il manifesto - 11 Marzo 2003

Disoccupati di guerra

Zastava addio? A 4 anni dalla guerra dimenticata e a due dalla svolta
liberista la più grande fabbrica di automobili dei Balcani è allo
stremo

LORIS CAMPETTI

Chi si ricorda più del Kosovo, due o tre guerre fa? Allora la guerra
si chiamava intervento umanitario e quando le bombe intelligenti
ammazzavano la popolazione serba, nonché quella albanese che si diceva
di voler difendere, si trattava soltanto di effetti collaterali. A
sostenere le ragioni delle bombe, il 24 marzo del `99, in Italia era
il governo di centrosinistra. Soffrendo, naturalmente, ma il
nostro paese doveva essere riconosciuto atlanticamente fedele e
promosso nel club delle nazioni che contano, spiegava il presidente
Massimo D'Alema. Ancora più sofferenza si registrava in casa della
Cgil, dove contro la guerra non furono schierate le armate pacifiche
dei lavoratori, in nome della contingente necessità. Oggi l'Ulivo sta
pagando cara quella guerra e deve rispondere a ogni piè sospinto alle
accuse delle destre al governo. La maggior parte dei dirigenti di
centrosinistra tenta goffamente di ribaltare la frittata per dire:
«Noi non siamo contro tutte le guerre, siamo contro questa guerra».
Solo da Sergio Cofferati, allora segretario generale della Cgil, è
venuto un ripensamento: «Forse non è stato fatto il possibile per
evitarla».
Non sto a chiedere a Rajka, a Ruzica e a Radoslav come valutino tale
ripensamento, che riguarda non solo un dirigente ma l'insieme della
più importante organizzazione di massa italiana, di fronte al rischio
di una nuova, terribile avventura bellica. I tre sindacalisti
della Zastava portano ancora sulla pelle i segni della guerra
umanitaria e sabato 15 febbraio, alla più grande manifestazione
pacifista, dal palco di piazza San Giovanni Rajka ha ricordato a
tutti cosa è stata quella guerra e quali macerie si è lasciata alle
spalle, senza risolvere alcuno degli obiettivi che i gendarmi del
mondo e i loro sherpa avevano annunciato. Rajka Veljovic parla bene
l'italiano e per questo, oltre che per passione civile, dal `99 si
occupa delle adozioni a distanza dei figli dei lavoratori della
fabbrica di auto distrutta dalle bombe, attivate in Italia da
associazioni, gruppi, da strutture della Fiom e dalla Cgil, cioè da
chi 4 anni fa non si era fatto abbindolare dalla «contingente
necessità». L'iniziativa era stata lanciata dal manifesto con
l'associazione Abc solidarietà e pace. Ruzica Milosavljevic è membro
della presidenza del sindacato metalmeccanico serbo e Radoslav Delic è
il segretario generale del Sindacato Autonomo Zastava. Ci siamo fatti
raccontare dai tre amici che cosa resta di quella che fu la prima
fabbrica di automobili dei Balcani, parte di un gruppo metalmeccanico
diversificato in moltissime attività. Una di queste è la Zastava
Kamiona, la cui proprietà vede tutt'ora la presenza - con una quota
vicina al 50% - della Fiat-Iveco. Ma è dall'inizio delle guerre che
hanno sventrato la ex-Jugoslavia che la multinazionale torinese si è
chiamata fuori, disinteressandosi della sorte della sua partecipata.

