Testi di Laura Ruggeri e dal Simposio internazionale tenuto a Banja Luka nel 2014
 
 
[english / italiano]
 

Rivoluzioni colorate

 
1) Laura Ruggeri: Rivoluzioni colorate. Genesi, applicazione e crisi di uno strumento di guerra ibrida (29 giugno 2024)
 
2) FLASHBACK 2014: 
– Rivoluzioni colorate come strumento di trasformazione geopolitica. Simposio internazionale tenuto a Banja Luka, Republika Srpska, il 26 aprile 2014 / Dichiarazione di Banja Luka: un piano di salvezza per la Republika Srpska
– Scholarly symposium on "coloured revolutions" in the Republic of Srpska, April 26, 2014 / The Banja Luka Declaration: A Safety Plan For The Republic Of Srpska
 
Su questo argomento si vedano anche 
le pagine del nostro sito con tag "eversione imperialista", "otpor" ecc.
e, per i materiali precedenti al 2018, la nostra pagina di rassegna di analisi e documentazione 
https://www.cnj.it/documentazione/eversione.htm
 
 
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Rivoluzioni colorate. Genesi, applicazione e crisi di uno strumento di guerra ibrida

 
di Laura Ruggeri, 2 Luglio 2024
 

Riproponiamo il testo integrale della relazione introduttiva sulle rivoluzioni colorate presentata il 29 giugno in Umbria.

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(Relazione presentata in Umbria, 29 giugno 2024)

Immagino che tutti voi sappiate che cosa si intende quando si parla di rivoluzioni colorate e possiate elencarne almeno alcune. In realtà la lista è molto lunga visto che uno dei teorici di queste rivoluzioni, Gene Sharp, scrive il suo libro The Politics of Nonviolent Action (La politica dell’azione nonviolenta) già nel 1973. Quel libro si basava su una ricerca che Sharp aveva condotto quando studiava ad Harvard alla fine degli anni Sessanta e che era stata finanziata dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. A quel tempo l’Università di Harvard era l’epicentro dell’establishment intellettuale della Guerra Fredda — vi insegnavano Henry Kissinger, Samuel Huntington, Zbigniew Brzezenski. E anche la CIA era di casa.

A prima vista potrebbe sembrare strano che i temi su cui lavorava Gene Sharp fossero di grande interesse sia per la CIA che per il Dipartimento della Difesa. In realtà non è strano per nulla. Organizzare la società civile per usarla come un esercito irregolare avrebbe permesso di attaccare il nemico sul proprio terreno invece di scatenare un conflitto militare, opzione troppo pericolosa per gli USA dal momento che l’Unione Sovietica era una potenza nucleare. Un cambio di regime avrebbe permesso di raggiungere gli obiettivi desiderati ma senza il rischio di un’escalation militare. Ricordiamo che la sconfitta subita in Vietnam era ancora cocente e aveva lasciato una ferita profonda nella psiche degli americani, l’opinione pubblica era fermamente contraria all’idea di sacrificare in guerra un’intera generazione.

E così assistiamo ad un fenomeno interessante: dalla fine degli anni Settanta alla fine degli anni Ottanta il budget destinato all’intelligence cresce a ritmi ancora più sostenuti del budget militare.

Poichè l’immagine della CIA era sempre più compromessa — era noto il suo coinvolgimento in colpi di stato militari, omicidi e torture di leader e militanti comunisti — occorreva creare altre organizzazioni, legate alla CIA, ma con un’immagine presentabile, una sorta di restyling, in modo da attrarre nuove reclute. I giovani di talento che uscivano dai campus americani erano politicizzati, progressisti, avevano manifestato contro la guerra in Vietnam e volevano essere motivati da ideali. Lavorare per chi aveva le mani sporche di sangue non era una prospettiva attraente. Invece lavorare per ONG che asserivano di difendere diritti umani e civili avrebbe permesso a questi giovani di mantenere credibilità agli occhi dei loro gruppi di riferimento. La loro esperienza di attivismo politico era un bonus per la CIA in quanto avrebbero dovuto muoversi con disinvoltura e tessere relazioni proprio in ambienti anti-governativi. Non stupisce quindi trovare tra le nuove reclute molti giovani provenienti da collettivi di sinistra, soprattutto di ispirazione trotskista.

Un altro vantaggio della mimetizzazione della CIA è che organizzazioni cosiddette non governative avrebbero potuto operare in tutto il mondo senza suscitare eccessivi sospetti e senza compromettere troppo chi riceveva fondi e addestramento. E così nel 1983 assistiamo alla nascita del tristemente famoso NED, il National Endowment for Democracy (Fondo Nazionale per la Democrazia) organizzazione che riceve milioni di dollari dal governo americano e da vari “filantropi” e poi li distribuisce ad altre organizzazioni, movimenti, media, think tank, ecc. ma che si spaccia per ONG e che dichiara come sua missione difendere e diffondere democrazia. Come ammetteva il suo fondatore “facciamo alla luce del sole quello che la CIA invece faceva di nascosto 25 anni fa”. Chiaro riferimento ai golpe.

Allen Weinstein, co-fondatore del NED con Carl Gersheim, aveva accesso ai documenti riservati della CIA e dell’FBI, ma non solo. Aveva anche accesso a quelle spie russe che erano state arrestate negli USA o che erano passate dalla parte del nemico. È importante sottolineare il background di Weinstein: trotskista, professore universitario, scriveva articoli per il Washington Post. Ma sia il giornalismo che l’attività accademica offrono da sempre un’ottima copertura. Weinstein non solo era un trotskista, ma essendo figlio di ebrei russi, aveva a disposizione all’interno dell’Unione Sovietica una rete di contatti che avrebbe potuto essere ampliata in modo esponenziale come infatti avviene grazie ai fondi del NED. Nel 1980 organizza insieme a dei dissidenti russi un comitato di cittadini per monitorare gli accordi di Helsinki sui diritti umani. Un comitato tira l’altro, e ben presto amplia la sua rete di attivisti sia all’interno dell’Unione Sovietica che nei paesi del Patto di Varsavia. Nella rete finisce anche un pesce molto grosso, Boris Yeltsin, che sarebbe poi diventato presidente della Russia. Spiego meglio, i collaboratori più stretti di Yeltsin facevano parte della rete di Weinstein. (David Ignatius ne parla in un articolo del Washington Post del 1991) Weinstein spiegava, “Il networking, il fare rete, è una delle cose in cui ci siamo specializzati”. Infatti gli aderenti della sua rete agivano dalla Polonia al Nicaragua. In Polonia animavano il movimento Solidarnosc, che inizialmente viene spacciato come un movimento sindacale, in Nicaragua il movimento anti-Sandinista dei Contras invece non aderiva a nessun principio di non-violenza, era una brutale organizzazione paramilitare.

Sempre nel 1983 viene fondato l’Albert Einstein Institution (AEI) da Gene Sharp e Peter Ackerman che era stato suo allievo. Si tratta di una ONG che ha lo scopo dichiarato di studiare ed insegnare i metodi rivoluzionari più efficaci per abbattere dittature. E per dittatura non intendevano certo i sanguinosi regimi sudamericani, del sud-est asiatico, dell’Africa che invece venivano installati e sostenuti attivamente da Washington. L’obiettivo era quello di destabilizzare e abbattere dall’interno l’Unione Sovietica e i paesi socialisti in quanto rappresentavano un ostacolo all’espansione globale del capitale anglo-americano e dell’ideologia neoliberista.

L’esternalizzazione dei piani di Washington dalla CIA alla società civile si è rivelata un ottimo affare per gli americani — ha contribuito a far crollare l’Unione Sovietica prima che Mosca potesse implementare le riforme graduali che invece hanno permesso al partito comunista cinese guidato da Deng Xiaoping di trasformare la Cina in una potenza economica. Le fondamenta su cui si erge il successo della Cina sono state preparate da Deng nel decennio in cui ha guidato il paese, dal 1979 al 1989.

