CENSURA SUI MEDIA A BELGRADO, MA NON SOLO I TAPINI DI "B-52",
BENSI' ENNIO REMONDINO
L'ultima impresa Rai: rimosso Ennio Remondino
Ultima impresa Rai, «chiudere l'ufficio dei Balcani». Lo denuncia, in
un'intervista al sito dell'associazione Articolo 21, il corrispondente
Ennio Remondino: «Ho appreso la notizia con due righe burocratiche,
come si comunica che viene cessato un contratto d'affitto». Eppure la
sede dei Balcani, aperta 5 anni fa, nella guerra, riguarda un
territorio che va dalla Turchia all'Ungheria dove «abbiamo più di
10mila uomini dei contingenti militari italiani, e grossi interessi
economici, e crisi ancora aperte», sottolinea Remondino; nonché la
partita dell'«allargamento dell'Europa». E motivo dell'improvvida
iniziativa «non è certo il bilancio: 250 milioni di budget
complessivo... con quella cifra ci paghi la portineria e l'ascensore
della sede di New York». Reagisce il Ds Giulietti, portavoce di
Articolo 21, «speriamo che non sia vero», e chiede alla Rai se si
tratti di una decisione del cda, e se il provvedimento «sia stato preso
ad personam per Ennio Remondino», giacché l'«orrenda lista di
proscrizione» ai danni di giornalisti e dirigenti non graditi alla
maggioranza di governo, induce il «legittimo sospetto» che si voglia
colpire un altro giornalista «scomodo perché libero». Sullo stesso
registro reagiscono i responsabili informazione dei Ds Morri, e del Prc
Bellucci, il verde Boco, membro della Commissione di vigilanza Rai.
La Rai `smentisce' non smentendo: «si deve precisare che non esiste
alcuna decisione in merito a una possibile chiusura di quella sede», e
però «è necessario sottolineare che i direttori di testata, ai quali
spetta la valutazione professionale di queste questioni, in una
riunione del 24 ottobre hanno manifestato uno scarso interesse per
l'ufficio di Belgrado nel quadro delle priorità strategiche
internazionali».
(da "Il Manifesto", 23/11/2002)
---------- Initial Header -----------
From : bjones@...
To : jugocoord@...
Cc :
Date : 24 Nov 2002 04:05:34 -0000
Subject : Monoscopio da Belgrado (ergo: silurate Remondino)
Tutti questi fonemi, krkrkr, tutti questi nomi propri ich-
ich, dice chi presta orecchio al serbocroato senza conoscerlo.
Lo presagiva anche Danilo Kis, scrittore jugoslavo di talento,
che ad Ovest rimane indefinitamente misconosciuto: perché l'arto
amputato dell'Europa, quello balcanico, interessa solamente quando
occorre strillare di barbarie secolari e malefatte storiche: da
Gavrilo Pricip alle farse dell'Aja. (Notizia fresca: Carla del
Ponte sa che Mladic è a Belgrado. Complimenti per l'intuito). Di
Jugo-storie e di Jugo-culture non sappiamo nulla. Passa, sdoganato
con l'etichetta frettolosa del consumo, il folklore post-bellico
di Kusturica e passano, sdaziate dalle feste di piazza estive,
le sudate fanfare di Bregovic: nient'altro. Di jugo-letteratura
in occidente qualcuno ha letto Andric, il Nobel, quello del ponte
sopra quel certo fiume, cos'è, mica il Danubio? S'è detto e scritto
tutto il possibile e spesso limprobabile su Sarajevo, slavine di
volumi in perfetto stile 'c'ero anch'io', come conviene
al rampante giornalista occidentale, dall'Amanpour in poi:
Sarajevo e il sangue, lo specchio e la memoria, il dolore e
lodio, Sarajevo oggi, Sarajevo muore, Sarajevo vive, Sarajevo
Sarajevo: ma dove sarà l'accento, si dice Sàrajevo, Saràjevo,
Sarajèvo? Forse Srebrenica, in sillabe, aveva una pronuncia troppo
ostica per potersene occupare quanto ci s'è occupati di Sarajevo,
e malamente. Ad ogni modo, a dieci anni dallassedio ben in pochi
ne conservano memoria: tutto quel krkrkkr, ich-ich, quelle mahale,
kasabe, carsije, dzamije, dzezve, dimije: troppo macchinoso e
levantino, troppo radioattivo l'uranio che avvelena la bella Bosnia
(la bella Serbia non sta meglio, ma è un uranio impoverito umanitario,
ed evapora con nonchalance). Interrotto il romanticismo dell'assedio
da narrare, il brivido degli snajper da descrivere con aggettivi
straripanti: i cecchini atroci, gelidi come la morte. Giusto un
menestrello italico è riuscito di recente a piazzare sulle colline
della Bosnia le balalajke, soggettino d'un ritornello sanremese.
