse esplicitamente che si sarebbe dovuto dare un riconoscimento ai volontari del Btg. “Mussolini” e della X Mas. Tale possibilità fu contestata dall’ Ulivo, che però non riuscì a far passare i propri emendamenti. L’ultimo intervento al Senato fu quello di Marcello Basso, che disse:
«[…] intervengo sul provvedimento “Istituzione del «Giorno del ricordo» in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati”, perché turbato dalla lettura dei Resoconti pervenutici dalla Camera dei deputati; perché scosso dal fatto che negli interventi dei deputati, ma anche dei senatori, della destra non ci sia alcun riferimento alla guerra di aggressione dell’Italia fascista e della Germania nazista alle popolazioni della Iugoslavia, anche da parte di chi, lo voglio dire, autorevole rappresentante della Lega, andava in tempi assolutamente recenti in pellegrinaggio da Milošević; perché scandalizzato dal fatto che nella relazione al provvedimento l’onorevole Menia citi in positivo l’opera dei reparti della X MAS e del Battaglione bersaglieri Mussolini sul confine orientale; scorato, altresì, dal fatto che non emerga sforzo alcuno per capire il contesto storico che ha originato la grande tragedia delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata; preoccupato – anche questo voglio dire – da talune recrudescenze irredentiste. Si parte, magari come fa il senatore Servello, dalla richiesta della restituzione dei beni agli esuli, per poi magari pretendere la restituzione dei territori.»
Oggi sappiamo che i timori espressi da Basso erano più che fondati. Lo sapevamo già allora, a dire il vero. Lo sapevamo fin dal 1996, quando Menia, presentando la sua primissima proposta di legge, disse in aula:
«I partigiani titini, a seguito dell’8 settembre 1943, per circa sessanta giorni infierirono su quanto d’italiano vi era in quella terra della frontiera orientale. Ributtati nelle loro zone di origine dalle armi tedesche e da quelle della Repubblica sociale italiana, tornarono con la fine della guerra e, dal maggio 1945 – padroni incontrastati della situazione – completarono le loro vendette con altri massacri, con altre stragi.»Ci chiediamo allora perché a suo tempo Basso e altri dubbiosi avessero comunque votato a favore. La risposta probabilmente è: ordine di scuderia. Perché il Giorno del Ricordo è stato il punto d’arrivo di un progetto di lungo corso, di un patteggiamento di Fassino e Violante direttamente con Fini e Menia.
Gli “ex comunisti” del PDS volevano costruire nientemeno che la “memoria condivisa”.
I “post fascisti” volevano semplicemente riabilitare i repubblichini.E’ del tutto evidente che la posizione dei primi fosse perdente, oltre che stupida, sbagliata e incompatibile con i principi dell’antifascismo, e quindi coi fondamenti stessi della Repubblica. La posizione dei secondi invece è del tutto coerente con la storia da cui provengono. Solo l’ottusità – o il cinismo – della classe politica del centrosinistra può spiegare la decisione di svendere in quel modo i principi dell’antifascismo, calpestando il buon senso e qualunque serietà nell’approccio al tema del rapporto storia-memoria: la memoria non è e non può essere condivisa, è un fatto individuale o di gruppo. Solo nei regimi totalitari c’è una memoria condivisa di stato.
Il tentativo di imporre una memoria condivisa ha avuto effetti devastanti su tutta la vita del Paese, a cominciare dal mondo della scuola. Grazie al Giorno del Ricordo, scuole e musei sono obbligati per legge – e da pressioni politiche – a organizzare iniziative con associazioni di esuli come l’ANVGD e l’Unione degli Istriani. In questa intervista al gruppo musicale neofascista La Compagnia dell’anello, il frontman Bortoluzzi racconta che nelle scuole si fanno cantare ai bambini le canzoni revansciste della band:
«Una delle più grosse soddisfazioni rimane però il ricevere le richieste dello spartito di Di là dall’acqua da parte di insegnanti che fanno cantare ai cori delle scuole la nostra canzone.»Insomma si sono fatti passare come sacerdoti di una verità “di tutti” i detentori di una memoria che fino a pochi anni fa era confinata all’estrema destra.
Ricordiamo che, come non manca di far notare Bortoluzzi, un verso di Di là dall’acqua – «Perché in Dalmazia non ti sembri strano / anche le pietre parlano italiano» – è usato da Simone Cristicchi nel suo spettacolo Magazzino 18.