Qualche lettore ricorderà i nostri reportages dalla Zastava di
Kragujevac, le decine di operai che presidiavano la loro fabbrica
feriti dalle bombe, i reparti rasi al suolo, la centrale elettrica
colpita con millimetrica precisione così come le lapidi che
ricordavano i lavoratori uccisi dai nazisti nella 2° guerra mondiale.
Quasi nulla rimase in piedi delle officine e delle linee di montaggio,
dell'infermeria, del centro di calcolo. La distruzione del reparto di
verniciatura provocò un terribile danno ambientale per la
fuoriuscita di liquidi chimici cancerogeni (Pbc o pirolene) che sono
penetrati nel terreno della zona circostante lo stabilimento. Per non
parlare di uranio impoverito di cui, infatti, in Serbia non si parla.
Dati scientifici è impensabile averne, la caduta di Slobo Milosevic
non ha portato né trasparenza né sicurezza. Si sa, e ce lo conferma
Rajka, che i casi di tumori - in particolare al seno - sono aumentati
a dismisura nell'area di Kragujevac, tra le più inquinate della Serbia
insieme a Pancevo dove venne ripetutamente bombardato il
petrolchimico. Donne, anziani e soprattutto bambini sono le fasce più
esposte della popolazione. La situazione sanitaria è allarmante:
«Nel reparto di radiologia di Kragujevac gli apparecchi non funzionano
da mesi. Alla gente colpita dal cancro - dice Rajka - non resta che
aspettare la morte, senza quei farmaci introvabili o troppo cari che
potrebbero alleviare la sofferenza e allungare la vita. A Kragujevac
non c'è uno strumento per la mammografia e così le donne sono
costrette ad andare a loro spese all'ospedale di Belgrado, dove ci
sono soltanto due apparecchi. Nel presidio sanitario della Zastava,
ricostruito con la solidarietà internazionale, ce n'è uno ma non
funziona perché manca un pezzo, costosissimo. Degli operai che hanno
lavorato al risanamento del reparto fucine, sette sono già morti di
tumore al fegato e molti hanno gravi problemi alla pelle e al fegato.
Nel campo profughi di Kragujevac, dove vivono anche ex lavoratori
della Zastava, si stanno registrando svariati casi di tubercolosi».

Due anni fa, dopo la caduta del regime di Milosevic, sull'onda
dell'ubriacatura neoliberista il Gruppo Zastava è stato scomposto in
decine di aziende per favorirne la privatizzazione. Da allora,
soltanto un reparto è stato privatizzato (produzione di solventi,
appena 13 addetti). Nel frattempo, la mannaia del nuovo corso
economico e i dicktat del Fondo mentario hanno desertificato le
fabbriche, alla paralisi per effetto delle bombe e della crisi: dei
36mila dipendenti del gruppo ne restano meno di 16mila. Nel settore
automobilistico gli occupati sono scesi da 13.500 a 4.300. E chi
resta, di lavoro da fare ne ha ben poco. Prima dell'inizio delle
guerre jugoslave, la Zastava produceva 220 mila automobili, nel 2002
sono uscite dalle linee di montaggio di Kragujevac - parzialmente
ricostruite dal lavoro degli operai, organizzati dal sindacato di
Rajka - appena 10 mila vetture dei vari modelli Yugo. Il che significa
che ogni operaio costruisce poco più di due automobili l'anno. Per non
parlare dell'Iveco: 430 camion lo scorso anno, contro una produzione
di 5 mila in tempi normali. La drastica riduzione dell'occupazione è
stata realizzata attraverso l'incentivo alle dimissioni
(200 marchi per anno di anzianità), gli altri esuberi sono stati
collocati chi nel collocamento pubblico, chi in quello della Zastava.
Ma il mercato del lavoro è inesistente nell'area di Kragujevac, dove
vivono 200-250 mila abitanti, da sempre esclusivamenti legati alla
filiera della Zastava.

Gli investimenti stranieri non arrivano, il sistema bancario della
Serbia è al collasso (10 mila licenziati in pochi mesi). I disoccupati
nel paese sono 905 mila, il 50% della forza di lavoro. Il 65% della
popolazione spende meno di 2 dollari al giorno, il 20% meno di 1
dollaro. Solo il 3% dei disoccupati usufruisce di un sussidio
pubblico, pari al 60% del salario, garantito solo per il primo anno di
disoccupazione. Chi ancora lavora (si fa per dire) alla Zastava
percepisce un salario di 150 euro, a cui va sottratto il costo del
pasto. «Ma solo quando la fabbrica è aperta: a gennaio, lo
stabilimento è rimasto chiuso per tutto il mese e il salario è stato
sostituito da una sorta di cassa integrazione, quindi decurtato. Chi è
iscritto al collocamento della Zastava percepisce appena 50 euro e
dev'essere disposto a qualsiasi lavoro, anche ad andare a
cogliere la frutta «in un'altra parte della Serbia. Chi rinuncia viene
cancellato dal collocamento. Inoltre è in corso una riforma del
mercato del lavoro per cui, chi verrà scoperto a fare qualche
lavoretto per integrare il sussidio con cui non si campa, perderà
tutto». Eppure, nonostante la pesante crisi economica e sociale, un
piccolo mercato dell'auto esiste. Ma è un mercato particolare: «Invece
di sostenere la produzione dell'industria nazionale si favorisce
l'importazione». Racconta Rajka: «Due anni fa, uno dei primi decreti
del governo presieduto da Djndjc autorizzò l'importazione di vetture
usate, e in questo modo è stata affossata la nostra produzione. Pensa
che già nel primo anno sono state immatricolate 280 mila automobili
straniere, il che spiega il crollo della produzione Zastava» (prezzo
delle Yugo, da 3,5 mila euro per il modello base a 6 mila per la
versione Florida).