Sempre in quegli anni oltre a NED, Allen Weinstein fonda il Centre for Democracy (Centro per la democrazia) che viene poi assorbito dall’International Foundation for Electoral Systems (IFES). Dove ha il suo quartier generale? Arlington, in Virginia, esattamente come la CIA. IFES collabora con l’OSCE (Organization for Security and Co-operation in Europe) per ‘monitorare’ elezioni in tutto il mondo. E ovviamente copre o denuncia brogli a seconda della convenienza.

Ma ritorniamo all’Albert Einstein Institution di Gene Sharp e Peter Ackerman, il cui obiettivo dichiarato era quello di usare la non-violenza per abbattere regimi totalitari, vale a dire tutti quei regimi che costituivano un ostacolo all’espansione globale del capitale anglo-americano e dell’ideologia neoliberista. Il capitale anglo-americano era in una fase di trasformazione. Negli anni Ottanta infatti era iniziato quel processo di finanziarizzazione dell’economia a tutto vantaggio di Wall Street e della City di Londra. Quando mi riferisco al capitale anglo-americano non lo faccio a caso. Quello che ai miei occhi appare molto rivelatore è che Ackerman era un banchiere di Wall Street che aveva ammassato una fortuna con i junk bonds, i cosiddetti titoli spazzatura e poi dopo un crack si era trasferito a Londra. Ackerman era uno speculatore esattamente come George Soros che guarda caso negli stessi anni comincia a finanziare anche lui i dissidenti, in Ungheria e in altri paesi del Patto di Varsavia e subito dopo la caduta del Muro di Berlino, crea a Budapest l’Università dell’Europa Centrale per formare le nuove generazioni dei paesi post-sovietici.

Ora occorre fare una piccola digressione per spiegare come mai tra i principali sostenitori e finanziatori delle rivoluzioni colorate si trovino dei personaggi di spicco della finanza come Peter Ackerman e George Soros. Nel 1971 il presidente Nixon dichiara la fine degli accordi di Bretton Woods, accordi che dal 1944 legavano le valute mondiali al dollaro a tassi fissi e il dollaro all’oro. La fine di Bretton Woods spiana la strada alla fluttuazione dei cambi, accelerando la finanziarizzazione dell’economia e l’egemonia del dollaro, cosa che permette agli USA di poter poi accumulare tutto il debito necessario a sostenere la propria egemonia, economica, politica e militare. Ackerman e Soros speculando sulla fluttuazione dei cambi avevano accresciuto ricchezza e quindi potere. Ma non solo. I loro obiettivi strategici coincidevano perfettamente con quelli anglo-americani e una stretta collaborazione andava a vantaggio di entrambi. L’habitus mentale e ideologico della guerra fredda permea i fondatori e finanziatori di queste organizzazioni che diventeranno la scuola quadri della nuova classe politica. Dalle ONG e think tank finanziate da questi “filantropi” esce quell’esercito di attivisti che poi andrà a ricoprire incarichi importanti nelle organizzazioni internazionali, nei partiti, nei governi, nelle università. Li troviamo dapprima nei paesi post-sovietici e poi anche in Europa occidentale, negli USA e nel resto del mondo.

Con il finanziamento dell’US Institute for Peace (USIP), del National Endowment for Democracy (NED) della Ford Foundation, di Open Society di George Soros e di altre fondazioni, l’Albert Einstein Institution di Gene Sharp e Peter Ackerman diventa il nodo centrale di questa rete impegnata in cambi di regime.

Ackerman si vantava di aver fatto cadere Milosevic in Serbia nel 2000 mentre più recentemente il primo ministro della Georgia Irakli Gharibashvili ha accusato Ackerman di aver foraggiato la Rivoluzione delle Rose del 2003–04 e quei movimenti che da anni tentano di abbattere il governo georgiano. In Georgia si stima che operino ben 10.000 ONG!

Ackerman e Soros, insieme agli apparati anglo-americani hanno finanziato centrali di sovversione e addestramento come Otpor, il gruppo di attivisti anti-Milosevic che ha poi provveduto alla formazione di attivisti anti-governativi ovunque servano a Washington e Londra fondando un’altra organizzazione, CANVAS, finalizzata a insegnare le tattiche che si erano dimostrate efficaci in Serbia. Ma non organizzano solo seminari. Spesso l’addestramento passa da materiali audiovisivi e in anni più recenti si avvale delle piattaforme social.

Nel 2002 Ackerman produce un film documentario dal titolo “Bringing Down a Dictator” (Come far cadere un dittatore) che dimostrava le tattiche usate da Otpor contro Milosevic. E una volta montato, il film viene distribuito dove serve. Ad esempio in Georgia una TV privata finanziata dagli USA, Rustaveli 2, nel 2003 lo trasmetteva tutti i sabati, e la stessa cosa avveniva anche in Ucraina. La lezione fa presa. In Ucraina nel 2004 assistiamo alla Rivoluzione Arancione mentre in Georgia nello stesso periodo la Rivoluzione delle Rose, capeggiata da Mikheil Saakashvili, costringe alle dimissioni il capo del governo Eduard Shevardnadze, politico georgiano che aveva ricoperto il ruolo di ministro degli esteri in Unione Sovietica. La Rivoluzione delle Rose apre la strada alla banda di delinquenti atlantisti che per oltre un decennio ha spadroneggiato in Georgia. Quando l’elettorato ha mandato a casa il governo di Saakashvili e la procura ha potuto finalmente indagare sulla sua corruzione, fugge in Ucraina, dove grazie a protezioni eccellenti, quella degli USA in primis, viene nominato governatore di Odessa nel 2015. Coinvolto in altri scandali pure in Ucraina, viene poi arrestato in Georgia e si trova tuttora in carcere.

 

COME RICONOSCERE UNA RIVOLUZIONE COLORATA

Purtroppo non è sempre facile distinguere sollevazioni popolari autentiche dalle loro copie eterodirette. È possibile cadere in un errore di giudizio in quanto una delle caratteristiche tipiche di questi movimenti pilotati è proprio quella del loro mimetismo. Pur trattandosi di proteste finanziate e coordinate da organizzazioni riconducibili all’intelligence americana, agli occhi di un osservatore casuale possono sembrare proteste legittime in quanto i referenti locali dei manovratori occulti pescano a gran mano nel repertorio espressivo e performativo dei movimenti di protesta organici, mutuano ovviamente solo la forma dell’espressione, i contenuti veramente rivoluzionari sarebbero incompatibili con i fini dei loro finanziatori.

Il manuale delle azioni non-violente realizzato da Sharp e da Otpor viene adattato alla specificità del paese. Sanno toccare le corde giuste della sensibilità giovanile, dagli slogan all’iconografia, basti pensare al pugno chiuso simbolo di Otpor, o al noto inno L’Internazionale che echeggiava a Piazza Tienanmen. Qui si raggiunse il parossisimo dell’incongruità in quanto gli studenti la cantavano intorno ad una copia di cartapesta della statua della libertà di New York. Penso alla cosiddetta ‘rivoluzione degli ombrelli’ di HK del 2014 che portava il nome di Occupy Central, un chiaro riferimento al movimento Occupy Wall Street del 2011, o al simbolo delle tre dita che gli studenti di Hong Kong, Bangkok e Yangon agitavano nelle manifestazioni di piazza nel 2020. Il saluto delle tre dita ha la sua origine nella Rivoluzione Francese del 1789 ma è stato ripreso dal film Hunger Games, film del 2012 che ha fornito anche alcuni degli slogan e l’iconografia usata sia nelle proteste di Maidan a Kiev nel 2014 che a Hong Kong nel 2019–20.