4. The mist
Ma torniamo alle onorificenze ai repubblichini. Chi ne ha deciso concretamente l’assegnazione? La legge affida questo compito a una commissione formata da 10 persone:
– quattro sono militari degli uffici storici degli stati maggiori delle forze armate (esercito, marina, aeronautica, arma dei carabinieri);
– quattro sono rappresentanti delle associazioni degli esuli;
– uno è nominato dalla presidenza del consiglio;
– uno è nominato dal ministero degli interni.
Pare che sia prassi consolidata che i due membri di nomina politica siano anch’essi dei militari.
I nomi dei membri della commissione non sono di pubblico dominio. Nemmeno i nomi dei decorati lo sono. Scartabellando sul sito del Ministero della Difesa, si possono comunque trovare i nomi dei militari degli uffici storici (aggiornati al 15-3-2012):
Col. Antonio Zarcone, C.V. Francesco Loriga, Col. Vittorio Cencini e Col. Paolo Aceto, come si può vedere da qui.
Invece qui scopriamo che nel 2012 il presidente della commissione era l’Ammiraglio di Squadra Alessandro Picchio, e qui che il Gen. Riccardo Basile è stato membro della commissione fino alla sua morte nel 2014.
Dal sito dell’ ANVGD veniamo a sapere il nome di uno dei rappresentanti degli esuli: Marino Micich.
Sugli altri nomi nebbia fitta. C’è un’interrogazione parlamentare in corso, a cui finora non è stata data risposta. Nebbia ancora più fitta avvolge i lavori di questa commissione e le procedure di conferimento delle insegne. Tutte le richieste sono state accolte? Come si è deciso quali accogliere? Come sono avvenute le verifiche?
Inoltre, secondo la legge, le richieste sarebbero dovute arrivare entro dieci anni dall’entrata in vigore della legge stessa (quindi entro aprile del 2014). Le insegne e i diplomi consegnati lo scorso febbraio in occasione del Giorno del Ricordo dovrebbero dunque essere stati gli ultimi. Allora la commissione è sciolta? E la documentazione, come previsto, è stata già versata all’Archivio di Stato?
5. Ritorneremo!
La medaglia e la pergamena invece sono questi: http://www.wumingfoundation.com/giap/wp-content/uploads/2015/04/Mori-Paride-riconoscimento-al-fascista.jpg
Come si può notare, nella pergamena compaiono anche i nomi delle “province perdute”: Pola, Fiume, Zara. È come se un’onorificenza britannica riportasse Dublin, Bombay, Rhodesia. Anche questo aspetto revanscista era ampiamente prevedibile e previsto. Nel 2003 Menia, presentando la sua terza proposta di legge, disse in aula:
«Ci sono pagine, nella storia dei popoli e degli uomini, che grondano di dolore e di ingiustizia. Oltre cinquant’anni fa con il Trattato di pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, reso esecutivo dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 1430 del 1947, si scrisse una di quelle pagine. Essa sancì la mutilazione territoriale delle terre orientali d’Italia e la perdita della gran parte della Venezia Giulia e della Dalmazia […]»Concetto peraltro ribadito anche da Napolitano nel suo discorso del 2007:
«Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una “pulizia etnica”»Per uno di quei giochi strani che fa la vita, mentre gli “ex comunisti” del PDS si appiattivano completamente sulla vulgata della propaganda neofascista triestina, elaborata a partire dagli anni Quaranta e sdoganata a livello nazionale a partire dagli anni novanta, per ascoltare qualcosa di ragionevole in quegli anni bisognava rivolgersi a uno storico come Galliano Fogar, partigiano azionista, e senza dubbio oppositore della Jugoslavia di Tito (sottolineatura nostra):
«Non è un caso che il 10 febbraio preso dalla destra come simbolo della tragedia (ma foibe ed esodo sono due cose distinte) è la data della sigla del Trattato di Pace di Parigi. Ma questi signori non spiegano chel’Italia era sul banco degli imputati e che la gran parte dell’Istria e Fiume furono perdute non certo per colpa dei partigiani ma per le precise colpe del fascismo e della sua violenta opera snazionalizzatrice prima e per l’invasione della Jugoslavia poi.»6. The end
E oggi? Il bilancio, a dieci anni dall’istituzione del Giorno del Ricordo, è agghiacciante. Tra foto farlocche, onorificenze a nazifascisti assortiti, e discorsi ufficiali privi di qualunque fondamento storico, il GdR sembra essere diventato uno dei pilastri dell’identità nazionale italiana, a suggello di un ripugnante “patteggiamento della memoria” tra “ex comunisti” e “post fascisti”. L’epitome perfetta del paese reale.
