Distruzione e saccheggio della Libia

In ordine cronologico inverso:
1) Libia, la grande spartizione (di Manlio Dinucci, 3.8.2016)
2) Libia: come distruggere una nazione (di Patrick Howlett-Martin, 31.5.2016)
3) Libia: bandiere italiane bruciate Tobruk e Derna (ANSA, 30 aprile 2016)
4) La nuova spinta per l’intervento militare in Libia: chi controllerà la Banca Centrale libica? (di Horace G. Campbell, 28.4.2016)
5) La ricolonizzazione della Libia (di Manlio Dinucci, 8 marzo 2015)
6) Aysha Gheddafi, nuova leader della Resistenza popolare contro NATO e ISIS (di Enrico Vigna)


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Libia, la grande spartizione  

Petrolio, immense riserve d’acqua, miliardi di fondi sovrani. Il bottino sotto le bombe
 
Manlio Dinucci
  

«L'Italia valuta positivamente le operazioni aeree avviate oggi dagli Stati uniti su alcuni obiettivi di Daesh a Sirte. Esse avvengono su richiesta del Governo di Unità Nazionale, a sostegno delle forze fedeli al Governo, nel comune obiettivo di contribuire a ristabilire la pace e la sicurezza in Libia»: questo il comunicato diffuso della Farnesina il 1° agosto.  

Alla «pace e sicurezza in Libia» ci stanno pensando a Washington, Parigi, Londra e Roma gli stessi che, dopo aver destabilizzato e frantumato con la guerra lo Stato libico, vanno a raccogliere i cocci con la «missione di assistenza internazionale alla Libia». L’idea che hanno traspare attraverso autorevoli voci. Paolo Scaroni, che a capo dell’Eni ha manovrato in Libia tra fazioni e mercenari ed è oggi vicepresidente della Banca Rothschild, ha dichiarato al Corriere della Sera che «occorre finirla con la finzione della Libia», «paese inventato» dal colonialismo italiano. Si deve «favorire la nascita di un governo in Tripolitania, che faccia appello a forze straniere che lo aiutino a stare in piedi», spingendo Cirenaica e Fezzan a creare propri governi regionali, eventualmente con l’obiettivo di federarsi nel lungo periodo. Intanto «ognuno gestirebbe le sue fonti energetiche», presenti in Tripolitania e Cirenaica. 

È la vecchia politica del colonialismo ottocentesco, aggiornata in funzione neocoloniale dalla strategia Usa/Nato, che ha demolito interi Stati nazionali (Jugoslavia, Libia) e frazionato altri (Iraq, Siria), per controllare i loro territori e le loro risorse. La Libia possiede quasi il 40% del petrolio africano, prezioso per l’alta qualità e il basso costo di estrazione, e grosse riserve di gas naturale, dal cui sfruttamento le multinazionali statunitensi ed europee possono ricavare oggi profitti di gran lunga superiori a quelli che ottenevano prima dallo Stato libico. Per di più, eliminando lo Stato nazionale e trattando separatamente con gruppi al potere in Tripolitania e Cirenaica, possono ottenere la privatizzazione delle riserve energetiche statali e quindi il loro diretto controllo.  

Oltre che dell’oro nero, le multinazionali statunitensi ed europee vogliono impadronirsi dell’oro bianco: l’immensa riserva di acqua fossile della falda nubiana, che si estende sotto Libia, Egitto, Sudan e Ciad. Quali possibilità essa offra lo aveva dimostrato lo Stato libico, costruendo acquedotti che trasportavano acqua potabile e per l’irrigazione, milioni di metri cubi al giorno estratti da 1300 pozzi nel deserto, per 1600 km  fino alle città costiere, rendendo fertili terre desertiche. 

Agli odierni raid aerei Usa in Libia partecipano sia cacciabombardieri che decollano da portaerei nel Mediterraneo e probabilmente da basi in Giordania, sia droni Predator armati di missili Hellfire che decollano da Sigonella. Recitando la parte di Stato sovrano, il governo Renzi «autorizza caso per caso» la partenza di droni armati Usa da Sigonella, mentre il ministro degli esteri Gentiloni precisa che «l'utilizzo delle basi non richiede una specifica comunicazione al parlamento», assicurando che ciò «non è preludio a un intervento militare» in Libia. Quando in realtà l’intervento è già iniziato: forze speciali statunitensi, britanniche e francesi – confermano il Telegraph e Le Monde – operano da tempo segretamente in Libia per sostenere «il governo di unità nazionale del premier Sarraj». 