A Sarajevo non ci sono balalajke, provare per credere, ma l'occidente
presagisce un oriente slavo mescolato proprio in questo modo:
matrioske, rakija e polveriere, il minestrone dev'essere pronto in
cinque minuti e possibilmente lacrimevole. Balcani solubili,
fast-ex-jugo. Consumare in fretta e niente effetti collaterali.
L'informazione dalla Jugo-Atlantide, ahinoi, non offre di meglio.
Il corrispondente impavido che tenta l'approfondimento (cosa accade
nella pace Nato prefabbricata del Kosovo, ad esempio? Qual è lo
stato di salute della democrazia croata? E a Skopje, che succede?)
incassa in genere un commento che è già uno sbuffo: ah, ancora la
Jugoslavia? Non vende più, la Jugoslavia, annotava amaramente
Jasmina Tesanovic nel suo diario da Belgrado. E' il solito occidente,
bellezza: sappiamo tutto sul cardio-doppler di Milosevic (il garante-
tiranno, selezionato dallAlleanza Atlantica per siglare gli accordi
di Dayton prima, e qualche anno più tardi scelto per liquidare le
colpe collettive), ma delle recenti catastrofiche elezioni in Serbia
e Bosnia s'è detto l'essenziale, e lessenziale è nulla. Forse perché
il disastro si rivolge ad occidente, e alle radici della catastrofe
elettorale ci siamo noi. Pochi, i giornalisti che si occupano di
Jugo-Balcani con la serietà dovuta. Uno di questi si chiama
Remondino Ennio, dodici anni di jugo-anzianità, e nei negozi di
Belgrado il suo cognome ha involontariamente battezzato quel certo
giubbottino di renna spelacchiata ('il remondino', appunto) che
il nostro indossava per raccontare dagli schermi Rai, spesso nelle
ultime edizioni a margine (perché le lacrime di Kukes 'tiravano',
come si dice in gergo, più di quelle di Pancevo) la guerra del '99.
Bravo, Remondino, e competente: raccontare in diretta la prima guerra
umanitaria della storia era fatica da Don Chisciotte. Eppure c'è
riuscito. E c'è riuscito grazie alle qualità specifiche ed essenziali
di ogni bravo giornalista: pazienza, competenza, molta ironia: per
chi l'ha saputa cogliere fra un krkrkr e un ich-ich, senza
orpelli, senza servilismo. Notizia del giorno, 23 novembre 2002
anno domini, Remondino il non-allineato rientra nelle spese che il
CdA di mamma Rai decide di tagliare: chiude la redazione di Belgrado.
Eppure quel che accade fra Praga e Istanbul è proprio Remondino a
poterlo riferire, e dovrebbe riguardarci da vicino.
Pare che per la Rai non sia così: il minestrone di polvere da sparo
e domande restate prive di risposta non interessa più: alla voce
Balcani, in Rai, solo uno spazio vuoto, un monoscopio fine delle
trasmissioni certo più rassicurante del narrante Remondino. Brutto
momento per linformazione, nella penisola italica separata da quella
balcanica da un solo braccio di Adriatico: fischia un vento troppo
destro per essere definito solamente sinistro. Aveva ragione proprio
Remondino: "se le stronzate del giornalismo italiano fossero mine,
saremmo una categoria di mutilati".