Il 2014 è un anno importante. Gli agenti della sovversione internazionale sono impegnatissimi a coordinare i loro referenti non solo in Ucraina, ma anche in Cina, dove assistiamo a una rivoluzione colorata a Taiwan, nota come Movimento dei Girasoli e al Movimento degli Ombrelli a Hong Kong. Le rivoluzioni colorate sono un prodotto di marketing e il marketing come sappiamo ha bisogno di branding, un marchio di riconoscimento. Non stupisce quindi che vengano associate a colori o fiori. A Taipei ai manifestanti vengono distribuiti migliaia di girasoli per fornire un’immagine che possa ancorare la narrazione mediatica. Due rivoluzioni colorate in Cina e una al confine della Russia nello stesso anno non sono frutto di casualità. La Rand Corporation, think tank americana legata al complesso militare-industriale, già nel 2005 teorizzava attacchi di guerra ibrida simultanei e coordinati che facessero leva sullo swarming, quel fenomeno di emulazione naturale, di comportamento collettivo che si riscontra negli stormi di uccelli o tra gli insetti. E per gli psicologi comportamentisti della RAND, gli studenti non agirebbero in modo molto diverso dai tordi.

Il Movimento dei Girasoli di Taiwan, guidato da una coalizione di studenti e gruppi della cosiddetta società civile, protestava contro il Cross-Strait Service Trade Agreement (CSSTA) che il Kuomintang (KMT) partito che era al potere a Taiwan aveva siglato con Pechino nel 2013. Questa rivoluzione colorata serviva a bloccare la ratifica di questo trattato di scambi economici e commerciali tra la Repubblica Popolare Cinese e l’isola di Taiwan che prevedeva un libero flusso di investimenti tra le due sponde dello stretto. Appare strano, no, che degli studenti si infiammino per un trattato commerciale che non solo non li toccava da vicino ma che prevedeva investimenti di cui avrebbero beneficiato una volta laureati. Ma la comprensione profonda dei temi della protesta è l’elemento che generalmente manca in questi movimenti eterodiretti. Il trattato commerciale dava fastidio soprattutto a Washington, come dava fastidio anche il governo guidato dal Kuomintang, accusato di essersi avvicinato troppo a Pechino: un forte movimento di protesta di massa avrebbe aiutato il partito che era all’opposizione, il partito democratico progressista (DPP) controllato da Washington, a ritornare al potere per scongiurare qualsiasi riconciliazione tra Pechino e Taipei.

Qualsiasi pretesto è utile per scatenare una rivolta quando è stata preparata a tavolino per anni, quando i propri agenti provocatori sono sul campo da tempo, quando le ONG, i media finto-indipendenti, i gruppi della società civile, le organizzazioni studentesche e sindacali sono guidate da persone che collaborano con Washington e ricevono fondi da Washington, e quando i media mainstream di tutto l’Occidente amplificano e applaudono le proteste seguendo una narrazione predefinita. Avete mai visto studenti scendere in piazza quando il governo propone un disegno di legge per estradare un delinquente comune? È successo a Hong Kong. Nel 2019 un residente della città aveva ucciso la fidanzata mentre la coppia era in vacanza a Taiwan ma siccome tra le due regioni della Cina non esiste un trattato di estradizione, per estradarlo e processarlo era necessario modificare la legislazione. Per innescare la rivolta è bastato diffondere la narrazione menzognera che sarebbe decaduta l’autonomia giuridica di Hong Kong e a quel punto Pechino avrebbe potuto avanzare richiesta di estradizione nei confronti di quei dissidenti politici che da anni vivevano nella regione a statuto speciale. Ebbene, la legge prevedeva solo l’estradizione per reati gravi, ed escludeva quelli di opinione, ma come dicevo chi scende in piazza raramente conosce i dettagli. Una volta preparato il terreno, basta gettargli l’osso giusto. In questo caso ai manifestanti era stato raccontato che questa legge avrebbe violato i loro diritti civili e umani.

Avete mai visto gli organizzatori di una manifestazione distribuire gratuitamente migliaia di occhiali di protezione contro i lacrimogeni e bottigliette d’acqua? Succedeva sotto i miei occhi a Hong Kong. Gli organizzatori intendevano alzare da subito il livello dello scontro con la polizia, gli agenti provocatori erano pronti e in assetto di guerriglia, coordinati da contractors americani mescolati tra la folla. Gli slogan che venivano scanditi erano tanto fighi quanto vaghi, tipo “Se noi bruciamo voi bruciate con noi”, preso pari pari da Hunger Games, mentre davano fuoco alla città o cantavano testi del musical Les Miserables, tipo “Sentite il popolo cantare”. Cantare è facile, crea un senso di comunione con chi hai intorno e infatti la maggioranza delle rivoluzioni colorate ha il suo inno. Nei paesi baltici nel 1987 la rivoluzione colorata di matrice nazionalista fa leva proprio sulle canzoni del repertorio folclorico in lingua locale, che venivano cantate nelle catene umane. Ma gli organizzatori non brillano certo per originalità: nel 2019 “Gloria all’Ucraina”, viene riadattato in “Gloria a Hong Kong.” E i motori di ricerca americani come Google e le piattaforme come YouTube spacciano questo inno alla protesta e al separatismo come inno ufficiale della città. In vari eventi sportivi internazionali è stato addirittura trasmesso invece di quello ufficiale cinese, la Marcia dei Volontari, con grande imbarazzo degli atleti e delle federazioni sportive di Hong Kong. Il governo locale intima ai colossi del web di rettificare i risultati delle ricerche online ma le sue ragioni vengono ignorate.

Cantare e scandire slogan è qualcosa che può fare qualsiasi manifestante, argomentare in modo coerente i motivi per cui protesta non è necessario visto che i giornalisti mainstream si guardano bene dal fornire un contraddittorio. Esempio più recente, chi manifestava a Tbilisi in Georgia ripeteva come un mantra che la legge sulla trasparenza delle donazioni alle ONG era una legge russa, ma nessun intervistatore dei canali mainstream gli faceva notare che esistono leggi simili e addirittura più restrittive negli Usa, nell’Unione Europea e in Gran Bretagna. È l’apoteosi del doppiopesismo e dell’ipocrisia.

La mia personale cartina di tornasole per capire se una protesta è teleguidata da Washington, è proprio quella dei media mainstream. Se una protesta viene glorificata da CNN, BBC, RAI, ecc, allora ci troviamo senza dubbio dinanzi ad un tentativo di rivoluzione colorata visto che le proteste genuine sono censurate o mistificate da questi stessi media.

Un’altra tattica usata spesso dagli organizzatori delle rivoluzioni colorate consiste nel cooptare proteste legittime per poi controllare e manovrare a piacimento i loro leader per altri fini. Per farlo vengono usati i metodi classici dell’intelligence, come il dossieraggio, se si scoprono informazioni compromettenti su qualcuno, quell’individuo viene ricattato. Oppure vengono offerti soldi, visibilità mediatica, cariche politiche ecc. Come merce di scambio per tradire il movimento,

Oggi comunque è più facile riconoscere una rivoluzione colorata in quanto esiste una letteratura enorme su di esse. E chi continua ad applaudirle è ovviamente in mala fede o rifiuta di informarsi.