Sbarcando prima o poi ufficialmente in Libia con la motivazione di liberarla dalla presenza dell’Isis, gli Usa e le maggiori potenze europee possono anche riaprire le loro basi militari, chiuse da Gheddafi nel 1970, in una importante posizione geostrategica all’intersezione tra Mediterraneo, Africa e Medio Oriente. Infine, con la «missione di assistenza alla Libia», gli Usa e le maggiori potenze europee si spartiscono il bottino della più grande rapina del secolo: 150 miliardi di dollari di fondi sovrani libici confiscati nel 2011, che potrebbero quadruplicarsi se l’export energetico libico tornasse ai livelli precedenti. 

Parte dei fondi sovrani, all’epoca di Gheddafi, venne  investita per creare una moneta e organismi finanziari autonomi dell’Unione Africana. Usa e Francia – provano le mail di Hillary Clinton – decisero di bloccare «il piano di Gheddafi di creare una moneta africana», in alternativa al dollaro e al franco Cfa. Fu Hillary Clinton – documenta il New York Times – a convincere Obama a rompere gli indugi. «Il Presidente firmò un documento segreto, che autorizzava una operazione coperta in Libia e la fornitura di armi ai ribelli», compresi gruppi fino a poco prima classificati come terroristi, mentre il Dipartimento di stato diretto dalla Clinton li riconosceva come «legittimo governo della Libia». Contemporaneamente la Nato sotto comando Usa effettuava l’attacco aeronavale con decine di migliaia di bombe e missili, smantellando lo Stato libico, attaccato allo stesso tempo dall’interno con forze speciali anche del Qatar (grande amico dell’Italia). Il conseguente disastro sociale, che ha fatto più vittime della guerra stessa soprattutto tra i migranti, ha aperto la strada alla riconquista e spartizione della Libia. 
 
(il manifesto, 3 agosto 2016)


Sullo stesso argomento vedi La notizia su Pandora TV http://www.pandoratv.it/?p=7166



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ORIG.: Libya: How to Bring Down a Nation (by PATRICK HOWLETT-MARTIN, MAY 31, 2016)
http://www.counterpunch.org/2016/05/31/libya-how-to-bring-down-a-nation/