Babsi Jones
http://bjones.interfree.it
BENSI' ENNIO REMONDINO
L'ultima impresa Rai: rimosso Ennio Remondino
Ultima impresa Rai, «chiudere l'ufficio dei Balcani». Lo denuncia, in
un'intervista al sito dell'associazione Articolo 21, il corrispondente
Ennio Remondino: «Ho appreso la notizia con due righe burocratiche,
come si comunica che viene cessato un contratto d'affitto». Eppure la
sede dei Balcani, aperta 5 anni fa, nella guerra, riguarda un
territorio che va dalla Turchia all'Ungheria dove «abbiamo più di
10mila uomini dei contingenti militari italiani, e grossi interessi
economici, e crisi ancora aperte», sottolinea Remondino; nonché la
partita dell'«allargamento dell'Europa». E motivo dell'improvvida
iniziativa «non è certo il bilancio: 250 milioni di budget
complessivo... con quella cifra ci paghi la portineria e l'ascensore
della sede di New York». Reagisce il Ds Giulietti, portavoce di
Articolo 21, «speriamo che non sia vero», e chiede alla Rai se si
tratti di una decisione del cda, e se il provvedimento «sia stato preso
ad personam per Ennio Remondino», giacché l'«orrenda lista di
proscrizione» ai danni di giornalisti e dirigenti non graditi alla
maggioranza di governo, induce il «legittimo sospetto» che si voglia
colpire un altro giornalista «scomodo perché libero». Sullo stesso
registro reagiscono i responsabili informazione dei Ds Morri, e del Prc
Bellucci, il verde Boco, membro della Commissione di vigilanza Rai.
La Rai `smentisce' non smentendo: «si deve precisare che non esiste
alcuna decisione in merito a una possibile chiusura di quella sede», e
però «è necessario sottolineare che i direttori di testata, ai quali
spetta la valutazione professionale di queste questioni, in una
riunione del 24 ottobre hanno manifestato uno scarso interesse per
l'ufficio di Belgrado nel quadro delle priorità strategiche
internazionali».
(da "Il Manifesto", 23/11/2002)
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From : bjones@...
To : jugocoord@...
Cc :
Date : 24 Nov 2002 04:05:34 -0000
Subject : Monoscopio da Belgrado (ergo: silurate Remondino)
Tutti questi fonemi, krkrkr, tutti questi nomi propri ich-
ich, dice chi presta orecchio al serbocroato senza conoscerlo.
Lo presagiva anche Danilo Kis, scrittore jugoslavo di talento,
che ad Ovest rimane indefinitamente misconosciuto: perché l'arto
amputato dell'Europa, quello balcanico, interessa solamente quando
occorre strillare di barbarie secolari e malefatte storiche: da
Gavrilo Pricip alle farse dell'Aja. (Notizia fresca: Carla del
Ponte sa che Mladic è a Belgrado. Complimenti per l'intuito). Di
Jugo-storie e di Jugo-culture non sappiamo nulla. Passa, sdoganato
con l'etichetta frettolosa del consumo, il folklore post-bellico
di Kusturica e passano, sdaziate dalle feste di piazza estive,
le sudate fanfare di Bregovic: nient'altro. Di jugo-letteratura
in occidente qualcuno ha letto Andric, il Nobel, quello del ponte
sopra quel certo fiume, cos'è, mica il Danubio? S'è detto e scritto
tutto il possibile e spesso limprobabile su Sarajevo, slavine di
volumi in perfetto stile 'c'ero anch'io', come conviene
al rampante giornalista occidentale, dall'Amanpour in poi:
Sarajevo e il sangue, lo specchio e la memoria, il dolore e
lodio, Sarajevo oggi, Sarajevo muore, Sarajevo vive, Sarajevo
Sarajevo: ma dove sarà l'accento, si dice Sàrajevo, Saràjevo,
Sarajèvo? Forse Srebrenica, in sillabe, aveva una pronuncia troppo
ostica per potersene occupare quanto ci s'è occupati di Sarajevo,
e malamente. Ad ogni modo, a dieci anni dallassedio ben in pochi
ne conservano memoria: tutto quel krkrkkr, ich-ich, quelle mahale,
kasabe, carsije, dzamije, dzezve, dimije: troppo macchinoso e
levantino, troppo radioattivo l'uranio che avvelena la bella Bosnia
(la bella Serbia non sta meglio, ma è un uranio impoverito umanitario,
ed evapora con nonchalance). Interrotto il romanticismo dell'assedio
da narrare, il brivido degli snajper da descrivere con aggettivi
straripanti: i cecchini atroci, gelidi come la morte. Giusto un
menestrello italico è riuscito di recente a piazzare sulle colline
della Bosnia le balalajke, soggettino d'un ritornello sanremese.