Anni fa era quasi inevitabile cadere nella trappola. Nel giugno 1989, quando vivevo ancora a Milano, ho partecipato a una manifestazione a sostegno degli studenti cinesi che protestavano in piazza Tienanmen. Non sapevo nulla della Cina, ma da studente e giovane attivista pensavo che tutte le proteste studentesche fossero legittime e degne di essere sostenute. Ovviamente non sapevo che Gene Sharp, il padre delle rivoluzioni colorate, era precedentemente andato a Pechino per istruire gli studenti e che NED e Soros avevano investito molto in queste proteste. Ignoravo anche che ai leader della protesta erano stati forniti passaporti americani, e che l’MI6 insieme alla CIA avevano predisposto l’Operazione Yellowbird (uccello giallo) per esfiltrarli. Vennero portati prima a Hong Kong e poi negli USA, dove tuttora lavorano contro la Cina. Dieci anni dopo, nel 1999 a Hong Kong, ho partecipato addirittura ad una veglia in cui migliaia di persone con canti e candele commemoravano il decimo anniversario di Tienanmen, un rituale che riceveva un generoso sostegno del NED e da altre organizzazioni statunitensi. In quell’occasione mi era capitato in mano un opuscolo pubblicato da Human Rights in China, un’organizzazione con sede a New York e finanziata dal governo statunitense, che aveva stilato un elenco di 155 vittime ma aveva opportunamente omesso di menzionare quante di queste vittime erano soldati. Molti di quei giovani soldati erano disarmati e non erano stati addestrati per sedare rivolte, molti di loro finirono bruciati dalle molotov lanciate sui camion aperti che li trasportavano. Negli anni 1980–90 in Asia altre proteste di studenti sono finite nel sangue, ma stranamente non ne parla quasi nessuno, mentre la protesta di Piazza Tienanmen a Pechino viene tuttora celebrata dai media occidentali che hanno completamente riscritto la storia per demonizzare il governo cinese. Nel 1980 il regime militare sudcoreano ha ammesso di aver ucciso 165 studenti, anche se l’opposizione stima che le vittime siano state oltre 600. Nel 1998, in Indonesia, il regime di Suharto fu responsabile del massacro di circa 1000 manifestanti. Molte persone in Occidente non hanno mai sentito parlare di ciò che è accaduto agli studenti in Corea del Sud e in Indonesia, per ragioni che si possono facilmente immaginare: i regimi di questi due paesi erano sostenuti dagli USA.

Negli ultimi anni ho avuto diversi scambi interessanti con diplomatici e giornalisti stranieri che si trovavano a Pechino nel 1989 e sono andata a rileggermi gli articoli pubblicati dai giornali occidentali in quell’occasione. È interessante notare che i loro resoconti dell’epoca sono molto più in linea con la versione ufficiale del governo cinese di quanto si possa leggere in anni recenti sui fatti di Tienanmen su quegli stessi giornali, su Wikipedia e altre fonti mainstream, che hanno gonfiato all’inverosimile il numero delle vittime per demonizzare il governo cinese.

Una rivoluzione colorata viene scatenata quando tutti i tasselli sono al loro posto. È necessario avere sul campo agenti provocatori addestrati per lo scontro fisico con la polizia, quelli di Hong Kong ad esempio erano stati addestrati in campi militari a Taiwan, ed erano coordinati da contractors della CIA mescolati tra i manifestanti. In piazza Maidan a Kiev alcuni cecchini erano addirittura stati reclutati in Georgia. Occorre avere media e giornalisti compiacenti in loco per diffondere disinformazione tra la popolazione e alimentare con queste narrazioni un sentimento anti-governativo, e contemporaneamente diffondere all’estero queste stesse narrazioni per demonizzare le autorità locali e invocare sanzioni. Ma bisogna anche preparare il terreno anni prima della rivolta eterodiretta. Ad esempio a Hong Kong la demonizzazione di Pechino e dei cittadini della Repubblica Popolare sui media di opposizione aveva raggiunto livelli parossistici, i turisti cinesi che arrivavano da oltre confine venivano paragonati a delle locuste, e nonostante la qualità della vita per i ceti popolari, i servizi sociali, i trasporti, e le infrastrutture fossero ormai migliori nelle città della Cina Popolare che non a Hong Kong, i cinesi d’oltre confine venivano costantemente dipinti come dei cavernicoli rozzi e incivili verso i quali gli hongkonghesi potevano solo manifestare disprezzo. Veniva costantemente coltivato un senso di superiorità verso di loro. A Hong Kong veniva anche alimentata la nostalgia per il passato coloniale, proprio quel passato che i giovani neanche avevano conosciuto e che quindi poteva essere riscritto a piacere. Gli abitanti di Hong Kong fin dalla scuola erano stati programmati per amare ed emulare gli inglesi, e più in generale gli occidentali, descritti come portatori di civiltà, legge, cultura, e buone maniere. Le classi dominanti scimmiottavano lo stile di vita delle elites inglesi, mandavano i propri figli a studiare nelle università inglesi o americane, e avendo fatto carriera in epoca coloniale, occupavano ruoli dirigenziali anche nelle istituzioni.

Nelle università docenti e ricercatori che si erano formati negli USA e in Gran Bretagna ne riproducevano l’ideologia, in un classico fenomeno di neocolonialismo intellettuale. Ma non solo. Usavano gli ideologemi del pensiero anti-coloniale e anti-imperialista per accusare di colonialismo e imperialismo non il governo americano ma bensì quello di Pechino e per incoraggiare un sentimento separatista. Le università giocano sempre un ruolo importante nella preparazione delle rivoluzioni colorate, e infatti a Hong Kong alcuni docenti ricevevano finanziamenti dalle ONG anglo-americane per formare i leader delle proteste e addirittura offrire incentivi economici a quegli studenti che avrebbero preso parte alle manifestazioni con il pretesto di svolgere una ricerca sul campo. Le informazioni raccolte dagli studenti venivano poi inviate dai docenti agli organizzatori delle proteste e servivano da feedback per capire quando e come alzare il tiro, cioè se i manifestanti erano pronti a prendere parte ad azioni violente e fin dove erano disposti a spingersi, quali nuovi contenuti aggiungere per ampliare il ventaglio delle rivendicazioni e quindi la portata e l’impatto delle proteste. Insomma venivano applicate le tecniche di ricerca di mercato e di psicologia del marketing alle proteste. In aggiunta ai dati raccolti sul campo, gli organizzatori si avvalevano anche di un accesso privilegiato alle informazioni e ai dati raccolti online dai social media e dai motori di ricerca americani. Le rivoluzioni colorate sono iper-ingegnerizzate.

CRISI DELLE RIVOLUZIONI COLORATE

Ma nonostante i potenti mezzi di cui si avvalgono i servizi anglo-americani, e la pioggia di soldi che alimenta le ONG ad essi legate, negli ultimi anni le rivoluzioni colorate che hanno orchestrato sono state un flop. Penso alle proteste capeggiate da Juan Guaidó in Venezuela nel 2019, a quelle di Hong Kong nel 2019–20, alla Bielorussia nel 2020, al Kazakistan nel 2022, alle recenti proteste di Belgrado e Tbilisi.

Che cosa è cambiato? Innanzitutto non c’è più il fattore sorpresa. Gli apparati di sicurezza dei paesi nel mirino degli USA ormai conoscono l’ABC delle rivoluzioni colorate e hanno adottato delle strategie di prevenzione e contrasto. Rientra tra queste strategie il mettere sotto la lente d’ingrandimento le ONG e i centri di ricerca ed elaborazione politica (think tanks) per scoprire chi li finanzia, scambiarsi informazioni su di essi, introdurre leggi sulla sicurezza nazionale e il divieto a fondazioni americane come Open Society di Soros di operare sul proprio territorio. Ad esempio, lo scorso ottobre il servizio di sicurezza georgiano sapeva, e ha rivelato al pubblico, che tre istruttori serbi (Siniša Šikman, Jelena Stojši? e Slobodan Djinovic), affiliati a CANVAS, erano stati portati in Georgia per partecipare a un programma finanziato da USAID. Hanno cercato di reclutare attivisti locali proprio in vista delle proteste che ci sarebbero state mesi dopo contro la legge sulla trasparenza dei finanziamenti stranieri alle ONG. Il governo georgiano non era quindi all’oscuro di quello che Washington stava architettando.

Ma vi è anche un’altra ragione, di natura geopolitica, vale a dire il rafforzarsi di quel blocco anti-egemonico guidato da Russia e Cina. I governi dei paesi bersaglio delle rivoluzioni colorate possono ora contare sul loro appoggio ed esperienza per contrastarle. Se una protesta fa leva ad esempio su una situazione oggettiva di crisi economica che colpisce i ceti popolari, il governo del paese in questione può ottenere prestiti e investimenti per migliorare le condizioni di vita di chi altrimenti fornirebbe la manovalanza per un cambio di regime. Può inoltre avvalersi dell’appoggio di Russia e/o Cina per contenere l’impatto di eventuali sanzioni, dei ricatti di Washington e Bruxelles, e dell’isolamento politico. Un governo senza appoggi internazionali è molto più fragile e facile da abbattere di uno che viene attivamente sostenuto da una potenza militare ed una potenza economica.