Libia: come distruggere una nazione

Pubblicato il 2 giu 2016

di Patrick Howlett-Martin
Più di 30.000 libici sono morti durante sette mesi di bombardamenti messi in atto da una forza essenzialmente tripartitica – Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti – che ha chiaramente favorito i ribelli. ‘La missione di maggior successo nella storia della NATO‘, secondo le parole imprudenti del Segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, un danese, a Tripoli nell’ottobre 2011.
Il desiderio del presidente francese Nicolas Sarkozy di sostenere un intervento militare con lo scopo presunto di proteggere la popolazione civile è in contrasto con l’ospitalità offerta al presidente della Libia, Muammar Gheddafi, quando visitò Parigi nel dicembre 2007 e firmò importanti accordi militari del valore di circa 4.5 miliardi € con accordi di cooperazione per lo sviluppo dell’energia nucleare per usi pacifici, I contratti che la Libia non sembrava più disposta a rispettare si concentravano su 14 jet multiruolo Dassault Rafale da combattimento e il loro armamento (lo stesso modello che la Francia ha venduto o sta cercando di vendere al generale Egiziano Abdel Fattah al-Sisi l’auto-proclamato maresciallo), 35 elicotteri Eurocopter, sei motovedette, un centinaio di veicoli blindati, e la revisione di 17 caccia Mirage F1 venduti da Dassault Aviation negli anni 1970.
 Le principali compagnie petrolifere (Occidental Petroleum, Oil Stato, Petro-Canada …) che operano in Libia hanno aiutato la Libia a pagare 1,5 miliardi di dollari di risarcimento che il regime libico aveva accettato di pagare alle famiglie delle vittime del volo Pan Am 103. A quel tempo, la compensazione era stata destinata ad essere una delle condizioni per la Libia per essere riaccettati nella comunità delle relazioni internazionali.
I principali fondi libici di investimento (LAFICO-Libyan Arab Foreign Investment Company; LIA-Libyan Investment Authority) erano azionisti di molte aziende italiane e britanniche (Fiat, UniCredit, Juventus, il Gruppo Pearson, proprietario del Financial Times e la London School of Economics, dove Gheddafi è stato insignito del titolo di ‘Brother Leader‘ nel corso di una videoconferenza nel dicembre 2010 ed a suo figlio Saif è stato assegnato un dottorato di ricerca nel 2008). La banca di investimenti di New York Goldman Sachs è stata denunciata nel 2014 da un fondo libico (Libyan Investment Authority), che aveva perso più di 1,2 miliardi di dollari tra gennaio e aprile 2008 dopo che l’azienda americana aveva preso una commissione di 350 milioni di dollari per investire i loro soldi in derivati altamente speculativi.
Muammar Gheddafi era stato ricevuto con tutti gli onori da parte delle grandi potenze alcuni mesi prima: oltre al ricevimento in grande stile a Parigi, dove è stato ospite per cinque giorni, nel 2007, fu ricevuto in Spagna nel dicembre 2007, a Mosca nel ottobre 2008, e a Roma nell’agosto 2010, due anni dopo aver accettato il dono dell’Italia di 5 miliardi di dollari come risarcimento per l’occupazione italiana della Libia 1913-1943. E degni dii nota sono anche i cinque viaggi a Tripoli in tre anni da ex primo ministro britannico Tony Blair, un consulente senior legato alla banca d’investimento JP Morgan Chase. L’ex presidente francese Nicolas Sarkozy è stato ricevuto a Tripoli nel luglio 2007, dove ha annunciato l’inizio di una collaborazione per l’installazione di una centrale nucleare in Libia. L’Unione europea era pronta a facilitare l’accesso al mercato Europeo per le esportazioni agricole della Libia. La Libia fu invitata dai capi della NATO di difesa per l’Assemblea dei comandanti marittimi »(MARCOMET) a Tolone il 25-28 maggio 2008.
Una politica che ricorda quella verso il leader iracheno, Saddam Hussein. Il leader iracheno è stato invitato a Parigi nel giugno 1972 e settembre 1975; un accordo è stato firmato nel giugno 1977 per la vendita a Baghdad di 32 aerei da combattimento Mirage F1. Una coincidenza che non ha giovato a nessuno dei due governi nel lungo periodo.
I leader militari arabi (veterani dell’Afghanistan e membri del Gruppo combattente islamico libico, con legami con Al-Qaeda) hanno contribuito rovesciare Gheddafi. Uno dei principali capi militari della ribellione, Abdelhakim Belhadj (pseudonimo Abu Abdullah al-Sadik), poi capo della sicurezza di Tripoli e oggi il principale leader del partito conservatore islamista al-Watan era stato arrestato a Bangkok nel 2004, torturato da agenti della CIA, e consegnato alla prigione di Abu Salim di Gheddafi. Ora è il principale leader dell’ISIS in Libia. Jaballah Matar è stato rapito dalla sua casa al Cairo dalla CIA nel 1990 e poi consegnato a funzionari libici. Alcuni documenti sequestrati dopo la morte di Gheddafi rivelano una stretta collaborazione tra i servizi segreti libici, americani (CIA), e Britannici (MI6).
Sotto Gheddafi, il terrorismo islamico era praticamente inesistente. Prima dei bombardamenti degli Stati Uniti nel 2011, la Libia aveva il più alto indice di sviluppo umano, la mortalità infantile più bassa e l’aspettativa di vita più alta di tutta l’Africa. Oggi la Libia è uno stato distrutto.
Nel gennaio 2012, tre mesi dopo la fine delle ostilità, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Navi Pillay, ha riferito l’uso diffuso di torture, esecuzioni sommarie e stupri nelle carceri libiche. Allo stesso tempo, l’organizzazione Medici Senza Frontiere ha deciso di ritirarsi dalle carceri di Misurata a causa della torture in corso ai detenuti.
