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05/07/01


ESTERI
"Non ho voluto vedere Milosevic alla sbarra"

Intervista al presidente jugoslavo Kostunica. "Il
Tribunale Onu fa una giustizia parziale"

DAL NOSTRO INVIATO
BELGRADO - E' la prima volta dal giorno
dell'estradizione di Slobodan
Milosevic che il presidente della rivoluzione
democratica jugoslava
Vojislav Kostunica accetta un'intervista. E lo fa
con il settimanale serbo
Vreme e il Corriere della Sera . Il presidente �
nell'ufficio che fu del
detenuto 039 del carcere dell'Aja. Uno studio
sobrio, con la cartina del
Paese appesa alla parete e la bandiera dietro la
scrivania. Il fatto � che
Milosevic preferiva le sale reali del Castello
Bianco, mentre Kostunica �
rimasto nell'approccio alle cose l'orgoglioso
professore di Diritto
indifferente alle lusinghe del regime. Di suo ha
voluto solo alcuni libri,
il piccolo busto di un eroe serbo del primo '900 e
il computer.

Signor presidente, che cosa ha pensato quando ha
visto il suo predecessore
interrogato dai giudici dell'Aja?

"Non ho acceso la televisione".

No?

"Sarebbe stato troppo penoso per me".

Perch�?

"All'Aja c'� ben poco di quanto dovrebbe
caratterizzare un Tribunale. Non
c'� imparzialit�, ma solo l'espressione di una
giustizia selettiva. Quella
Corte non applica alcuna equit� fra casi identici o
simili. E anche il suo
carattere internazionale � discutibile. In pratica,
rappresenta forze e
interessi specifici. E' pi� americana che di una
pluralit� di Paesi".

Non pensa che adesso, con Milosevic in carcere, il
Tribunale possa mettere
sotto accusa anche altri responsabili del sanguinoso
decennio balcanico?

"Credo di no. Il Tribunale ha lavorato troppo a
lungo in una sola
direzione, ed � difficile che si corregga. In s�
contiene moltissime
zavorre, compreso il tentativo di sfuggire alle
proprie responsabilit�. Il
presidente della Corte dell'Aja sostiene che la sua
� un'istituzione
giuridica imparziale e che il procuratore Carla Del
Ponte "� parziale nel
miglior significato del termine". Io proprio non
capisco quale possa essere
questa "parzialit� buona". Assisto alla campagna che
la Del Ponte fa su
giornali e televisioni di tutto il pianeta in modo
assolutamente di parte e
capisco ancora meno. Cos� facendo, la Del Ponte
dimentica, fra l'altro,
quale sia il dovere di un procuratore".

Il processo a Milosevic potr� avere almeno un
effetto positivo? Aiuter� la
Jugoslavia a uscire definitivamente dal recente
passato?

"Conosco questa teoria. Sento molto spesso
sbandierare la necessit� che
questo Paese passi attraverso una catarsi morale per
tutti gli anni di
guerra che ha vissuto. Ma non ci pu� essere alcuna
riappacificazione con il
passato se i responsabili dei bombardamenti Nato
sulla Jugoslavia non ne
saranno a loro volta protagonisti. L'unica catarsi
che vedo realisticamente
materializzarsi � quella senza morale che stiamo gi�
vivendo nelle
dichiarazioni dell'ex comandante della Nato Wesley
Clark, dell'ex
segretario di Stato americano Madeleine Albright e
dell'inviato speciale
statunitense Richard Holbrooke. Tutti e tre hanno
responsabilit� sia dal
punto di vista giuridico, sia da quello morale.
Eppure la catarsi dovrebbe
riguardare soltanto noi. Senza un coinvolgimento di
altri, questa presunta
analisi collettiva delle colpe serbe sarebbe solo
una forzatura ipocrita".

Dunque per lei, come per Milosevic, andrebbe
processata anche la Nato?

"Quando la signora Del Ponte � venuta a Belgrado
all'inizio dell'anno,
abbiamo ascoltato le sue spiegazioni estremamente
farraginose in base alle
quali non ci sarebbero ancora le prove dei crimini
dell'Alleanza atlantica.
Invece le prove ci sono addirittura sui giornali
occidentali a cominciare
dal 24 marzo del 1999, e cio� dal primo giorno di
bombardamenti, fino all'ultimo".

Signor presidente, fosse stato per lei, Milosevic
sarebbe mai finito alla Corte dell'Aja?