E’ possibile disinnescare la bomba di una rivoluzione colorata arrestando i referenti locali dei mandanti stranieri, in questo modo si interrompe la catena di comando e il flusso di denaro. Questo approccio chirurgico richiede un lavoro di intelligence e in alcuni casi i servizi di controspionaggio russi hanno allertato i governi sotto tiro che si stava preparando un golpe nel loro paese. Reprimere nel sangue una protesta è assolutamente controproducente in quanto infiamma gli animi anche di chi fino a quel momento non aveva preso parte alla rivolta.

A Hong Kong la polizia ha usato il guanto di velluto, lasciato che i manifestanti mostrassero il peggio di sè distruggendo negozi e stazioni della metropolitana, devastando i campus universitari, bloccando i trasporti pubblici, il traffico e persino l’aeroporto, che i rivoltosi minacciassero e picchiassero i cittadini che si opponevano alla loro follia vandalica, che l’esasperazione della popolazione raggiungesse un livello tale da giustificare i successivi arresti. A quel punto la polizia aveva la maggioranza della popolazione dalla sua parte e l’immagine sia delle forze dell’ordine che del governo ne è uscita rafforzata in senso positivo quando ha messo fine al caos. Le truppe dell’esercito cinese di stanza a Hong Kong non hanno mai lasciato le loro caserme, l’unica volta che lo hanno fatto era per ripulire le strade piene di pietre, mattoni, bottiglie molotov, transenne divelte ecc, e la cosa è avvenuta tra gli applausi e l’incoraggiamento della gente. Dipinti come dei mostri dalle forze anti-Pechino che da settimane diffondevano notizie false su un’imminente invasione di carri armati cinesi, l’esercito popolare di liberazione ha invece condotto una sofisticata operazione di PR. Dettaglio importante, i soldati erano mescolati tra la gente, senza la divisa, in maglietta e calzoncini esattamente come i tanti volontari che ogni giorno ripulivano la città dopo la devastazione del giorno precedente. E il giorno dopo i social media erano pieni di foto e selfies con questi bei ragazzi del nord con le scope in mano. Bel contrasto con i vandali vestiti di nero con i caschi e il viso mascherato!

Ovviamente la propaganda anti-cinese è continuata sui media occidentali come se nulla fosse, ma a Hong Kong faceva sempre meno presa — il divario tra quelle narrazioni di fantasia e la realtà era troppo ampio per essere ignorato. La sconfitta di quel tentativo di destabilizzazione in un anello debole della Cina ha sortito l’effetto opposto di quello desiderato da chi ha organizzato le rivolte del 2019 e Pechino non ha dovuto sparare neppure un colpo per riportare l’ordine e consolidare il controllo.

Alla luce di quanto osservato negli ultimi cinque anni, è possibile affermare che nell’arsenale della guerra ibrida le rivoluzioni colorate sono un’arma sempre più spuntata. Ma questo non significa che il loro modello verrà abbandonato completamente. Organizzazioni governative e paragovernative americane, e potenti gruppi di potere, hanno i mezzi, le risorse e l’esperienza per orchestrare e finanziare proteste di massa finalizzate a destabilizzare quei governi che rifiutano di cedere ai ricatti, insistono nel difendere la sovranità nazionale e intendono ritagliarsi spazi di autonomia strategica.

 

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Rivoluzioni colorate come strumento di trasformazione geopolitica 

Simposio internazionale tenuto a Banja Luka, Republika Srpska, il 26 aprile 2014

 

[Materiale tradotto e fornito da Jean Toschi Marazzani Visconti, che ringraziamo]

 

Il simposio internazionale di studiosi su Rivoluzioni colorate come strumento di trasformazione geopolitica si è tenuto all’Accademia di Arti e Scienze della Republika Srpska il 26 aprile 2014. Il simposio era sotto il patrocinio della Fondazione di Cultura Strategica di Mosca e del Progetto Storico di Srebrenica dell’Aja in Olanda.

Hanno partecipato ai lavori:

Ana Filimonova, redattore capo del "Strategic Culture Foundation" e studiosa presso il Centro per lo Studio della Crisi Balcanica dell'Istituto Slavico dell'Accademia Russa delle Scienze, Mosca,

Sergey Belous, M.A. in storia e analista politico, Harkov e Mosca,

Manuel Ochsenreiter, politologo e redattore del mensile politico "Zuerst!", Berlino,

Predrag Ceranić, professore di  scienze di diritto e sicurezza, Banja Luka,

Aleksandar Pavić, politologo, analista presso la "Fondazione di cultura strategica" e direttore dell'ufficio SCF a Belgrado,

Danijel Simić, scrittore e giornalista, Banja Luka,

Neven Djenadija, M. A in relazioni internazionali e diplomazia, Università di Banja Luka,

Dia Nader de al-Andari, ambasciatore del Venezuela a Belgrado, Serbia,

Stephen Karganović, Presidente, "Progetto Storico di Srebrenica,"

Dzevad Galijasević, sociologo ed esperto di sicurezza e terrorismo, Federazione di Bosnia ed Erzegovina,

Srdja Trifković, professore di politica e relazioni internazionali, Università di Banja Luka.

I partecipanti del Simposio considerata l'esperienza di altri paesi [ad esempio l'Ucraina e il Venezuela] che hanno affrontato il processo delle"rivoluzioni colorate" come una forma di guerra politica clandestina, combattuta da centri stranieri, e i modi più efficaci di neutralizzare in modo proattivo i loro effetti.

Riepilogo conclusioni e raccomandazioni dei partecipanti del Simposio sono inserite nel documento finale intitolato "Dichiarazione di Banja Luka: Un piano di sicurezza per la Republika Srpska" [allegato]. Il documento finale è stato trasmesso al governo della Republika Srpska e reso disponibile al pubblico in generale.

Stephen Karganović

Segretario Esecutivo del Simposio.

La dichiarazione di Banja Luka:

un piano di salvezza per la Republika Srpska

La tecnologia per il rovesciamento dei leader politici, non conformi, al fine di sostituirli con quelli asserviti, meglio conosciuta come " rivoluzione colorata ", è stato vistosamente impiegata nella Republika Srpska durante gli ultimi due mesi. Anche se nella Republika Srpska questo processo non ha raggiunto un punto che costituisce una minaccia imminente per la stabilità dell'ordine costituzionale e la sostenibilità del sistema democratico, i partecipanti al convegno " rivoluzioni colorate come strumento di trasformazione geopolitica ", ritengono che una risposta proattiva è uno dei  modi più efficaci per neutralizzare questa particolare forma di guerra clandestina condotta dai centri di potere dall'estero.

Il meccanismo di base utilizzato nella realizzazione di questa tecnica è l’esacerbazione, attraverso un ampio spettro sociale, di cause esistenti e spesso giustificate da un malcontento, sul quale una massa di energia negativa è diretta per obiettivi politici, in linea con l'agenda di mandanti stranieri. Gli obiettivi reali sono di natura completamente diversa da quelli   proclamati, per i quali i partigiani locali sono stati indotti a credere di stare lottando. In questo processo, i ruoli chiave sono interpretati da false "ONG" appositamente formate allo scopo, dai Media controllati e dalle figure politiche locali soggette a ricatti, persecuzione e altre forme di pressione esterna.

