Un Vademecum per il Giorno del Ricordo (10 Febbraio) a cura di Claudia Cernigoi, 9 Aprile 2019
Della Giornata del ricordo e dintorni: una riflessione. Occasioni nelle quali l’intera collettività viene chiamata a meditare su stessa e a scrutare nel proprio passato. Il rischio dell’evocazione strumentale di vicende particolarmente controverse del recente passato, in funzione di un progetto tutto politico, riconducibile a una logica di spartizione e di rissa memoriale
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walter.chiereghin@...
Fulvio Senardi, Walter Chiereghin
Le adesione vanno inviate e segreteria@... specificando nome, cognome e eventuale istituzione di appartenenza o città di residenza
Dott. Massimiliano Fedriga
Presidente Regione autonoma Friuli Venezia Giulia
e, p. c.
Egr.
Avv. Prof. Sergio Mattarella
Presidente della Repubblica Italiana
Lo scorso 26 marzo il Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia ha approvato una mozione (n. 50) che impegna la Giunta e l’assessore competente “a sospendere ogni contributo finanziario e di qualsiasi altra natura (es. patrocinio, concessione di sale) a beneficio di soggetti pubblici e privati che, direttamente o indirettamente, concorrano con qualunque mezzo o in qualunque modo a diffondere azioni volte a non accettare l’esistenza delle vicende quali le Foibe o l’Esodo ovvero a sminuirne la portata e a negarne la valenza politica”.
Nel testo si punta l’indice contro “diversi convegni” organizzati “in alcune parti d’Italia, anche a cura dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia” che avrebbero avuto “il solo fine di mettere in discussione il dramma delle foibe”. Del pari si accusa l’Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea del Friuli Venezia Giulia per aver elaborato e reso pubblico un “Vademecum del Giorno del Ricordo”, con la volontà di “diffondere una versione riduzionista della storia della pulizia etnica perpetrata dai partigiani titini”. Ad essere criticato è altresì un (anonimo) “docente di Filosofia del diritto” che ad un convegno universitario “ha auspicato la censura del film su Norma Cossetto”.
Sempre secondo il testo della mozione, tutto ciò rientrerebbe nell’“ondata di becere iniziative che hanno come unico scopo quello di ‘sporcare’ il Giorno del Ricordo con offensive polemiche di stampo riduzionista o negazionista, le quali distolgono l’attenzione dal vero significato di questa celebrazione, che è quello di rivolgere un pensiero sentito e commosso allo strazio e alla pena di tutte le vittime dell’esodo e delle foibe”. Inoltre, la mozione non esita a richiamare la legge del 16 giugno 2016 n. 115 che attribuisce “rilevanza penale alle affermazioni negazioniste della Shoah, dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, in particolare quando ’si innesta’ su una comunicazione che già manifesti i tratti caratterizzanti del c.d. hate speech (incitamento all’odio), ponendo in pericolo la pacifica convivenza sociale”.
La mozione si configura come un pericoloso attacco frontale alla libertà di ricerca e alla libertà di parola, come un tentativo manifesto di imporre una “verità di Stato” (le foibe come “pulizia etnica”) tacitando, anche con la minaccia di eventuali sanzioni penali, chi sostiene punti di vista diversi, magari più articolati e anche scientificamente più fondati.
Noi sottoscritti storici, intellettuali, insegnanti, operatori di memoria e cittadini riteniamo che la limitazione della libertà di opinione e di ricerca su temi concernenti le foibe e l’esodo sia un segnale preoccupante per la democrazia in cui viviamo e leda la possibilità di una discussione serena e articolata su un momento importante della nostra storia nazionale, nonché il necessario confronto con la storiografia internazionale. Riteniamo inoltre che questa mozione rappresenti un arretramento dei diritti della libertà di ricerca in ambito storico e storiografico, elementi fondamentali e irrinunciabili per la formazione critica del cittadino.
Chiediamo pertanto che questa mozione, che ha una rilevanza non solo locale ma anche nazionale e internazionale, sia subito ritirata. Chiediamo inoltre che siano assicurate, senza ricatti economici, le condizioni necessarie affinché tutti gli istituti impegnati nella ricerca scientifica sui temi legati al confine orientale, alle foibe e all’esodo possano continuare a svolgere la loro preziosa attività sia sul piano della ricerca sia sul piano della diffusione dei risultati, di cui deve essere garantita la piena libertà.