L’intervento della NATO in Libia, che coinvolge la maggior parte dei paesi membri sotto un pretesto umanitario, fissa uno spiacevole precedente per gli sforzi per risolvere la crisi siriana: l’attacco da parte di aerei da guerra francesi e britannici sulla tribù Warfallah, che sono rimaste fedeli a Muammar Gheddafi, e sul convoglio che trasportava il leader libico e uno dei suoi figli, che conduce direttamente alla morte di Gheddafi in circostanze deplorevoli. Le immagini  video di Ali Algadi, e della giornalista Tracey Sheldon forniscono un resoconto grafico del leader libico trascinato da un tubo di scarico il 20 ottobre 2011 e ucciso poco dopo. Queste circostanze smentiscono la natura pseudo-umanitaria dell’intervento militare e infangano l’immagine della “Primavera Libica”.
La morte dell’ambasciatore americano in Libia, Christopher Stevens e di uno dei suoi collaboratori in un incendio appiccato al consolato degli Stati Uniti a Bengasi nel mese di settembre 2012 rivela l’ampiezza delle attività della CIA, nelle quali il Consolato fungeva da facciata. Il reclutamento della CIAnella sua base di Bengasi dei combattenti dalla città di Derna per il conflitto in Siria, feudo degli islamisti (Brigata Al-Battar), contro il presidente Bashar al-Assad, ha paralleli inevitabili con il reclutamento del 1979, ancora una volta dalla CIA, dei mujahidin contro l’Unione Sovietica in Afghanistan, con tutte le conseguenze che sono ben note, una in particolare: la nascita del jihadismo sunnita.
L’attentato con un’autobomba all’ambasciata francese a Tripoli nel mese di aprile 2013; la fuga di 1.200 detenuti del carcere di Bengasi; l’uccisione del avvocato dei diritti umani Abdel Salam al-Mismari nel mese di luglio; e l’attacco al Consolato svedese a Bengasi nell’ottobre 2013, tutto ciò evidenzia l’incapacità delle autorità di acquisire il controllo della situazione della sicurezza in Libia considerando come è stata invasa dalle milizie armate fino ai denti. Nel luglio 2013, il primo ministro libico Ali Zeidan ha minacciato di bombardare i porti libici nella regione di Bengasi che erano nelle mani delle milizie e che sono stati utilizzati per l’esportazione del petrolio ora sotto il loro controllo. Nel mese di ottobre, il Primo Ministro è stato rapito da 150 uomini armati nel centro di Tripoli ed è stato trattenuto per sei ore per protestare contro il rapimento sul suolo libico di Abu-Anas al-Libi in un’operazione aerea segreta americana. Al-Libi è stato accusato di essere uno dei leader di Al-Qaeda e poi è morto mentre era in custodia negli Stati Uniti.
Il 2015 è iniziato con la Libia priva di tutte le istituzioni. E’ governata da un gruppo eterogeneo di coalizioni in lotta per il potere, con sede a Tripoli (Libia Farj, che controlla la banca centrale), Bengasi (Consiglio della Shura, composto da Ansar al-Sharia, che sta affrontando le Forze armate libiche del rinnegato generale Khalifa Hiftar), in Tobruk-Bayda (ramo del Consiglio Nazionale di Transizione, che gode di riconoscimento diplomatico internazionale dopo le elezioni di Giugno 2013).
La situazione di salute e sicurezza della popolazione civile è quasi disastrosa. Quando ho visitato il paese nel 1994, era un modello per la salute pubblica e l’istruzione, e vantava il più alto reddito pro capite in Africa. E’ stato chiaramente il più avanzato di tutti i paesi arabi in termini di status giuridico delle donne e delle famiglie nella società libica (la metà degli studenti presso l’Università di Tripoli erano donne). L’aggressione contro la presentatrice Sarah Al-Massalati nel 2012, la poetessa Aicha Almagrabi a febbraio 2013, e l’attivista per i diritti delle donne Maddalena Ubaida, ora in esilio a Londra,  sono la testimonianza del triste status giuridico della Libia post-Gheddafi. La città di Bengasi è ora semi-distrutta; le scuole e le università sono per lo più chiuse.
E’ teatro di scontri fratricidi tra fazioni rivali finanziate e armate da una serie di apprendisti stregoni, Un generale che è stato di stanza negli Stati Uniti per 27 anni comanda una coalizione eterogenea con l’appoggio militare dell’Egitto, degli Emirati Arabi Uniti e dell’Arabia Saudita mentre i gruppi islamici che rivendicano fedeltà all’ISIS, ben radicati a Sirte e Derna, sono in grado di diffondere la loro influenza grazie alla crisi istituzionale. e, Qatar, Turchia e Sudan che dall’altro lato sostengono Farj Libia.
Gheddafi, leader della rivoluzione libica, la Jamahiriya, al potere nel periodo 1969-2011, ha dato un avvertimento all’Europa in un’intervista rilasciata al giornalista francese Laurent Valdiguié del Journal du Dimanche, alla vigilia dell’intervento della NATO, con parole che ora sembrano profetiche:
‘Se si cerca di destabilizzare [La Libia], ci sarà il caos, Bin Laden, le fazioni armate. Questo è ciò che accadrà. Avrete l’immigrazione, migliaia di persone invaderanno l’Europa dalla Libia. E non ci sarà più nessuno a fermarli. Bin Laden si baserà in Nord Africa [...]. Avrete Bin Laden a portata di mano. Questa catastrofe si estenderà dal Pakistan all’Afghanistan e percorrerà tutta la strada verso il Nord Africa’
 La Libia è diventata un fulcro per il traffico illegale, in particolare di emigranti africani in condizioni che ricordano quelle del commercio degli schiavi. Secondo L’iniziativa Globale contro la criminalità organizzata internazionale (Global Initiative Against Transnational Organized Crime), il mercato del contrabbando di rifugiati in Libia valeva 323 milioni di dollari nel 2014. Nei primi cinque mesi del 2015, più di 50.000 immigrati clandestini hanno raggiunto l’Italia dall’Africa sub-sahariana con la Libia; 1.791 di loro hanno perso la vita in mare.
Prima dell’inizio delle ostilità, 1,5 milioni di africani subsahariani lavoravano in Libia in posti di lavoro in generale umili (industria del petrolio, agricoltura, servizi, del settore pubblico). I giorni più scuri in mare devono ancora arrivare.