Le" Rivoluzioni colorate ", seguono un modello standard che può, in una certa misura, essere adattato alle condizioni locali. In sostanza, questi fenomeni sono manipolativi e anti – democratici perché simulano la ribellione popolare, mentre, in realtà, sono accuratamente messi in scena da operazioni di intelligence, condotte sotto falsa bandiera ed eseguite da quadri addestrati sotto la guida di professionisti. Attualmente, oltre alla Republika Srpska, le rivoluzioni di questo tipo sono in corso o sono state parzialmente messe in atto in Venezuela e Ucraina.

Le misure di base che la leadership della Republika Srpska dovrebbe attuare al fine di rafforzare le istituzioni governative e di impedire il buon esito del " cambio di regime " di ispirazione straniera, possono essere divise in due categorie generali : consolidamento sociale ed una politica efficace di auto difesa sociale.

  1. Consolidamento sociale


                 Alcuni passi fondamentali devono essere adottati per ripristinare e rafforzare la fiducia reciproca tra i cittadini e il loro Stato, perché solo riducendo l’estraneità reciproca in questa sfera, sarà contrastata la comparsa di movimenti non istituzionali, il cui obiettivo ultimo è la destabilizzazione della Republika Srpska:

- Almeno una televisione a livello nazionale, radio e impianto internet dovrebbero essere dedicate al servizio della Republika Srpska, senza la minima intromissione d’influenza straniera.

- I Media devono garantire che le organizzazioni che sostengono le soluzioni  dei problemi con mezzi diversi, dalle procedure democratiche previste dalla legge, siano pubblicamente e chiaramente percepiti come tali, soprattutto se capita che riportino qualsiasi varietà di "azione di strada " e di resistenza non- istituzionale.

- Tutti i partecipanti alla vita pubblica e politica dovrebbero essere obbligati, o almeno incoraggiati, a prendere una posizione chiara sullo status politico della Republika Srpska e, soprattutto, a dichiarare pubblicamente se lui / lei sostengono l'inviolabilità della Republika Srpska come entità politica distinta, all'interno o al di fuori del quadro della Bosnia-Erzegovina.

- I Media statali devono sempre essere aperti ai rappresentanti dell'opposizione politica parlamentare e dovrebbero facilitare il dibattito di qualità, incluse voci provenienti da un ampio spettro politico. 

- La qualità del dibattito pubblico, con la partecipazione di governo e opposizione su un piano di parità, dovrebbe essere incoraggiata in particolare per quanto riguarda questioni chiave come il futuro della Republika Srpska in Bosnia-Erzegovina, l'integrazione nella NATO, l’integrazione europea, i legami con la Serbia e i legami con la Russia.

- Seguendo l'esempio dei dialoghi di Vladimir Putin con la nazione, i rappresentanti del governo dovrebbero organizzare forum analoghi con i cittadini utilizzando i media elettronici.

- Devono essere prese misure visibili  e giuridicamente efficaci per reprimere la corruzione all'interno del governo al fine di ripristinare e rafforzare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni statali. 

- Inizialmente, almeno un settore dell'economia dovrebbe essere visibilmente aperto alla concorrenza di mercato in termini di parità, al fine di dimostrare che il progresso economico è possibile al di fuori della struttura delle reti di politici corrotti.

- Seguendo il modello statunitense, è opportuno procedere  per creare le condizioni favorevoli alla collaborazione istituzionalizzata tra scienza ed economia, selezionando nella fase iniziale  almeno un settore in cui risultati abbastanza rapidi e visibili possono essere raggiunti.

- Nel campo della politica estera, legami politici, culturali, economici e con i Media dovrebbero essere rafforzati con la Federazione russa come l'unica potenza leader il cui obiettivo non è quello di abolire la Republika Srpska o sottometterla all’interno di una Bosnia - Erzegovina centralizzata. Tali vincoli devono, come minimo, essere simmetrici a quelli mantenuti con gli Stati membri dell'UE .

 

  1. Politica di autodifesa sociale

TOLLERANZA ZERO PER UNA CONDOTTA ILLECITA

Fin dall'inizio di qualsiasi ipotetica "protesta"  è necessario far rispettare rigorosamente tutte le leggi applicabili ( notando se per la dimostrazione è stato concesso un permesso, in quale posizione  e per quanto tempo ) e ci dovrebbe essere tolleranza zero per la violazione delle norme giuridiche, ad esclusione di qualsiasi tipo di violenza, mancanza di rispetto per le istruzioni divulgate attraverso gli altoparlanti, inflizione di un danno fisico agli edifici o ai veicoli, o aggressioni contro il personale delle forze dell'ordine. Gli organizzatori  della

"protesta" contano regolarmente sull'esitazione delle forze dell'ordine ad agire con decisione fin dall'inizio. L’indecisione nella risposta permette  loro di stabilire il controllo fisico su qualche punto simbolicamente significativo che diventa poi il fulcro di ulteriori attività. .

EQUIPAGGIAMENTO E FORMAZIONE DEL PERSONALE AL MANTENIMENTO DELLA LEGGE - Mantenere il controllo su spazio pubblico è la chiave per la sopravvivenza delle autorità giudiziarie quando sono sotto attacco da parte di organizzatori del " cambio di regime". Questo compito richiede poliziotti specializzati nel controllo della folla perfettamente equipaggiati, professionalmente preparati e fortemente motivati, vale a dire professionisti della polizia pronti a prevenire violazioni su larga scala della pace e dell’ ordine pubblico. 

Le unità regolari del Ministero dell'Interno della Republika Srpska sono inadeguatamente equipaggiate e addestrate per questo compito estremamente complesso, tatticamente e psicologicamente. Questo non  sorprende: la sfida del controllo della folla in un contesto di "rivoluzione colorata " è tale che la polizia regolare non può essere all'altezza del compito . Una cosa é controllare gli scalmanati del calcio, e un'altra controllare una rivolta di strada accuratamente pianificata. L'unità speciale di polizia ( SJP ) ha principalmente il compito di condurre operazioni anti - terrorismo e lotta contro la criminalità organizzata. Essa ha nei suoi ranghi tiratori scelti, operatori subacquei, una squadra SMB , un’unità canina, ecc… ma manca di specialisti per il controllo della folla. L'indisponibilità di un'Unità di polizia specializzata per il controllo della folla porta a un doppio pericolo, come è già stato notato altrove sui campi di battaglia delle " rivoluzioni colorate ": se la polizia non riesce a mettere un comportamento illegittimo sotto controllo con successo fin dall'inizio, la violenza, accompagnata dall'utilizzo di armi, può successivamente degenerare ed è proprio quello a cui gli orchestratori della protesta stanno puntando.

Per le precedenti ragioni, un’Unità d’Intervento specializzata del Ministero degli Interni della Republika Srpska dovrebbe essere formata e incaricata di mantenere la legge e l'ordine lungo  la stessa linea di simili unità specializzate che si sono dimostrate efficaci in altri paesi. Il personale di questa Unità dovrebbe essere selezionato secondo i più elevati criteri dai ranghi della polizia esistente. Attrezzature adeguate ( mezzi di trasporto blindati, cannoni ad acqua con liquido colorato, elmi e invulnerabili protezioni fisiche, scudi trasparenti, maschere antigas, gas lacrimogeni, armi bianche proiettili di gomma, tazers, spray al peperoncino, cani poliziotto, cavalli, ecc ) è indispensabile  un intenso e continuato addestramento tattico per cominciare. Nel settore della preparazione teorica, è di particolare importanza insegnare ai membri delle Unità di Intervento la tecnica delle rivoluzioni di strada, i.e. cioè la metodologia degli orchestratori ed esecutori del "cambio di regime ". Questo importante aspetto mancava nella formazione data all'ucraino Berkut. Se i membri della futura Unità di Intervento saranno ampiamente istruiti sulla differenza tra l’apparenza e la genuina natura della " protesta", essi saranno in grado di mantenersi calmi e fermi nello svolgimento dei loro compiti . 