Il sindacato maggioritario (85% dei dipendenti sono iscritti al
Sindacato autonomo, quello che più si è impegnato nella ricostruzione
post-bellica e nelle adozioni a distanza) della Zastava, di quel che
resta dei vari pezzi del gruppo collassato, continua a battersi per la
ripresa della produzione e per modifiche legislative che ne sostengano
la domanda. In questo quadro, il ruolo dei sindacalisti è poco più che
assistenziale: «Ci battiamo per costringere la direzione a consegnare
regolarmente i salari ai dipendenti, e non è un'impresa da poco.
Organizzare scioperi è sempre più difficile, dopo lo spezzatino del
gruppo e i licenziamenti di massa». Ultimamente c'è stato un
proliferare di sindacatini. Prospettive di interventi di capitali
stranieri, per ora non se ne vedono. La Fiat-Iveco continua a
disinteressarsi della Zastava Kamiona, mentre la voce diffusa mesi fa
sull'arrivo di un mercante statunitense, Malcolm Briklin, in passato
importatore negli Usa di vetture Yugo, si è rivelata infondata. Si può
dire che l'unica iniziativa concreta a favore della Zastava negli
ultimi 4 anni, sia stata l'adozione a distanza dei figli dei
lavoratori.
Oggi, in Italia, molti pensano che la Jugoslavia sia tornata alla
normalità. «Purtroppo non è così - chiariscono Rajka, Ruzica e
Radoslav - e la situazione sociale, occupazionale, sanitaria è
peggiore di quando ci cadevano le bombe sulla testa».

Non possiamo che far nostro l'appello a rilanciare la solidarietà con
questi lavoratori d'oltre Adriatico. Per aderire all'iniziativa,
contattare l'associazione «Abc solidarietà e pace»: via Umberto
Calosso 50, 00155 Roma; email: abcsolidarieta@... posta
elettronica; http://abcsolidarieta.freeweb.org; telefono e fax:
06-4063334

---

Date: Tue, 1 Apr 2003 11:41:04 +0200
From: "Abconlus" <info@...>
To: A, B, C, Solidarietà e pace <abcsolidarieta@...>


Il 30 marzo 2003 si è svolta la IV Assemblea annuale dei soci dell'
Associazione "A, B, C, solidarietà e pace".

L'Assemblea, confermando la linea politica militante di diplomazia dal
basso, espressa in questi anni attraverso interventi e finanziamenti
mirati a sostenere microprogetti precisi, concreti e circoscritti, ha
voluto manifestare la sua opposizione a quello che sta accadendo in
questi terribili giorni nel Golfo, approvando, su proposta del
Consiglio direttivo, lo stanziamento di mille euro a favore dei
bambini iracheni curati nel dispensario per malattie gastrointestinali
infantili di Bassora. La somma sarà erogata a favore dell'Associazione
"Un ponte per...".

L'Assemblea ha anche approvato la relazione sull'attività svolta nel
corso del 2002 e i bilanci consuntivo 2002 e preventivo 2003.

Sono stati poi confermati, per altri tre anni, revisori gli amici
Giorgi Colomba Rossella, Giovanni D'Alfonso e Fabio Fanti e supplenti
Rosa Ortu e Marco Santamaria.

Nel corso dell'assemblea sono stati infine annunciati la "nascita" di
"A, B, C, solidariedade e paz - Guiné Bissau" e un accordo con la
Direzione Sanitaria della Regione Oio della Guinea Bissau.

Speriamo di poter lavorare sempre meglio grazie al vostro sostegno!
Cordiali saluti a tutti.

IL CONSIGLIO DIRETTIVO DI ABC