 

NOTE:
 [1] “Il Capo della NATO Rasmussen ‘orgoglioso’ per la fine della missione in Libia’, BBC News, 31 ottobre 2011.
[2] Agenzia France Presse, 11 dicembre 2007.
[3] International Herald Tribune, 24 marzo 2011.
 [4] Jeremy Anderson, ‘Goldman per aver rivelato il reddito legato alla causa libica’, International New York Times, 25 novembre 2014.
 [5]The Telegraph, 23 marzo 2012.
 [6]O’Globo, il 26 luglio, 2007.
[7] Souad Mekhennet, Eric Schmitt, ‘ribelli libici cercano di gettarsi Al Qaeda alle spalle’, International Herald Tribune, 19 luglio 2011.
 [8]. Rod Nordland, ‘File di nota stretti legami della CIA con unità spia di Gheddafi’, International Herald Tribune, 5 settembre 2011.
 [9]International Herald Tribune, 28-29 gennaio 2012.
[10]Borzou Daragahi, ‘Invito a esplorare le morti dei civili libici’, Financial Times, 14 maggio 2012.
[11] Seymour Hersh, ‘Stati Uniti Sforzo contro il braccio jihadisti in Siria. Lo scandalo Dietro l’ente sotto copertura della CIA a Bengasi ‘, Global Research, Blog di Washington, 15 aprile 2014.
[12] Abdel Sharif Kouddous, ‘Relazione dal fronte: Libia discesa nel caos’, The Nation 25 febbraio 2015.
[13] Journal du Dimanche, 5 marzo 2011 (www.lejdd.fr)
[14] Fonte: Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e la Commissione europea.
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Traduzione di Edoardo Gistri
per aderire alla brigata traduttori inviare mail a traduttori@...


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Libia: bandiere italiane bruciate Tobruk e Derna 


Centinaia di libici hanno manifestato, sui cartelli era scritto "no all'intervento dell'Italia nei nostri affari interni"


Redazione ANSA
IL CAIRO
30 aprile 2016

Bandiere italiane date alle fiamme in Libia sono state segnalate da due media a Tobruk e a Derna, mentre su Twitter sono tornate a circolare immagini di un tricolore bruciato presumibilmente a Bengasi alcuni giorni fa.
Il caso di Tobruk viene riportato dal sito Alwasat precisando che "centinaia di libici" hanno manifestato ieri dopo la preghiera del venerdì al motto "nessuna tutela". Su cartelli era scritto "no all'intervento dell'Italia nei nostri affari interni", "l'Italia non si sogni di occupare il nostro paese". "I manifestanti hanno bruciato una bandiera italiana e issato striscioni sui quali era scritto 'il nostro esercito è il nostro salvatore', 'congratulazioni per le vittorie dell'esercito a Derna e Bengasi e per i suo progressi in direzione della città di Sirte", scrive il sito.