 

LEGGE SUL FINANZIAMENTO DELLE ONG E LORO ATTIVITÀ. Una legge che disciplini le attività delle "organizzazioni non governative" dovrebbe essere adottata nella Republika Srpska. C’é un certo numero di istituzioni a Banja Luka, i cui obiettivi, ispirazione ideologica e metodi sono strettamente analoghi a  rami della stessa organizzazione centrale di Belgrado (es. Comitato di Helsinki per i diritti umani, Humanitarian Fund Law, ecc), e che costituiscono la chiave del fondamento logistico del processo di "cambio di regime". Queste ONG sono praticamente  filiali locali di centri di potere Occidentali. Il più importante tra questi é stato finanziato per anni dagli Stati Uniti, reso quasi indipendente come il National Endowment for Democracy e il National Democratic Institute, che ricevono il loro finanziamento interamente o per la maggior parte dal Tesoro degli Stati Uniti. 

La legge che regola le attività delle "ONG" dovrebbe essere non più di una copia del Foreign Agents Registration Act degli Stati Uniti, o FARA, che negli Stati Uniti disciplina le attività di associazioni e di singoli privati ​​ finanziati da governi stranieri. Tale legge prescrive una totale trasparenza all'interno degli Stati Uniti per le attività che in altre parti del mondo sono generosamente finanziati dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. Negli Stati Uniti, la Legge Federale per la Campagna Elettorale vieta esplicitamente ogni e qualsiasi ingerenza straniera nel processo elettorale nazionale negli Stati Uniti. Tuttavia, tale interferenza è considerata legittima e desiderabile quando è praticata dai tirapiedi di Washington nell’ex SFRY (o negli  Stati separati dell'ex URSS), con il pretesto di "diffondere la democrazia".

E 'giunto il momento per l'Assemblea Nazionale della Republika Srpska di prendere in considerazione una legge basata sul modello americano per regolamentare il finanziamento estero del cosiddetto settore non-governativo. Questa legge non deve essere più rigorosa o limitante della sua omologa americana: chiunque si trovi nella  linea finale di ricezione di finanziamenti esteri, dovrebbe semplicemente registrarsi come  "agente straniero". Da allora in poi, sarà un business usuale per loro, ma nei Media e nelle dichiarazioni pubbliche da parte di funzionari del governo della Republika  Srpska sarà perfettamente legittimo caratterizzare tale status come "agenzie straniere". La replica a inevitabili obiezioni circa "la soppressione della democrazia" è che, al contrario, la democrazia nella Republika Srpska è rafforzata ed estesa attraverso tale normativa con l'assimilazione della pratica e dell'esperienza di, presumibilmente, il paese più democratico del mondo. 

 

Tenendo presente l'esperienza di altri paesi che sono stati presi di mira da questo processo sovversivo, i partecipanti al convegno "rivoluzioni colorate come strumento di trasformazione geopolitica" ritengono che, nella fase iniziale, le misure, proposte per il pubblico e il Governo della Republika Srpska in questo documento, dovrebbero essere sufficienti per prevedere e contrastare le varietà antidemocratiche del cambiamento politico. Tali tentativi sono spesso segnati dalla violenza, e visti ovunque senza eccezione, non hanno servito i loro obiettivi falsamente proclamati, ma come uno strumento per l'imposizione di una dominazione straniera.

 

Ana Filimonova, redattore capo della "Strategic Culture Foundation," MA in storia, studiosa presso il Centro per lo Studio della Crisi Balcanica Contemporanea dell'Istituto Slavo dell'Accademia Russa delle Scienze. 

Aleksandar Pavić, analista politico, “Strategic Culture Foundation" e direttore della sede di SCF a Belgrado.

Dr. Srdja Trifković, professore di politica e relazioni internazionali, Università di Banja Luka.

Dr. Predrag Čeranić, professore di scienze sicurezza giuridica e nazionali.

Manuel Ochsenreiter, analista politico, direttore della rivista "Zuerst!", Berlino. 

Stephen Karganović, presidente di "Srebrenica Historical Project". 

 

Banja Luka, 26 aprile 2014    

 

 

--- ORIGINAL TEXTS:

 

----- Original Message -----

From: Stephen Karganovic

Sent: Wednesday, April 30, 2014 11:34 AM

Subject: Scholarly symposium on "coloured revolutions" in the Republic of Srpska, April 26, 2014.

 

PRESS RELEASE

 

          The international scholarly symposium on “Coloured revolutions as an instrument of geopolitical transformation” was held at the Academy of Arts and Sciences of the Republic of Srpska on April 26, 2014. The symposium was under the auspices of the “Strategic Culture Foundation” in Moscow and “Srebrenica Historical Project” from Den Haag, the Netherlands. 

 

          Taking part in the proceedings were:

          Ana Filimonova, editor-in-chief of the “Strategic Culture Foundation” and scholar at the Centre for the study of the Balkan crisis of the Slavic Institute of the Russian Academy of Sciences, Moscow,

          Sergey Belous, M.A. in history and political analyst, Harkov and Moscow,

          Manuel Ochsenreiter, politologist and editor of political monthly “Zuerst!”, Berlin,

          Predrag Ceranic, professor of legal and security sciences, Banja Luka,

          Aleksandar Pavic, politologist, analyst at the “Strategic Culture Foundation,” and director of the SCF office in Belgrade,

          Danijel Simic, writer and journalist, Banja Luka,

          Neven Djenadija, M.A. in international relations and diplomacy, University of Banja Luka,

          Dia Nader de al-Andari, ambassador of Venezuela in Belgrade, Serbia,

          Stephen Karganovic, president, “Srebrenica Historical Project,”

          Dzevad Galijasevic, sociologist and expert on security and terrorism, Federation of Bosnia and Herzegovina, and

          Srdja Trifkovic, professor of politics and international relations, University of Banja Luka.

 

          Symposium participants considered the experience of other countries [e.g. the Ukraine and Venezuela] which have faced the process of “coloured revolutions” as a form of clandestine political warfare waged by foreign centres and the most efficient ways of proactively neutralizing their effects.

          The summary conclusions and recommendations of symposium participants are set forth in the final document entitled “Banja Luka Declaration: A Safety Plan for the Republic of Srpska” [attached]. The final document was forwarded to the Government of the Republic of Srpska and made available to the general public.

          Stephen Karganovic

          Executive secretary of the symposium

 

THE BANJA LUKA DECLARATION: A SAFETY PLAN FOR THE REPUBLIC OF SRPSKA

 

The technology for the overthrow of noncompliant political leaders in order to replace them with subservient ones, better known as a “color revolution,” has been conspicuously deployed in the Republic of Srpska over the last couple of months. Although in the Republic of Srpska this process has not reached a point where it constitutes an imminent threat to the stability of the constitutional order and sustainability of the democratic system, participants in the conference “Colored revolutions as an instrument of geopolitical transformation” consider that a proactive response is among the most efficient ways to neutralise this particular form of clandestine warfare waged by power centres from abroad.

The basic mechanism used in the implementation of this technique is exacerbation, across the broad social spectrum, of existing and often justified causes for discontentment, whereupon mass negative energy is directed toward political objectives in line with the agenda of foreign instigators. The real goals are of an entirely different nature from the proclaimed ones, for which local partisans have been led to believe that they are struggling. In that process, key roles are played by false “NGOs” specifically formed for the purpose, controlled media, and local political figures subject to blackmail, prosecution and other forms of external pressure.

“Colored revolutions” follow a standard pattern which may, to a certain extent, be adapted to local conditions. Essentially, these phenomena are manipulative and anti-democratic because they simulate popular rebellion while, in fact, they are carefully staged intelligence operations, conducted under a false flag and executed by trained cadres under the leadership of professionals. Currently, in addition to the Republic of Srpska, revolutions of this type are in progress or have been partially enacted in Venezuela and the Ukraine.

The basic measures that the leadership of the Republic of Srpska ought to implement in order to reinforce government institutions and impede the successful execution of foreign-inspired “regime change” may be divided in two general categories: social consolidation and an effective policy of social self-defence.        