2 aprile 2019
Paolo Pezzino, Presidente Istituto Nazionale “Ferruccio Parri – Rete degli Istituti storici della Resistenza e dell’età contemporanea"
La relazione Italo Slovena sulle Foibe non passerà nelle scuole
9/4/2019 12:35:49 | Trieste | Radio Capodistria
Il Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia non intende sostenere la distribuzione nelle scuole della Relazione della Commissione storico-culturale italo-slovena del 25 luglio 2000, che esaminava la storia del dopoguerra sul confine orientale.
Il confronto sulla storia delle foibe e dell’Esodo, innescata dai contrasti in occasione del Giorno del ricordo, si arricchisce di un nuovo capitolo: l’ordine del giorno presentato dal Movimento 5 Stelle, con l’appoggio del consigliere dell’Unione Slovena, Igor Gabrovec, è stato infatti respinto in commissione.
I 5 Stelle avevano votato la mozione che tende a escludere dai finanziamenti regionali che nega o riduce la tragedia delle Foibe, pur sottolineandone le difficoltà di applicazione, L’ordine del giorno tendeva quindi a offrire, in una fase molto delicata su questi temi, un’interpretazione condivisa ed elaborata da storici, superando quelle che ha definito "strumentalizzazioni", ma la maggioranza e la giunta non l’hanno appoggiato.
Deluso anche Igor Gabrovec, che aveva a più volte chiesto la valorizzazione della relazione italo slovena. “È un dato di fatto che il Consiglio regionale in questa legislatura si sta occupando troppo della storia, soprattutto in modo parziale – dice Gabrovec -. Io credo che la storia vada lasciata agli storici, ai ragazzi, alle nuove generazioni: dobbiamo offrire degli strumenti affinché possano guardare a dei periodi, anche dolorosi e complicati, con una certa distanza, e con dei dati oggettivi”.
“C’è bisogno di relazioni scritte da storici e non di verità confezionate da politici per quelle che sono le esigenze di micro bottega quotidiana: queste operazioni non fanno onore alla storia, vanno anche a danno del ricordo di chi ha sofferto in quel periodo e non fanno nemmeno un gran favore alle nuove generazioni che si trovano invischiate nuovamente in storie che sono più grandi di loro”.
Alessandro Martegani
11/4/2019 06:53:21 | Trieste | Radio Capodistria
Nessun riduzionismo, nessun negazionismo, solo la volontà di raccontare la storia senza piegarsi alla verità di Stato. Sono questi gli obiettivi dichiarati dal gruppo di storici al centro della bufera nelle ultime settimane.
Accusati apertamente di riduzionismo, se non di negazionismo, dalla maggioranza di centro destra, dopo settimane di alta tensione studiosi come Claudia Cernigoi, Alessandra Kersevan, e Piero Purini Purich, si sono ritrovati al teatro dei Fabbri di Trieste in un incontro organizzato dall'Associazione "Tina Modotti", per raccontare la loro idea di ricerca storica, e denunciare un tentativo di piegare i fatti avvenuti sul confine orientale alle esigenze di Stato.
Le posizioni emerse sono state però varie: da quelle che tendono alla ricerca di una storia condivisa, agli attacchi non solo alla destra ma anche all'Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione; dagli appelli a far fronte comune contro la maggioranza in Consiglio Regionale che ha approvato la mozione sulle Foibe, fino alla denuncia del professor Samo Pahor che ha affermato di avere un documento che proverebbe che non ci sarebbero corpi nel monumento nazionale della Foiba di Basovizza.
La necessità di ritrovare un metodo di ricerca storica e sottrarre il dibattito alla cronaca e alle opinioni è stata invece sottolineata dal Professor Angelo D'Orsi dell'Università di Torino, che ha anche denunciato il tentativo di ribaltare la storia delle Foibe per motivi politici: "È un processo che io chiamo di revisionismo, - dice D'Orsi - e che un certo punto arriva al 'rovescismo', cioè al vero e proprio rovesciamento deliberato dei fatti, mosso da ragioni ideologiche e spesso anche commerciali della verità storica".
"Il tema Foibe s'inquadra perfettamente in questo processo, - aggiunge - ma ha però un sottofondo culturale importante, che viene di solito sottovalutato, vale a dire la derubricazione della qualità scientifica della storia a opinione. La storia come scienza viene derubricata a opinione e quindi, invece della ricerca storica, è prevalso il gioco ad effetto, invece della serietà scientifica che lavora sui documenti e li usa correttamente, è prevalso il sensazionalismo mosso da ragioni politiche, ideologiche o anche semplicemente commerciali".