    "Bruciando una bandiera italiana, hanno condannato quello che definiscono un'interferenza italiana e dell'Onu in Libia", riferisce dal canto suo Libya Herald descrivendo l'episodio di Derna. Questo è avvenuto nell'ambito di una protesta peraltro indirizzata contro raid aerei dell'esercito libico guidato dal generale Khalifa Haftar osannato a Tobruk.

    Ad apparente conferma di un episodio segnalato mercoledì (ma non è escluso di tratti di un nuovo caso), un account Twitter ha diffuso quattro foto accompagnandole con la didascalia "la bandiera dell'Italia brucia a Bengasi quale rifiuto dell'ingerenza italiana e contro le dichiarazioni di Roberta Pinotti". Senza aggiungere altro circa il ministro della Difesa, il tweet mostra una bandiera mentre viene calpestata e bruciata.
    Sul campo bianco di un drappo, si legge la scritta rossa in arabo: "no all'intervento italiano".


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La nuova spinta per l’intervento militare in Libia: chi controllerà la Banca Centrale libica?

Pubblicato il 28 apr 2016

di  Horace G. Campbell
22 aprile  2016
Si sta spingendo fortemente affinché i paesi della NATO facciano in intervento dichiarato in Libia. In questo momento la giustificazione è di combattere lo Stato Islamico per impedire che il terrore si diffonda in Europa attraverso il Mediterraneo. Come avviene nei casi di distruzione delle società africane, i governi di Gran Bretagna e Francia sono in prima linea nella spinta al recente intervento. La Germania non vuole essere lasciata fuori e sta ora operando attivamente per l’intervento dell’ONU.
Prima di questa primavera, era stato difficile ottenere la copertura legale per un più grosso intervento militare da parte dell’Occidente, ma ora si ipotizza che ci sia un nuovo governo di ‘unità’ con il mandato per chiedere alle Nazioni Unite di intervenire militarmente. Ogni settimana c’è un nuovo incontro in Europa per spingere a un intervento senza consultazioni con l’Unione Africana. In gennaio, l’Unione Africana ha nominato l’ex Presidente della Tanzania, Jakaya Kikwete suo nuovo inviato speciale in Libia. Finora, tutti i rapporti e le discussioni su un nuovo intervento  sancito  dall’ONU, hanno escluso gli interessi dei popoli della Libia e dell’Africa. Le forze progressiste del mondo è necessario che siano vigili riguardo a questo tentativo di intensificare la militarizzazione del Nord Africa e che si oppongano ai governi che stanno usando il problema dell’ISIS per dare un’altra spinta al controllo delle risorse della Libia e dell’Africa.
I veri motivi per l’intervento in Libia
Le email dell’ex-Segretario di Stato e attuale candidata alla presidenza, Hillary Clinton, hanno rivelato al mondo le principali ragioni dell’intervento della NATO e della distruzione della Libia nel 2011. Siamo informati da uno scrittore che aveva esaminato queste email riguardanti il commercio tra Stati Uniti e Francia, circa gli obblighi di intervenire in Libia. In una email in data 2 aprile 2011, Sydney Blumenthal, allora assistente della Clinton, la informava ‘che fonti vicine a uno dei figli di Gheddafi riferivano che “il governo di Gheddafi ha 143 tonnellate di oro e un’analoga quantità di argento” e che   era stato trasferito dalla Banca Centrale Libica con sede a Tripoli più vicino al confine tra Niger e Chad.
“Questo oro era stato accumulato prima dell’attuale ribellione e si intendeva usarlo per stabilire una valuta pan-africana, basata  sul Dinaro Libico d’oro. Questo piano era designato a fornire ai paesi dell’Africa di lingua francese un’ alternativa al Franco francese (CFA).” La Blumenthal aggiungeva poi che “Secondo individui  informati,    questa quantità di oro e argento è valutata in più di 7 miliardi di dollari. I funzionari dell’intelligence francese hanno scoperto questo piano poco dopo l’inizio dell’attuale ribellione, e questo è stato uno dei fattori che ha influenzato la decisione del Presidente Nicolas Sarkozy di coinvolgere la Francia nell’attacco alla Libia.”
La email aggiungeva: “Secondo questi individui informati,  i piani di Sarkozy sono guidati dai seguenti argomenti:
1 Desiderio di guadagnare una porzione maggiore della produzione di petrolio della Libia
2 Aumentare l’influenza francese in Nord Africa
3 Migliorare la sua situazione politica in Francia
4 Fornire alle forze armate francesi un’occasione di riaffermare  la loro posizione nel mondo
5 Affrontare la preoccupazione dei suoi consiglieri per i piani a lungo termine di Gheddafi di soppiantare il potere dominante nell’Africa di lingua francese.” [i]
La Francia e la Germania non sono soltanto interessate alle vaste risorse di gas e petrolio nel sottosuolo libico, ma anche al vasto oceano di acqua situato sotto il Sistema acquifero di pietra arenaria della Nubia (Nubian Sandstone Aquifer System –NSAS). Dati i progressi della tecnologia solare,  gli stati europei vogliono avere il controllo sul Sahara per la futura trasformazione dell’energia solare per i consumatori europei. Sono le vaste risorse della Libia che sono ancora in gioco dato che c’è una nuova spinta perché  l’ONU intervenga in Libia. Come importante stato imperialista in Europa prima del 1945, la Gran Bretagna ha vasti interessi in Libia, ma le minacce dell’Unione Africana di sviluppare un Fondo Monetario Africano e una Valuta Comune sono  minacce dirette al futuro degli interessi economici francesi in Africa. Negli scorsi 40 anni, i tedeschi avevano dato  il compito di Gendarme dell’Europa alla Francia, ma, data la delicatezza  della crisi bancaria  e  finanziaria in Europa, i tedeschi non vogliono essere lasciati indietro. Quindi, nelle nuove pressioni per intervenire, i tedeschi sono  in gara   con la Francia e la settimana scorsa quando il Ministro degli esteri francese Jean-Marc Ayrault ha visitato Tripoli, era accompagnato dal Ministro degli esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier.  E’ stato un tentativo disperato di  trasmettere  legittimità a Fayyez Sarray, di recente insediatosi   come Primo Ministro della Libia e ai membri del Consiglio di Presidenza.
All’epoca dell’intervento della NATO nel 2011, la Germania era stata disinteressata alla distruzione, ma  dopo la crisi delle banche e quella finanziaria nell’Eurozona, i tedeschi non si possono permettere di essere lasciati fuori da qualsiasi possibile futuro saccheggio delle risorse africane. Per assicurarsi un posto in prima fila nei nuovi piani di intervento europei in Libia, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha nominato Martin Kobler, un diplomatico tedesco, come Rappresentante Speciale e capo della Missione di appoggio delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL). In precedenza Kobler era stato in servizio sulla scena del più grosso saccheggio  dell’Europa in Africa, nel Congo. In seguito alle pressioni degli europei, alcuni libici avevano messo insieme un Governo di Intesa Nazionale (GNA) che poteva essere designato come l’autorità legale per invitare le forze occidentali a combattere l’ISIS in Libia. Tuttavia, questo nuovo governo di Fayyez Sarraj non controlla le forze militari  abbastanza da garantire la richiesta di controllare il governo libico. Il programmato impiego di forze europee si suppone protegga questo Primo Ministro
e i membri della sua fazione che si chiama Consiglio di Presidenza. Nel frattempo, il Tesoro degli Stati Uniti sta pianificando di usare sanzioni contro quegli imprenditori militari che non si allineano con il nuovo Consiglio di Presidenza.
Fin dall’intervento della NATO in Libia nel 2011, i leader europei hanno cercato un nuovo mandato per un intervento e hanno usato il problema di migranti che affluiscono in Europa e anche l’aumento dell’ISIS in Libia per giustificare il loro intervento. Questa settimana la notizia dei 500 migranti affogati durante il tentativo di raggiungere l’Europa dalla Libia, è stato usato come altro motivo per spingere gli europei a intraprendere un’azione decisiva in Libia. Fin dal 2014 quando l’ISIS ‘apparve’ improvvisamente in Libia, ci sono state forze per le Operazioni Speciali provenienti dalla Francia, dalla Gran Bretagna e dall’Italia che operavano in Libia, ma allo scopo di ordinare un intervento  conclamato, ci doveva essere un governo ‘credibile’ a Tripoli.
Tre governi in Libia