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* Nicoletta Bourbaki è il nome usato da un gruppo di inchiesta su Wikipedia e le manipolazioni storiche in rete, formatosi nel 2012 durante una discussione su Giap. Con questa scelta, il gruppo omaggia Nicolas Bourbaki, collettivo di matematici attivo in Francia dal 1935 al 1983.
Lettera al Direttore della Gazzetta di Parma
Sulla revoca della medaglia a Paride Mori
Egregio Direttore,
se settant’anni fa avessero vinto i fascisti, gli antifascisti non potrebbero dire e scrivere liberamente; ma hanno vinto gli antifascisti e così anche i fascisti possono dire e scrivere liberamente ciò che vogliono. Compreso sostenere che il fascista parmense Paride Mori è stato una specie di eroe e che è una vergogna che il Governo pochi giorni fa abbia fatto – parzialmente in realtà – marcia indietro rispetto all’attribuzione a Mori il 10 febbraio u.s. dell’onorificenza della Repubblica come “infoibato” (o assimilato).
Com’è noto, come nessuno storico mette in discussione, all’inizio d’aprile 1941 l’esercito italiano fascista del Re e di Mussolini aggredì, insieme con la Germania nazista, la Jugoslavia senza che la Jugoslavia avesse fatto alcun male all’Italia, ne invase e tenne occupati diversi territori, con metodi (secondo la Commissione per i crimini di guerra delle Nazioni Unite) feroci e crudeli non meno di quelli nazisti. Di qui la rivolta popolare contro l’Italia fascista, lo sviluppo impetuoso del movimento partigiano con le formazioni repubblicane e comuniste guidate da Tito, impegnate nella più grande guerra popolare antinazifascista in Europa.
E la guerra fu tale per cui il 1° maggio 1945 Trieste fu liberata dai nazifascisti – liberata, non occupata – da parte dell’Esecito Popolare di Liberazione Jugoslavo alleato degli anglo-americani e dei sovietici, così come gli anglo-americani liberarono – liberarono, non occuparono – la Sicilia, Roma, ecc.
Dopo l’8 settembre ’43 nell’Italia del Nord i Tedeschi avevano creato lo stato fantoccio chiamato Repubblica Sociale Italiana (RSI) con a capo Mussolini. I militari della RSI nelle zone di questo Stato al confine nordorientale con la Jugoslavia erano sotto il comando diretto della Germania nazista. Fra questi militari ci fu anche il parmense, volontario, capitano del Battaglione dei bersaglieri “Mussolini”, Paride Mori. Anche a prescindere dalle circostanze precise in cui il Mori morì, se in combattimento coi partigiani o no, e a prescindere dai suoi ideali personali, poichè un conto è la moralità degli individui e un conto è la moralità delle cause (Bobbio), Mori ha fatto volontariamente parte di formazioni non a servizio dell’Italia. E la legge 92/2004 al comma 3 dell’art.3 esclude espressamente che possano avere il riconoscimento della Repubblica coloro che “facevano volontariamente parte di formazioni non a servizio dell’Italia“.
Questo è il motivo vero per cui a Paride Mori, fascista repubblichino volontario combattente sotto il comando della Germania nazista, non può essere attribuita l’onorificenza della Repubblica nata dalla Resistenza antifascista. Prima ancora che per il fatto di essere egli caduto in combattimento coi partigiani anzichè in un agguato come sostenuto da famigliari e amici. La Presidenza del Consiglio nel revocare la medaglia per Mori ha addotto il motivo della morte in combattimento anzichè non in combattimento. Ma la Presidenza del Consiglio dovrebbe addurre innanzitutto l’altro motivo, quello dell’essere stato, Mori, combattente al servizio della Germania nazista. Da questo punto di vista ci sarebbero probabilmente tante altre medaglie, alcune centinaia di medaglie, della Repubblica da revocare come quella attribuita a Paride Mori nel 2015.
Giovanni Caggiati
Parma, 26 aprile 2015
(pubblicato sulla Gazzetta di Parma del 4 maggio 2015)
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