A Sarajevo non ci sono balalajke, provare per credere, ma l'occidente
presagisce un oriente slavo mescolato proprio in questo modo:
matrioske, rakija e polveriere, il minestrone dev'essere pronto in
cinque minuti e possibilmente lacrimevole. Balcani solubili,
fast-ex-jugo. Consumare in fretta e niente effetti collaterali.
L'informazione dalla Jugo-Atlantide, ahinoi, non offre di meglio.
Il corrispondente impavido che tenta l'approfondimento (cosa accade
nella pace Nato prefabbricata del Kosovo, ad esempio? Qual è lo
stato di salute della democrazia croata? E a Skopje, che succede?)
incassa in genere un commento che è già uno sbuffo: ah, ancora la
Jugoslavia? Non vende più, la Jugoslavia, annotava amaramente
Jasmina Tesanovic nel suo diario da Belgrado. E' il solito occidente,
bellezza: sappiamo tutto sul cardio-doppler di Milosevic (il garante-
tiranno, selezionato dallAlleanza Atlantica per siglare gli accordi
di Dayton prima, e qualche anno più tardi scelto per liquidare le
colpe collettive), ma delle recenti catastrofiche elezioni in Serbia
e Bosnia s'è detto l'essenziale, e lessenziale è nulla. Forse perché
il disastro si rivolge ad occidente, e alle radici della catastrofe
elettorale ci siamo noi. Pochi, i giornalisti che si occupano di
Jugo-Balcani con la serietà dovuta. Uno di questi si chiama
Remondino Ennio, dodici anni di jugo-anzianità, e nei negozi di
Belgrado il suo cognome ha involontariamente battezzato quel certo
giubbottino di renna spelacchiata ('il remondino', appunto) che
il nostro indossava per raccontare dagli schermi Rai, spesso nelle
ultime edizioni a margine (perché le lacrime di Kukes 'tiravano',
come si dice in gergo, più di quelle di Pancevo) la guerra del '99.
Bravo, Remondino, e competente: raccontare in diretta la prima guerra
umanitaria della storia era fatica da Don Chisciotte. Eppure c'è
riuscito. E c'è riuscito grazie alle qualità specifiche ed essenziali
di ogni bravo giornalista: pazienza, competenza, molta ironia: per
chi l'ha saputa cogliere fra un krkrkr e un ich-ich, senza
orpelli, senza servilismo. Notizia del giorno, 23 novembre 2002
anno domini, Remondino il non-allineato rientra nelle spese che il
CdA di mamma Rai decide di tagliare: chiude la redazione di Belgrado.
Eppure quel che accade fra Praga e Istanbul è proprio Remondino a
poterlo riferire, e dovrebbe riguardarci da vicino.
Pare che per la Rai non sia così: il minestrone di polvere da sparo
e domande restate prive di risposta non interessa più: alla voce
Balcani, in Rai, solo uno spazio vuoto, un monoscopio fine delle
trasmissioni certo più rassicurante del narrante Remondino. Brutto
momento per linformazione, nella penisola italica separata da quella
balcanica da un solo braccio di Adriatico: fischia un vento troppo
destro per essere definito solamente sinistro. Aveva ragione proprio
Remondino: "se le stronzate del giornalismo italiano fossero mine,
saremmo una categoria di mutilati".
Babsi Jones
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