"Sarebbe stato meglio processarlo qui. Magari anche
per l'atto d'accusa, in
verit� stereotipato, schematico e vuoto, di cui deve
rispondere al Tribunale dell'Aja. Mi spiego facendo un passo
indietro. La Jugoslavia
era arrivata davvero al dubbio amletico tra "essere e
non essere". Senza il
reinserimento nel contesto mondiale non avremmo
avuto possibilit� di
sopravvivere. Io personalmente e tutti noi come
coalizione democratica,
Dos, avevamo scelto il ritorno al mondo e quando
l'abbiamo deciso sapevamo
che non potevamo farlo gratis. Uno dei pedaggi pi�
pesanti da pagare era
proprio la collaborazione con l'Aja. Ci sarebbero
potute essere modalit�
diverse, per�, meno penose di quella attuata.
Avremmo potuto approvare
leggi specifiche che tenessero conto di quanto poco
il Tribunale sia
guidato dal principio della Giustizia. E avremmo
potuto proteggere al
massimo i diritti e la dignit� dello Stato e dei
singoli individui. In quel
caso, collaborazione avrebbe significato anche
apertura della questione dei
crimini commessi nei confronti dei serbi in Kosovo,
in Bosnia e nelle Krajine".

Ma lei era stato informato dell'estradizione dal
primo ministro serbo Zoran Djindjic?

"Per mesi abbiamo tentato di fondare la
collaborazione con l'Aja su un
terreno di legalit�. E' stata elaborata una legge
specifica che � stata
per� bocciata dal Parlamento. Allora � stato
accettato il surrogato del
decreto. Ma la Corte costituzionale ha bocciato
anche quello. A quel punto
il governo serbo ha deciso di cancellare l'intero
percorso legale e mettere
Milosevic su un elicottero. E' un gorgo giuridico.
Un'illegalit� elevata al
cubo. Io francamente non immaginavo che qualcuno
arrivasse a infischiarsene di qualunque base legale".

Djindjic dice che voi due rappresentate
l'acceleratore e il freno della
nuova Serbia. E che siete indispensabili entrambi.

"Lascerei da parte le metafore meccaniche. La
politica e le differenze tra
noi due sono qualcosa di pi� complesso".

E' vero che l'esercito avrebbe potuto impedire
l'estradizione e che lei �
un difensore del capo di Stato maggiore Nebojsa
Pavkovic, ex responsabile
delle operazioni in Kosovo durante i bombardamenti?

"La storia dell'intervento dei militari ha tutta
l'aria di un giallo di
serie B. E' falso. Dalla rivoluzione del 5 ottobre
l'esercito si � tenuto
in disparte, senza preferenze politiche. So che ci
sono dei tentativi di
provocare uno scontro fra esercito e altre strutture
dello Stato, so anche
che ci saranno pure personaggi non ideali tra i
militari, ma sono convinto
che non si debba macellare il manzo per una sola
bistecca. Solo chi non
vede oltre il proprio naso pu� pensare di
destabilizzare un'istituzione che
garantisce invece la stabilit�".

Nel governo Djindjic c'� chi lavora a una
regolamentazione del Kosovo
ricorrendo provvisoriamente al modello bosniaco:
entit� amministrative
distinte su base etnica sotto il controllo
internazionale. Che ne pensa?

"Che � difficile parlare di modello bosniaco quando
questo modello funziona
cos� male. In ogni caso, in Bosnia almeno esiste un
certo equilibrio tra le
etnie. In Kosovo, invece, grazie alla pulizia etnica
fatta dagli albanesi
con il supporto del mondo, esiste il dominio
assoluto di un'unica etnia.
Duecentocinquantamila tra serbi e non-albanesi hanno
dovuto lasciare la
provincia. Le statistiche sono state deformate
dall'ingresso di cittadini
albanesi che hanno ottenuto documenti kosovari con
dichiarazioni o
documenti falsi. Prima di pensare a una ricetta
bosniaca bisogna sistemare tutto questo".

Che relazioni ha con l'Italia?

"I miei rapporti persona- li con il presidente
Azeglio Ciampi e, fino a
poco tempo fa, con il primo ministro Giuliano Amato
sono a un livello
invidiabile. L'Italia � il Paese che ci aiutato pi�
di qualunque altro e,
particolare importante, senza condizionare mai i
suoi interventi. Non ho
ancora avuto occasione di incontrare il premier
Silvio Berlusconi, ma mi �
assolutamente chiaro che esiste una vera amicizia
fra i nostri popoli e
anche una certa sintonia nella percezione del
mondo".

E le presunte tangenti pagate sull'acquisto italiano
di Telekom Serbia?

"L'eredit� del passato � pesante, eppure sono
convinto che ci siano state
incomprensioni, ma anche incapacit� del governo
serbo di reagire in modo appropriato".

L'estradizione di Milosevic ha aperto una crisi nel
governo della
Federazione jugoslava che per molti rischia di
mettere la parola fine
all'unione tra Serbia e Montenegro.

"Tra ultimatum e tintinnio di monete sono stati dati
duri colpi alla
Jugoslavia. Proprio come successe all'ex Jugoslavia
di Tito quando forze e
ricatti internazionali finirono per avere pi� peso
rispetto agli atti
distruttivi dei potenti di Belgrado, Zagabria,
Sarajevo o Lubiana".

Corriere della Sera/ Vreme
Andrea Nicastro

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