"Tutto questo a mio avviso gli stessi storici di mestiere l'hanno scoperto un po' tardi e non hanno saputo opporre una barriera: qui non si tratta di differenziarsi tra sinistra e destra, fra stotici di sinistra e storici di destra, l'unica differenza di chi fa storia è tra chi non lavora seriamente e chi lavora seriamente, analizzando i documenti in modo scientifico, attraverso una metodologia ricerca storica e le tecniche appropriate”
I toni sono saliti in questi mesi: si tratta di una fase, o di una conseguenza del processo più lungo che avete denunciato?
“Diciamo che i nodi stanno venendo al pettine: tutti i processi a un certo punto hanno delle accelerazioni, e indubbiamente negli ultimi mesi c'è stata un'accelerazione. Credo sia legata molto ai cambiamenti di umore politico, al ritorno del cosiddetto sovranismo, di un populismo di carattere nazionalista, e alla forza della Lega che è diventata sostanzialmente un partito egemone, che guida dall'interno la compagine governativa. Questo clima politico ha prodotto un'accelerazione di questo processo, un’accelerazione formidabile: quando Matteo Salvini, ministro di tutto e di niente, riesce a dire ‘i negazionisti delle Foibe mi fanno schifo’, vuol dire che il processo è arrivato proprio alle sue estreme conseguenze. Rispetto a questo bisognerebbe che davvero facessimo, per citare Salvemini, ‘testuggine a resistere’, non sono tra gli storici di mestiere, ma tra tutte le persone che ancora hanno a cuore la verità e soprattutto vogliono usare la ragione e non farsi sommergere da una parte dal chiacchiericcio giornalistico, dall'altra dalle violenze degli urlatori.”
Riguardo la mozione che è stata approvata in Consiglio regionale, c'è chi parla di un tentativo di imporre una sorta di verità di Stato: a suo parere la politica deve occuparsi della storia?
“La politica dovrebbe usare la storia, semplicemente perché la politica senza storia è piatta, non è capace di vedere il futuro. La politica è la scienza, e anche l’arte, di guardare prospetticamente il futuro, e quindi di prevedere ciò che accadrà, a partire da certa decisione che i politici prendono. La politica ha quindi bisogno della storia, ma la storia non ha bisogno della politica, è questo il problema. È la storia deve essere assolutamente non condizionata dalla politica. Cito ancora Gaetano Salvemini: quando lascia l’Italia nel 1925, prima ancora che gli venga imposto il giuramento fascista, che sarà imposto nel '31, invia una lettera al rettore dell'università di Firenze, dove era più autorevole dei docenti, in cui dice che lo storico ha bisogno della libertà come il pesce dell'acqua. Questa libertà, afferma Salvemini, oggi io la vedo conculcata, e quindi me ne vado via perché non posso lavorare seriamente. La storia deve essere libera dal condizionamento della politica, ma la politica ha bisogno della storia per nutrirsi, senza conoscenza seria del passato nessun politico può fare il suo mestiere seriamente”.
Ritiene utili operazioni come quella della commissione italo slovena che ha pubblicato una relazione condivisa sulle Foibe nel 2000, o sono troppo condizionate dal governi?
“Certamente all'origine c'è un’influenza dei governi, però se si lasciano lavorare gli storici in maniera seria, senza stare con il fiato sul collo, ben venga, può essere utile.”
Alessandro Martegani
11/4/2019 12:41:14 | Trieste | Radio Capodistria
Un piano preciso per trasformare la vicenda delle Foibe in uno scontro fra popoli, da utilizzare a fini politici. È questa la posizione di Alessandra Kersevan, storica e responsabile della Casa editrice Kappa Vu, fra gli studiosi indicati dalla maggioranza di centro destra in Friuli Venezia Giulia come responsabili di “riduzionismo”.
Anche nel recente incontro a Trieste del gruppo di storici al centro della bufera nelle ultime settimane, organizzato dall'Associazione "Tina Modotti", Alessandra Kersevan ha ribadito le sue posizioni, rigettando le accuse di negazionismo e sottolineando invece la necessità di analizzare quei fatti partendo dai documenti e non dalle strumentalizzazioni.
Il suo è uno dei nomi accusati dal centro destra di riduzionismo sulle Foibe. Lei come risponde?