I Social consolidation

Some fundamental steps must be taken to restore and strengthen mutual trust between citizens and their state because only by reducing mutual estrangement in this sphere will the appearance of non-institutional movements, whose ultimate objective is the destabilisation of the Republic of Srpska, be thwarted:

- At least one nation-wide television, radio and internet facility should be dedicated to the service of the Republic of Srpska, without the slightest admixture of foreign influence.   

- Media should ensure that organisations which advocate solutions for problems by means other than democratic procedures prescribed by the law shall publicly and clearly be perceived as such, especially if they happen to champion any variety of “street action” and non-institutional resistance.      

-  All participants in public and political life should be obligated, or at least encouraged, to take a clear stand on the political status of the Republic of Srpska and, most importantly, to publicly declare whether he/she supports the inviolability of the Republic of Srpska as a distinct political entity, within or outside the framework of Bosnia and Herzegovina.  

-  State media should always be open to representatives of the parliamentary political opposition and they should facilitate quality debate, including voices from a wide political spectrum.  

-  Quality public debate, with the participation of government and opposition on an equal footing, should be encouraged in particular with respect to such key issues as the future of the Republic of Srpska within Bosnia and Herzegovina, NATO integration, EU integration, ties with Serbia and ties with Russia.  

-  Following the example of Vladimir Putin’s dialogues with the nation, government representatives should organise similar forums with citizens using the electronic media.

-  Visible and legally effective steps should be taken to suppress corruption within the government in order to restore and strengthen citizen trust in state institutions.

-  Initially at least one sector of the economy should be visibly opened to market competition under terms of equality in order to demonstrate that economic progress is possible outside the structure of corrupt political networks.

- Following the U. S. model, steps should be taken to create propitious conditions for institutionalised collaboration between science and the economy, selecting in the initial phase at least one area where fairly quick and visible results can be achieved.

-  In the field of foreign policy, political, cultural, economic, and media ties should be strengthened with the Russian Federation as the only leading power whose objective is not to abolish the Republic of Srpska or subsume it within a centralized Bosnia and Herzegovina. Those ties should, as a minimum, be symmetrical to those maintained with EU states.   

II Policy of social self-defence

ZERO TOLERANCE FOR LAWLESS CONDUCT –  From the very beginning of  any hypothetical “protests” it is necessary to strictly enforce all applicable laws (noting whether a permit for the assembly was granted, at what location, and for  what length of time) and there ought to be zero tolerance for the violation of legal norms, excluding any type of violence, disrespect for instructions to disperse given over loudspeakers, infliction of physical damage to buildings or vehicles, or assaults on law enforcement personnel. “Protest” organisers regularly count on the hesitation of law enforcement to act decisively from the very start. Indecisiveness of response enables them to establish physical control over some symbolically significant point which subsequently becomes the focus of further activities.    

 

EQUIPPING AND TRAINING LAW ENFORCEMENT PERSONNEL –   Retaining control over public space is key to the survival of legal authorities when under attack by “regime change” organisers. That task requires superbly equipped, professionally trained and highly motivated policemen specialised in crowd control, i.e. police professionals prepared to prevent large-scale violations of public peace and order.

 

         Regular RS Interior Ministry units are inadequately equipped and trained, tactically and psychologically, for this exceptionally complex task. That is not surprising: the challenge of crowd control in the “colored revolution” context is such that regular police are not up to the task. It is one thing to control soccer fans, and quite another to control a carefully choreographed street coup. The Special Police Unit (SJP) is primarily tasked with conducting anti-terrorist operations and combating organised crime. It has in its ranks sharpshooters, divers, an SMB team, a canine unit, etc. but it lacks crowd control specialists. The unavailability of a specialised police unit for crowd control carries a double peril, as has already been noted elsewhere on “colored revolution” battlegrounds: if the police fail to successfully place unlawful conduct under control from the beginning, the violence, accompanied by the use of weapons, may later escalate and that is precisely what the orchestrators of the protest are aiming for.

        

For the foregoing reasons, a specialised Intervention Unit of the Ministry of the Interior of the Republic of Srpska should be formed and tasked with maintaining law and order along the same lines as similar specialised units which have proved efficient in other countries. Personnel for this unit should be selected according to the highest criteria from within the existing police ranks. Adequate equipment (armored transport vehicles, water guns with colored liquid, helmets and invulnerable body armour, transparent shields, gas masks, tear gas, rubber bullet sidearms, tazers, pepper spray, police dogs, horses, etc.) is indispensable for intense and continued tactical training to commence. In the area of theoretical preparation, it is of particular importance to teach members of the Intervention Unit about the technique of street revolutions, i.e. the methodology of the orchestrators and executors of “regime change.” This important aspect was missing in the training given to the Ukrainian Berkut. If members of the future Intervention Unit are comprehensively instructed in the difference between appearances and the genuine nature of the “protest,” they will be enabled to remain calm and firm in the performance of their tasks.

 

LAW ON NGO FINANCING AND ACTIVITIES. A law regulating the activities of “non-government organisations” should be adopted in the Republic of Srpska. There are a number of institutions in Banja Luka whose goals, ideological inspiration, and methods are closely analogous to Belgrade branches of the same central organisation (e.g. the Helsinki Human Rights Committee, Humanitarian Law Fund, etc.) and which constitute the key logistical foundation of the “regime change” process. Those NGOs are merely local subsidiaries of Western power centers. The more important among them have been financed for years by U.S. quasi-independent outfits such as the National Endowment for Democracy and the National Democratic Institute, which receive their funding entirely or for the most part from the U.S. Treasury.

 

         The law regulating the activities of the “NGOs” should be no more than a copy of the U.S. Foreign Agents Registration Act, or FARA, which in the U.S.  governs the activities of associations and private individuals that are financed by foreign governments. That law prescribes total transparency within the U.S. for activities that elsewhere in the world are generously financed by the U. S. State  Department. In the United States, the Federal Election Campaign Act explicitly prohibits any and all foreign interference in the domestic electoral process in the U.S. However, such interference is considered legitimate and desirable when it is practiced by Washington’s minions in the former SFRY (or in the successor states of the former USSR), under the pretext of “spreading democracy.”

 

         It is high time for the National Assembly of the Republic of Srpska to consider passing a law based on the American model to regulate foreign financing of the so-called non-government sector. This law need not be any stricter or more confining than its U.S. counterpart: whoever is at the receiving end of foreign funding should simply register as a “foreign agent”. Thenceforward it shall be business as usual for them, but in the media and in public statements by government officials of the Republic of Srpska it will be perfectly legitimate to characterise such outfits as “foreign agencies”. The rejoinder to inevitable objections about “democracy suppression” is that, on the contrary, democracy in the Republic of Srpska is strengthened and broadened through such legislation by the assimilation of the practice and experience of, purportedly, the most democratic country in the world.

 

Bearing in mind the experience of other countries which have been targeted by this subversive process, participants in the conference “Colored revolutions as an instrument of geopolitical transformation” believe that, in the initial phase, measures proposed to the public and the Government of the Republic of Srpska in this document should be sufficient to anticipate and counter undemocratic varieties of political change. Such attempts are quite often marked by violence, and wherever seen, without exception, have served not their falsely proclaimed goals but as an instrument for the imposition of foreign domination.

 

Ana Filimonova, editor-in-chief of the “Strategic Culture Foundation,” M.A. in history, scholar at the Centre for the study of the contemporary Balkan crisis of the Slavic Institute of the Russian Academy of Sciences.                   

Aleksandar Pavić, political analyst, “Strategic Culture Foundation” and director of the SCF office in Belgrade.

Dr. Srdja Trifković, professor of politics and international relations, University of Banja Luka.

Dr. Predrag Ćeranić, professor of legal and national security sciences.

Manuel Ochsenreiter, political analyst, editor of the newsmagazine “Zuerst!”, Berlin    

Stephen Karganović, president, “Srebrenica Historical Project.”

 

Banja Luka, April 26, 2014