Fin dall’assassinio di Gheddafi a opera della NATO nell’ottobre 2011, ci sono stati numerosi tentativi di mettere insieme in Libia un governo credibile. Il primo esperimento quando c’era il Consiglio Nazionale Transnazionale era andato in pezzi  quando le pressioni da parte delle 1700 organizzazioni di miliziani  che  litigano per il petrolio  e poi i massacri  avevano frantumato la facciata del  processo di ‘transizione’ che era stato messo in atto  dal Dipartimento di Stato.  J.Christopher Stevens, il diplomatico che era stato al centro di operazioni con gli altri imperialisti per reclutare il Gruppo Combattente Libico Islamico operò intensamente per dare una copertura legittima a questi jihadisti, mentre la CIA e Stevens mobilitavano la regione orientale della Dernia per farne un filtro per in inviare gli jihadisti a combattere in Siria dalla Libia. La cosiddetta ISIS in  Libia sta operando nell’ambito della stessa infrastruttura organizzata dagli Stati Uniti per destabilizzare il Nord Africa e l’Asia Occidentale.
Dietro i 1700 gruppi di miliziani in Libia dopo il 2012, c’erano differenti potenze straniere come Gran Bretagna, Francia, Qatar, gli Emirati Arabi Uniti, gli Stati Uniti, il Sudan, la Turchia e l’Egitto. Da queste varie milizie, erano emersi due gruppi rivali che rivendicavano di essere il governo. Uno di questi operava fuori dalla parte orientale della Libia sotto la guida nominale del Generale Khalifa Hifter che era ritornato dalla Virginia, negli Stati Uniti, per rivendicare la leadership della ribellione contro Gheddafi e che aveva installato la brigata Dignità a est. L’altro gruppo pretendente al potere  in Libia, era quello di coloro che avevano il controllo  di Tripoli e della Banca centrale con le riserve di oro e di dollari. Questo gruppo era dominato dai brigadisti di Misurata ed erano appoggiati dai Qatarioti. Nel 2014, prima delle voci sull’ISIS, il Generale Hifter aveva fatto forti  rimostranze agli Stati Uniti di dare a lui tutto l’appoggio, ma il governo di base a Tripoli che aveva il controllo del denaro fece una  richiesta alternativa a Jack Lew, il Segretario al Tesoro.
Due anni dopo che la CIA e la legazione statunitense furono  smascherati per aver    rifornito di armi gli jahadisti che dalla Siria andavano in  Libia, al mondo si parlò di una nuova ‘minaccia’ alla Libia sotto forma di ISIS.
Come al solito, questa nuova minaccia ‘terroristica’ era apparsa a Sirte, che era stato il luogo che aveva dato origine alle discussioni sulla nascita dell’Unione Africana nel 1999. Per rafforzare l’idea che l’ISIS in Libia era una grande  minaccia , nel febbraio e aprile del 2015 ci furono immagini impressionanti di decapitazioni di cristiani Copti per mano dell’ISIS a Sirte, in Libia. E’ stato dopo queste immagini che i militaristi intensificarono gli sforzi per ottenere che l’ONU appoggiasse un altro intervento in Libia.
Far salire ufficialmente a bordo gli Stati Uniti
La Gran Bretagna, gli Stati Uniti e la Francia avevano schierato forze per le Operazioni Speciali in Libia, ma allo scopo di ottenere un reale rilevanza  internazionale e di propaganda, le forze interventiste dovevano ottenere l’appoggio ufficiale dell’establishment militare e dell’intelligence degli Stati Uniti.
Delle sezioni dei capi di stato maggiore stavano aggressivamente facendo pressione affinché il presidente degli Stati Uniti desse esplicito appoggio all’impiego di altre risorse statunitensi in Libia. Inizialmente il presidente rimandò, sostenendo che gli Stati Uniti non potevano impiegare truppe e altra forze speciali in una situazione in cui non c’era alcun governo. E’ stato questo ritardo che spinse i francesi a impegnarsi duramente per organizzare gli elementi che si chiamano ora Governo di Intesa Nazionale. Dato che il Presidente dei capi di stato maggiore faceva pressioni per un maggiore impegno, il Presidente Barack Obama  rilasciò  un’intervista alla rivista The Atlantic, delineando i motivi per cui pensava che gli  europei erano partner militarmente inaffidabili. [ii]
Dovendo fronteggiare le pressioni da parte di

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