“Io non mi sarei mai sognata di usare nei confronti di nessuno un termine di questo genere, perché penso che nell'ambito della storia si debba giudicare quello che uno scrive. Bisogna scrivere usando le fonti, contestualizzando, usando un metodo storiografico, e non credo che quello che sta succedendo in Italia oggi favorisca molto l'approfondimento storico. Favorisce invece l'oltraggio, favorisce l'appellativo pesante nei confronti delle persone. È un processo agevolato anche dall'uso che viene fatto oggi dai social, ma succedeva anche prima che ci fossero Facebook o Twitter: è un metodo usato negli ultimi decenni proprio per impedire che gli italiani conoscano la loro storia.”
“Anche senza guardare a quello che succede adesso nei nostri confronti, nei confronti di Resistenza storica, nella storia italiana di questi ultimi decenni ci sono stati moltissimi episodi di vera e propria censura, addirittura di documenti istituzionali o d’importanti film. Basta pensare al documentario della BBC ‘Fascist Legacy’, che non è mai stato trasmesso dalla Rai, nonostante lo Rai lo avesse acquistato e doppiato. Pensiamo anche al documento della Commissione storica italo-slovena. Si può essere d'accordo o meno con quello che c'è scritto, ma avrebbe rappresentato perlomeno un punto di partenza, e soprattutto avrebbe creato un clima di discussione, più che di offesa come sta avvenendo adesso.”
Ma lo scopo di questa operazione di occultamento che denunciate quale sarebbe?
“Evidentemente si vuole evitare che gli italiani sappiano la loro storia, che ripensino alla loro storia, si preferisce questa narrazione vittimistica degli italiani uccisi solo perché italiani, senza domandarsi come sia possibile che un esercito, che a quel tempo era comunque uno degli eserciti più importanti d'Europa, abbia aggredito un paese, l’allora regno di Jugoslavia, senza neppure dichiarare guerra, abbia annesso interi territori provocando la morte, veramente in questo caso, di decine e decine di migliaia di persone, e come tutto questo possa essere negato nella sua importanza rispetto a quello che è successo su questo confine. È una battaglia lunga e difficile: credo che queste leggi e queste mozioni, accanto ad altre azioni che vengono fatte, anche a livelli molto alti nello Stato italiano, per impedirci di parlare, partano dalla consapevolezza che la verità è talmente evidente, emerge talmente bene dalla documentazione, che non avrebbero più alcuna possibilità continuare con le loro menzogne. Il fatto che ci neghino la parola, che ci costringano nelle catacombe, è la prova evidente che hanno paura di noi, anche se siamo in pochi.”
Quindi la contrapposizione non riguarda solo gli ultimi mesi, mi sta dicendo che è una strategia che parte da lontano?
“Assolutamente: le forme attuali sono quelle più gridate, più becere, ma l'ostruzionismo nei confronti della verità storica su questo confine orientale in Italia c'è sempre stato. È cominciato nel ‘44 ancora al tempo del governo Bonomi nell'Italia liberata, quando un burocrate del ministero degli Affari Esteri, Zoppi, decise di creare un dossier sulle malefatte dei partigiani jugoslavi nei confronti degli italiani, un dossier pieno di menzogne, che nelle sue intenzioni doveva essere usato per contrastare la consegna dei criminali di guerra italiani alla Jugoslavia. Questo materiale, chiamato il “trattamento degli italiani da parte degli jugoslavi”, è stato utilizzato per decenni sottotraccia in pubblicazioni dichiaratamente di destra, e poi stato riesumato negli anni ‘90 al tempo del cosiddetto processo delle Foibe, che si svolse a Roma, e che finì con la prima sconfitta da parte di coloro che avevano messo in piedi questa operazione, perché il processo fu un nulla di fatto. Già quella volta avevano riesumato questi materiali, prodotti per motivazioni assolutamente politiche, ma riscoperti come se fossero improvvisamente una verità rivelata. Sono documenti prodotti sia dai servizi segreti italiani, sia, precedentemente, dai servizi segreti della Decima MAS e del nazismo, che vengono ancora oggi usati per questa enorme propaganda che si sta facendo sulla questione delle Foibe”.
Ma qual è la sua posizione sulle Foibe?
“Nessuno nega che le Foibe ci siano state, ci sono persone che sono state uccise, ma la storia va inserita nella grande vicenda, tragicissima, della Seconda guerra mondiale e dei rapporti su questo confine. Così diventerebbe una delle tante tragedie che si sono verificate: una tragedia da indagare, da spiegare, da capire nella sua valenza, ma che invece è diventata un grimaldello per permettere ai neofascisti di riciclarsi nella Repubblica, una repubblica, vorrei ricordarlo, nata dalla Resistenza”.
Alessandro Martegani